Soul
Di Cley S. Son
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Info su questo ebook
Tra loro nasce fin da subito una passione irrefrenabile, ma riuscirà l'amore ad abbattere ogni muro, anche quando siamo noi stessi a continuare ad alzarli?
"Quando trovate l'amore non lasciatevi condizionare da altro; urlate, sbranatevi, ma se trovate quella persona che la sera a casa aspetta solo voi, diteglielo ogni giorno, quanto l’amate"
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Anteprima del libro
Soul - Cley S. Son
stanza?
1
Quell'aria da bambina
Cosa conta al giorno d'oggi?
Chi è realmente felice?
Sta meglio chi è tutto cuore o chi non si lascia coinvolgere e usa la testa?
Sto cercando una risposta da sotto al piumone, quando la stradina di caramelle sul pavimento richiama la mia attenzione.
13 Dicembre.
Dacché io mi ricordi è il giorno dell'anno che preferisco, insieme al Natale. Sono i giorni che, regali a parte, mi riempiono di emozioni.
Sono stata per così tanti anni senza dormire per l'euforia di questa notte che anche ora, sapendo già quali regali riceverò, mi riesce difficile; proprio come i bambini quando corrono in cucina per vedere se in quella magica notte hanno ricevuto tutti i giochi che hanno chiesto.
Penso che a volte è proprio questo che ci salva, lasciare un piccolo pezzo di cuore bambino; quando lo eravamo, non era forse tutto più bello?
Bisognerebbe ricordarsi la prima volta che si corre verso il mare, quando vediamo solo tante onde dove potersi tuffare, ignari e ingenui degli altri pericoli che quella grandissima buca blu può nascondere.
Bisognerebbe tornare bambini anche davanti ai tramonti che, con tutte quelle sfumature, potrebbero incantarci ogni volta, ammirandoli da una spiaggia e danzando scalzi di fronte a quella meraviglia con una pizza e una buona compagnia.
Questi sono i miei pensieri mentre faccio colazione: marmellata alle arance e il solito cappuccino.
Amo i cappuccini, penso siano una forma liquida di felicità, arrivata sulla terra per aiutarci ad affrontare ogni giornata.
Una doccia al volo, abbigliamento sportivo e esco.
Siamo diverse noi persone tutto cuore: spesso più timide, troviamo pace dove qualcuno non troverebbe nulla.
Una ventenne con una vita sociale intensa probabilmente sentirebbe qualche amica per uscire insieme, in qualche città dove c'è qualcosa di interessante da fare.
Io, invece, nei miei giorni liberi mi alzo e cerco il punto più alto da cui si vede tutto il paese, mi faccio una corsa tra i boschi e così faccio cominciare la giornata al meglio.
La natura, e la montagna in particolare, dovrebbe farci sentire ancora più piccoli, più insicuri, mentre a me dà un senso di protezione difficile da spiegare.
Una volta mi sono arrampicata su una parete altissima, solo perché quasi nessuno credeva in me, non essendo un'esperta, ma una volta arrivata in cima mi sentivo come se non ci fosse più niente che non potessi fare.
Ho un debole per l'altezza; mi piace sempre, ovunque mi trovi, cercare il punto più alto e guardare giù, arrampicarmi, arrivare sempre a vedere dettagli che nessuno cercherebbe mai.
Quando poi arriva il sole, è tutta un'altra storia.
Illumina tutto.
È lo stesso con le persone, quelle con il sole dentro, mi piacciono.
Loro sono diverse, e ci vuole coraggio ad esserlo.
Bisogna essere forti per vivere di cuore, per sorridere e dire forse troppi grazie
, ci vuole coraggio a tenersi il sole dentro anche quando fuori piove e sembra che nulla vada per il verso giusto.
Credo davvero sia per quelle persone che sia nato l'arcobaleno, una modo che il cielo ha per dire loro: Guarda che sfumature meravigliose, non sentirti triste; pioverà, ma solo per vedere tantissimi colori dopo, hai il tuo sole dentro
, e allora loro non cadono mai, o meglio: quando succede non fanno troppo rumore, e si mostrano solo quando si sono rialzati, di nuovo con il sorriso.
