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Solo quando dormo
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E-book400 pagine5 ore

Solo quando dormo

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Info su questo ebook

In fuga dal suo ex, un uomo brutale e senza scrupoli, Beth viene accolta da Mary-Ann Jones e da suo figlio Ryan, un veterano di guerra, danneggiato da un passato che non può dimenticare.
Beth trova così rifugio in una casa abbandonata di proprietà dei Jones, che cela però dei terribili segreti. Là dentro nulla è come sembra e, quando la giovane ritrova i diari di una donna scomparsa nel 1942, fantasmi di un tragico passato si risvegliano, con conseguenze fatali.
Ryan è il solo che potrebbe aiutarla, ma è un uomo diffidente ed è convinto che la ragazza non abbia raccontato tutta la verità su di sé.
Beth, infatti, troppo ferita dal suo passato e terrorizzata dal fatto che il suo ex la possa rintracciare, tiene tutti a distanza.
I due, però, potrebbero non avere scelta: perseguitati nel presente e perseguitati dal passato, dovranno imparare a fidarsi l’uno dell’altra per poter sopravvivere.
LinguaItaliano
Data di uscita4 set 2021
ISBN9788855313544
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    Anteprima del libro

    Solo quando dormo - E.V. Lind

    Solo quando dormo

    Solo quando dormo

    E.V. Lind

    Hope Edizioni

    Titolo: Solo quando dormo

    Autrice: E.V. Lind

    Copyright © 2021 Hope Edizioni


    Titolo originale: Only When I Sleep

    Copyright © 2019 YVONNE LINDSAY

    www.hopeedizioni.it

    info@hopeedizioni.it


    ISBN EBOOK: 9788855313544


    Progetto grafico di copertina a cura di FranLu

    Immagini su licenza di Bigstockphotos.com e Depositphotos.com

    Fotografi: Xalanx, Nina_Susik, netfalls e ando6


    Traduttrice: Ilaria Scorrano

    Editing: Veronica Morelli

    Correzione di bozze: Fiorenza Borgia e Done&Tail

    Rilettura finale: Stefania Bilotti

    Impaginazione digitale: Hope Team


    Questo libro è concesso in uso esclusivamente per il vostro intrattenimento personale. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta in qualunque forma o con qualsiasi mezzo elettronico o meccanico, compresi i sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni, senza il permesso scritto dell’autore, tranne nel caso di brevi citazioni contenute in una recensione. Se state leggendo questo libro e non lo avete comprato, per favore, scoprite dove potete acquistarne una copia. Vi preghiamo di rispettare il lavoro dell’autore. Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, avvenimenti o luoghi è puramente casuale.

    Tutti i diritti riservati.


    Prima edizione digitale settembre 2021

    Indice

    UNO

    DUE

    TRE

    QUATTRO

    CINQUE

    SEI

    SETTE

    OTTO

    NOVE

    DIECI

    UNDICI

    DODICI

    TREDICI

    QUATTORDICI

    QUINDICI

    SEDICI

    DICIASSETTE

    DICIOTTO

    DICIANNOVE

    VENTI

    VENTUNO

    VENTIDUE

    VENTITRÉ

    VENTIQUATTRO

    VENTICINQUE

    VENTISEI

    VENTISETTE

    VENTOTTO

    VENTINOVE

    TRENTA

    TRENTUNO

    TRENTADUE

    TRENTATRÉ

    TRENTAQUATTRO

    TRENTACINQUE

    TRENTASEI

    TRENTASETTE

    TRENTOTTO

    TRENTANOVE

    QUARANTA

    QUARANTUNO

    Hope Edizioni

    UNO

    Crash!

    Si allontanò dallo specchio del bagno, con la nota stonata che stava cantando allegra strozzata in gola dal terrore.

    Non ebbe bisogno di guardare per sapere chi era stato a sfondare la porta d’ingresso e i cui passi pesanti riecheggiavano in fondo allo stretto corridoio centrale di casa sua. Lo sapeva. E sapeva che quella volta non avrebbe voluto solo darle una lezione. Quella volta sarebbe stata fortunata se l’avesse lasciata vivere. Avrebbe dovuto scappare nel momento in cui la porta d’ingresso era stata aperta. Sarebbe potuta uscire dal retro, ma adesso era intrappolata in una stanza piccola con la finestra bloccata. Fece girare la porta del bagno sui cardini. Vi si poggiò contro nel disperato tentativo di chiuderla, e di far scorrere il vecchio chiavistello.

    Subito dopo, era sdraiata sul pavimento piastrellato. La porta sbatté contro il muro del bagno e la sagoma massiccia del detective Dan Henderson invase la soglia, bloccandola all’interno.

