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Palloncini rosso sangue Un nuovo caso per il commissario Oscar De Santis
Palloncini rosso sangue Un nuovo caso per il commissario Oscar De Santis
Palloncini rosso sangue Un nuovo caso per il commissario Oscar De Santis
E-book440 pagine6 ore

Palloncini rosso sangue Un nuovo caso per il commissario Oscar De Santis

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Info su questo ebook

Roma 10 gennaio 2010. Il corpo di un bambino viene rinvenuto all’esterno del circo Tendastrisce, durante l’ultimo spettacolo. Ha gli abiti sgualciti ed è stato soffocato da cinque palloncini rossi. Si tratta di una disgrazia o qualcuno l’ha ucciso dopo aver abusato di lui? È questo l’ennesimo mistero che, otto anni dopo, il commissario Oscar De Santis e l’amica patologa PenelopeD’Alessio saranno costretti a svelare per rendere giustizia alle nuove vittime del killer, affidandosi nuovamente ai consigli della scrittrice Sofie Floren, l’unica a conoscenza del segreto celato dietro a questo terribile delitto.
LinguaItaliano
Data di uscita19 apr 2021
ISBN9791220294423
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    Anteprima del libro

    Palloncini rosso sangue Un nuovo caso per il commissario Oscar De Santis - Lady Killer

    coverinerta (2)

    LADYKILLER

    PALLONCINI ROSSO SANGUE

    UN NUOVO CASO PER IL COMMISSARIO OSCAR DE SANTIS

    image001

    Ladykiller

    Palloncini rosso sangue

    Un nuovo caso per il commissario Oscar De Santis

    GPM Edizioni

    www.gpmedizioni.it

    www.gdsbookstore.it

    info@gpmedizioni.it

    Disponibile anche in formato cartaceo.

    questo libro é opera di fantasia. Personaggi e luoghi citatisono invenzioni dell'autrice e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è puramente casuale.

    Immagine e copertina reperita in pixabay.it 

    "Un uomo che non sa di essere un clown,

    non solo non è un artista, ma non capisce nulla della vita."

    Cit. Egon Friedell

    Roma. 10 gennaio 2010

       Si guardò attorno. Lungo il corridoio silenzioso non c’era nessuno. Nascosto lì dietro riusciva a sentire lo scroscio degli applausi che giungevano dalla platea e, se avesse sbirciato dal buco per il quale era passato, avrebbe anche potuto osservare i suoi compagni di classe seduti composti sulle poltroncine imbottite in seconda fila, vestiti con le loro maschere colorate che fissavano incuriositi il palco sopra il quale due acrobati volteggiavano senza la protezione delle reti.

       Doveva fare in fretta, prima che qualcuno si accorgesse che era riuscito a sgattaiolare fuori dalla fila e, gattonando fra gli spettatori, si era infilato dietro le quinte del circo. Non appena avevano raggiunto il suo posto, ed eccitato si era seduto in attesa che lo spettacolo avesse inizio, lui l’aveva detto alla maestra che doveva andare in bagno, ma lei lo aveva zittito con fare accigliato. Non gli aveva creduto, pensando fosse solo una scusa per aggirarsi indisturbato dietro il tendone. Aveva aggiunto che fosse troppo tardi e che avrebbe dovuto trattenerla fino a quando le luci si sarebbero riaccese. Proprio in quel momento qualcuno aveva incitato al silenzio. Aveva provato a resistere, ma non appena lui e il suo amichetto Mattia avevano cominciato a ridere infilandosi il primo palloncino in bocca, gonfiandolo fino a riempirlo d’aria, per poi lasciarlo volare in alto all’improvviso, lo stimolo si era fatto più impellente.

      Gli piaceva quel gioco che aveva inventato, come gli piacevano i palloncini rossi che gli aveva comprato il suo papà qualche giorno prima, proprio per quell’occasione. Non era carnevale, ma la sua scuola aveva organizzato una gita per tutte le classi al teatro della città per assistere all’ultimo spettacolo del Golden Circus Festival, prima che il tendone e gli artisti sbaraccassero e tornassero da dove erano arrivati con i loro camper enormi che occupavano metà del parcheggio. Quando aveva chiesto al suo papà cosa significassero quelle tre parole, lui gli aveva spiegato che Golden stava per oro, dunque la festa alla quale avrebbe assistito quel pomeriggio sarebbe stata la migliore rappresentazione del circo che ogni anno approdava a Roma e che, con innumerevoli spettacoli, allietava il clima prima e dopo le feste natalizie. Quel giorno avrebbe potuto assistere alle numerose esibizioni in programma, fra le quali quella con i cavalli, di equilibrismo e con il fuoco. Avrebbe visto da vicino due vere foche e numerosi altri animali. Per l’occasione le insegnanti della sua scuola avevano permesso a tutti i bambini di indossare una maschera che rappresentasse il circo, e lui aveva scelto il vestito da pagliaccio, lo stesso che avrebbe infilato anche per la sfilata di carnevale. Da tre anni si vestiva sempre allo stesso modo, ma modificando il colore della maschera, e papà gli disegnava il viso con il trucco, aggiungendo qualche particolare. Aveva scelto una parrucca che gli nascondeva tutti i capelli, lasciando intravedere ai lati, sopra le orecchie, alcuni ciuffi finti gialli a riccioli, dando l’impressione così di essere completamente calvo. Invece di tapparsi il naso con uno di plastica, che tutte le volte lo costringeva a respirare tenendo la bocca aperta, suo papà glielo aveva colorato di rosso, come i veri pagliacci che era solito guardare in televisione. Se avesse incrociato gli occhi verso il basso avrebbe potuto scorgere la punta.

