Götz von Berlichingen dalla mano di ferro: Dramma
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Apparso nel 1773, un anno prima del Werther, il Götz von Berlichingen dalla mano di ferro fece subito scalpore: in aperto contrasto con i dettami della moda teatrale francese, tanto in voga alla corte di Federico il Grande, il dramma tutto moderno di Goethe fu accolto con plauso unanime dalla gioventù tedesca in odore di Sturm und Drang. E negli anni a seguire molti lo riconobbero come archetipico di ben due vie maestre della letteratura romantica: non solo il dramma storico, da Schiller al Conte di Carmagnola, ma addirittura il romanzo storico. Sembra infatti che proprio il giovane Walter Scott, nel 1799, sia stato il primo a tradurre il Götz in una lingua europea moderna…
A sconvolgere ed entusiasmare fu soprattutto il «contenuto nazionale e ribelle», come afferma Umberto Colla nella sua prefazione (e il contenuto, diceva Goethe, è la cosa alla quale bada principalmente il pubblico), nonché il linguaggio. Celebre il Götz-Zitat, la citazione dal Götz per eccellenza, quella in cui l’eroe, assediato nel suo castello, al messaggero che gli intima la resa risponde: «Di’ al tuo capitano che di fronte a Sua Maestà Imperiale io ho, come sempre, il dovuto rispetto. Ma, quanto a lui, digli pure che può leccarmi il culo!».
Questa nuovissima versione italiana del Götz (la prima risale al 1837) mira a restituirci oggi intatta la vibrante forza del protagonista, amico degli zingari e dei lupi selvaggi, padrone del proprio
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Anteprima del libro
Götz von Berlichingen dalla mano di ferro - Johann Wolfgang von Goethe
NOTE
IL GÖTZ NELL’OPERA DI GOETHE
Per la freschezza e l’irruenza della sua serie mirabile di scene
(Zanella), contrastante con un teatro ancora largamente dominato, secondo i precetti di Gottsched, dall’imitazione del classicismo francese, Götz von Berlichingen dalla mano di ferro, la prima opera importante di Goethe (precede di un anno il Werther), ebbe al suo apparire, nel 1773, uno straordinario successo, tale che lo stesso autore, molti anni più tardi, in Poesia e verità, dovette ricordare come, proprio quando gli venivano da ogni dove plauso e ammirazione, si fosse addirittura trovato in difficoltà per pagare la carta che pure stava facendo conoscere al mondo il suo talento. Poco dopo, la situazione si era già capovolta, tanto che un intraprendente editore, come narra lo stesso Goethe, gli chiese di preparargli sui due piedi una dozzina di drammi simili
, promettendogli in cambio, con gioviale liberalità, un buon onorario. Purtroppo è andato perduto lo scritto che gli inviò subito il suo sodale Lenz, un pilastro del nascente Sturm und Drang, intitolato un po’ minacciosamente Il nostro matrimonio: ma i motivi dell’entusiasmo della gioventù letterata tedesca ci sono rimasti per fortuna tutti nella lettera che un altro Stürmer, Gottfried Bürger (1), scrisse a un poeta del Boschetto di Gottinga
, Heinrich Christian Boie. Scriveva Bürger: "Boie! Boie! Il cavaliere dalla mano di ferro! Non so frenare il mio entusiasmo! Come posso manifestarlo all’autore [il Götz era apparso anonimo, N.d.C]? Si può ben chiamarlo il nostro Shakespeare …Che contenuto assolutamente tedesco! Che audacia di elaborazione! Nobile e libero come il suo eroe, l’autore si pone sotto i piedi i miserabili codici con le loro regole…Che orrore! Un freddo orrore, come quando spira gelido il vento del Nord! Dio, Dio! Com’è vivo, com’è shakespeariano! Che la ciurma dei recensori, la plebe lettrice torca pure la proboscide davanti alla leccata di c[ulo, N.d.C.]! Questa gentaglia dovrebbe piuttosto leccare il c[ome sopra, N.d.C.] all’autore!..."(2): L’ultimo, reiterato riferimento è al passo che sarebbe diventato il Götz-Zitat, la citazione dal Götz per eccellenza, quello in cui l’eroe, assediato nel suo castello, al messaggero che gli intima la resa risponde: Di’ al tuo capitano che di fronte a Sua Maestà Imperiale io ho, come sempre, il dovuto rispetto. Ma, quanto a lui, digli pure che può leccarmi il culo!
