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E-book199 pagine2 ore

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"Adoro viaggiare la reputo una delle cose più interessanti della vita, perché ho utilizzato la parola interessante? Tu come definiresti una persona che ti attrae ma non la conosci ancora? Ecco per me il viaggio significa questo.

Scoprire posti nuovi ed accarezzarli soltanto senza viverci a meno che non pensi faccia per te, che non sia il tuo/a tipo/a.

Dicevo essere incantati dalla bellezza, dalla bellezza di un paesaggio, da un modo diverso di fare, di agire, di istituire.

Dalla bellezza di un viso diverso dal tuo, da una carnagione più chiara o viceversa, dai gusti, dagli odori, il cibo, dal brivido di volare sopra a tutto e renderci conto di quanto siamo piccoli bensì di quanto siamo in grado di creare o rovinare di fronte alla grande ed immensa cosa che è la natura.

Si dice che:’’Il turista cammina lungo la via principale, il viaggiatore cerca i vicoli nascosti’’, ebbene sì il viaggio è una scoperta. È come rinascere di continuo cambiando soltanto il modo in cui si viene al mondo.

Credetemi ad esempio io quando son nato non ho pianto credevano fossi morto, ma nonostante ciò amo perdermi nelle cose in cui non sai come va a finire. "
LinguaItaliano
Data di uscita9 dic 2019
ISBN9788831652780
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    Anteprima del libro

    Altrove - Saverio Pallante

    633/1941.

    1

    Pas­sia­mo gran par­te del no­stro tem­po a cer­ca­re di dar­gli un sen­so, un va­lo­re, ci aspet­tia­mo sem­pre qual­co­sa che a vol­te ar­ri­va e a vol­te no, ma co­sa ci aspet­tia­mo dav­ve­ro? Se quel­la co­sa fos­se ar­ri­va­ta ci sa­rem­mo sen­ti­ti fe­li­ci ve­ra­men­te? Ov­vio, chi può sa­per­lo, quan­do le co­se non ac­ca­do­no non po­trai mai es­se­re a co­no­scen­za di co­me sa­reb­be an­da­ta.

    Tut­to que­sto per di­re? Beh, nul­la in real­tà, so­no nel­la stes­sa vo­stra si­tua­zio­ne, in al­cu­ni mo­men­ti vor­rei af­fo­ga­re nel vuo­to, in al­tri vor­rei che i mi­nu­ti fos­se­ro ri­pie­ni co­me un ge­la­to con più gu­sti, che se ad­den­ti un mor­so non fi­ni­sci mai di co­no­sce­re nuo­vi sa­po­ri, ec­co, a vol­te vor­rei che la vi­ta fos­se co­sì ma poi ci fer­mia­mo sol­tan­to ad im­ma­gi­nar­la.

    Sba­glia­to.

    Sba­glia­tis­si­mo, di­rei.

    Co­sa pos­sia­mo far­ci pe­rò? La mat­ti­na ci al­zia­mo, fac­cia­mo co­la­zio­ne o an­dia­mo di cor­sa e la sal­tia­mo, ci guar­dia­mo al­lo spec­chio ve­den­do un la­to bel­lo o brut­to di noi, ci la­via­mo ed an­che i den­ti spe­ro, beh non tut­ti, pe­rò nel mio im­ma­gi­na­rio di quo­ti­dia­no per­lo­me­no si fa. Ci met­tia­mo due co­se ad­dos­so o an­che co­mu­ne­men­te chia­ma­ti ve­sti­ti ma due co­se ad­dos­so fa­ce­va più ame­ri­ca­no che poi sot­to sot­to un po' odio l'Ame­ri­ca, ma que­sto è un al­tro di­scor­so.

    C'è chi va a la­vo­ro o chi va a scuo­la o chi va a stu­dia­re o chi fa al­tro in­som­ma, tut­ti ese­guia­mo del­le azio­ni sen­za mai pen­sa­re al do­po fin quan­do vie­ne la con­se­guen­za del­le azio­ni.

    È lì che en­tra in gio­co il ma­le­det­to pen­sie­ro do­ve vor­rem­mo rom­pe­re lo spec­chio del­le no­stre emo­zio­ni, è lì che ci tro­via­mo fac­cia a fac­cia con noi stes­si, pau­ra? Non ti ne­go che a vol­te mi evi­to.

