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Dominio
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E-book292 pagine4 ore

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Info su questo ebook

Un’avventura coinvolgente piena di colpi di scena che lascia con il fiato sospeso ad ogni pagina.
Tutto ha inizio in Africa, con gli animali che cominciano a tenere comportamenti anomali; poi l’azione si sposta sulla scena di un intrigo diplomatico che vede protagonista l’ambasciatore americano a Roma. I due scenari, all’apparenza scollegati, iniziano poco a poco a intrecciarsi, dando vita a una trama intricata e appassionante che porterà a rivelazioni inimmaginabili...
Fantasia?
Realtà?
Potrebbe accadere davvero?

Il mio nome è Alberto Brero, ho 43 anni. Sono sposato con Cristina. Abbiamo due splendidi bambini, Anna e
Francesco. Vivo e lavoro tra Moretta e Lagnasco, in provincia di Cuneo. Mi sono laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie presso l’Università Di Torino. Oggi conduco, con mio fratello
Paolo e mio padre, l’azienda di famiglia nella quale produciamo prevalentemente frutta biologica. Amo il mio lavoro, il contatto costante con la natura, la vita all’aria aperta, il seguire la ciclicità delle stagioni e il vivere immerso in grandi spazi aperti. Tutto questo mi fa sentire un uomo libero.
Adoro leggere, viaggiare, ascoltare musica e cucinare per la mia famiglia e gli amici.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2023
ISBN9788830679122
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    Anteprima del libro

    Dominio - Alberto Brero

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    FRED

    Drake Johnson era un bambino di 6 anni, capelli biondi lunghi alle spalle, furbi occhi verdi. Si trovava nel giardino a giocare con Billy, il suo cane, quando la mamma dalla finestra della cucina lo chiamò: Ehi tesoro? Vieni a fare i compiti disse mentre si legava i capelli. Come sempre, però, sapeva che sarebbe stata la prima di innumerevoli volte prima che suo figlio l’ascoltasse. Così, sorridendo, smise di chiamarlo e si disse che i compiti li avrebbe fatti più tardi.

    Era una bella mattina di fine ottobre del 2023. Il sole era ancora tiepido nel cielo e si sentivano nell’aria quei profumi di autunno tipici delle campagne intorno a Roma. Suo padre, Frederick Johnson, era l’ambasciatore americano in Italia da cinque anni. Drake era nato a Sacramento, in California, paese natale del padre. Si erano trasferiti li quando aveva 2 mesi, motivo per cui si riteneva italiano a tutti gli effetti. Suo padre era tornato più volte negli Stati Uniti per lavoro, ma lui e la mamma erano sempre rimasti nella capitale italiana. Non avevano più nessuno là. I nonni erano morti da un pezzo e sia Frederick che Anna, sua moglie, erano figli unici. Prima di Roma il padre era stato diplomatico alle Nazioni Unite ed avevano sempre viaggiato molto. Con l’arrivo di Drake aveva cercato una sistemazione più stabile e quando gli era stata proposta l’ambasciata americana in Italia accettò immediatamente.

    Frederick era un uomo di 40 anni, alto, con le spalle larghe e un fisico atletico dovuto al nuoto agonistico praticato negli anni dell’adolescenza fino al college. Era riservato, calmo, amorevole con moglie e figlio ed educato con tutti. Da qualche tempo, però, non era più lo stesso. Era diventato silenzioso, scorbutico, tornava tardi la sera e si percepiva chiaramente che era pervaso da preoccupazioni.

    Quella mattina era uscito di casa promettendo a suo figlio che la sera sarebbe rincasato prima per passare del tempo con lui. Drake non vedeva l’ora di giocare con il papà.

    Quella stessa sera, quando Frederick rientrò, era già notte fonda e Drake, dopo averlo atteso per ore, era crollato dal sonno sul divano in salotto, insieme alla mamma.

    Quando li vide sentì una fitta allo stomaco e il senso di colpa lo colpì come un pugno.

