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Lungo, in tazza grande
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E-book278 pagine4 ore

Lungo, in tazza grande

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Info su questo ebook

Emma lavora come consulente per una importante azienda di Milano e, quasi alla fine di una trattativa, decide di partire per qualche giorno: la sua meta è Formentera, dove vuole godersi qualche istante di (santa e meritatissima) pace. Appena arrivata, conosce Riccardo, un uomo affascinante e divertente, ed essendo entrambi lì per rilassarsi, decidono di non perdere tanto tempo in chiacchiere sulla vita, sul lavoro, sugli obblighi della quotidianità, dedicandosi solo a ciò che li fa stare bene. Il destino, però, ha in serbo qualcos’altro, e una volta tornati alla realtà, scopriranno di essere molto più vicini di quanto potessero immaginare. 

Federica Bortolin nasce il 9 settembre del ’79 vicino a Varese, dove tuttora vive.
Dopo gli studi in Economia e Commercio si dedica alla gestione della piccola azienda di famiglia, nel settore della meccanica, lavoro interessante e stimolante. 
Persona socialmente molto attiva e lettrice appassionata, si avvicina alla scrittura per divertimento. Lungo, in tazza grande è la sua prima pubblicazione.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2023
ISBN9788830680579
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    Anteprima del libro

    Lungo, in tazza grande - Federica Bortolin

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    Federica Bortolin

    Lungo, in tazza grande

    © 2022 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-7277-2

    I edizione marzo 2022

    Finito di stampare nel mese di marzo 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Lungo, in tazza grande

    La vita è troppo importante

    per essere presa seriamente.

    Oscar Wilde

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    1

    Quando il taxi imboccò la rampa che portava alle partenze, Emma aprì gli occhi.

    La luce dell’alba sembrava ancora violenta e l’aria frizzante di quella mattina primaverile la faceva stringere nella felpa grigia.

    L’auto si fermò davanti alla porta numero sei.

    – Sono 32 euro e 50.

    – Faccia 35 e… mi fa la ricevuta per cortesia?

    Non sapeva nemmeno lei perché l’avesse chiesta. Finalmente partiva per piacere, senza il bisogno di ricevute da allegare alla nota spese. Abitudine, probabilmente. Emma non aveva neanche trent’anni, ma stava imparando che l’abitudine è in grado di prendere facilmente il sopravvento. Pagò il taxi, entrò in aeroporto e si diresse verso i monitor, trascinando il trolley rosso, compagno di molte trasferte.

    Check-in numero 26, aperto.

    Dlin.

    Il trillo del telefono. Il trillo che annunciava la voce delle sue amiche. Le sue gemelle diverse. Perché erano diverse nelle caratteristiche, nelle scelte, nella forza, ma uguali nel cuore.

    Mi auguro tu sia dove devi essere Senza paura.

    Era Ludovica. Ludo. Forse la più gemella, anche se certamente la più diversa. Stava finendo la specializzazione in cardiologia, quindi da qualche anno a questa parte viveva in ospedale. Era brava, concentrata, determinata. Una stacanovista appassionata. E poi in ospedale aveva anche altri interessi. Più ludici che professionali, si potrebbe dire…

    Senza paura rispose.

    Emma cercava un messaggio di convinzione per l’amica e per sé stessa, perché in realtà non aveva ancora capito se partire in quel momento fosse davvero la scelta giusta. Aveva bisogno di un po’ di pace, questo era certo, ma non aveva mai fatto una vacanza da sola e un’intera settimana con sé stessa le pareva un tempo quasi interminabile.

    Le piaceva stare sola. Lo aveva sempre saputo e ne aveva avuto la conferma lasciando casa dei genitori per trasferirsi in città, per avvicinarsi al lavoro e sostenere i ritmi massacranti che aveva imparato ad amare. Anche qui forse abitudine, restava da capire se buona o meno buona.

    La verità era che dopo aver rotto un fidanzamento durato sette anni aveva bisogno di ritrovarsi. Di rivedersi, di riviversi, di reinventarsi. E tutti questi re-, inutile nasconderlo, si portavano dietro un po’ di ansia.