       Il bambino si concesse un ghigno divertito, che nascose dietro le manine portate davanti alla bocca, incamminandosi lungo il corridoio alla ricerca del bagno o di un posto isolato dove nessuno lo avrebbe visto e dove si sarebbe abbassato la cerniera fino a sfilarsi il vestito per riuscire a urinare. Anche lui da grande si sarebbe esibito in un circo insieme ad altri pagliacci. Era per quel motivo che aveva insistito perché la sua mamma gli concedesse il permesso di partecipare alla rappresentazione del circo, nonostante sapeva di essere in punizione. Per riuscire a convincerla aveva dovuto promettere che non si sarebbe mai allontanato dal resto della classe e avrebbe ubbidito alla sua all’insegnante. Mamma era sempre preoccupata che gli potesse accadere qualcosa di spiacevole se lei non era presente, e di rado gli permetteva di uscire a giocare al parco con i suoi amici o di sfrecciare sulla strada con la sua bicicletta nuova. Papà, al contrario, era più permissivo e lo autorizzava a uscire dalla bottega da solo e raggiungere il negozio di dolciumi al di là della strada, purché facesse attenzione ad attraversare quando il semaforo pedonale diventava verde, e non si attardasse fra gli scaffali. Per lui era già un piccolo ometto, mamma invece lo trattava ancora con un bambino.

       Tornò a sbirciare lungo il corridoio, mentre un altro improvviso scroscio di applausi degli spettatori inondava quasi l’aria. Presto avrebbe lasciato la sua mamma e il suo papà e sarebbe partito al seguito di un grosso camper in giro per il mondo, fermandosi in ogni città per mostrare il suo spettacolo. Forse avrebbe anche deciso di unirsi a un vero e proprio circo, come quello che era arrivato nella sua via l’estate scorsa e che aveva montato un tendone enorme a strisce. Mamma lo aveva accompagnato tre volte di seguito e guardando lo spettacolo dei pagliacci aveva imparato a gonfiare e poi contorcere i palloncini fino a creare delle figure di animali. Con il suo amichetto Mattia si divertivano sempre a gonfiarli fino quasi a farli scoppiare e poi a lasciarli volare via, restando a ridere come matti quando emettevano quel suono divertente, come una trombetta, per poi ricadere sgonfi e imbrattati di saliva.

       Il bambino si premette forte le mani all’inguine, cominciando a saltellare. Non riusciva più a trattenere la pipì. Si guardò alle spalle sicuro che non l’avesse visto nessuno infilarsi lì dietro e, fermandosi in un angolo in penombra, lasciò scorrere la cerniera del vestito verso il basso. Liberò le braccia, facendo attenzione a non strappare la tela e si slacciò i pantaloni indossati sotto alla maschera. Neppure il tempo di fare scivolare fuori dagli slip il suo piccolo membro che uno spruzzo caldo colpì il muro davanti a lui. Tirò un sospiro di sollievo guardando verso il basso e allontanando i piedi per non bagnare le scarpe da ginnastica nuove. Restò immobile per qualche secondo, con un sorrisetto divertito sulle labbra, osservando il getto caldo di pipì che appena colpita la parete scivolava verso terra. Volse il capo a destra e a sinistra. C’era ancora tempo prima che i pagliacci si esibissero sul palcoscenico. Forse avrebbe potuto raggiungere i camerini degli artisti e dare una sbirciatina. Era curioso di scoprire se sotto quelle parrucche enormi avessero i capelli come lui o se invece fossero completamente calvi. Era impossibile che riuscissero a nasconderli così bene. A lui veniva difficile e qualche volta doveva litigare con un ricciolo nero che dispettoso usciva fuori. Ci aveva provato a radersi la testa con il rasoio che papà usava quando si fermare in negozio fino al giorno dopo per terminare un lavoro, ma lui lo aveva sorpreso e si era guadagnato un rimprovero.