    Appese l’impermeabile ed il capello, posò la valigetta di pelle sul tavolino di ebano vicino all’ingresso e si avvicinò al divano. Passò prima una mano tra i capelli del figlio e poi fece una carezza ad Anna che si svegliò. Quando aprì gli occhi il suo sguardo si fece subito severo, lui lo notò e sentì un secondo colpo arrivare alla bocca dello stomaco, fece un respiro profondo per scacciare i sensi di colpa e disse: Anna, vieni, devo parlarti. In quelle poche parole c’era tutta l’ansia e la preoccupazione di quell’ultimo periodo.

    Andarono in cucina, lui prese una bottiglia di Bollinger dalla cantinetta, Anna prese due flûte e si sedettero al tavolo.

    Anna esordì: Cosa succede Fred? Sono diversi giorni che ti vedo strano, cambiato! Dimmi, va tutto bene?.

    Lui versò un po’ di champagne nei bicchieri e ne bevve un lungo sorso. No Anna, non va per nulla bene disse.

    Lei si accigliò, appoggiò i gomiti sul tavolo e incrociò le mani davanti al volto Forza, dimmi disse in tono severo. Fred fece un lungo sospiro, si versò dell’altro champagne nel bicchiere e bevve ancora.

    Allora? Devo aspettare ancora tanto? Ti decidi a parlare oppure devo torturarti? disse lei cercando di apparire simpatica.

    Ok, ok disse Frederick. Ma mi devi promettere che farai cosa ti dirò aggiunse in tono duro guardandola dritto negli occhi. Anna sciolse le mani, si appoggiò allo schienale ed incrociò le braccia al petto. Rimase per un attimo in silenzio poi aprì la bocca e con voce tremante disse: Cazzo Fred, mi stai spaventando, ma che cosa succede?. Quando era nervosa Anna usava sempre un linguaggio colorito. Fred lo sapeva.

    Scusami, io....

    Scusami un accidente, parla! lo disse alzandosi dalla sedia di scatto facendola cadere all’indietro e sbattendo i palmi delle mani sul tavolo.

    Tutto quel trambusto svegliò Drake. Papà, sei tornato, che succede? disse sbadigliando Stavate litigando?.

    Oh no, disse Fred, affatto. Si alzò e andò verso il divano. Anna era fuori di sé, in parte per come si era comportata, sapeva che la sua reazione era stata fuori luogo, in parte perché non era riuscita a parlare con suo marito, e questo fatto la rendeva ancora più nervosa. Prese il bicchiere e bevve tutto d’un sorso il vino rimasto. Era fresco, frizzante, dolce e amaro allo stesso tempo... lo sentì scendere nello stomaco e un attimo dopo aveva ripreso il controllo di sé. Si avvicinò a Drake, lo prese in braccio e lo portò in camera sua.

    KARL

    Karl Strass stava correndo sulla Nyali Beach, a nord di Mombasa, Kenia, quando il telefono squillò. Guardò il suo Apple watch e vide che era il rettore dell’università di Nairobi. Il suo rettore. Decise che l’avrebbe chiamato più tardi.

    Il telefono smise di squillare. Ma riprese dopo pochi istanti. Sempre lui.

    Karl sbuffò. Aveva ottenuto la cattedra anche grazie al rettore, James Krull, perciò decise di rispondere.

    Buongiorno dott. Krull disse cercando di farlo in modo fluido e di nascondere il fiatone dovuto alla corsa...

    Sì, sì, salve anche a lei dottore... senta, le devo parlare, venga nel mio ufficio appena può.

    Ma sono a Mombasa adesso, ricorda? Mi sono preso qualche giorno dato che le lezioni sono state sospese disse Karl. Percepì borbottare qualcosa di incomprensibile dall’altra parte e lo sentì tossire. Se lo immaginò seduto nella sua poltrona di pelle bianca, con la camicia a quadri e le bretelle che gli avvolgevano l’enorme pancia, tutto sudato a fumare il suo sigaro.