    Ok, al 26 allora pronunciò sottovoce, esortandosi. Una volta imbarcato il bagaglio sarebbe stata fatta, quindi documenti alla mano si mise in fila. Mentre aspettava il suo turno non poteva fare a meno di guardare gli altri passeggeri. Un paio di gruppi di ragazzi, età da università, e qualche coppia meno giovane. Solo un paio di famiglie con figli molto piccoli. D’altronde era la fine di maggio, le scuole non erano ancora terminate e il lavoro era nel pieno del regime: insomma, non era certo tempo di vacanze.

    In effetti lo aveva capito molto bene quando era andata da Charlie, Carlo, ma per lei Charlie, per chiedere le ferie.

    Charlie aveva una evidente predilezione per Emma, per il suo intuito, la sua creatività e la sua capacità di trattare con le persone. Era un uomo equilibrato e comprensivo, ma rimaneva il suo capo, concentrato ed estremamente dedito lavoro.

    Emma aveva pensato parecchio a come fare, e anche se fosse opportuno farlo: erano nel bel mezzo di un progetto importante e stavano aspettando le risposte che ne avrebbero deciso le sorti.

    D’altronde, erano sempre nel mezzo di qualche progetto importante.

    Come a Natale, per esempio, quando all’ultimo non era potuta partire per Praga con gli amici, o l’estate precedente, quando aveva messo in valigia il computer e la chiavetta per la connessione lasciando a casa i costumi da bagno.

    Emma propese per un approccio deciso. Qualche giorno prima, di buon mattino, era entrata nell’ufficio di Charlie dicendo: – Mi serve una settimana. Sto crollando e ho bisogno di fermarmi. Mi serve una settimana.

    Si fidava di lui, era un uomo intelligente e razionale, ma anche una persona in grado di ragionare con il cuore, e questa era una delle cose che probabilmente ambiva maggiormente ad imparare da lui, anche se non aveva ancora capito se si trattasse di un talento oppure di un’abilità che si conquista con il tempo.

    Emma considerava una fortuna inaspettata la sintonia lavorativa che da subito aveva avuto con lui: le aveva concesso un rapporto di reciproca stima e comprensione che non riguardava solo il lavoro. Riguardava le persone. E non era così scontato.

    Charlie conosceva bene tutto ciò che era successo, quindi avrebbe deciso per il meglio.

    I suoi occhioni verdi si dilatarono mostruosamente dietro gli occhiali perennemente appannati, mostrando prima il disappunto del capo, poi la comprensione dell’amico.

    – Va bene – rispose. – Adesso vai, prima che cambi idea. Venerdì pomeriggio ci aggiorniamo sul progetto della clinica. Avverti per cortesia la segretaria del dottor Riboni che sarai fuori, raccomandando di contattare direttamente me per eventuali necessità. Tanto stiamo aspettando che la fondazione acquirente valuti la nostra proposta, giusto?

    – Sì, esatto – rispose Emma ritrovando la sua espressione concentrata. – Hanno tempo fino alla fine della prossima settimana per darci un feedback sul progetto, e certamente utilizzeranno ogni minuto a disposizione. O ci faranno penare fino all’ultimo istante. Io continuo ad essere convinta che sia un’ottima opportunità ma anche una grande scommessa, c’è di che riflettere. Riboni è un po’ nervoso, tanto per cambiare; non risponde alle mail e la sua assistente mi ha detto che è all’estero per un convegno, o qualcosa del genere. Non rientrerà prima della fine della prossima settimana. Chissà se avrò poi finalmente l’onore di conoscerlo di persona, visto che cerco di salvargli le chiappe da quattro mesi e ancora non mi ha concesso udienza.

    Charlie accolse la nota di disappunto nella sua voce velando un sorriso.

    – So che non ti piace ancora, ma ti sorprenderà, devi solo avere pazienza. Con le persone serve pazienza, la stessa pazienza che hai con i numeri. Quando è il momento, arrivano. Sia i numeri sia le persone.

