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La luna allo specchio
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E-book234 pagine3 ore

La luna allo specchio

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Info su questo ebook

Lilly si è sempre fidata del suo istinto di giornalista. Nonostante non sia al massimo della forma - colpa dell'alcool e degli psicofarmaci a cui ormai è assuefatta e assume con preoccupante frequenza - quando lavora riesce a mantenere quella lucidità che le ha garantito una brillante carriera come inviata per la cronaca nera di Torino. Quando si trova di fronte all'ennesimo femminicidio qualcosa nella mente le fa suonare un campanello: la scena del crimine troppo ordinata, quasi sia stata sistemata a bella posta, e l'arma del delitto, in mano alla vittima in un improbabile tentativo di difesa, la insospettiscono subito. Tuttavia il PM archivia velocemente il caso, dato che il marito si dichiara immediatamente reo confesso. L'immagine della vittima orrendamente uccisa e l'idea che la figlia adolescente abbia assistito al delitto, però, non l'abbandonano e non fanno che acuire uno stato depressivo che va avanti da anni, facendo riemergere fantasmi di un passato ormai lontano, che continuano a tormentarla, tanto da costringerla a stordirsi pur di trovare sollievo. È solo grazie a Cristian e al suo supporto, come amico prima ancora che come psichiatra, che Lilly riuscirà a far luce non solo sul delitto, ma anche sulle ombre terribili che ancora avvolgono il suo passato...
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2021
ISBN9788830650503
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    Anteprima del libro

    La luna allo specchio - Laura Pittera

    LQpittera.jpg

    Laura Pittera

    La luna allo specchio

    © 2021 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-4266-9

    I edizione agosto 2021

    Finito di stampare nel mese di agosto 2021

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    La luna allo specchio

    Al marito Antonio, ai figli Simone e Paola

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Prologo

    Lilly Araldi era una donna di cinquant’anni, viveva a Torino da circa quarant’anni.

    Trascorse la sua infanzia a Genova, città nella quale il padre, capitano di lungo corso, lavorava nelle grandi navi da crociera. All’età di quarant’anni, il padre Marco morì stroncato da un infarto, così Lilly con la madre Maria si trasferirono a Torino.

    Vissero tranquillamente fino al giorno in cui Maria venne colpita da un ictus cerebrale che la rese gravemente invalida, e dopo tanti anni di cure e di sofferenze, Maria trovò finalmente la pace nella morte.

    Lilly rimase sola. La solitudine la rese depressa, ma la sua sofferenza non dipendeva solo dalla morte dei genitori, ella sentiva un dolore dentro di sé cupo e forte, nel profondo della sua anima che si alzava con lei la mattina appena sveglia e l’accompagnava fino al giorno seguente.

    Lilly era una giornalista, lavorava in una rivista dal titolo Cronache del Giorno e lei si occupava dello spazio dedicato alla cronaca nera. Un posto questo affidatole dal capo della redazione Roberto Scampi, e Lilly ogni giorno era costretta ad immergersi, nella maggioranza dei casi, in storie familiari in cui i femminicidi e le violenze erano all’ordine del giorno.

    Quando Roberto le offrì questo impiego, in un primo momento ebbe l’impulso di rifiutarlo, provando una naturale avversione nell’occuparsi di certe vicende. Depressa com’era ci mancava pure che le giornate si colorassero di un nero ancora più cupo. Poi finì con l’accettare, tanto un lavoro vale l’altro si disse, e quella solitudine, quel vuoto spaventoso che provava dentro di sé, non sarebbe peggiorato rispetto a quello che provava già da molto tempo.

    Lilly viveva da sola in un grande palazzo di dodici piani, in un piccolo attico che aveva ben arredato, infatti il lavoro era ben retribuito.

    In quell’appartamento vi era uno spazioso terrazzo che Lilly aveva adornato con piante e fiori di ogni genere. Era ben illuminato, arredato graziosamente con un salottino adatto per ambienti esterni, e spesso lei passava le notti insonni a scrivere e a leggere in quello che chiamava il suo angolo di paradiso. A volte stava lì a contemplare il cielo stellato, cercando risposte nelle stelle e nella luna per comprendere quel grande dolore che provava dall’età di circa dieci anni. Aveva tentato di curarsi, attraverso diversi tipi di terapie, ma non erano servite a niente. Era un malessere paragonabile al vento, non capiva da dove venisse né dove andasse.