    Sta succedendo qualcosa di strano, dott. Strass, rientri il prima possibile, la prego. Ci vediamo domani mattina nel mio ufficio. e riagganciò. Karl appoggiò le mani alle ginocchia e cercò di riprendere fiato. ‘Cosa mai potrà essere successo’, pensò. Tornò indietro e si diresse all’hotel.

    Erano le 8 di mattina, se fosse partito subito sarebbe arrivato entro sera, Nairobi distava circa 10 ore di macchina se tutto fosse filato liscio. Così fece.

    La sera stessa fu di ritorno. Aveva una bella casa in centro Nairobi, la capitale, circondata da un parco con altre villette, per lo più di funzionari governativi esteri. Tutto il comprensorio era cintato e sorvegliato da guardie armate. Il livello di sicurezza era alto. Il portiere lo riconobbe, lo salutò, alzò la sbarra per farlo entrare con l’automobile. Si diresse verso il suo garage. Era davvero stanco. Entrò in casa, si fece una doccia, mangiò quel che trovò e andò a dormire.

    Ebbe un sonno agitato, si svegliò diverse volte senza mai addormentarsi profondamente. Quando al mattino, tutto sudato, andò in bagno a farsi una doccia, era più stanco della sera prima. Si rese conto che quella notte non si era riposato per nulla, ma aveva un appuntamento e non voleva fare tardi. Dopo essersi asciugato e rasato per bene, si passò il dopobarba senz’alcool e si vestì, camicia bianca, pantaloni di lino color avorio e una giacca blu in tinta con un paio di mocassini ed uscì, diretto all’ufficio del rettore.

    FRED

    Dopo circa venti minuti, Anna scese l’ampio scalone che collegava il piano terra con il primo della villetta in stile romanico dove risiedevano. Aveva portato il figlio di sopra, nel suo letto. Frederick la stava aspettando in cucina, seduto sulla sedia con la testa tra le mani.

    Tesoro, eccomi, ti chiedo scusa per la mia reazione di poco fa, non volevo. Drake sta dormendo ora, vieni, lo prese per mano e lo condusse a sedere sulle poltroncine in terrazza. La serata era fresca, il cielo stellato, la temperatura ancora mite per il periodo e rendevano il terrazzo un luogo molto gradevole e intimo. Si sedettero ed Anna prese la mano del marito tra le sue. Lo guardò negli occhi e disse: Ehi Fred, sono qui, tranquillo, rilassati… dimmi cosa sta succedendo.

    Frederick le strinse la mano, la guardò e scoppiò in un pianto soffocato. Anna capì subito che la situazione era più grave di quel che poteva immaginare. Trasse un profondo respiro e lo abbracciò per tranquillizzarlo. Gli prese il viso tra le mani e guardandolo dritto negli occhi sussurrò: Non so cosa tu abbia visto o sentito, ma sappi che io sarò sempre al tuo fianco. Sempre, nella buona e nella cattiva sorte, ricordi? e lo baciò sulla fronte. L’ambasciatore prima l’abbracciò, poi si allontanò leggermente e la guardò Anna, dobbiamo andarcene al più presto. La moglie, a quelle parole, rimase impietrita. Dopo qualche attimo di silenzio, il tempo di raccogliere le idee, cercò di parlare ma non le uscivano le parole. Il cervello le era andato in tilt. Non sapeva, non osava chiedere. Nella sua mente passarono mille e più pensieri, sembravano tutti assurdi ma allo stesso tempo possibili. Sentì il cuore battere all’impazzata. Pensava a suo figlio, al futuro. Frederick capì la situazione e continuò: Anna, dobbiamo prepararci ad andarcene. Ho avuto delle informazioni, che se saranno confermate... fece una pausa cercando di mantenere il controllo potrebbero essere devastanti. Anna sprofondò nella poltroncina su cui era seduta e si portò le mani alla bocca. Cosa?? Ma… ma che… perché dici così? Che cosa significa?. Gli occhi si erano riempiti di lacrime e terrore, la luce che fino a pochi istanti prima brillava si era affievolita…