    Emma di nuovo gli sorrise, di gratitudine, per ognuna di queste piccole lezioni che aveva imparato a tenere con sé.

    – Potrebbe essere il periodo migliore per assentarmi. Se dovessero rifiutare o rimaneggiare seriamente la proposta potrebbe esserci molto da fare. Praticamente dovremmo quasi ricominciare da capo, chissà con quali scadenze. È bene farsi trovare lucidi.

    – Va bene – rispose Charlie indietreggiando leggermente con la sedia. – Andata. Per ora, il resto è abbastanza residuale, ci aggiorniamo domani.

    – Ok. Grazie, Charlie, davvero. Allora vado a confermare la prenotazione, prima che cambi idea.

    – Dove vai?

    Era stato difficile decidere di partire. Ma facilissimo scegliere dove andare: Formentera. Non per il mare cristallino, la movida o i calciatori. Ma perché lì aveva passato l’ultima vacanza che aveva fatto insieme alla sua famiglia, poco prima di conoscere Gianluca, e il divertimento e l’armonia di quei giorni le erano rimasti nel cuore.

    L’ultima camera condivisa col fratello e la sangria col papi. Le abbuffate di pesce nei ristorantini sulla spiaggia, le gare in motorino e le prese in giro alla mamma, l’unica ad avere un caschetto tondo bianco che la faceva sembrare la Formica Atomica.

    Non era nemmeno stata una vacanza programmata. Suo fratello Giacomo aveva appena finito il servizio civile e aveva ancora due settimane libere prima di iniziare un nuovo lavoro, Emma aveva terminato la prima sessione estiva d’esame all’università e papà e mamma erano stanchi da morire, avevano bisogno di riposo. Un volantino last minute trovato uscendo dal supermercato aveva fatto il resto: da un giorno all’altro erano partiti, di fretta. Talmente di fretta che una volta arrivati si erano accorti di aver lasciato le chiavi di tutte le valigie sulla lavatrice, battezzando la vacanza con una risata interminabile e un’operazione da scassinatori quasi provetti.

    Era stato bello, divertente e spensierato.

    Emma sperava di rivedersi prima degli ultimi sette anni, cercando cosa di sé aveva perso. O guadagnato.

    Finalmente il suo turno. La hostess la guardò sorridendo con gentilezza.

    – Buongiorno, signorina, mi dà i documenti per favore?

    Emma porse la carta d’identità stropicciata e il voucher dell’agenzia per il volo d’andata.

    Mentre la hostess digitava velocemente i dati sul terminale, Emma cercava nel suo sguardo una traccia di disappunto o di giudizio: temeva che l’essere sola inducesse il compatimento.

    La signorina le dedicò solo un doveroso sorriso distratto, molto più interessata a sparlare con la collega che le stava accanto dell’inettitudine della responsabile nel gestire i turni. Un grande classico.

    Terminando le formalità l’hostess le chiese di caricare la valigia sul nastro, e quando la vide cadere all’indietro insieme alle altre… Basta. Era fatta. Pronta a partire.

    Dlin. Gruppetto.

    Ma era oggi la partenza? Oddio mi sono persa… Divertiti e ricordati che noi siamo sempre qui per te.

    Rebecca, detta Becca. Tutt’altro carattere, tutt’altro approccio. Ma stesso cuore. Gemelle, ma diverse. Becca non era convinta che partire sola fosse una buona idea. D’altronde, lei confondeva lo stare soli con l’essere soli, e aveva sempre fatto in modo di non correre questo rischio. Ma non l’avevano mai giudicata per questo.

    Ce l’ha fatta, si è connessa rispose Ludo. Era oggi, era oggi. Per fortuna progetti seggioloni e non palazzi altrimenti chissà che disastri.

    Becca era una designer, lavorava nell’azienda del marito, Alberto, un cantiere navale. Costruivano barche a motore di piccole e medie dimensioni, e lei disegnava gli arredi delle cambuse.

    Uh che noia… Non hai altro da fare, tipo qualche povero cristiano da uccidere o qualche collega sposato da rincorrere in ascensore?.