Ma è possibile sentirsi così estranei dal resto di questo mondo, pur facendone parte?
E poi la natura: a ogni albero che incontro mentre corro penso a quale possa essere la sua storia, e a ogni fiore che vedo in qualche roccia resto meravigliata, pensando a quanta forza le sia servita per crescere.
Penso che in un'altra vita avrei potuto essere una sottospecie di Mowgli nella giungla.
Diciamo che ogni piccola cosa che gli altri normalmente non notano mi colpisce, come i suoi occhi quella prima volta: mi hanno colpita proprio dritta al cuore, al fegato, probabilmente anche ai polmoni.
2
Parlami di quando mi hai visto per la prima volta
I dettagli: ci fate mai caso?
Io me li ricordo uno per uno.
Spesso passava sotto casa mia, e qualche volta capitava di vederlo di sfuggita in qualche bar di paese. Dan
lo chiamavano, abbreviativo di Danilo, qualche anno più di me e il classico fascino del ragazzo più grande, bello e misterioso.
Abitava solo a un centinaio di metri da casa mia, ma non mi ero mai fatta notare, forse perché non avrei comunque saputo cosa dire, o più probabilmente perché ero troppo timida per fare qualsiasi primo passo.
Mi sentivo una bambina rispetto a lui, che sembrava così serio.
Molte volte, senza rendermene conto, mi capitava di fissarlo anche da lontano, incuriosita da chi potesse nascondersi dietro a quell'armatura.
Gli occhi, ho un debole per gli occhi.
Se ci fate caso, quando siete tristi o non avete un certo tipo di confidenza con qualcuno, dà anche fastidio quando ce li osservano troppo, perché da lì si legge tutto.
Uno passa una vita a crearsi muri, a mettersi scudi, e poi certe persone, solo guardandoci negli occhi, ci scrutano anche l'anima, in tutta la sua nudità.
Avete presente il buio? Il nero senza nessuna luce?
I suoi occhi ci andavano vicino; soprattutto di sera, quando c'era poca luce, mentre quando erano illuminati dal sole, se ti fermavi a guardare bene, notavi anche qualche piccola sfumatura, e in un attimo ti ritrovavi sulle dune del deserto, o su qualche spiaggia scura. E lì davvero ti senti piccolo, circondato dal nulla.
Nonostante il suo scudo esteriore, avevo come l'impressione che dentro ci fosse qualcuno di particolarmente fragile: lo capivo dal modo che aveva di sorridere, e mi ci riconoscevo anche, molte volte. Solo con poche persone si sbilanciava un po' di più, come se avesse paura a mostrare il suo lato vero, come se qualcosa potesse ferirlo, come se solo con pochi potesse mostrarsi per come era davvero.
Nella mia quotidianità, prima di lui, non ne avevo mai visti di ragazzi così.
Tutti che pensano al colore dei capelli, alle firme dei vestiti che portano, e pochi al cuore; tutti con un secondo scopo; tutti super innamorati delle proprie donne, almeno fino alla sera in cui una più bella, con un fondoschiena più marcato, passa davanti e taac, già la morosa non esiste più.
Che poi, datemi una definizione di bellezza.
Vi capita mai di pensarci?
Quante ragazze, donne, non si sentono belle perché non portano una taglia 40, quante ancora si vergognano per la misura del proprio seno, quante non si sentono all'altezza perché il ragazzo, o uomo, di cui sono innamorate, è sparito o ha preferito un'altra?
Lo stesso vale per gli uomini: ce ne sono anche di loro.
A proposito, vi voglio dire una cosa.
Non c'entra niente tutto questo.
Non siete voi ad essere sbagliate, donne, ragazze, mogli, mamme: siete tutte bellissime.