    Ascolta Anna disse Fred in tono serio e determinato. So da tempo che la crisi tra gli USA e la Cina è molto più seria di quanto i giornali riportino, ma non pensavo fino a questo punto. Ti ricordi di Jack Fisher? Il mio compagno al college che lavorava nell’FBI?. Lei annuì silenziosamente. Da qualche anno è passato ai servizi segreti. Siamo sempre rimasti in contatto, eravamo molto amici. Alcuni giorni fa mi ha mandato una mail dove mi chiedeva di contattarlo ad un numero riservato. Così ho fatto. Fin da subito l’ho sentito spaventato.

    Anna era immobile, con le lacrime che scendevano dai suoi occhi come se non potesse contenerle. Fred prese il cellulare dalla tasca e fece ascoltare la breve registrazione della telefonata con Jack: Fred, qui sta succedendo qualcosa di davvero spaventoso. Non posso dirti altro ora, prendi la tua famiglia e vattene subito da lì. Prenota un volo per l’Africa, meglio il Sud Africa. Se sarò ancora vivo ti contatterò nei prossimi giorni. La linea si interruppe. Anna cercò con tutte le sue forze di parlare, ma era come paralizzata. Nessun muscolo del suo corpo al momento sembrava risponderle. Fred abbassò la voce, si avvicinò e disse: Io mi fido di Jack. Ha rischiato la vita per questo, significa che c’è qualcosa di veramente serio. Ho già prenotato un volo per Johannesburg. Partiamo domani sera.

    Anna era vitrea in volto. Gli occhi si erano affossati improvvisamente. Con un filo di voce disse: Ma dove andiamo? E Drake? Cosa… cosa gli diciamo? Non… cioè… non è così facile… voglio dire….

    Fred alzò un po’ la voce come a destarla dai suoi incubi: È semplicissimo invece, fai le valigie e partiamo.

    KARL

    Appena arrivato al campus, Karl si diresse subito al chiosco vicino al parco, sotto quel meraviglioso baobab che lui amava moltissimo. Ordinò il suo caffè shakerato con latte di cocco e polvere di cacao e si sedette ad un tavolino ammirando il cielo. Si sentiva fortunato.

    Quando aveva accettato quella cattedra sapeva che sarebbe andato tutto bene, mai avrebbe pensato così bene. Aveva lasciato la famiglia, gli amici, tutto ciò che aveva per trasferirsi lì. Un posto che sulla carta non prometteva grandi cose, poco sicuro, ma con un paesaggio naturalistico senza eguali. Karl aveva intrapreso studi scientifici, si era laureato in biologia, specializzandosi successivamente in etologia, la scienza che studia il comportamento degli animali e l’adattamento delle piante all’ambiente proprio perché amava la natura, la biodiversità e a tal proposito il continente africano era perfetto. Così senza pensarci due volte lasciò Londra. I primi tempi erano stati duri, però già dopo qualche settimana sentiva di aver fatto la cosa giusta. Appena arrivò il caffè, lo gustò piano piano, chiudendo gli occhi, ogni sorso che scendeva giù per la gola gli dava un piacere quasi divino. Prima di deglutirlo lo tenne un po’ in bocca come a imprimere nella sua mente quel gusto, quella sensazione. Da qualche tempo stava pensando di dedicare del tempo agli altri, a quelli meno fortunati. Sentiva la necessità di sdebitarsi con Dio, nonostante non ci credesse molto. Vivendo in un paese come il Kenya ogni giorno vedeva situazioni diametralmente opposte: da una parte poveri orfani che chiedevano l’elemosina, magari con qualche mutilazione più o meno evidente, scene di degrado e di povertà vera, e dall’altra persone che si arricchivano a spese dei più poveri, spesso in modo disonesto. Questo non gli piaceva. Sapeva che non avrebbe potuto aiutarli tutti, però, nel suo piccolo, voleva fare qualcosa. Aveva visto, sulla strada per il campus, una piccola chiesetta cristiana, dove ogni giorno molte persone entravano ed uscivano. Aveva preso un po’ di informazioni al riguardo. Il prete della parrocchia gestiva, come poteva, una squadra di volontari per gli aiuti più essenziali per chi ne avesse fatto richiesta. Si appuntò nella mente di passare quanto prima. Il giovane cameriere del bar lo destò dai suoi pensieri. Ecco il suo conto, signore. Oh, grazie disse Karl. Lasciò sul tavolino il denaro ed una bella mancia per quel ragazzo dagli occhi furbi e si diresse verso l’ufficio di James Krull.