    Becca, sposina fresca, non perdeva mai occasione di punzecchiarla sulle sue scelte di vita in campo sentimentale, che di sentimentale, in verità, avevano ben poco.

    Litigavano in continuazione. Due visioni della vita completamente diverse. Ma si rispettavano e si volevano bene. Di più: con il tempo avevano imparato ad ammirare l’una il coraggio dell’altra. Il coraggio delle scelte quotidiane. Gemelle, ma diverse.

    Grazie, ragazze, vi adoro rispose Emma.

    Non voleva dire di più. Per quanto fossero le amiche migliori che potesse immaginare questo viaggio era solo suo.

    Era il suo ritrovarsi, il suo reinventarsi, il suo re-qualsiasi cosa che sperava la rimettesse sulla strada della vita.

    Salita in aereo, Emma cominciò a rilassarsi. Il solo allontanarsi fisicamente da casa, dalla routine frenetica che l’aveva avviluppata in tutto questo tempo la faceva sentire in qualche modo più leggera. Aveva bisogno di riflettere su questi ultimi quattro anni.

    Dalla laurea non si era fermata un momento: il master, questo lavoro appassionante e sempre nuovo che riusciva inesorabilmente a divorare tutto il suo tempo e le sue energie. Non si era quasi accorta del tempo passato né di quanto fosse cambiata fino a che Gianluca non le aveva detto che nulla più li accomunava. Anzi, a ben guardare non glielo aveva nemmeno detto, aveva semplicemente smesso di coinvolgerla nella sua vita, lasciando come sempre a lei l’onere di decidere.

    Spense il telefono, prima del decollo, ripromettendosi di riaccenderlo solo una volta arrivata in albergo per dare un cenno di vita a casa.

    Dlin. Avverti quando arrivi mi raccomando ricorda che lasci a casa una mamma.

    La mamma.

    La mamma che aveva imparato a usare il computer, lo smart tv e le chat ma, chissà perché, rifiutava con ostinazione la punteggiatura.

    Fortunatamente da qualche tempo ormai si era abituata ai viaggi e alla necessità di volare così di frequente, ma inizialmente era stata davvero difficile da gestire.

    Emma ricordava di essere dovuta sgattaiolare fuori da una riunione importante qualche anno prima, perché, alla sedicesima chiamata di mamma cell temeva di veder spuntare dalla porta la guardia nazionale.

    Ora era l’abitudine. Le capitava sovente di stare fuori intere settimane, con grande apprezzamento dei vicini che la consideravano l’inquilina ideale, eccezion fatta per le piante costantemente agonizzanti sul pianerottolo. Tuttavia, la signora Gemma, la dirimpettaia pensionata, all’occorrenza non si asteneva dall’elargire un innaffiatoio di pura pietà, e tutto finiva sempre per il meglio.

    Non si era nemmeno preoccupata di capire se le sue chat avrebbero funzionato correttamente, anche se non aveva potuto fare a meno di portare il computer e la chiavetta per la connessione. Solo un controllino alla posta ogni tanto – aveva detto alle amiche – prometto.

    Nei giorni antecedenti la partenza si era chiesta più volte se sarebbe davvero riuscita a partire, e, inaspettatamente, l’imbarco su quel volo mezzo vuoto fu un sollievo infinito.

    Era riuscita ad andare, e, con un po’ di fortuna, sarebbe riuscita perfino a lasciarsi andare. Finalmente.

    2

    Aveva prenotato in un piccolo albergo a Es Pujols, che ricordava essere l’unico centro con una traccia di umana organizzazione.

    Va bene la pace e la quiete, ma l’assenza totale di civiltà l’avrebbe decisamente traumatizzata. In fondo siamo solo animali metropolitani, soprattutto animali, diceva sempre Ludovica. Certo, lei dava all’affermazione un senso tutto suo, e anche un suono tutto suo, grazie ad una r moscia inimitabile, unico indizio delle sue nobili origini. Ma questa era Ludovica.

