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Non chiamarlo amore
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E-book200 pagine2 ore

Non chiamarlo amore

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Info su questo ebook

Carmelle, giovane pasticcera parigina, intreccia una relazione con Alain, un uomo maturo e carismatico che si rivela un sadico manipolatore. L’unica via di salvezza è rappresentata da Didier Masson, nobile e altruista, amico di Alain e innamorato di Carmelle, che è disposto a mettere in gioco tutto se stesso pur di aiutarla a riprendere il controllo della sua vita. Divisa tra due uomini, incerta sulla via da seguire, Carmelle si ritroverà a fare una scelta difficile: continuare a vivere o, lentamente, morire.
LinguaItaliano
Data di uscita21 feb 2019
ISBN9788863938616
Non chiamarlo amore

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    Anteprima del libro

    Non chiamarlo amore - Viviana Bardella

    1

    Carmelle…

    «Odore di castagne» pensai, chiaro indizio che a Parigi era finalmente arrivato l’autunno.

    Anche l’aria frizzante e il cielo ancora scuro erano segnali abbastanza evidenti, ma io preferivo conservare un’idea più romantica del passare delle stagioni, legata alle sensazioni che mi riportavano alla mia infanzia.

    Intanto pedalavo, fischiettando La vie en rose, mentre passavo davanti a Notre-Dame.

    Il mio locale, una pâtisserie dove si potevano assaggiare le più buone delizie al cioccolato di Parigi (non lo dicevo per arroganza, ma perché molti critici culinari l’avevano affermato), si trovava in piena Île de la Cité, cuore medievale della città. Una posizione strategica per una pasticceria, considerando il numero di turisti che visitavano la cattedrale e la prigione di Conciergerie, famosa per aver ospitato membri illustri della Rivoluzione francese.

    Il tempo non prometteva nulla di buono: sarebbe stata una giornata uggiosa.

    Quella mattina avrei rinnovato il menù. Lo avevo finito di elaborare durante la notte. Sì, mentre le altre persone dormivano o si dedicavano ad attività più piacevoli, io pensavo a nuovi pasticcini da proporre ai miei clienti. Lo facevo spesso, così da offrire sempre nuovi pretesti agli affezionati clienti per tornarci a trovare. Vedevo già i nuovi dolci: una piccola piramide di bignè alla crema chantilly, con una fumante cascata di cioccolata calda fondente, arricchita di granella di nocciole e servita con panna montata a parte. Praline di cioccolato, ripiene di morbido caramello, accompagnate da un assaggio di cognac. Tartufi al cacao amaro, e budino al cioccolato fondente e peperoncino, guarnito con foglioline di menta fresca. Ravioli dolci al cioccolato bianco e pasta di rum. Mi aspettava una giornata molto impegnativa!

    Legai la bicicletta al lampione di fronte al negozio e con un sorriso entrai.

    «Sei tu, Carmelle?» domandò Genevieve, la mia assistente, sbucando dal laboratorio. Erano solo le sei di mattina e stava già lavorando?

    «Chi può essere a quest’ora?» risposi. «A proposito, cosa fai qui, così presto?»

    Alzò le spalle. «Non riuscivo a dormire e ho pensato di portarmi avanti con il lavoro. Ho quasi finito di preparare le torte, le devo solo farcire.»

    La guardai sbigottita. Esattamente, quanto tempo prima era arrivata?

    «Sono qui dalle tre di stanotte» disse, con aria colpevole.

    «Genevieve, sei impazzita?» esclamai. «Tra poco più di un’ora stramazzerai al suolo. Sai che non posso fare a meno di te!»

    «Tranquilla, sarò sveglia e pimpante per tutta la giornata.»

    Non se ne parlava nemmeno. Nel retrobottega c’era un piccolo divano che usavo di tanto in tanto per riposarmi. Le ordinai di riposare almeno un paio d’ore. L’avrei svegliata io, quando il flusso dei clienti sarebbe diventato ingestibile.

    Ripromettendomi di chiederle il motivo di quella incursione notturna, cominciai a prepararmi.

    Odiavo indossare la cuffia, soprattutto da quando avevo abbandonato il mio caschetto castano, molto francese, in favore di un taglio più punk. Il copricapo mi schiacciava i capelli e mi faceva sentire un pulcino bagnato. Anche i miei occhi grandi e scuri sembravano un po’ smarriti.