    L’ufficio del rettore era in fondo al corridoio e già a diversi passi di distanza si sentiva l’odore di fumo. Karl non era ancora riuscito a capire se quell’odore gli desse fastidio oppure no. Era un profumo di vaniglia, dolciastro, ma non sempre. A volte era più fumoso, come lo definiva lui, altre più piacevole. Forse perché il rettore fumava due tipi di sigari diversi, o forse perché dipendeva anche dalle condizioni del suo ufficio che a volte era ordinato e pulito, altre volte un vero disastro. Quando entrò, dopo aver bussato, capì subito che quella era la volta dell’ufficio disordinato. Il dott. James Krull era seduto alla sua scrivania. Alto poco più di 160 cm pesava 130 kg, sulla sessantina. La sua pelle era nera come l’ebano, il cranio era pieno di infiniti ricci neri e grigi, gli occhi erano scuri ma la sclera era di un giallo pesante, sintomo di un’itterizia cronica, dovuta a problemi di fegato, che date le abitudini alimentari dell’uomo, doveva essere sicuramente compromesso.

    Era molto religioso, ogni giorno si recava nella chiesa accanto, nonostante questo si era separato tre volte, e da due delle sue ex mogli era pure stato denunciato per presunte violenze. Non aveva mai voluto figli. Malgrado ciò a Karl non dispiaceva quell’uomo. Con lui era sempre stato disponibile e gentile. In più lo riteneva molto intelligente.

    Ah, venga venga dottore, si sieda pure. Karl si guardò intorno, le sedie erano tutte quante occupate da libri, scartoffie, su una c’era un vassoio con delle tazze che, a giudicare dalle incrostazioni, dovevano essere lì già da qualche giorno. Un po’ imbarazzato guardò il rettore che sembrò capire all’istante la situazione e si rimproverò di non averci pensato prima. Fece per alzarsi dalla poltrona ma la sua stazza gli rese la cosa complicata. Dopo qualche gemito e sbuffo riuscì a mettersi in piedi. Prese il fazzoletto dalla tasca e se lo passò sulla fronte nera velata costantemente di sudore. Fece il giro della scrivania, la camicia gli era uscita dai pantaloni e quando si abbassò per fare posto sulla sedia di fronte a lui una bretella si sganciò lasciando così esposto parte del fondoschiena. Il rettore imprecò. Cerco di risistemarla immediatamente ma nel movimento che fece per afferrare il gancio slacciato urtò con la pancia dei libri sulla scrivania facendoli cadere sul pavimento. Karl dovette trattenersi per non scoppiare a ridere. Così decise di lasciar perdere e invitò il professore a sedersi sul divanetto in fondo all’ufficio, più libero da cianfrusaglie.

    FRED

    Frederick andò in soffitta a prendere le valigie. Nella sua mente i pensieri si confondevano… Cosa avrà voluto dire Jack? Qualcosa di veramente spaventoso… continuava a pensarci ed immaginare che cosa potesse essere… ma per quanto si sforzasse non ci riusciva, ora la sua priorità era raggiungere il Sud Africa alla svelta e proteggere la sua famiglia. Quando arrivò al piano di sotto sua moglie era chiusa in bagno. Si avvicinò alla porta e la chiamò piano. Non ricevette risposta. Sentì Anna piangere disperatamente e questo gli spezzò il cuore. La chiamò di nuovo battendo con le nocche sulla porta. Lei si guardò allo specchio, aprì l’acqua fredda e si sciacquò il viso più volte. Fece un lungo respiro, poi un altro e ancora un altro. Si asciugò e aprì. Fred la osservò. Aveva ripreso il controllo. Lo sguardo era ancora impaurito, ma aveva una luce diversa, sembrava più sicura, più determinata. Fred, amore. Dobbiamo fare tutto il possibile per salvare nostro figlio. Io non so perché dobbiamo andarcene, non so se Jack si sia bevuto il cervello o se stia dicendo la verità.