    Emma entrò nella sua camera, semplice e perfetta. Aveva i colori del mare e dalla finestra entrava profumo di salsedine e crema solare. Poggiata sul parapetto del terrazzino Emma guardò il mare azzurro, assaporando l’aspettativa di quella strana avventura, in cui aveva riposto tutto il suo coraggio. Si accomodò sulla poltroncina di vimini un po’ sgualcita e accese il telefono.

    Dlin. Dlin. Dlin. Dlin.

    Avrebbe letto tutto. Però prima la mamma, pensò.

    Ciao mami, sono arrivata, tutto bene. Non hai idea di quanto sia cambiato questo posto… ti manderò delle foto saluta papà.

    Aveva scritto anche Charlie. Riposati, te lo meriti.

    Ora le ragazze.

    Aveva scritto anche Claudia, che prima del volo non aveva dato cenni di vita.

    D’altronde Claudia non aveva mai amato alzarsi presto. Sin dai tempi dell’università, quando si incontravano sui primi treni del mattino, era difficile capire se fosse sveglia o se un fortunato attacco di sonnambulismo l’avesse portata dal letto al diretto delle 7.35.

    Aveva studiato design insieme a Becca, perché aveva sempre sognato di fare l’arredatrice. Era una persona creativa e vivace, e amava prendersi cura degli altri. Aveva pensato di farlo così, disegnando intorno alle persone gli spazi nei quali avrebbero vissuto i momenti più intimi e felici della loro vita.

    In realtà la vita le aveva riservato un raro regalo: nella pallida confezione di un lavoretto estivo le aveva fatto incontrare una grande passione. La ristorazione.

    Già molto ben instradata dal padre, durante gli anni degli studi aveva frequentato un valido corso per sommelier, grazie al quale era stata assunta in un ristorante. Un posto di qualità, fatto di attenzione e di buon vino.

    Claudia era arrivata in quel posto per caso, e ci si era accomodata con la naturalezza con cui si entra in casa propria. Si prendeva cura del luogo e delle persone, che lì andavano a cercare una coccola, un’esperienza. Lorenzo, lo chef, aveva quasi quarant’anni. Aveva girato un numero indefinito di Paesi per cogliere i sapori mondo, come diceva lui. Ma nessuno era come quello di casa. Così era tornato e aveva aperto questo posto, dove spazi e cucina erano fatti a sua immagine e somiglianza. Ma maison lo aveva chiamato; difficile pensare a qualcosa di diverso.

    Claudia si era innamorata subito dello spirito di quel giovane uomo, del suo progetto di accogliere nuovi ospiti ogni sera nella propria dimora, del suo modo di dedicare alla cura dei dettagli un tempo. Un tempo che per lui non era troppo. Un tempo che non era sufficiente sino a che la risposta giusta non si palesava. Si era innamorata subito di questo rispetto per la ricerca. E si era innamorata subito anche di lui, neanche a dirlo.

    Ti vogliamo bene, tesoro. Goditi il sole, la sangria, e tutto quello che questo viaggio porterà.

    Claudia era la naturalezza fatta persona. Era trasparente come l’acqua, il suo viso era un libro aperto a chiunque le parlasse. Non potrai mai fare il politico le diceva sempre sua madre. Fortunatamente l’età, e il lavoro che le richiedeva di sposare la sua squisita spontaneità ad un elegante contegno, stavano ingentilendo i suoi modi, un tempo fin troppo espliciti.

    Ma ad Emma piaceva questa chiarezza, soprattutto ora. Non dover leggere tra le righe dei silenzi la faceva sentire al sicuro.

    Quando parlava con Claudia sapeva di trovarsi davanti ad uno specchio: Claudia faceva le domande giuste, di fronte alle quali lei non poteva che rispondersi con la stessa disarmante onestà. Sorelle nel cuore. Gemelle, ma diverse.

    Emma si prese un istante, per respirare il profumo del mare e percepire la sensazione del sole che cuoce lentamente la pelle.

    Aspettò. Aspettò ancora che il suo cervello fosse in grado di formalizzare le parole che sentiva sulla pelle.

    Poi rispose.

    Ragazze, grazie, vi adoro.

    Avrebbe voluto dire che in quell’istante, in cui il

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