       La luce si accese all’improvviso, illuminando il corridoio.

       Il bambino cercò di interrompere il flusso di pipì, spingendosi contro il muro e trattenendo il respiro. Trafficò con gli slip fino a che non riuscì a sistemare gli abiti alla bene meglio, mentre alcune gocce calde caddero sui pantaloni della maschera. Mentre cercava nuovamente di infilarsi la manica aguzzò lo sguardo lungo il corridoio, per cercare un nascondiglio che gli avrebbe permesso di rivestirsi velocemente senza essere visto, ma non riuscì a individuare alcun oggetto dietro al quale eclissarsi. Percepì alcuni passi trascinati, e in fretta inserì anche la seconda manica, ma quando fece per far scivolare la cerniera verso l’alto si rese conto di aver infilato la tuta da pagliaccio al contrario. Sfilò nuovamente entrambe le maniche e si voltò per cercare di capire cosa avesse sbagliato. Quando tornò a voltarsi scorse prima le grosse scarpe di plastica rosse ferme vicino ai suoi piedi e sollevando lo sguardo si trovò faccia a faccia con un gigantesco naso rosso e una bocca sorridente che correva da un orecchio all’altro. Lasciò il vestito e si coprì il viso con le mani, trattenendo un grido.

      Ehi ragazzino! Cosa ci fai qui? chiese il pagliaccio restando piegato in avanti, con le mani puntate ai fianchi.

      Io…io… balbettò lui. Mi scappava la pipì rivelò alla fine.

      I bagni sono dall’altra parte. Qui non ci puoi stare il pagliaccio tornò in posizione eretta.

       Era alto più del suo papà e lo guardava da un’altezza che neppure se avesse allungato le braccia sarebbe riuscito a raggiungere.

      Mi sono perso. Ma non riuscivo più a trattenerla e… si scusò lui.

      … e hai pensato bene di farla contro il muro continuò il pagliaccio piegando la testa di lato. Questo non però non si fa! e ondeggiando da sinistra a destra l’indice della mano gli chiese: Come ti chiami?

       Il bambino squadrò dall’alto al basso il gigante vestito con una maschera a strisce rosse e gialle. Il suo addome rigonfio sporgeva in avanti, tirando i bottoni, e pareva essere originale non improvvisata con qualche cuscino, mentre dietro i pantaloni si allargavano lasciando intravedere un enorme sedere che ondeggiava a ogni suo movimento. Facendosi coraggio tirò le labbra in un sorriso lasciando che il cerone si allargasse disegnando una bocca ancora più grande di quella che papà gli aveva colorato.

      Riccardo sussurrò alla fine. Temporeggiò, poi chiese: Ma tu sei un pagliaccio vero?

      Non mi vedi? rispose l’artista, e scoppiando in una fragorosa risata che riecheggiò lungo il corridoio deserto, aggiunse: Posso assomigliare alla fata turchina, secondo te?

       Riccardo si unì alla sua risata.  

      Comunque, meglio se usi il termine clown, non pagliaccio continuò l’altro.

      Perché?

      Fa più spettacolo e gli strizzò l’occhio, sistemandosi il naso di plastica che ora pendeva da una parte.

      Anche io da grande voglio fare il clown esordì Riccardo tornando a trafficare con il vestito. So gonfiare i palloncini fino a che non scoppiano. E io e il mio amico Mattia a volte riusciamo a infilarcene in bocca anche cinque alla volta.

      Bravo rispose il pagliaccio aiutandolo con le maniche del vestito. Ma adesso è meglio se torni al tuo posto. Non vorrai perderti il mio spettacolo.

      No, no! tornò a sorridere Riccardo ringraziandolo con un cenno del capo. Sono venuto qui solo per vedervi sul palco.

       L’uomo travestito trafficò con la cerniera della maschera di Riccardo. Quando riuscì a farla scivolare verso l’alto restò a guardare il risultato e gli regalò un buffetto sulla guancia. Portandosi la mano sulla testa cabla, se la grattò, aggrottando le sopracciglia disegnate con una matita nera.

      Hai un vestito insolito commentò alla fine.

       Riccardo guardò prima il pagliaccio enorme che gli stava davanti, poi abbassò gli occhi verso di sé.

      Ti piace? chiese dubbioso.

      Sì, è… si raschiò nuovamente la testa indeciso sulla scelta del termine, poi aggiunse: Particolare. Non ne avevo mai visto uno simile.

      Ho scelto io il colore esordì Riccardo, e aggiunse: Me l’ha cucito il mio papà. E domani mi ha promesso che andremo insieme a comprare un cagnolino. Domani è il mio compleanno! precisò gongolandosi.

      Auguri, allora! esultò il clown tornando a poggiare le mani ai fianchi. Se mi prometti di non muoverti più dal posto che la tua maestra ti ha assegnato ti farò un regalo anche io.