    Anna, io mi fido di Jack….

    Bene, proseguì lei, dove sono le valigie?.

    Passarono il resto della notte a preparare i bagagli, a fare supposizioni, a piangere e ridere. Si addormentarono poco prima dell’alba.

    Quando aprì gli occhi, Fred si girò verso Anna e vide che stava ancora dormendo.

    Scostò con delicatezza le coperte e scese facendo attenzione a non svegliarla.

    Si infilò le ciabatte di pelle nera che teneva vicino al letto e andò in bagno. Aprì l’acqua della doccia, scelse una temperatura di 38 gradi, richiuse la porta del box e andò alla finestra. Guardò fuori. Il sole all’orizzonte cercava di farsi largo tra le fitte nubi nere, quei pochi raggi che riuscivano a passare le coloravano di un viola tetro. Aprì leggermente per verificare la temperatura e sentì l’aria frizzante farsi spazio intorno a lui. Chiuse e concluse che dovevano al massimo esserci 7/8 gradi. Non di più. Il vapore dell’acqua calda stava iniziando ad uscire dalla doccia, questo significava che era arrivata alla temperatura richiesta. Entrò. Appena la cascata d’acqua dal soffione lo colpì sulla schiena fu percorso da un brivido piacevole.

    Stette un paio di minuti a godersi il momento poi i pensieri cominciarono a invadergli la mente. Così prese il bagnoschiuma e si insaponò. Guardò l’orologio digitale appeso al muro. Erano le 7:47.

    Non c’era tempo da perdere. Il loro aereo sarebbe partito alle 16:45, ma Frederick doveva sbrigare ancora alcune cose in ambasciata. Si sciacquò, indossò l’accappatoio ed uscì. Si guardò allo specchio. Il suo viso era stanco. Si accorse che era dimagrito. Le rughette attorno agli occhi e alla bocca si erano accentuate. Non era questo il momento di essere narcisisti pensò. Si vestì in fretta senza badare più di tanto a cosa indossare. Solitamente era molto attento, anche perché il suo ruolo richiedeva, quasi tutti i giorni, un profilo elegante, e lui preparava la sera prima l’abito, la camicia e la cravatta per la mattina successiva, in base a quella che sarebbe stata l’agenda della giornata. Talvolta aveva appuntamenti importanti, con capi di Stato o comunque con personaggi di spicco a livello internazionale. Altri, invece, erano più mondani, come l’inaugurazione di qualche struttura, la partecipazione ad una fiera, la presentazione di un libro di qualche collega o amico, ecc. Ma quella mattina non ci pensò molto, si infilò l’abito del giorno precedente, cambiò solo la camicia. La scelse azzurra, l’abito era antracite, sartoriale, come tutti gli altri.

    Dopo essersi vestito e pettinato, si mise la solita spruzzata del suo profumo preferito, un Bulgari Extreme e uscì dal bagno. Anna era appena scesa dal letto e stava indossando la sua vestaglia color cachi. Era tutta spettinata. Fred notò ancora una volta la sua bellezza pura, naturale. Non glielo aveva mai detto, pensò, non abbastanza. Quante cose non erano mai state dette. Come stai tesoro? chiese lui. Domanda di riserva? disse lei facendo un sorrisetto triste. Fred le si avvicinò e l’abbracciò.

    Stettero un attimo così poi lui riprese: "Devo andare in ambasciata, ho disdetto tutti gli appuntamenti per oggi, per fortuna non c’era nulla di che. Voglio

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