    So­li­ta­men­te quan­do ar­ri­vo a que­sta si­tua­zio­ne fac­cio le va­li­gie e va­do via, par­to, viag­gio, ado­ro viag­gia­re la re­pu­to una del­le co­se più in­te­res­san­ti del­la vi­ta, per­ché ho uti­liz­za­to la pa­ro­la in­te­res­san­te? Tu co­me de­fi­ni­re­sti una per­so­na che ti at­trae ma non la co­no­sci an­co­ra? Ec­co per me il viag­gio si­gni­fi­ca que­sto, sco­pri­re po­sti nuo­vi ed ac­ca­rez­zar­li sol­tan­to sen­za vi­ver­ci, a me­no che non pen­si fac­cia per te, che non sia il tuo/a ti­po/a, di­ce­vo es­se­re in­can­ta­ti dal­la bel­lez­za, dal­la bel­lez­za di un pae­sag­gio, da un mo­do di­ver­so di fa­re, di agi­re, di isti­tui­re, dal­la bel­lez­za di un vi­so di­ver­so dal tuo. Da una car­na­gio­ne più chia­ra o vi­ce­ver­sa, dai gu­sti, da­gli odo­ri, il ci­bo, dal bri­vi­do di vo­la­re so­pra a tut­to e ren­der­ci con­to di quan­to sia­mo pic­co­li ben­sì di quan­to sia­mo in gra­do di crea­re o ro­vi­na­re di fron­te al­la gran­de ed im­men­sa co­sa che è la na­tu­ra.

    Si di­ce che:''Il tu­ri­sta cam­mi­na lun­go la via prin­ci­pa­le, il viag­gia­to­re cer­ca i vi­co­li na­sco­sti'', eb­be­ne sì il viag­gio è una sco­per­ta, è co­me ri­na­sce­re di con­ti­nuo cam­bian­do sol­tan­to il mo­do in cui si vie­ne al mon­do.

    Cre­de­te­mi ad esem­pio quan­do son na­to non ho pian­to, pen­sa­va­no fos­si mor­to ma no­no­stan­te ciò amo per­der­mi nel­le co­se in cui non sai co­me va a fi­ni­re. Ora mi tro­vo su di un tre­no ver­so una del­le cit­tà che ho vi­si­ta­to più vol­te, ov­ve­ro Fi­ren­ze. Con­fes­so che mi sa­reb­be pia­ciu­to sta­re in uno di quei tre­ni si­mi­li a quel­li di Hog­warts, pe­rò dob­bia­mo ac­con­ten­tar­ci del ser­vi­zio che l'Ita­lia ci of­fre, spes­so in ri­tar­do, ma guar­dia­mo l'al­tra fac­cia ci pen­sa­te mai che noi es­se­ri uma­ni sia­mo riu­sci­ti a crea­re qual­co­sa in gra­do di tra­spor­tar­ci ovun­que? Dal­le au­to­mo­bi­li agli ae­ro­mo­bi­li, lo re­pu­to in­cre­di­bi­le, af­fa­sci­nan­te. Ov­via­men­te né io né te fac­cia­mo par­te dell'im­pre­sa mal­gra­do ciò, la no­stra stes­sa spe­cie, raz­za, stir­pe sì, è sta­ta in gra­do di co­strui­re tut­to que­sto che ab­bia­mo nel pre­sen­te e chis­sà quan­to al­tro an­co­ra ver­rà im­pac­chet­ta­to e pron­to per l'uti­liz­zo da do­na­re al­la ge­ne­ra­zio­ne fu­tu­ra.

    È nel­le no­stre ma­ni non fre­ghia­mo­ce­ne per­ché an­che se non ci sa­re­mo più re­pu­to che la­scia­re un se­gno po­si­ti­vo sia qual­co­sa per cui va­le la pe­na ''es­se­re uma­ni'', o me­glio es­se­re sta­ti uma­ni.

    Tut­to que­sto per di­re che è giu­sto la­men­tar­si di un'er­ro­nea mo­bi­li­tà, pe­rò a vol­te non fac­cia­mo al­tri­men­ti quan­do sa­reb­be giu­sto an­che guar­da­re ol­tre, pri­ma o poi tut­to si ag­giu­sta men­tre af­fer­ma­re la so­li­ta fra­se:''Si sta­va me­glio pri­ma'', la re­pu­to but­ta­ta lì sen­za al­cun sen­so, è ov­vio che nel pas­sa­to c'era­no co­se che fun­zio­na­va­no be­ne ma in egual mo­do ce n'era­no al­tre che non an­da­va­no, co­me ades­so, si im­pa­ra da­gli er­ro­ri l'im­por­tan­te è co­me ci si esce.