: un’asprezza di linguaggio che fu poi attenuata a partire dalla terza edizione del dramma, dopo che Wieland aveva suggerito a Goethe di sostituirla con tre puntini di sospensione, lasciando tutto il resto all’intelligenza del lettore. Onore a quell’uomo libero e nobile, che ha saputo obbedire più alla natura che alla tirannia dell’arte!
, continuava, insultando anche quei cacasotto
(Scheisskerle, altra espressione naturale
ricorrente nelle prime stesure del Götz) dei Francesi
, l’irruente Bürger: e i fatti gli diedero ragione, perché, nonostante fossero difesi, in francese, nel suo De la littérature allemande, nientemeno che da Federico il Grande, l’amico di Voltaire, cui il Götz parve una imitation détestable de ces mauvaises piéces angloises
[cioè di Shakespeare, N.d.C.] (3), i Francesi
, o almeno le loro concezioni teatrali, subirono un’irrimediabile, storica sconfitta, tale che a poco più di mezzo secolo di distanza da quelle prime battaglie Giovita Scalvini, l’amico del Foscolo e traduttore del Faust, poteva serenamente constatare, pensando naturalmente anche ad altre opere e soprattutto al Werther, che alcuni sembrano credere che tutta l’odierna letteratura sia uscita dal solo Goethe
(4). Aggiungeva lo Scalvini che Walter Scott, "traducendo giovenilmente il Götz von Berlichingen, aveva probabilmente concepito il romanzo storico; e quindi Goethe sarebbe stato anche l’involontario capostipite di questo romanticissimo se pur spurio tra i generi, destinato a distribuire molta celebrità fino ai giorni nostri, nonché a riempire, unico autorizzato assieme alle
gazzette", la biblioteca (5) del conte Leccafondi nella città di Topaia descritta a futura memoria dal Leopardi nei Paralipomeni della Batracomiomachia. La stessa genesi fu confermata più tardi, tra gli altri, da Benedetto Croce, che tra i frati, le vili soldatesche
, il tribunale segreto e il vescovo gaudente e bassamente furbo
vide già in atto nel Götz la ricetta consueta di quel che fu poi il romanzo storico: sceneggiamento di casi e di costumanze storiche e presentazione di personaggi simpatici
(6). Ma più evidente e diretta, in Germania, fu la filiazione dal Götz, secondo la profezia di Hamann per la quale esso sarebbe stato la stella polare del nostro gusto teatrale, ovvero l’alba di una nuova drammaturgia
(7), di una pletora di drammi storici (tra i quali, certo, quelli di Schiller e von Kleist), e tra le altre conseguenze, se pure non prevista da Goethe stesso, si deve contare anche l’uso dell’ambientazione storicamente fedele, realistica talora fino all’impiego di veri cavalli in scena, per la quale torse subito la proboscide
Lessing (8). Insomma, fu davvero per molti versi, sia pure sempre in letteratura e sulle scene, l’inizio di un grande rivolgimento, e come tale fu riconosciuto a suo tempo anche da un esperto come Friedrich Engels: "Ogni opera notevole di quest’epoca… emana uno spirito di sfida e di rivolta contro tutta la società tedesca quale allora esisteva. Goethe scrisse Götz von Berlichingen, un omaggio drammatico alla memoria di un ribelle, Schiller i Masnadieri…(9), e in Italia da Francesco de Sanctis:
