L'ltimo canto dell'usignolo
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Un uomo abituato a vivere nel dolore ma anche nella speranza, che si è opposto con forza contro il proprio destino sempre avverso ed ostile.
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Anteprima del libro
L'ltimo canto dell'usignolo - Gioacchino Florio
accadere.
PROÉMIO
Nel presentare refrattivamente quest’opera del nostro amico Gioacchino Florio, bisogna osservare una premessa pedagogica tra il suo valore biografico e l’anamnesi storica – diacronica sul suo operato.
Passione, tormento, come estasi di virulenza sono i chiari segni espressivi di questa nuova pubblicazione dalla quale si evince un contorno di koiné linguistica che afferma la loro validità singolari, i loro pensieri unici, le loro apprensioni particolari da far scorrere fiumi di parole che trovano la loro anamnesi pedagogica solo leggendoli, comprendendo il loro modo di esporre le cose, intuendo il loro messaggio di vita, valso a far del momento narrato logico l’unica risorsa alternativa.
Non a caso Egli è stato posto in parallelismo differenziale col celebre cantautore ambulante della posteggia napoletana del sec. XVI VELARDINIELLO, per il forte ed incessante bisogno di dire la verità, come ancor per essere un chiaro esempio imitativo di fiaccola di giustizia e di faro della libertà.
Ancora alla ribalta, sotto i proiettori della critica
Gioacchino Florio dopo la pubblicazione del romanzo Alle falde dell’Eknomo
ci propone un nuovo avvincente racconto ispirato da alcuni fatti reali e rafforzato per esigenza editoriale da elementi fantastici. Come di consueto, non è nel suo intendo conquistare la difficile platea degli attenti lettori ma, di espandere il proprio ideologismo e dare severe valutazioni su alcuni argomenti che nella vita quotidiana devono assumere un ruolo primario necessario per il giusto aggancio del funzionamento degli ingranaggi che alimentano il vivere in questa società colma di insidie.
Il Florio, con questo romanzo narra alcuni fatti di natura pseudo religiosa facendo pressione sul ripugnante comportamento della Chiesa Romana, senza puntare a lezioni di moralismo, tenda di mettere a nudo gli atti più eclatanti affinché possono essere di monito a chi per competenza gestisce in maniera errata questi lati oscuri della Chiesa Latina.
Accademia Velardiniellana (Napoli)
Questa è la storia di una persona meravigliosa che non ha avuto scampo,
perseguitato e deriso per amore, la cui liberazione è stata soltanto la morte.
Un uomo abituato a vivere nel dolore ma anche nella speranza, che si è opposto
con forza contro il proprio destino sempre avverso ed ostile.
Avevo 15 anni e superato la 3ª. Media, avevo tanti amici, miei coetanei. Loro piaceva il sabato e la domenica andare a ballare, frequentavano dei locali dove era impossibile non bere almeno un drink, non aveva importanza essere minorenni, nessuno ci faceva caso. Poi si passava in discoteca dove avveniva una vera e propria competizione, ognuno aveva la propria ragazza e alla fine della serata si raccontavano le intraprendenze più audaci e la natura delle reazioni scaturiti. Anch’io avevo la mia ragazza, si chiamava Cora, e insieme ci appartavamo per scambiarci delle effusioni senza spettacolarizzare e senza imporci alcuna competizione con altri. I locali frequentati dai nostri amici e la loro condotta non era di nostro gradimento, spesso a quei locali invasi di fumo e di odore di alcol privilegiavamo occuparci di cose più concrete: a Cora, piaceva tanto andare in chiesa e organizzare insieme ai gruppi le funzioni e le attività religiosi da svolgere durante il mese. Ambedue avevamo il compito di coordinare i gruppi che partecipavano al crest. Questo compito mi realizzava, quando ero in chiesa avvertivo qualcosa di piacevole che spesso mi infervoravo, ma, allo stesso tempo pensavo di essere un idiota perché dai miei amici capii che non gradivano più la mia compagnia loro vedevano la mia nuova passione come un ostacolo che minava la nostra amicizia, una strada molto diversa di quella imboccata da loro, e per questo spesso cercavano di schernirmi, specialmente in presenza di Cora, facendomi apparire un deviato.
Intanto, continuavo ad andare in chiesa, mi piaceva tantissimo occuparmi della spiritualità dei giovani, dopo il catechismo organizzavo festicciole con giochi, canti e piccolo varietà che riusciva a tenere salda la presenza continua dei partecipanti. In questi piccoli spettacoli quasi sempre godevamo della partecipazione straordinaria del nostro parroco don Lazzaro che ci intratteneva divertendoci con i suoi giochi di prestigio.