    ''È tut­to un equi­li­brio so­pra la fol­lia'' di­ce­va Va­sco, il viag­gio ti fa per­de­re l'equi­li­brio, ti fa ca­de­re sen­za aver pau­ra e al­lo stes­so tem­po ti ri­con­se­gna la for­za per rial­zar­ti, la fol­lia c'è, la fol­lia esi­ste è quel pre­ci­so at­ti­mo in cui non esi­ste spie­ga­zio­ne, in cui la ra­gio­ne si fa da par­te ed en­tra in gio­co l'istin­to. Que­sto ac­ca­de ogni qual­vol­ta fan­ta­sti­co per il mon­do.

    Fi­ren­ze è in­can­te­vo­le, ades­so mi tro­vo su una stra­di­na par­ti­co­la­re do­ve re­gna il ru­mo­re del­la na­tu­ra, sem­bra qua­si di es­se­re in un vi­co­lo di un qual­che pae­si­no, non cre­do sia una di quel­le tu­ri­sti­che ma a me af­fa­sci­na mi cul­la.

    Ho un mo­do di­ver­so di ve­de­re le co­se o me­glio cer­co spes­so quel­la stra­nez­za bel­la che pos­sa ce­lar­si in ogni po­sto.

    So­no cir­con­da­to da al­be­ri, dal ver­de, da pic­co­lo pen­sa­vo che i co­lo­ri fos­se­ro un'il­lu­sio­ne che fos­se tut­to nel­la no­stra men­te e lo pen­so an­co­ra. Po­treb­be­ro esi­ste­re mi­lio­ni di co­se che an­co­ra non co­no­scia­mo o che il no­stro cor­po non ab­bia vo­glia di ve­de­re per­ché ma­ga­ri non ab­bia­mo i re­qui­si­ti giu­sti, o per­ché ma­ga­ri ve­dia­mo so­lo ciò di cui sia­mo in gra­do in­som­ma un ra­mo­scel­lo po­treb­be non es­se­re mar­ro­ne o l'er­ba po­treb­be es­se­re blu, gial­la, ros­sa, o non ave­re co­lo­re for­se sto gio­can­do un po' trop­po con il mio io, pe­rò amo spa­zia­re ol­tre l'im­ma­gi­na­rio.

    Caf­fè del Bor­go, ci vo­le­va una so­sta in que­sto bar do­po lun­ghe ore di cam­mi­na­te sot­to il so­le cuo­cen­te, sì chia­ra­men­te es­sen­do già sta­to in que­sta cit­tà la co­no­sco mol­to be­ne.

    I mo­nu­men­ti son sem­pre bel­li da ri­ve­de­re ben­sì sta­vol­ta so­no qui per in­co­min­cia­re qual­co­sa di nuo­vo par­ten­do dal­la pri­ma emo­zio­ne che ho vis­su­to a 17 an­ni, il mio pri­mo viag­gio fuo­ri Ro­ma, ed è sta­to pro­prio do­ve mi tro­vo in que­sto mo­men­to ma con una ma­tu­ri­tà e men­ta­li­tà dif­fe­ren­te.

    Si­cu­ra­men­te pri­ma di la­scia­re la To­sca­na do­vrò la­scia­re un se­gno an­che ne­gli al­tri Co­mu­ni e sa­ziar­mi di tut­te le lo­ro pre­li­ba­tez­ze cu­li­na­rie, per quan­to non sop­por­ti il pro­sciut­to cru­do qui ci fa­rei co­la­zio­ne.

    Piaz­ze­re­mo la no­stra pri­ma ban­die­ri­na nel ca­po­luo­go to­sca­no che nel Me­dioe­vo è sta­to uno dei più im­por­tan­ti cen­tri ar­ti­sti­ci, cul­tu­ra­li, com­mer­cia­li, po­li­ti­ci, eco­no­mi­ci e fi­nan­zia­ri, eb­be­ne sì ce n'è di sto­ria die­tro ed è pro­prio que­sto che ren­de ogni luo­go in­can­te­vo­le.