    Be’, poca cosa, tanto nessuno dei miei conoscenti mi avrebbe visto con la cuffia in testa. La mia vita sociale era praticamente inesistente. Spendevo tutte le mie energie in negozio e talvolta arrivavo a casa talmente stanca, che mi addormentavo senza neppure cenare.

    Se lo avesse saputo mia madre, sarebbe inorridita! La mia fortuna era di avere da sempre un fisico minuto e snello, per cui era impossibile imputare la mia magrezza a uno stile di vita poco salutare.

    Cominciai finalmente a lavorare: glassai le torte, farcii i bignè e i cannoncini, riempii le frolle di cioccolato bianco e salsa ai lamponi. Infornai le brioche che più tardi avrei riempito con del cioccolato fondente e mi dedicai ai nuovi dolci.

    Prima delle sette era tutto pronto. Mi affrettai a riempire le vetrine del bancone e guardai deliziata il mio lavoro: decisamente molto invitante, proprio come me l’ero immaginato.

    Gettai un’occhiata al negozio. I tavoli, le sedie e il bancone scuro, creavano un contrasto deciso con le travi e gli infissi delle finestre e delle porte color avorio. Ad abbellire l’ambiente, piante verdi e fiori freschi, che curavo personalmente. C’era anche un piccola libreria, che conteneva i più famosi classici della letteratura francese e mondiale. Molti dei miei clienti amavano leggere un buon libro, sorseggiando cioccolata calda.

    Avevo solo ventidue anni quando decisi di buttarmi in quell’avventura. Ventidue anni e pochi soldi in tasca.

    La voglia di farcela e una buona dose di fortuna mi avevano permesso di far decollare l’impresa in breve tempo, permettendomi di ripagare in poco tempo il prestito bancario chiesto per l’arredamento e le attrezzature, di iniziare a fare utili che mi permettessero di vivere dignitosamente e in seguito di assumere una persona.

    Genevieve era con me da circa due anni. Fino a quel momento avevo fatto tutto da sola.

    Nonostante il successo e la soddisfazione personale, era stato un periodo massacrante, durante il quale avevo riversato tutte le mie energie nel lavoro. La mia vita privata ne aveva risentito parecchio, molti amici li avevo persi per strada, così come il mio fidanzato storico, con il quale uscivo fin dai primi anni di liceo. La nostra storia era naufragata un paio d’anni dopo l’apertura del locale.

    Un brutto colpo, bruttissimo. Avevo sempre creduto che saremmo invecchiati insieme, sostenendoci a vicenda nei momenti difficili. Invece lui si era stancato abbastanza in fretta della ragazza che tornava a casa la sera tardi, troppo stanca per uscire, preoccupata soprattutto di far tornare i conti alla fine del mese.

    Un bel mattino mi ero svegliata e avevo trovato un suo messaggio, che diceva che con me non si divertiva più e non se la sentiva di continuare la nostra relazione.

    Otto anni d’amore finiti con un breve post-it appiccicato sul frigorifero. Sufficiente per spezzarmi il cuore e farmi andare il sangue al cervello.

    In preda all’ira e al pianto avevo preso un sacco della spazzatura e vi avevo rovesciato dentro i suoi vestiti, i suoi CD e il resto delle sue cianfrusaglie, per disfarmene subito, scagliandolo fuori da casa mia! Ma poi, rientrata in me, mi ero limitata a posare il sacco fuori dalla porta. Anche se l’istinto mi diceva di gettarlo fuori dalla finestra, non sarebbe stato carino colpire così un ignaro e incolpevole passante.

    Non lo avevo più rivisto da quel giorno e, per non lasciarmi sopraffare dal dolore, mi ero buttata ancora di più anima e corpo sul lavoro.

    Quello che osservavo in quel momento era il risultato di tanta fatica.

    Con un sospiro aprii la serratura della porta e tornai dietro al bancone. Guardai l’orologio. Le sette in punto.

    2

    Da quasi un’ora osservavo un cliente seduto in un angolo del locale mentre sorseggiava una delle nostre deliziose cioccolate calde, quella corretta al cognac e sfogliava distrattamente una copia di Cime tempestose.