       Gli occhi di Riccardo si illuminarono.

      Quale regalo? chiese battendo le mani.

      È una sorpresa, ma adesso andiamo. Ti accompagno fino a dietro il tendone lo rassicurò il pagliaccio. Sai tornare dai tuoi amici?

       Riccardo annuì incamminandosi lungo il corridoio, lasciando che il suo nuovo amico gli prendesse la mano e la stringesse nella sua. Aveva un paio di guanti bianchi che si nascondevano fin dentro la manica del vestito. Guardò la sua più piccola scomparire avvolta in quella del clown. Lui non portava i guanti.  

    Appena dirò al mio amico Mattia che ho incontrato un vero pagliaccio non mi crederà! continuò a parlare eccitato il bambino, saltellandogli vicino.

       Il clown si fermò a metà corridoio. Guardò verso il basso, incontrando lo sguardo di Riccardo.

      Per gonfiare i palloncini sarebbe meglio che tu usassi una pompetta, come quella che si trova nei negozi di giocattoli disse tornando a incamminarsi. E non metterli mai tutti insieme in bocca. È pericoloso.

      Io sono grande e posso gonfiarli soffiando rivelò Riccardo. E quando li ho in bocca sgonfi non li mando giù. Non sono stupido! È solo un gioco.

      Con i palloncini non si scherza lo riprese il pagliaccio, scuotendo il capo. Soprattutto se stai giocando con i tuoi amichetti i due si fermarono alla fine del corridoio, vicino all’apertura nella quale Riccardo si era infilato per giungere fino a lì. Il clown tornò a puntare i suoi occhi scuri in quelli del bambino. Annuì, poi aggiunse liberando la sua mano: Non lo devi fare. Potresti soffocare.

    Capitolo 1

    Roma. Otto anni dopo.

      Ti assicuro che io… il commissario Oscar De Santis percepì un fruscio, poi il silenzio, come se la telefonata fosse stata interrotta. Pronto? Pronto! gridò esasperato al microfono del suo cellulare. Si afflosciò sulla poltroncina, restando a fissare il display.

       Non era caduta la linea, Patrizia aveva semplicemente riagganciato mentre ancora lui stava parlando.

      Dannazione! imprecò abbandonandolo sulla scrivania. Fece scivolare la poltrona all’indietro e si alzò, raggiungendo la finestra che si affacciava su via San Vitale.

       Il cielo era oscurato da nubi cariche di acqua che prima di sera si sarebbe tramutata in neve, come avevano anticipato alla radio quella mattina, mentre chiuso nell’abitacolo della sua vettura era rimasto intrappolato nel traffico che a passo d’uomo lo aveva accompagnato fino al suo ufficio. Era stato un inverno rigido quello appena trascorso, ma dopo le tre giornate di sole che avevano anticipato i primi giorni dell’anno nuovo aveva creduto di poter cominciare a pensare a un improvviso cambio di stagione. Utopia che presto era stata cancellata nella mente dei cittadini romani con l’arrivo di nuove perturbazioni e di abbondanti nevicate che avevano bloccato la viabilità, rendendo la circolazione quasi impossibile. Anche lui, la settimana prima, era stato costretto ad abbandonare la macchina parcheggiata fuori casa e raggiungere la questura con la metropolitana, impiegando così il doppio del tempo. Sarebbe stato inutile anche solo pensare di provare a superare il muro di neve e che lo spazzaneve, passato durante la notte, aveva accumulato al lato del passeggero, bloccandogli la strada.

       Tornò a guardare in direzione della scrivania, incrociando le mani dietro la schiena. Doveva richiamare Patrizia e cercare di farla ragionare o era meglio lasciare che sbollisse la rabbia fino a quando lui non avesse fatto ritorno a casa quella sera? Si strinse nelle spalle tornando a sbirciare oltre i vetri. Ultimamente era impensabile anche solo cercare di parlarle, soprattutto quando si fissava continuando a ripetere che era certa che lui la stesse tradendo con un’altra donna. Sarebbe riuscito a smontare la sua teoria in pochi istanti se solo anche quella notte il suo cellulare non avesse nuovamente suonato per ben tre volte, e quando lui aveva risposto la comunicazione era stata interrotta. Sul display non era apparso nulla se non le parole ‘numero sconosciuto’ convincendola sempre di più che a telefonare fosse una donna. Inutili i suoi tentativi di persuaderla e riuscire a convincerla che lui non aveva nulla da nascondere, tanto meno un’amante. Patrizia si era arrabbiata ancora di più accusandolo di mentire spudoratamente, e aveva deciso di andare a dormire nella camera del loro bambino. E quella non era la prima volta che lui restava sveglio tutta la notte, solo nel loro letto matrimoniale.