Non è una taglia a fare la differenza, così come il vostro uomo o la vostra donna che ha preferito un altro o un'altra non deve farvi sentire inferiori: probabilmente lo rimpiazzeranno a sua volta nel giro di poco tempo, se è la bellezza esteriore che cercano.
Questa non è bellezza.
Chi si innamora di voi per quello che avete dentro, allora sì che si merita ogni giorno che gli dedicate, perché chi vi vede belle per come siete e per le vostre unicità vi merita, e allora possono passare anche mille ragazze, ma lui, la sua donna già ce l'ha.
Bellezza è chi riesce sempre a sorridere, chi sa di avere dei difetti; perché, in fondo, chi se ne frega, chi non li ha?
Proprio quando ti mostri per come sei, mettendo in mostra i tuoi pregi, e prima ancora i tuoi difetti, le tue cicatrici e il tuo sorriso, nonostante il dolore, allora in quel caso hai vinto.
Lui fu il ragazzo che mi diede questo insegnamento. Era una sera di gennaio quando ci parlai per la prima volta.
Stavo con Giada, in un locale.
Giada, da quando la conosco, è una parte insostituibile di me, una di quelle persone così diverse da te stesso che ti insegnano un sacco di cose.
Lei non è timida, anzi; a differenza mia, attacca bottone molto facilmente, ma lascia a pochi il privilegio di conoscerla davvero.
Fuori, un freddo insopportabile; dentro, io, lei e molti bicchieri di vin brulè sul bancone, qualche discorso, ed ecco che la serata già sembrava molto più piacevole.
Il locale era pieno, gente di ogni età. Molte persone non le conoscevo, e avrei preferito non conoscerle, ma ad essere sincera il livello di alcool che circolava nel mio corpo era abbastanza elevato da rendermi visibilmente sbronza; forse proprio per questo, senza che me rendessi conto mi trovai in mezzo a due ragazzi, mai visti prima.
«Ne bevi un altro?» Il suo braccio era appoggiato alla mia schiena.
Con un no
secco e una spinta, mi liberai di loro; ma il problema più grande sopraggiunse proprio allora.
Me lo trovai davanti, gli occhi scuri e le guance arrossate, probabilmente per il freddo.
Non avevo mai notato la sua altezza, quanto il suo corpo potesse assomigliare a uno scudo con le spalle larghe; il suo profumo, invece, era un misto mai sentito prima: sapeva di casa, di serate sul divano e di cose belle.
«Ragazzi, cosa le avete detto per farla scappare via così?» sorrise. «Piacere, Danilo, Dan per gli amici. Una?» mi chiese, estraendo il pacchetto di sigarette dalla tasca dei jeans.
«Sì, grazie».
Le sigarette e l'alcool vanno proprio in coppia, impossibile negarlo, e in quel momento, per staccare la spina dal vin brulè, ne avevo proprio bisogno.
«Sono tuoi amici?»
«Sì, ma gliel'ho sempre detto di non provarci con chi non si lascia avvicinare».
«Grazie».
«Ti ho vista qualche volta; casa tua è vicino alla mia, sai?»
«Mi ricordo di tuo fratello alle medie, ma poco di te. Quando ero alle medie, eri già quasi alla laurea».
Mi accennò un sorriso, in segno di approvazione.
«Quindi siamo vicini di casa?»
«Se si può dire così...»
Rimasi per cinque minuti buoni scorrendo la home di Facebook, finii la sigaretta e, con una scusa banale, entrai a prendere Giada, poi ce ne andammo.
Strano il cervello umano: l'avrò osservato almeno mille volte, mi facevo ogni volta mille domande su di lui, proprio quella sera era lì davanti a me... e io? Volevo solo fuggire.
Non era il momento giusto. Mi sentivo una stupida, piena come una botte di vino, e le parole non mi uscivano.
Il sonno si faceva sentire, ma io non riuscivo a staccare la mente dal suo profumo, dal modo che aveva di fumare.
Si portava la sigaretta verso le labbra come chi ha un urgente bisogno di ossigeno, e rilasciava il fumo tutto d'un colpo, cosciente del fatto che non fosse aria,