    C'è una fon­ta­na vi­ci­no la sta­zio­ne dei tre­ni che mi ri­por­ta in­die­tro con il tem­po, dei ri­cor­di ri­mem­bra­no den­tro di me, dei ri­cor­di ap­pa­ren­te­men­te bel­li di una vec­chia sto­ria d'amo­re chia­mia­mo­la co­sì per­ché an­che se una re­la­zio­ne fi­ni­sce non si­gni­fi­ca che es­sa non sia sta­ta amo­re, per­lo­me­no per me lo era. Vi chie­de­re­te:''Co­me fai a pro­va­re un de­ter­mi­na­to sen­ti­men­to se non hai mai avu­to la cer­tez­za che dall'al­tro la­to sia sta­to lo stes­so?'', beh vi ri­spon­do di­cen­do­vi che a vol­te ci si può in­na­mo­ra­re di un'idea no­stra dell'amo­re, di una no­stra vi­sio­ne o con­vin­zio­ne, si en­tra in un loop di spe­ran­za con­ti­nua che vie­ne mes­sa a ta­ce­re nel mo­men­to in cui noi pen­sia­mo di es­se­re si­cu­ri di una co­sa. Per in­na­mo­rar­si può ba­sta­re po­co o può ser­vi­re tan­to, non pos­sia­mo de­ci­der­lo no­no­stan­te ciò i ri­cor­di so­no la sve­glia ba­star­da che non vor­re­sti al­le 6:30 del mat­ti­no, so­no il sa­le al po­sto del­lo zuc­che­ro nel caf­fè, so­no tut­to o nien­te. In que­sto mo­men­to sto ri­vi­ven­do men­tal­men­te de­gli at­ti­mi con lei che mi han­no fat­to sta­re be­ne, non vi sto a spe­ci­fi­ca­re co­sa sia suc­ces­so su que­sta fon­ta­na ma sa­pe­re che in ogni par­te del mon­do può esi­ste­re un og­get­to, un pae­sag­gio e co­si via che pos­sa far­ti ri­cor­da­re sen­sa­zio­ni o at­ti­mi pas­sa­ti cre­do sia uni­co. Co­me fos­se un pic­co­lo ''su­per­po­te­re'' che non tut­te le for­me vi­ta­li pos­so­no ave­re.

    Nul­la è scon­ta­to ed ogni no­stra azio­ne ha un sen­so an­che quan­do sem­bra non es­ser­ci ra­zio­na­li­tà.

    Suc­ce­de tut­to per una ra­gio­ne an­che quan­do la si per­de fa mol­to stra­no ma è co­sì, c'è qual­co­sa in gra­do di da­re un sen­so an­che all'ir­ra­zio­na­li­tà, qual­co­sa che non ti sto a spie­ga­re per­ché non me lo so spie­ga­re nem­me­no io.

    Il bel­lo sta an­che in que­sto nel non do­ver da­re un mo­ti­vo a tut­to, ad esem­pio mi sto fre­quen­tan­do con una ra­gaz­za per il sem­pli­ce fat­to che mi fa sta­re be­ne sen­za pro­get­ta­re, pen­sa­re o ar­chi­tet­ta­re quel­lo la­scia­mo­lo a chi lo fa di me­stie­re tu mi di­rai:Sì, ma co­sa ci ot­tie­ni?, beh tu co­sa ci ot­tie­ni nell'es­se­re fe­li­ce?

    Nul­la, la fe­li­ci­tà è quell'at­ti­mo in cui non ti chie­di nul­la, in cui ci sei ma non ci sei, in cui vor­re­sti fa­re tut­to ma è an­che dol­ce non fa­re nien­te re­stan­do se­re­ni. For­se nel­la mia vi­ta ho sem­pre sba­glia­to a pro­iet­tar­mi ver­so il fu­tu­ro a vol­te non è giu­sto far­lo so­prat­tut­to con i sen­ti­men­ti, non do­vrem­mo aspet­tar­ci mai nul­la fa­ci­le a dir­si sta­rai pen­san­do, lo so e nes­su­no ti vie­ta di vi­ve­re co­me me­glio cre­di al­tri­men­ti ogni mio di­scor­so sa­reb­be inu­ti­le, no­no­stan­te ciò a mio pa­re­re do­vrem­mo go­der­ci un po' più le co­se fa­cen­do sì che ogni gior­no sia co­me una sco­per­ta.