    Si sforzava di vivere quella sofferenza interiore con distacco, come se non le appartenesse, cercando di mantenere e di non perdere mai il contatto con la realtà, così Lilly si immergeva nel suo lavoro, perché per quanto orribile fosse… era pur sempre la realtà.

    Capitolo primo

    «Ciao Roberto! Ci sono novità stamattina?» chiese Lilly.

    «Sì» disse Roberto. «Sembra che ci sia stata una violenta discussione tra coniugi terminata con quattordici coltellate al petto della moglie, davanti agli occhi della figlia dodicenne.»

    «Che bello iniziare così la giornata Roberto! Questa notte ho dormito solo un’ora, ho fatto un incubo terribile, ma a quanto pare la realtà è peggiore.»

    «Dovresti farti vedere da uno bravo Lilly, non puoi continuare così, devi cercare di capire cosa ti fa soffrire.»

    Roberto Scampi era un uomo di sessant’anni, stimava Lilly dal punto di vista professionale, era una donna affascinante, le rughe appena accennate tipiche della sua età quasi le donavano, le rendevano gli occhi più espressivi; il fisico era gracile, i capelli biondi e corti, caviglie sottili e grandi occhi verdi. Tutto le donava un’eleganza singolare. Usava un profumo all’essenza di fiori che non infastidiva, ma lasciava dietro di sé una scia rendendo l’atmosfera nostalgica, rispecchiando la sua personalità.

    «E poi…» continuò Roberto «perché non ti trovi un fidanzato? Sei piena di corteggiatori ma non ti fai avvicinare da nessuno!».

    «Roberto ti prego, ti ringrazio per l’affetto e per la premura che mi dimostri, ma sto bene così. Piuttosto occupiamoci del caso di oggi.»

    «Va bene andiamo, prendiamo la mia macchina» disse Roberto.

    Egli possedeva un’utilitaria grigio-metallizzata. Si avviarono, percorsero tutto il centro della città e giunsero all’ingresso di una villa elegante, posta in un quartiere residenziale di Torino, vicino al Po: il quartiere di Precollina.

    Lilly e Roberto avevano i lasciapassare stampa, che i giornalisti addetti alle cronache di solito posseggono, e la polizia li fece entrare sul luogo del delitto.

    La famiglia si chiamava Ferrante, lui Luigi, era un imprenditore edile di trentotto anni, lei Elsa Baldini aveva trent’anni, era una musicista, suonava il violino e il pianoforte, ma dava lezioni a casa per potere stare accanto alla propria figlia Stella di dodici anni.

    Entrarono in un salone molto ampio, arredato con lusso, il pianoforte era posizionato vicino ad una grande vetrata scorrevole montata su un’intelaiatura di legno, adornata da tende di pizzo francese di colore bianco e impreziosite ai lati da eleganti mantovane rosse damascate. Sopra il pianoforte alcuni spartiti erano disposti in maniera perfettamente ordinata accanto al violino. La scena era raccapricciante. Il corpo di Elsa era disteso in maniera composta accanto al divano. Un divano ampio, semicircolare, di velluto bianco sul quale erano appoggiati cuscini di velluto azzurro macchiati di sangue. L’assassino aveva violato anche il bianco candido del divano e le pareti al di sopra di esso. La ferocia del marito non aveva avuto limiti. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, tra i coniugi c’era da tempo aria di crisi. La moglie aveva prospettato al marito una separazione a causa di un altro uomo, un pianista, e questo aveva fatto scatenare nel Ferrante una violenza cieca, che nemmeno la presenza della figlioletta era riuscita a contenere.