In Germania l’idea romantica sorse in opposizione all’imitazione francese così alla moda sotto il gran Federico. Era una esagerazione, ma in quell’esagerazione si costituivano le prime basi di una letteratura nazionale, dalla quale uscivano Schiller e Goethe(10). Fu una novità, però, appunto, soprattutto per il contenuto nazionale e ribelle (e il contenuto è la cosa alla quale bada principalmente il pubblico, diceva Goethe) (11), per la fine dell’imitazione francese e infine per la clamorosa rottura della regola delle tre unità drammatiche, di tempo, di luogo e d’azione, che era stata sostenuta soprattutto da Corneille. In realtà naturalmente, come sempre, tutto era già nell’aria da un pezzo: già nel 1724 in Italia Zaccaria Valaresso, del quale ancor oggi tutti gli studenti imparano grazie al Leopardi la battuta finale rivolta al pubblico dal suggeritore davanti al palco spopolato dopo la battaglia:
Voi gli aspettate in van: son tutti morti!, nella sua
arcisopratragichissima commedia" Rutzvanscad il giovane aveva instillato più di un dubbio sulla regola dell’unità di tempo: ….Ed ecco s’apre/ Sul primo albor del dì l’infausta reggia;/ Poiché se gli accidenti/ Della casa real restringer deve/ Dell’ore ventiquattro il breve spazio,/ Convien, Numi del ciel, che occulto istinto/ Faccia di buon mattin che il re si levi
. Senza scomodare il Tasso dei Discorsi dell’arte poetica, incentrati sul rapporto tra unità e molteplicità nella favola
, più recentemente (nel 1732) il nostro Becelli aveva sostenuto che convenevole è, anzi alla bellezza e alla varietà della poetica arte dovuto, che la poesia di ciascun popolo meglio faccia a celebrare i suoi fatti, e le sue più fresche storie, che i fatti altrui e le storie più lontane
, e nello stesso 1773 del Götz il Metastasio aveva concluso il suo Estratto dell’Arte poetica di Aristotile, dove aveva confutato serenamente e ampiamente la possibilità di attribuire allo Stagirita la camicia di forza delle tre unità drammatiche. Anche un istriano di nascita ma milanese d’adozione, d’altronde, il conte Gian Rinaldo Carli, già nel 1744 aveva sostenuto, in un discorso Dell’indole del teatro tragico, che l’unità di tempo, niente meno che del luogo, sono invenzioni de’ commentatori di Aristotile
, e che comunque non furono osservate dai Greci
(12). Furono invece una novità, nelle prime edizioni del Götz, le parolacce: non certo per il contenuto, ma per la loro assoluta mancanza di forma. Bisognerà riconoscere col Petrarca che Ben provvide Natura al nostro stato,/ quando de l’Alpi schermo/ pose tra noi e la tedesca rabbia
: un abisso di civiltà separa infatti evidentemente la rude espressione "mich im Arsch lecken dell’eroe goethiano (peraltro, secondo un imbarazzato traduttore italiano dell’Ottocento, consueta in tutte le famiglie tedesche) (13) dall’elegantissima sorella
…et effusa clunem mihi lambere lingua impiegata soltanto pochi decenni prima dal nostro Ludovico Sergardi (Settano), latin sangue gentile, per descrivere come fosse solito svolgere la stessa operazione il legislatore d’Arcadia, Gian Vincenzo Gravina (14). Ma soprattutto, infine, erano nell’aria Shakespeare, e Rousseau, e le parole d’ordine di natura e libertà (l’ultima parola di Götz prima di morire è appunto
Libertà!). L’attenzione critica per Shakespeare (15) era rinata infatti nel Settecento, in seguito ai vari apprezzamenti di Dryden, Samuel Johnson, Bodmer, e dovette aumentare ancora dopo gli attacchi di Voltaire, le repliche di Baretti (che di Johnson era stato segretario) e le vane controrepliche del