    «Beth, Beth, Beth.» L’uomo scosse la testa e sogghignò, poi le gettò un foglio di carta stropicciato in faccia. «Una richiesta di ordine restrittivo?»

    La paura di ciò che le avrebbe fatto minacciava di sopraffarla, di renderla debole, ma non poteva, e non doveva, permettere a se stessa di continuare a essere una vittima. Aveva troppo da proteggere, troppo per cui vivere.

    «V-vattene» gli disse con voce rotta.

    Si spinse sul pavimento, lontana da lui, fino a che la sua schiena colpì il lato della vasca.

    Dan rise. Quel suono le fece rizzare i capelli. «V-vattene?» la imitò lui. «Non penso proprio, cagna. Decido io chi va e chi resta, non un patetico pezzo di carta e di certo non tu.»

    «Chiamerò...»

    «Chi chiami? La polizia? Sono già qui, tesoro. Uno dei migliori di Portland, ricordi? Solo e soltanto per te, lo sai.»

    Dan la fissò, i suoi occhi ardevano di rabbia, ardevano d’amore. Mentiva. Aveva sempre mentito, ma le ci era voluto troppo per rendersene conto, per capire che lui usava la verità con parsimonia, per controllare la gente. E non era tutto. Lui usava il dolore, mentale, fisico, sessuale, non gli importava quale, purché avesse il controllo.

    Il timore di ciò che stava per succedere riempì ogni angolo buio della sua mente. Il timore e la consapevolezza di essere stata tanto stupida quanto le diceva lui, se si aspettava che obbedisse a qualcosa di così effimero come un ordine restrittivo.

    La mano di Dan scattò e dita crudeli si aggrovigliarono tra i suoi capelli, strattonandola verso di lui. Beth urlò in segno di protesta mentre il dolore le dilaniava il cuoio capelluto.

    «Lasciami andare!» implorò.

    Lui fece un verso contrariato. «Te l’ho detto, non lascio mai andare ciò che è mio, tesoro. E tu sei mia.»

    C’era una piattezza nella sua voce, un’inevitabilità che filtrò attraverso la sua paura e alimentò il suo bisogno di sopravvivere. Se non altro per il suo bambino.

    «Sta arrivando qualcuno. Sa dell’ordine restrittivo. Ti vedrà qui.»

    Fu inutile. Dan rise, e il suono riecheggiò sordo tra le pareti.

    «Allora è meglio se non perdo tempo.»

    Beth fece di tutto per liberarsi, ma lui allentò appena la presa.

    «Stiamo diventando grintose, eh? Be’, vediamo un po’.» Dan allungò l’altra mano verso la piastra per capelli che lei stava usando prima del suo arrivo.

    La ragazza si sforzò di mantenere la voce ferma, per tenere a bada il panico. Lui si nutriva dell’intimidazione; non poteva permettersi di dargli ancora più potere. Ma fu inutile. Il dolore provocato dalle dita che tiravano forte i capelli le fece sgorgare le lacrime dagli occhi.

    «Dan, dico sul serio» lo implorò. «Non voglio che tu ti metta nei guai. Il mio amico sarà qui da un momento all’altro.»

    Per favore, fa’ che la minaccia di essere scoperto lo faccia andare via, pregò in silenzio. Come prima, la sua supplica sembrò solo incitarlo. Avrebbe dovuto sapere che lui avrebbe apprezzato la sfida.

    «Amico, eh? Sei proprio una troia bugiarda. Tu sei mia, ricordatelo. Non la puttana di qualcun altro. Mia!» Tirò la faccia di Beth verso la sua. «Vuoi morire, cagna? Ti stavi facendo bella per lui?»

    «No, non è come...» iniziò a protestare Beth, ma poteva già sentire il calore ustionante della piastra in ceramica, mentre lui la avvicinava inesorabilmente alla sua guancia.

    «Vedremo se sarà ancora interessato dopo questo» la schernì Dan mentre premeva la piastra contro la carne morbida della sua guancia e la trascinava verso la mandibola.

    Urlò a squarciagola, senza controllo. L’agonia le bruciava il volto, l’odore della sua stessa carne bruciata le riempiva le narici. Lo schiaffo sulla guancia bruciata arrivò come uno shock, aggiungendo altro pungente dolore al supplizio.

    Il respiro le rimase bloccato in gola mentre cavalcava l’onda, mentre lottava contro la nausea che rischiava di soffocarla.

    «Zitta, troia. O te la infilo dove ti farà veramente male.»