    Sco­pri­re e la­sciar­si sco­pri­re ri­sco­prir­si sem­pre, co­me un viag­gio ec­co­ci tut­to si ri­col­le­ga a que­sta splen­di­da pa­ro­la quan­te sfac­cet­ta­tu­re può as­su­me­re è? Co­me ve­di, tan­tis­si­me.

    Ho le cuf­fiet­te nel­le orec­chie con Spo­ti­fy a ri­pro­du­zio­ne ca­sua­le e per ca­so una can­zo­ne, mi ci so­no in­na­mo­ra­to ma so­lo per ca­so e per ca­so quan­te vol­te ab­bia­mo sor­ri­so? Quan­te vol­te ab­bia­mo det­to sem­bra co­me se già ci co­no­sces­si­mo ep­pu­re qual­che ora pri­ma nem­me­no ave­va­mo mai vi­sto quel vol­to, ma­ga­ri men­tre pas­seg­gia­va­mo su una stra­di­na di cam­pa­gna o in pie­no cen­tro con tan­to di traf­fi­co ur­ba­ni­sti­co e odo­re di smog. Quan­te vol­te ci siam ri­tro­va­ti a guar­da­re quel­la per­so­na e pen­sa­re:''Caz­zo che stra­no'', o cam­mi­na­re in un po­sto in cui la men­te già ci era sta­ta?

    Quan­do qual­co­sa ci pren­de è per­ché sem­bra co­me se fa­ces­se già par­te di noi, sia­mo at­trat­ti da ciò che ci ren­de li­be­ri pur re­stan­do in­sie­me, da ciò che ci fac­cia sen­tir leg­ge­ri pur con mil­le pro­ble­mi co­sì co­me nel­le can­zo­ni ina­spet­ta­ta­men­te ti en­tra­no per­ché aspet­ta­va­no so­lo te.

    Guar­do in al­to, il cie­lo è di un co­lo­re gri­gio d'im­prov­vi­so s'è fat­to nu­vo­lo an­che la na­tu­ra è lu­na­ti­ca, an­che la na­tu­ra non sa es­se­re fe­li­ce in eter­no pe­rò non si­gni­fi­ca che tut­to ciò che all'ap­pa­ren­za è tri­ste non sia bel­lo.

    Re­spi­ro pro­fon­da­men­te men­tre un pie­de sor­pas­sa l'al­tro e il ven­to si fa sen­ti­re, io qui ci son già sta­to an­che se nel­la real­tà non è co­sì, sia­mo in una cit­tà gio­iel­lo me­die­va­le, Sie­na, o mia Sie­na co­me sei fan­ta­scien­ti­fi­ca co­me una ca­te­go­ria di Net­flix qua­si sur­rea­le.

    Ho ap­pe­na ab­ban­do­na­to il Duo­mo a mio pa­re­re im­men­so, qual­che mi­la­ne­se tra voi sta­rà pen­san­do:''Sì ma non co­me quel­lo di Mi­la­no'', beh a vol­te quan­do si pro­nun­cia la pa­ro­la Duo­mo si col­le­ga su­bi­to a quel­lo del­la cit­tà lom­bar­da ma in real­tà in Ita­lia è pie­no di que­sti mo­nu­men­ti ri­no­mi­na­ti co­sì.

    Io non so­no nel­la po­si­zio­ne adat­ta per met­ter­li a pa­ra­go­ne e de­fi­nir­ne un mi­glio­re, pe­rò non mi pia­ce dar per scon­ta­to le co­se dal mo­men­to che ne esi­sto­no tan­ti.

    Di­ce­vo l'ho ap­pe­na ab­ban­do­na­to per di­ri­ger­mi ver­so Piaz­za del Cam­po, è la piaz­za prin­ci­pa­le del­la po­po­la­zio­ne se­ne­se uni­ca per la sua par­ti­co­la­re e ori­gi­na­lis­si­ma for­ma a con­chi­glia, è ri­no­ma­ta in tut­to il mon­do per la sua bel­lez­za e in­te­gri­tà ar­chi­tet­to­ni­ca, non­ché per es­se­re il luo­go in cui due vol­te l'an­no si svol­ge il Pa­lio di Sie­na.