    Elsa, sempre secondo gli inquirenti, aveva tentato di difendersi e durante la colluttazione era riuscita a strappare dalle mani del marito un coltello che stringeva nella mano destra. L’arma venne sequestrata dalla scientifica, e il povero corpo della donna venne trasportato, per gli accertamenti del medico legale, dentro una bara d’acciaio con il cuore spappolato e con il suo vestito giallo di seta diventato ormai rosso cremisi. Lilly si sentì male di fronte a quell’orribile spettacolo, incominciò ad avvertire nausea e provava difficoltà a respirare, ma nonostante tutto si rallegrò del fatto di essere una donna senza un uomo accanto.

    Malgrado il suo malessere, prese appunti dettagliati come era abituata a fare, scattò molteplici fotografie sotto diverse prospettive cercando di non trascurare alcun minimo dettaglio, tutto era necessario per redigere l’articolo per la rivista. Poi fece cenno a Roberto di rientrare in ufficio.

    «Che atrocità Roberto! Come si può arrivare a tanta violenza e per giunta davanti alla propria figlia! Maledetti uomini!»

    «La famiglia Ferrante è stata protagonista di un caso di violenza atroce, su questo non posso darti torto, ma non puoi generalizzare, non tutti gli uomini sono maledetti. Io sono sposato da ventisei anni, amo mia moglie e i miei figli e soprattutto non mi sento uno psicopatico capace di commettere una strage familiare.»

    Roberto Scampi si era sposato con Elisa Preziosi, di qualche anno più giovane di lui. Non ebbero subito figli, ma dopo qualche anno arrivò prima Maurizio, ora sedicenne, poi Carla, ora decenne.

    «Probabilmente tu sei l’eccezione che conferma la regola. Per favore mi prepari un whisky?»

    «Ma Lilly sono le dieci del mattino e vuoi già cominciare a bere?» replicò Roberto.

    «Ti prego, devo bere qualcosa che mi aiuti a mandare giù quello che ho visto!» supplicò Lilly.

    «Ti va di venire a casa mia per il pranzo? Mia moglie ne sarebbe felice.»

    «No, ti ringrazio Roberto, ma sembra che la testa voglia scoppiarmi da un momento all’altro, quindi prima che vi ritroviate in ufficio frammenti della mia scatola cranica, vorrei scrivere l’articolo e poi correre a casa a riposarmi.»

    Lilly tornò a casa all’ora di cena, l’articolo era stato abbastanza impegnativo. Appena entrata indossò degli abiti comodi, cucinò velocemente due uova in padella che mangiò sforzandosi un po’. Poi si versò un whisky, riempendo il bicchiere fino all’orlo e ingoiò qualche compressa di tranquillante, poi si sedette nel suo magico terrazzo.

    La giornata era stata terribile: terribili quelle scene, il corpo di quella povera donna con il torace squarciato, il sangue sparso ovunque.

    Ma in quella scena c’era qualcosa che non la convinceva. Perché Elsa aveva in mano il coltello? La polizia aveva asserito che la donna era riuscita a strapparlo dalle mani del marito dopo una colluttazione, nel tentativo di sfuggire a quell’orrenda morte, ma almeno a prima vista non aveva notato nessun segno di colluttazione, anzi, tutto era perfettamente in ordine, perfino il cadavere di Elsa sembrava essere stato messo in modo composto.

    Ma, forse sono tutte fantasie frutto ed effetto del cocktail whisky-sedativi pensò fra sé. Quel miscuglio, infatti, stava facendo effetto, il dolore che provava e che rimbombava dentro tutto il suo essere, piano piano cedeva, incominciava ad abbassarsi di volume, impedendole finalmente di pensare. Così sentendo il sonno prendere il sopravvento si ritirò nella sua camera da letto e provò a dormire un po’.

    Durante la notte Lilly, come al solito, fece incubi terrificanti e dormì pochissimo, svegliandosi sudata e oppressa. Un incubo ricorrente la perseguitava ogni notte, non ne capiva il significato, ma si ripresentava puntuale per torturarla.

    Quella mattina si alzò, fece una doccia, una breve colazione, e si recò in redazione.

    «Buon giorno Roberto!»