    Non lo guardavo per il suo aspetto fisico, anche se era tutt’altro che brutto. C’era qualcosa in lui che mi attirava più del suo bel viso, dei suoi capelli brizzolati, del suo naso perfetto e delle lunghe ciglia che contornavano gli occhi scuri. Più della sua postura mentre leggeva, saltando talvolta qualche pagina del romanzo, come se fosse alla ricerca di un passo particolare. Più delle sue mani, che ogni tanto si allungavano per prendere la tazza e lentamente la portavano alle labbra. C’era qualcos’altro. Quel che mi attirava era l’aura di potere che lo circondava. Ecco, non avrei potuto chiamare in un altro modo l’energia che il suo corpo trasmetteva. Quell’uomo era un uomo di potere. Poco importava se in quell’istante si limitasse a bere una semplice bevanda. Sulla sorta di quella suggestione, contro ogni logica sentii nascere in me la sensazione di lavorare al meglio, per ottenere la sua approvazione.

    Lui alzò lo sguardo proprio mentre lo stavo osservando. Mi sorrise, ed era un sorriso sicuro di sé, un po’ ironico. Il sorriso di chi sapeva cosa stessi pensando e che tacitamente confermava la mia teoria.

    Dovevo conoscerlo a tutti i costi. Era un desiderio più forte di me. Non avrei potuto resistere alla tentazione di avvicinarmi e ascoltare la sua voce. Anche se il cervello mi diceva di restare al mio posto, le gambe si muovevano da sole, spinte da una forza che non potevo contrastare. Ero completamente ammaliata, e in men che non si dica mi ritrovai davanti a lui.

    Mi guardò senza essere particolarmente sorpreso, come se andare al suo tavolo senza che mi avesse chiamata fosse la cosa più naturale del mondo: anzi, si alzò, scostò una sedia e mi fece cenno di accomodarmi.

    Ma io scossi la testa per rifiutare. Preferivo mantenere una certa distanza da lui.

    «Alain Bertrand» si presentò. «Posso esserle utile?»

    Poteva essermi utile? Mi faceva quasi paura, ma allo stesso tempo ne ero terribilmente attratta.

    «Carmelle Bonnet» risposi.

    Alzò un sopracciglio, in attesa di osservare la mia prossima mossa. Io ero come paralizzata, non riuscivo a dire nulla, così fu ancora lui a parlare.

    «Posso esserle utile?» ripeté.

    Stavo facendo la figura dell’idiota, dovevo inventarmi qualcosa e anche abbastanza in fretta!

    Guardai il libro che aveva appoggiato sul tavolo e mi venne un’idea.

    «Sono incuriosita dal romanzo che ha scelto» dissi. «E anche dal modo con cui lo sta sfogliando.»

    Lui sorrise, lo riprese in mano e fece scorrere velocemente alcune pagine.

    «È il libro preferito di mia moglie» rispose. «Ho provato a leggere alcuni passaggi, ma non capisco come possa piacerle una storia del genere.»

    Una morsa di gelo mi avvolse lo stomaco. Era sposato. Per quale motivo mi sentivo così delusa?

    «Credo sia per il messaggio che trasmette» spiegai, cercando di ignorare la sensazione che provavo. «Forse, per comprenderlo fino in fondo, dovrebbe leggerlo con maggiore attenzione.»

    «Già, dovrei farlo. Oppure lei potrebbe riassumerlo per me.»

    Scossi la testa con veemenza. «Oh, non ne sarei capace. Svilirei l’opera che, mi creda, merita di essere letta in ogni sua parte.»

    «Allora temo che dovrò rivedere i miei impegni e tornare ogni giorno per almeno un’ora. Una buona cioccolata calda mi aiuterà a digerirlo meglio.» Sorrise. Quando sorrideva sembrava quasi umano.

    «Mi sembra una buona idea» risposi, contraccambiando il sorriso.

    Tornai al mio lavoro e con la coda dell’occhio lo vidi intento a leggere il primo capitolo.

    «Chi è quel tizio?» chiese Genevieve, che nel frattempo si era svegliata.

    Alzai le spalle. «Un nuovo cliente. Ha deciso di tornare tutti i giorni finché non avrà finito di leggere Cime tempestose

    Genevieve gli diede una rapida occhiata.

