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Chiaramente: Etimologie, Storie e Riflessioni
Chiaramente: Etimologie, Storie e Riflessioni
Chiaramente: Etimologie, Storie e Riflessioni
E-book114 pagine1 ora

Chiaramente: Etimologie, Storie e Riflessioni

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Info su questo ebook

""Poiché la lingua è lo specchio del pensiero, indagare il preciso

significato delle parole è mettere chiarezza nelle proprie idee." In

questa citazione di Aristide Gabelli, riportata nella 4a di copertina,

si riassume tutta l'essenza di questo libro, in cui l'autrice ha

racchiuso parte delle sue riflessioni. Parole, apparentemente scelte a

caso, non solo indagate nella loro etimologia, ma occasione di

narrazione aneddotica e di riflessioni personali. Riflessioni che si

ampliano e si approfondiscono negli ultimi capitoli, che non hanno più

origine da un evento etimologico, ma da un'esperienza concreta, attuale e

vissuta."
LinguaItaliano
Data di uscita6 mag 2021
ISBN9791220337052
Chiaramente: Etimologie, Storie e Riflessioni

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    Anteprima del libro

    Chiaramente - Chiara Cuminatto

    Gabelli)

    DESIDERIO

    Desiderio deriva da de (particella privativa, senza) e sidera (stelle).

    Letteralmente: condizione in cui sono assenti le stelle.

    Oggi fissiamo le stelle esprimendo i desideri più grandi. Vincent Van Gogh diceva:

    per quanto mi riguarda, nulla so con certezza. Ma la vista delle stelle mi fa sognare.

    E questa sensazione di non conoscere l’astronomia, ma restarne fortemente attratti, accomuna anche molti di noi.

    Non è in questa vista così affascinante, però, che si cela l’etimo di questo termine.

    Desiderio non è fissare le stelle, irraggiungibili, come fisseremmo qualunque altra cosa bella che non possediamo: la particella de indica allontanamento.

    Gli antichi usavano le stelle per orientarsi durante i viaggi e per capire cosa sarebbe successo durante le profezie, ma a volte le nuvole coprivano il cielo o ciò che si aspettava accadesse non si avverava e, per questo, si desiderava, si distoglieva cioè lo sguardo, ci si allontanava.

    Desiderare è quindi smettere di guardare, perché non è possibile ottenere quello che siamo soliti ottenere.

    Ed è qui che avvertiamo la mancanza di qualcosa. E questa mancanza ci fa desiderare nuovamente.

    Desideriamo di tutto, dagli oggetti più banali alle esperienze più grandi.

    Vogliamo qualcosa che c’era e non c’è più: un telefono, una storia, una persona.

    E desideriamo qualcosa che non abbiamo mai toccato, ma abbiamo immaginato a lungo, come se lo avessimo visto lì di fronte a noi.

    Desideriamo come se quello che non abbiamo ci potesse davvero cambiare la vita, come se quelle stelle ci dessero davvero ogni risposta, come se fosse colpa delle nuvole se non sappiamo dove andare.

    Ma spesso quello a cui tanto aspiravamo lo otteniamo davvero: una macchina, un lavoro, la ricchezza, il successo, e ci accorgiamo di quanto non ci appaghino quanto credevamo.

    Siamo circondati da esempi di persone che hanno ciò che tutti desiderano e che non sono ugualmente felici, soddisfatti, sereni.

    Quelle nubi ci sono ancora. Oscar Wilde diceva:

    La felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha. E i desideri più puri come la pace, l’unità, l’amore, non possono realizzarsi completamente sulla terra, attraverso una realtà puramente materiale.

    Ed è proprio perché li desideriamo con la testa bassa, rassegnati e allontanati, senza guardare oltre, aspettando di vedere gli astri senza volgere più gli occhi al cielo che non troviamo risposta.

    I desideri nascono da bisogni economici, spirituali, sessuali. Puntare in alto è ciò che ci spinge a non fermarci e dobbiamo farlo, ma il desiderio che nasce da quel distacco si concretizza nel guardare con occhi nuovi e rendersi conto che le stelle che dobbiamo vedere sono già tutte intorno a noi e quello che ci sembra offuscare la vista è solo ciò che ci spinge a prendere le distanze e a vedere tutto da una prospettiva diversa, dalla posizione giusta, per una visione di insieme.

    Desidera, mancanza di stelle.

    È l’assenza di quelle luci che ci accecavano illudendoci di darci tutto.

    E in questa assenza possiamo vedere. Desiderare il bello.

    Perché, come direbbe Chesterton, nel mondo non mancano le meraviglie, manca la meraviglia.

    IMBARAZZO

    Imbarazzo viene dallo spagnolo embarazo, derivato di embarazar, che arriva a sua volta dal portoghese embracar: impacciare, allacciare.

    L’origine di imbarazzo indica un ostacolo, qualcosa che ci impedisce di muoverci liberamente, come se fossimo legati da un laccio. Baraco, infatti, vuol dire proprio laccio.

    Essere embarazado in spagnolo significa anche essere in-cinta riferendosi proprio all’ingombro del pancione che impedisce il riuscire a compiere azioni quotidiane.

    Anche il termine incinta fa riferimento a un laccio, a una cinta, ma è una parola che nasce molto dopo ad indicare che le donne che aspettavano un bambino si vestivano senza cinta (in-cinta) per stare più comode.

    Oggi il termine imbarazzo ha due significati.

    Il primo, meno utilizzato, è quello dell’indecisione: provare imbarazzo di fronte a più opzioni, non sapere che cosa fare, espresso solitamente con l’espressione imbarazzo della scelta.

    Il secondo, più comune, riguarda qualcuno che si trova in una circostanza difficile, particolare, perché è successo qualcosa che gli fa provare vergogna, una vergogna che però non nasce da lui, dal suo carattere, dalla sfera privata, ma che è legata a qualcosa di pubblico, a qualcosa che può risultare strano per la società o per la persona che ha davanti.

    Una perdita del contegno o del controllo del proprio corpo, come, ad esempio, la nudità.

    Una sensazione di essere messo sotto esame e non essere all’altezza della situazione, una paura.

    L’atteggiamento assurdo di qualcuno che amiamo o a cui siamo legati che ci mette in difficoltà di fronte ad altri.

    Questo ingombro che ci si pone davanti ci porta a gesticolare, balbettare, arrossire, sudare, toccarci i capelli, muoverci, irrigidirci, distogliere lo sguardo, ma non il pensiero.

    Sentirsi in imbarazzo non è per nulla piacevole, ma, come il pancione di una donna incinta o gli ostacoli che ci aiutano a cambiare direzione, questo ingombro ingestibile ha un lato positivo, una sfaccettatura da considerare.

    Per provare imbarazzo è necessaria la presenza di almeno un’altra persona.

    E questa debolezza mostrata all’altro indica in realtà il valore e il peso che stiamo dando a chi ci sta di fronte: imbarazzarsi davanti a qualcuno vuol dire riconoscergli che per noi è importante.

    E questo, seppur talvolta difficile da gestire, dona un fascino alle relazioni che stiamo perdendo.

    E che dovremmo ritrovare.

    Perché peggiore di una situazione imbarazzante sono le situazioni prive di ogni tipo di emozione.

    Perché più imbarazzante di arrossire di fronte a qualcuno è accorgersi di non saperlo fare.

    DI PUNTO IN BIANCO

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