    «Buon giorno Lilly! Che brutta cera hai stamattina! I soliti incubi? Scommetto che hai dormito poco e bevuto molto!»

    «Quando avrai finito con questo interrogatorio mi piacerebbe sapere se ci sono novità sul caso Ferrante! Poi, ti prego mi servono con urgenza un caffè e due aspirine, ho di nuovo la testa che mi scoppia!»

    Dopo qualche minuto Roberto arrivò con il caffè e le aspirine che gli aveva chiesto Lilly con aria supplichevole, e poi le chiese: «cosa vuoi sapere sul caso Ferrante? Si tratta dell’ennesimo femminicidio. Il PM ha chiesto il processo per direttissima, Luigi Ferrante ha confessato e il giudice in sede cautelare ha convalidato l’arresto proprio perché reo confesso e trovato in flagranza di reato.»

    «E la bambina? Non dimentichiamoci che è l’unico testimone oculare e che potrebbe fornirci delle informazioni utili, è stata interrogata?»

    «Non è stato necessario sottoporla ad un interrogatorio perché come ti ho detto Luigi Ferrante ha confessato, la bambina è stata affidata ai nonni materni che ne vorrebbero chiedere l’affidamento. Ma perché tanta curiosità sul caso Ferrante?»

    «Non mi sembra necessaria tutta questa premura di concludere un caso come questo. In fondo una donna è morta con quattordici pugnalate al petto davanti alla figlia. È un caso che mi sembra meritevole di approfondimento e poi c’è qualcosa che non mi convince!»

    «Cosa Lilly sentiamo!»

    «È stato dato per scontato che la donna avesse in mano il coltello per legittima difesa»

    «Esatto.»

    «Una donna, quindi, avrebbe avuto la forza di strappare dalle mani di un uomo, preso da un raptus di follia, l’arma del delitto e chissà che la scientifica non ci dica anche che questo sia avvenuto dopo essere stata colpita più volte al cuore, riuscendo inoltre a disamarlo dopo una colluttazione corpo a corpo, e senza lasciare segni, perché a parte l’abbondanza di sangue presente in quella stanza e il petto squarciato di Elsa, io ho trovato tutto perfettamente in ordine, non ti sembra strano tutto questo?»

    «Non capisco dove vuoi arrivare» chiese Roberto.

    «Se si fosse trattato di legittima difesa, Elsa avrebbe potuto cercare di parare i colpi, afferrando qualche oggetto o gli stessi cuscini del divano cercando di attutire qualche colpo, poteva usare il suo violino, insomma niente, sembra sia stata uccisa nel sonno, altro che colluttazione!»

    «Sai Lilly, io credo che a te non piaccia la vita semplice, ami complicartela per riempire quel vuoto che alberga in te e che riesci a riempire solo con alcol e psicofarmaci!»

    Lilly si sentì umiliata da quelle parole pronunciate da Roberto, fra l’altro d’innanzi a tutti i suoi colleghi. L’autostima verso se stessa si affievoliva sempre più. Comunque rispose reagendo: «ci risiamo con le tue prediche! Io non do niente per scontato, anzi sono proprio le cose scontate che mi fanno sorgere dei dubbi.»

    «E cosa intendi fare?»

    «Per ora nulla, poi si vedrà!»

    «Non fare passi sbagliati!» disse Roberto con uno strano tono.

    Quella frase suonò nella mente di Lilly come una sorta di minaccia e chiese insospettita: «in che senso scusa?»

    «Nel senso che non voglio che tu ti metta in qualche guaio per una strana fissazione» rispose Roberto cercando di modificare il tono giacché aveva colto in Lilly un’espressione strana.

    «Ti prego Roberto non trattarmi come se fossi una pazza!»

    «No, scusa, non intendevo dire questo, mi preoccupo solo per te!»

    «Ti ringrazio, ma non ti ho nominato l’angelo custode della mia vita, né tanto meno il grillo parlante che deve suggerire alla mia coscienza. Sono sufficientemente adulta per badare a me stessa e riguardo al mio lavoro credo che fino adesso non ti abbia dato molti motivi per lamentarti!» disse Lilly quasi in preda ad una

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