      Un’amante… bisbigliò fra sé.

       Non trovava neppure il tempo di trascorrere un’intera giornata con la sua famiglia senza che qualcuno lo chiamasse dal commissariato per un’urgenza, figuriamoci trovare qualche ora per fare visita a un’altra donna, e comunque lui non ne aveva mai neppure sentito la necessità. Stava bene con Patrizia, le voleva bene, e la loro relazione continuava da un paio di anni. L’arrivo di Luca aveva regalato a entrambi la convinzione che fossero a tutti gli effetti una famiglia anche se nessuno dei due aveva mai espresso il desiderio di coronare quell’unione con un matrimonio e una fede d’oro al dito. Si erano trasferiti nel suo appartamento in via Appia da sei mesi, non appena i lavori di ristrutturazione erano terminati e avevano lasciato la casa di sua madre a Spoleto. Perché avrebbe dovuto complicarsi la vita con una relazione segreta e clandestina se tutto gli andava bene così?

       Si accarezzò il mento, restando a giocare con il labbro inferiore. Lo tirò in avanti, pizzicandolo leggermente, lasciandolo poi all’improvviso per farlo tornare nella posizione originale. Eppure, doveva trovare il modo di convincere Patrizia che non la stava tradendo, prima che lei mettesse in atto la sua minaccia di lasciarlo da solo a Roma e fare ritorno a Spoleto da sua madre, o peggio a Perugia dalla sua famiglia.

       La porta si aprì all’improvviso, andando a sbattere contro la parete e facendolo sobbalzare.

      Ho trovato la chiesa adatta per il vostro matrimonio! elargì la donna entrando nella stanza, e richiudendo la porta alle sue spalle con un calcio.

       Si slacciò il piumino e trafficò con il sacchetto di carta che teneva stretto in una mano mentre si sfilava entrambe le maniche, anziché depositarlo sulla scrivania. Quando riuscì finalmente nel suo intento lo abbandonò sulla sedia e raggiunse la finestra dove Oscar era rimasto immobile a fissarla. Sollevò il sacchetto davanti al suo viso.

      Crema o marmellata? Questa mattina sono riuscita ad arrivare prima e mi sono accaparrata un cornetto alla confettura di albicocche rivelò lasciando ondeggiare il sacchetto avanti e indietro.

      Tu bussare mai, vero? fece lui di rimando tornando verso la scrivania. O almeno lasciare che qualcuno mi avverta del tuo arrivo?

       La patologa Penelope D’Alessio sollevò un sopracciglio, corrugando la fronte. Lo seguì con lo sguardo.

      Luca vi ha fatto trascorrere nuovamente la notte in bianco? chiese raggiungendolo e abbandonando il sacchetto sopra un plico di fogli. Lo aprì e trafficò al suo interno recuperando una brioche alla marmellata. Addentò un angolo continuando a fissare l’amico.

      Mi ci sono abituato ormai sentenziò lui sbirciando all’interno del cartoccio e storcendo il naso con aria schifata. Lo allontanò. A dire la verità è diventato quasi piacevole sentirlo piangere, almeno rompe il silenzio. 

      Allora in casa De Santis c’è ancora burrasca ridacchiò la patologa trovando posto sulla sedia, senza spostare il piumino che finì a fungere da cuscino.

      Non scherzare, Penelope si irritò il commissario Oscar De Santis. Se andiamo avanti così è inutile che chieda a Patrizia di sposarmi e che tu trovi una chiesa adatta al nostro matrimonio. Ci separiamo prima ancora di aver scelto le fedi rincarò la dose lui. Recuperò la poltroncina di pelle nera con i braccioli consumati e vi si abbondonò sopra, allungando le braccia in alto stiracchiandosi.

       Penelope si sporse in avanti. Inghiottì il boccone, e si pulì con il dorso della mano lo zucchero rimasto appiccicato agli angoli della bocca.

      Questa volta cosa le hai fatto per arrivare al punto di litigare? lo apostrofò stringendo gli occhi in una fessura.

      No, no rispose schietto Oscar agitando il dito indice davanti al suo viso. Io non avevo alcuna intenzione di litigare ieri sera. È stata lei a voler cominciare. Lei e la sua gelosia si sistemò meglio sulla poltroncina, continuando a stiracchiarsi.

      Ancora? chiese la donna affondando i denti nella brioche. Ancora…con quella storia… del tuo tradimento? bofonchiò parlando con la bocca piena.

      Io non l’ho mai tradita puntualizzò Oscar. Neppure ci ho mai pensato, e se scopro chi è che ogni notte mi chiama riattaccando non appena io attivo la chiamata, io…io… sbuffò alzando gli occhi al soffitto. Lascia perdere. Spiegare a Patrizia che non so chi sia chi mi chiama ogni notte alla stessa ora e che sicuramente non può essere la mia amante, visto che non ne ho una, è tutto inutile.