    Vor­rei ri­vi­ve­re que­sto piaz­za­le in un'epo­ca di­ver­sa, chis­sà co­me sa­reb­be sta­to co­mun­que sia ho bi­so­gno di far­mi scu­do do­ves­si in­con­trar qual­che ani­ma per­du­ta pron­ta a fe­rir­mi, okay for­se sto fan­ta­sti­can­do un po' trop­po ma in­fon­do che ma­le c'è?

    Il bam­bi­no che esi­ste in noi non muo­re mai, am­met­ti­lo an­che tu che quan­do guar­di un car­to­ne ti vie­ne an­co­ra quel bri­vi­di­no in gra­do di ri­por­tar­ti in­die­tro con l'età, che poi pro­prio in que­sto esat­to mo­men­to da­van­ti ai miei oc­chi c'è una ra­gaz­za con sua non­na pro­ba­bil­men­te.

    No­to la si­gno­ra par­lar­le chis­sà di co­sa for­se del­le guer­re che ha do­vu­to af­fron­ta­re poi no­to che la si­gno­ra ha an­che un ge­la­to con la qua­le si è spor­ca­ta tut­ta la boc­ca e l'ipo­te­ti­ca ni­po­te le escla­ma sor­ri­den­do:''Hai tut­to il cioc­co­la­to sul­le lab­bra'', è pro­prio ve­ro più in­vec­chia­mo più tor­nia­mo pic­co­li­ni ben­sì la co­sa che mi af­fa­sci­na in egual mo­do è ve­der qual­cu­no pren­der­se­ne cu­ra.

    Non na­scia­mo so­li fi­gu­ra­ti se vo­glia­mo mo­rir­ci.

    Scrol­la­vo il te­le­fo­no leg­gen­do no­ti­zie su quan­to il mon­do stia cam­bian­do, su quan­to più pas­si il tem­po e più peg­gio­ri non è co­me il vi­no il mon­do è co­me noi.

    Quan­do avan­zia­mo con gli an­ni c'è po­co da fa­re peg­gio­ria­mo, la pel­le ca­la, le os­sa per­do­no di vi­va­ci­tà e co­sì via con l'uni­ca dif­fe­ren­za che per il pia­ne­ta Ter­ra ci può es­ser ri­me­dio evi­tan­do ca­ta­stro­fi che pian pia­no po­treb­be­ro crear­si.

    Mi scop­pia il cuo­re ve­ni­re a co­no­scen­za che gli ani­ma­li deb­ba­no sui­ci­dar­si per non sof­fri­re più, che al­cu­ni di es­si deb­ba­no estin­guer­si per i cam­bia­men­ti cli­ma­ti­ci, i miei fi­gli li ve­dran­no in fo­to o tra­mi­te dei rac­con­ti sem­pre se ci sa­ran­no dei fi­gli.

    Que­sto è il pun­to ora co­me ora è di­ven­ta­to tut­to un con­di­zio­na­le ed ogni gior­no ci dor­mia­mo su ep­pu­re tut­ti ab­bia­mo un po' di ti­mo­re, un po' di pau­ra.

    Il so­le an­co­ra ha il suo fa­sci­no, i tra­mon­ti la­scia­no sen­za pa­ro­le ma do­ve fi­no­ra c'è spen­sie­ra­tez­za ma­ga­ri in un al­tro pun­to del mon­do c'è di­spe­ra­zio­ne e vo­glia di non mo­ri­re, cor­re­re a ri­pa­ro scap­pan­do dal do­lo­re, pro­prio per que­sto non mi la­scio scap­pa­re un mo­men­to per vi­si­ta­re qua­lun­que co­sa at­tual­men­te in ''vi­ta''.

    8:30 AM ho qua­si per­so il tre­no di­ret­to a Bo­lo­gna Cen­tra­le, co­me al so­li­to il ri­tar­do ed il mio io van­no all'uni­so­no c'è qual­co­sa ogni qual­vol­ta mi al­zo la mat­ti­na che mi fa pen­sa­re:''Ma si og­gi ar­ri­ve­rai an­che in an­ti­ci­po'', ec­co quel­la stes­sa fra­se già si è tron­ca­ta sul na­sce­re.

    È co­me se il mio cer­vel­lo si as­si­cu­ras­se da so­lo per poi ca­gar­si sot­to

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