    «Non ha l’aria di chi ama letture di quel genere» concluse.

    Annuii distrattamente. Come una calamita attratta dal metallo, il mio sguardo continuava a cercarlo. Scrollai le spalle, cercando di riprendermi.

    «Tornando a te» dissi «non mi hai ancora spiegato cosa ci facevi qui nel cuore della notte.»

    «Te l’ho detto, insonnia.»

    «La verità, Genevieve» la incalzai.

    Sbuffò, mentre con uno strofinaccio cominciò a pulire la superficie del bancone e gli occhi le si riempivano di lacrime.

    «Sono grassa» singhiozzò. «Sono grassa e brutta.»

    La guardai, intenerita dal suo sfogo. Effettivamente non la si poteva definire magra, ma Genevieve era bella così, con i fianchi generosi e il seno abbondante. I capelli scuri, lunghi e ricci, le ricadevano ben oltre la vita, anche se in quel momento erano legati in uno stretto chignon. Gli occhi color nocciola, che si ostinava a non voler truccare e la bocca carnosa, rossa come ciliegie mature. Sembrava una Venere dipinta da Botticelli.

    «Non sei affatto grassa» risposi. «Sei bellissima e io pagherei per avere le tue curve, invece guardami, sembro un manico di scopa con addosso un vestito.»

    «Un ragazzo ieri sera non la pensava esattamente come te.»

    «Quel ragazzo è un cretino» replicai. «Non voglio più sentirti dire che hai perso il sonno per colpa di un idiota.»

    «Pero mi piaceva tanto» mormorò.

    «Dimenticalo. Troverai un altro che ti piacerà, al quale piacerai anche tu, così come sei, cioè meravigliosa.»

    Voltandomi mi accorsi che il tizio di prima ci stava sorridendo. Evidentemente aveva ascoltato la nostra conversazione.

    Tornai in laboratorio, sollevata di non averlo più nel mio campo visivo.

    Con ogni probabilità non sarebbe più tornato, pensai. Non lo credevo capace di mantenere fede all’impegno che si era preso.

    Fu quindi con una certa sorpresa che l’indomani, alla stessa ora, lo vidi varcare la porta.

    Mi salutò con un cenno del capo e si avviò alla libreria per prendere il libro.

    Ripassando davanti al bancone, ordinò la stessa cioccolata del giorno prima, poi si sedette e riprese la lettura laddove l’aveva interrotta.

    Quando lo servii, notai che stava prendendo appunti su un blocchetto.

    «Forse lei può aiutarmi a capire un passaggio» disse, proprio mentre mi stavo voltando per andare via.

    «Qui, a pagina ottantotto» continuò, costringendomi a fermarmi.

    «Poco prima, Catherine aveva ben accolto il ritorno di Heathcliff. Tanto da mettere in imbarazzo il suo povero marito. Ora, chiede aiuto alla domestica, affinché convinca la giovane cognata a non invaghirsi di lui, definendolo addirittura una creatura indesiderabile, senza finezza e senza cultura

    Istintivamente scostai una sedia e mi sedetti accanto a lui.

    «Possibile che non capisca?» chiesi. «Non lo può avere per sé e probabilmente se non fosse partito non lo avrebbe nemmeno scelto tra i possibili pretendenti… non riesce a sopportare che un’altra donna lo abbia.»

    «È un controsenso.»

    Sorrisi. «Cathy è una donna complicata. Lo disprezza e nello stesso momento lo ama.»

    «Resto della mia idea: non riesco a comprendere cosa possano avere di buono questi due personaggi. Uno è rozzo, maleducato e pieno di rancore, l’altra è capricciosa, viziata ed egoista.»

    «Di buono hanno il loro amore» risposi, alzandomi. «Continui la sua lettura e vedrà che si appassionerà alla storia.»

    Fece una smorfia, perplesso, e io risi. «Mi creda, sarà così.»

    Passarono i giorni, lui tornò sempre e ogni volta ebbe qualche delucidazione da chiedermi.

    Ormai tenevo la copia di Cime tempestose dietro il bancone. Quando lo vedevo entrare la portavo al suo tavolo, insieme alla solita cioccolata

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