      Ti hanno telefonato ancora? chiese Penelope addentando l’ultimo boccone e strofinandosi le mani fra loro per lasciare cadere le ultime briciole sulla scrivania, nonostante sapesse che non avrebbe risolto molto, e che non sarebbe mai riuscita a togliersi quella fastidiosa sensazione di appiccicaticcio dalle dita.

      Tre volte. Una dietro l’altra. Alle due di notte riassunse Oscar. Appena ho risposto, hanno riattaccato.

      Provare a mettere il cellulare sotto controllo e rintracciare il numero? chiese la patologa. Sei un commissario di polizia, non credo sia così complicato farlo.

      Proprio perché sono un commissario di polizia non ho intenzione di permettere a nessuno di controllare le mie telefonate reagì lui quasi stizzito. Si slacciò l’ultimo bottone della camicia.

      Lasciare che Patrizia si arrabbi ogni sera e farle credere che tu abbia un’altra donna, ti pare invece una soluzione accettabile? incrociò le braccia al petto lei, appoggiando il peso del corpo allo schienale della sedia. Se vuoi le parlo io si offrì.

      Non ti darebbe retta. Se è di luna sbagliata ti accuserebbe anche di nasconderle la verità solo perché siamo amici fin dalla prima elementare. Sai che quando diventa gelosa non la ferma più nessuno.

      Sarà forse che ti ama alla follia? Penelope sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi.

      L’amo anche io, e mi fido ciecamente di lei. Perché invece lei non ci riesce con me?

       Penelope alzò la mano stendendo le dita. Era rimasto dello zucchero a velo sulla punta di quello medio.

      Per cinque ovvi motivi cominciò a elencare penetrandolo con lo sguardo. Primo: sei diventato un uomo tenebroso che non parla mai di ciò che gli accade durante la giornata, mentre mesi fa, quando Patrizia lavorava come reporter al giornale, eravate praticamente sempre in contatto, se non addirittura insieme. Secondo: non fai molto per renderla partecipe delle tue indagini, mentre prima cercavi la sua collaborazione e il suo aiuto agitò la mano quando si rese conto che Oscar era sul punto di protestare. Zitto, e ascolta! gli ordino. Terzo: sei sempre rinchiuso qui dentro e, quando non lo sei, resti comunque lontano da casa per intere giornate. A volte, anche con il cellulare spento. Quarto: sei sempre stato un uomo circondato da decine di donne, prima che Patrizia arrivasse nella tua vita e la sconvolgesse, e non penso debba ricordarti io quante ne hai lasciate e prese in giro prima di mettere la testa a posto. Infine sventolò la mano aperta davanti ai suoi occhi, non le hai ancora chiesto di sposarti Penelope tornò a incrociare le braccia al petto. Potrei andare avanti elencandoti altri due o tre punti, ma oggi sono buona e preferisco fermarmi qui.

      Sai anche tu che il mio lavoro non è come tanti altri si lamentò Oscar, passandosi la mano sulla faccia, e inspirando a bocca aperta attraverso le dita. Se non sono in questura sono sulla scena di un crimine, oppure dal pubblico ministero per qualche richiesta. Comunque, cerco sempre di tornare a casa ogni sera per restare con lei e con Luca. Le ho detto mille volte che sarei felicissimo che tornasse a lavorare. È stata una sua decisione non voler accettare quella proposta a Milano, anche se non mi ha di certo rattristato saperla qui a Roma e non lontano quasi seicento chilometri.

      Sacrificio che le è costato parecchio, ma che ha accettato proprio perché voleva restare vicino a te e a vostro figlio, ma certamente non da sola tutto il giorno gli rinfacciò Penelope. Tanto valeva che restasse da tua madre a Spoleto, almeno si facevano compagnia a vicenda.

      Credi che non glielo abbia proposto? si inalberò Oscar, raddrizzandosi. Mi ha rinfacciato di volerla allontanare da Roma così sarei libero di fare ciò che voglio senza che lei sappia nulla! È lei che non vuole più stare a sentire quando parlo delle indagini che seguo. Dice che da quando non lavora più al giornale come inviata speciale preferisce non sapere, se non dalla televisione o dalla radio, per non sentire la mancanza del suo lavoro.

      E il matrimonio? Quale scusa hai per quello?

       Oscar sbuffò.

      Volevo aspettare il suo compleanno rispose disinvolto lui.