Spesso mi recavo in chiesa dove avvolte ci rimanevo per parecchie ore. Ero felice quando capitava di servire il celebrante durante la messa, mi sentivo soddisfatto e realizzato. Il tempo libero lo trascorrevo in sacrestia a discutere con padre Lazzaro. Lui, era tanto bravo, sapeva capirmi e consigliarmi in modo appropriato. Forse aveva anche intuito la mia tendenza e spesso mi responsabilizzava con dei compiti molto importanti che rendevano felice, mi interessavo dell’approvvigionamento delle particole, ritiravo le offerte che i fedeli elargivano durante la messa, rovistavo nell’archivio parrocchiale per la registrazione degli avvenimenti da protocollare. Quando don Lazzaro doveva andare in Curia per conferire con il vescovo, non mancava mai di chiedere la mia compagnia, ed io ero felice, entusiasta e mi sentivo importante.
Un giorno mi recai in chiesa e mi accorsi che anche in sacrestia non c’era nessuno, mi guardai attorno per assicurami che ero solo e quando fui certo, mi diressi verso l’armadione che non era mai chiuso a chiave, velocemente tirai fuori un abito talare e lo indossai immediatamente, completai l’abbigliamento con il cappello e la stola che tenni penzolante al collo, mi girai attorno ma non trovai niente per potermi specchiare. Per pochi attimi mi sono sentito un vero prete, forse ho avuto anche la presunzione di crederci, mi vedevo perfetto, anche se ripensandoci ora sono certo che con quel abito fuori misura ero soltanto buffo e alquanto ridicolo.
Il mio cervello forse per qualche minuto era andato in tilt, perché pavoneggiandomi con quel particolare abbigliamento raggiungevo un estasi inebriante che mi impediva di connettere con la realtà, mi sentivo entusiasta, felice. Chiusi gli occhi e vidi la chiesa gremita di gente ed io sull’altare che ufficiavo la mia prima messa. Udii un leggero rumore che mi ha fatto sobbalzare, riportandomi immediatamente alla realtà. Mi apprestai a togliermi di dosso quello abbigliamento e lo deposi in fretta in maniera stropicciato all’interno dell’armadione, raggiunsi lo scrittoio mi sedetti e cercai di simulare di leggere un documento.
Era Cora, la guardai in volto e mi accorsi che era successo qualcosa di grave, aveva il viso segnato dalla rabbia, i suoi occhi erano quasi spenti, non emanavano più quella luce che ero abituato a vedere. I suoi gesti erano incerti, riusciva a stendo a nascondere il tremolio della sua voce, forse voleva piangere o forse voleva dirmi qualcosa di molto importante. Ho pensato che probabilmente si era accorta del mio azzardato travestimento ed è per questo che era arrabbiata, incerta, traumatizzata. Stavo rovistando nel mio cervello per cercare le parole giuste per giustificare il mio illecito comportamento quando mi disse: Ho incontrato Valerio, abbiamo parlato del nostro distacco con il gruppo degli amici, dobbiamo subito recarci a casa sua, ha bisogno del nostro aiuto e non possiamo tirarci indietro
. Valerio, aveva 18 anni compiuti era l’unico maggiorenne fra tutti gli amici, non aveva genitori e abitava da solo in un appartamento della periferia. Con Valerio ci siamo sempre capiti ed è stato sempre il mio migliore amico. Io, per Valerio ho sempre avuto molto stima, mi faceva arrabbiare soltanto quando con testardaggine prendeva delle decisioni azzardate senza ascoltare nessuno, che poi si ripercuotevano su se stesso. Questo nostro amico è veramente una bravissima persona.
Giunti alla casa di Valerio, mi accorsi che Cora, non suonò il campanello per farsi aprire ma, utilizzò delle chiave che aveva già in serbo. Pensai che il mio amico fosse a letto o impedito ad aprire oppure, in casa ci sono altri ospiti e ha ritenuto opportuno dare a Cora le chiave di casa. Insieme salimmo le scale fino al quarto piano e quando fummo all’interno dell’appartamento mi accorsi che in casa non c’era nessuno ad attenderci. Non mi rendevo conto del perché di questo scherzo. Non ero offeso, visto che c’ero caduto volevo almeno conoscere le modalità di questo gioco, ero sereno anche perché non era la prima volta che i nostri amici organizzavano scherzi e giochi all’insaputa del malcapitato per poi finire con un divertimento collettivo. Ancora la cosa non mi impensieriva più di tanto perché ero supportato dalla presenza della mia ragazza, una garanzia che mi metteva in una posizione di agio, aspettavo che da un momento all’altro da qualche angolo uscisse fuori qualcuno dei nostri amici per un improvviso scherzo più o meno tollerabile come un bel gavettone o