bue pedagogo" Appiano Buonafede; in Germania, Lessing lo aveva elogiato nella diciassettesima delle Lettere concernenti la letteratura più recente (16) e nella Drammaturgia d’Amburgo, e Wieland, traducendone ventidue drammi, aveva contribuito grandemente alla sua popolarità ma forse anche a farlo sentire più naturale
di quel che in realtà fosse, per la sua decisione di rendere in prosa il blank verse dell’originale (17). Ma lo Shakespeare di Goethe risente particolarmente della sua frequentazione, a Strasburgo, di Herder, di pochi anni più vecchio di lui ma già noto per le sue Selve critiche, un uomo la cui influenza sulla generazione dello Sturm und Drang fu enorme. A lui Goethe deve anche l’interesse per Spinoza, quello per il Volkslied e quello per Pindaro e la forma dell’inno, che lo portò ai noti abbozzi titanici
del Prometeo e del Maometto (18); e certo le conversazioni con Herder lo spinsero anche a quell’entusiasmo per il germanesimo di cui l’espressione forse più ingenua fu la pubblicazione, nel 1773, sul fascicolo Von deutscher Art und Kunst (Della maniera e dell’arte tedesca
) dell’amico, del saggio Dell’architettura tedesca, in cui tessendo le lodi di Ervino von Steinbach, l’architetto del duomo di Strasburgo, negò tra l’altro ogni possibilità artistica a francesi e italiani; solo molto più tardi, in Poesia e verità, avrebbe commentato: deviato dall’esempio dello Hamann e dello Herder, ravvolsi pensieri e considerazioni semplicissime in una nuvola di parole e di frasi strane
(19). Sempre da Herder, l’allievo fedele di quello Hamann che nei Memorabili di Socrate aveva sentenziato: Che cosa supplisce in Omero la sua ignoranza delle regole dell’arte, che Aristotele ha formulato dopo di lui, e che cosa in Shakespeare la sua ignoranza o trasgressione di quelle leggi critiche? La risposta unanime è: il genio
(20), derivò quindi l’entusiasmo di Goethe e dei suoi compagni di Strasburgo per Shakespeare: Ai confini di Francia, noi fummo ad un tratto liberi ed esenti da qualunque metodo di pensare o di vivere francese. Il loro modo di vivere lo trovavamo troppo stilizzato ed aristocratico, la loro poesia fredda, la loro critica distruttrice, la loro filosofia astrusa e pure insufficiente, così che fummo lì lì per cadere nel culto della natura bruta, se un altro influsso già da tempo non ci avesse preparati a concezioni e godimenti più alti… alludo allo Shakespeare
(21). Ma all’amico più vecchio, che non gli risparmiava frizzi talora un po’ pesanti, come quello sulla possibile discendenza del nome Goethe sia dagli déi (Götter) che dai Goti (Goten) ma anche dal fango, se non addirittura sterco (Kot), Goethe tenne nascosti con cura i suoi piani più cari, il Faust e il Götz (22). L’idea di quest’ultimo nacque in lui dalla lettura dell’autobiografia (pubblicata solo nel 1731) di questo vecchio cavaliere vissuto ai tempi della Riforma: Goethe ne fu talmente avvinto da sentire come un dovere (Guai alla posterità che ti disconosce!
saranno le ultime parole del suo dramma) ricordare alla sua nazione quel tedesco leale e generoso, del quale si entusiasmò tanto che i suoi commensali a Wetzlar presero a chiamarlo Götz von Berlichingen il leale
. Perciò, dopo essersi documentato su alcune cronache dell’epoca, anche in seguito alle insistenze della sorella Cornelia nel 1771 elaborò una prima storia drammatizzata
del suo eroe, che riprese due anni più tardi, dopo alcune critiche di Herder, riscrivendola totalmente in poche settimane e dandola alle stampe con l’indicazione di Schauspiel, dramma,