      Patrizia compie gli anni fra tre mesi. Potrebbe essere troppo tardi se, come dici tu, sono giorni che continuate a litigare a causa di queste ripetute telefonate notturne lo rimproverò Penelope scandagliando il viso di Oscar con i suoi occhi verdi. Non ti sto dicendo che la devi trascinare nella prima chiesa aperta e sposarla senza una cerimonia organizzata, i fiori e tutto il resto agitò le mani in aria. Sai quanto noi donne teniamo a tutte queste smancerie e anche tua madre morirebbe prima ancora di accompagnarti all’altare se non può organizzare a dovere il matrimonio del suo unico figlio, ma hai almeno confidato alla tua futura sposa che hai deciso di regolarizzare la vostra convivenza a tutti gli effetti?

       Oscar aggrottò la fronte, fingendo di riflettere. Scosse il capo.

      Non sono neppure riuscito a passare in gioielleria per ritirare l’anello di fidanzamento che le ho comprato ammise alla fine.

      A questo punto, mio caro commissario De Santis, ritieniti fortunato che Patrizia è una donna con la testa sulle spalle e che ti ama così tanto da accettare tutto questo e restare ancora con te! sbottò di rimando Penelope. Si piegò in avanti, senza slegare le braccia dal petto, e aggiunse: Io, al suo posto, avrei già fatto le valigie e sarei tornata a vivere nel mio appartamento con mio figlio!

      Grazie! abbaiò Oscar, distogliendo lo sguardo.

       Penelope e Oscar si conoscevano dall’infanzia, e fra di loro non c’erano mai stati segreti. Se uno dei due aveva omesso di dire all’altra qualche piccolo particolare della sua vita lo aveva fatto innocentemente, e comunque tutto alla fine era stato rivelato, e la loro unione si era rafforzata ancora più di prima tanto da considerarsi più che semplici amici e colleghi, un po’ come fratelli. Questa era forse l’unica relazione che Patrizia non aveva mai rifiutato, ma forse dipendeva dal fatto che Penelope, un anno prima, era riuscita a liberarsi anche del suo ultimo segreto confidandolo prima a lei e poi a Oscar, timorosa che lui potesse decidere di non accettarla più come amica, cosa che evidentemente non era accaduta. Penelope era lesbica, e da qualche mese viveva una relazione con la sua assistente dell’Istituto di medicina legale La Sapienza.

      Grazie per riuscire sempre a trovare il modo di consolarmi e aiutarmi a trovare una soluzione tornò a parlare il commissario.

      Ti prego! Penelope sollevò gli occhi al soffitto. Ora non cominciare con la sindrome del martire. L’unica soluzione plausibile, e che potrebbe salvare la tua relazione, è quella di dichiararti a Patrizia, dimostrandole così che non vuoi perderla e che non c’è alcuna altra donna nella tua vita. Devi darle quell’anello prima possibile e fissare una data, lasciando a lei e a tua madre la possibilità di organizzare tutto, e anche di mettersi l’animo in pace lo guardò di sottecchi, e rincarò la dose aggiungendo: Magari anche cercare di non mancare l’impegno preso quando arriverà quel giorno!

      Li ho sempre rispettati! la fulminò con lo sguardo lui.

      Sì, come no! scoppiò a ridere lei, e aggiunse: Sempre! Peccato in ritardo di qualche giorno!

      Quando le dai ragione incondizionatamente ti odio! sibilò Oscar a denti stretti.

       Penelope tirò le labbra in un sorriso forzato, sapendo di essere riuscita a scuotere l’amico perché decidesse di mettere in chiaro le cose con la sua fidanzata, prima di dover assistere alla rottura definitiva della loro convivenza.

      Cosa dicevi della chiesa che hai trovato per il nostro matrimonio? riprese lui cambiando argomento. Guardandola con aria sospettosa, aggiunse: Un’altra delle tue bizzarre idee?

       Penelope poggiò i palmi delle mani sulla scrivania, sporgendosi in avanti.

      Niente affatto! Sono già stata a visitarla domenica con Pamela. È perfetta!

      Sarebbe?

      Santa Maria ad Martyres sbottò lei battendo le mani come fosse entusiasta della sua scoperta. È perfetta! si ripeté emozionata. "Un po’ difficile fissare una data imminente, ma non impossibile. Venne eretta tra il 27 e il 25 a.C. da Marco Vispanio Agrippa e divenne un tempio dedicato a tutti gli dèi. Solo verso il 608 divenne chiesa cristiana perché l’imperatore Foca la donò a papa Bonifacio IV prendendo il soprannome di Chiesa di tutti i martiri. Sono riuscita a entrare e…"

       Oscar alzò un sopracciglio.

      È qui a Roma? la interruppe.

       La patologa Penelope D’Alessio strinse forte le labbra fino a farle scomparire. Sollevò gli occhi al soffitto, indignata.

      Perché ogni giorno ho a che fare con persone completamente ignoranti della storia della città in cui vivono? si ritrasse sulla sedia, come se volesse allontanarsi il più possibile dalla scrivania. È il Pantheon! rispose, e precisò: Santa Maria ad Martyres è quell’enorme palazzo a forma circolare che sorge in piazza della Rotonda nel rione Sant’Eustacchio! Hai presente? gesticolò. Quell’edificio dove Joseph Pace ha esposto la sua mostra di sculture realizzate con residui industriali di bigiotteria e dove, durante il periodo delle Pentecoste si celebravano spettacoli con la pioggia di petali di rose?

      Tu sei pazza! l’apostrofò il commissario Oscar De Santis abbandonandosi a un riso liberatorio, e divertito. Io e Patrizia dovremmo sposarci in un mausoleo? Per fortuna ti avevo chiesto di cercare una chiesetta isolata e poco affollata. Caratteristica, ma poco conosciuta batté la mano aperta sulla scrivania tornando a ridere divertito.

      Il Pantheon non è un mausoleo, imbecille! lo apostrofò Penelope infastidita dall’atteggiamento dell’amico. È un sacrario dell’arte da quando nel 1520 fu deposta la tomba di Raffaello presso l’altare della Madonna del Sasso. Senza contare il fatto che furono sepolti proprio lì altri artisti come Baldassarre Peruzzi, Taddeo Zuccari…

      Come dicevo io! intervenne Oscar. È un sepolcro vivente del passato! afferrò il sacchetto di carta e trafficò al suo interno fino a che non riuscì a recuperare il cornetto alla crema che Penelope gli aveva portato per colazione. Agitò una mano lasciando che lo zucchero al velo che lo ricopriva cadesse all’interno del cartoccio. Forse è meglio se tu e Pamela la domenica vi divertiate in altro tirò le labbra in un ghigno malcelato prima di addentare la brioche.

       Penelope si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Le cadevano sempre lisci e lunghi dietro le spalle ed era quasi impossibile scorgerla con una coda di cavallo o un’altra acconciatura.

      Non abbiamo molto altro da fare rispose pungente. Non quando lei comincia a lamentarsi del fatto che trascorro più tempo con te che in sua compagnia.

      Mi odia ancora così tanto? azzardò un sorrisetto nervoso lui, masticando lentamente il boccone appena infilato in bocca.

      Il tuo nome, quando siamo insieme, non si può neppure pronunciare. Da quando siamo state costrette a separarci e lavorare con altri colleghi, mi assilla con continue telefonate non appena sa che sono nel tuo ufficio per consegnarti un referto di autopsia Penelope agitò una mano in aria. Sostiene che fra un uomo e una donna non può esistere l’amicizia e che dunque, fra me e te, deve per forza essere successo qualcosa, prima che io accettassi la mia condizione e decidessi di mettermi con lei.

      Cioè io e te… avremmo… balbettò lui, sgranando gli occhi.

      Sì, hai capito benissimo! ringhiò lei. "Ha scoperto da qualche pettegolo che quella notte in cui mi hai salvato dalla setta satanica di Asmodeus nelle catacombe di Ad Decimum mi hai visto completamente nuda, come mamma mi ha fatto, e dunque… tornò ad agitare la mano indispettita, alzando gli occhi al soffitto. Oh, Oscar, lasciamo stare! Quando Pamela si fissa su qualcosa è difficile farle cambiare idea. Prima o poi si convincerà che non sono diventata lesbica perché ho incontrato lei e che non ho mai avuto una relazione con te!"

      Perfetto! sbottò Oscar, inghiottendo il pezzetto di brioches triturato fra i denti. Dalla gelosia di Patrizia siamo arrivati alla psicopatia di Pamela scosse il capo. Tornò a fissare in viso l’amica, pulendosi le labbra con il tovagliolo di carta recuperato dal sacchetto. Divenne serio. Ma se io e Patrizia fissiamo la data delle nozze… tentennò riuscendo a catturare nuovamente l’attenzione dell’amica, … posso invitare al nostro matrimonio anche Sofie, o… lasciò la frase in sospeso, come se non fosse necessario aggiungere altro.

       Penelope rimase in silenzio per qualche secondo, prima di sbottare agitandosi sulla sedia:

      Per me puoi fare quello che preferisci! portò la mano davanti alla faccia, fingendo di controllare con occhio critico le unghie mangiucchiate. È una tua amica, sei libero di invitare chi vuoi alle tue nozze un muscolo le guizzò nella guancia.

      Oltre a essere una mia amica è anche tua madre le ricordò lui.

      Biologica precisò lei di rimando, puntandogli il dito contro. I figli sono di chi li cresce non di chi li mette al mondo. E io una madre ce l’ho avuta sempre presente.

      Non riesci proprio a perdonarla, vero? chiese a bruciapelo lui.

      Per cosa? finse stupore lei. "Per avermi abbandonato appena nata davanti al

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