    Trattenne quel respiro. Se si fosse permessa di farne un altro avrebbe soltanto urlato di nuovo. Dall’esperienza passata, sapeva che quello era l’unico modo in cui riusciva a controllarsi, perché Dan Henderson era un uomo di parola. Sapeva senza ombra di dubbio che avrebbe messo in pratica la minaccia. Avrebbe fatto ciò che doveva, sopportato ciò che doveva, pur di tenere al sicuro il suo bambino.

    «Eccola, questa è la mia ragazza» canticchiò, allentando la presa sui suoi capelli.

    Beth lasciò uscire il respiro a poco a poco. In modo lento e prudente, ne fece un altro.

    «Oh, guarda un po’, cosa abbiamo qui?»

    Dan le afferrò la mano e la premette contro il suo inguine.

    Attraverso i jeans sentì la sua erezione e sussultò. «Sai cosa vuol dire, vero, tesoro?»

    Le lasciò andare la mano e le spinse la gonna sulle cosce, strappandole le mutande prima di liberarsi dei jeans.

    «Ti prego, Dan. Non farlo. Non così» lo implorò.

    «Proprio così, invece» sussurrò lui aspro. «Ciò che voglio, ottengo. Ricordi? Oh no, aspetta, lo hai dimenticato. Hai dimenticato che puoi pensare solo quello che ti dico di pensare. Che puoi fare solo quello che ti dico di fare. E che non esci, mai e poi mai, con nessun altro. Hai capito, troia?»

    Le strattonò le gambe e la gettò sul pavimento, facendole battere la testa sulla superficie dura. Beth vide le stelle e la nausea le risalì di nuovo dalla bocca dello stomaco. Poi fu dentro di lei. Per fortuna finì in fretta. Forse così se ne sarebbe andato. Ti prego, Dio, fa’ che se ne vada. Beth rotolò su un fianco mentre Dan si alzava e si sistemava i vestiti.

    «Domani torno. Vedi di darti una sistemata.» Le puntò uno stivale sulla schiena e sferrò un colpo secco. «Mi hai sentito, cagna?»

    «Sì, ho sentito» piagnucolò Beth, irrigidendo il corpo in attesa del prossimo calcio, del prossimo pugno.

    «Guardami quando ti parlo» le disse con un finto tono calmo.

    Lei alzò gli occhi, incrociò il suo sguardo, vide la follia che vi indugiava. Le risalì la nausea, ma deglutì per mandarla giù, non avrebbe mostrato debolezza. Dan si inginocchiò e le afferrò di nuovo i capelli. Questa volta Beth non sussultò neanche. Dan strinse gli occhi.

    «Sei diversa. Cos’è? Mmh? Pensi ancora di uscire stasera? O forse pensi semplicemente di tornare in centrale domattina e ripresentare quell’ordine restrittivo?»

    La spinse all’indietro e lei si dimenò sul pavimento; il suo braccio colpì il cestino dei rifiuti che teneva in bagno, spargendone il contenuto ovunque. Un bastoncino di plastica spiccò come un faro tra i rifiuti che si erano sparpagliati a terra. Gli occhi di Dan si posarono su di esso e la mano libera scattò per raccoglierlo.

    «E questo che cazzo è? Dimmi che non è tuo.»

    Dita crudeli si strinsero attorno alla sua spalla e la scossero, forte.

    «Rispondimi, cagna!»

    «È mio» sussurrò.

    Beth si raggomitolò su se stessa, consapevole di ciò che sarebbe successo dopo. Il pugno la colpì nella zona del fegato con una precisione infallibile. Soffocò l’ondata di dolore. Dolore che poteva sopportare, ci era abituata.

    La voce di Dan era bassa e minacciosa mentre scandiva le parole con i colpi. «Cagna! Puttana! Pensi di esserne all’altezza? Non sarai mai all’altezza di avere un figlio mio! Non ti ho detto che potevi avere un bambino. Non hai il mio permesso, come se potessi mai darlo a una come te. Sai che dovrò sbarazzarmene, vero?»

    Determinato, continuò a pestarla. Un pugno alla testa e al busto, calci alle gambe, alle natiche. Per tutto il tempo Beth si rifiutò di aprirsi, nel tentativo di impedirgli di arrivare all’addome, al basso ventre. Stava diventando sempre più difficile rimanere cosciente ma in qualche modo ci riuscì e alla fine, misericordiosamente, lui si fermò.

    «Non avrai quel bambino, hai capito?» ringhiò.

    Un altro calcio ben piazzato alla schiena.

    «Rispondimi!»

    Era la prima volta che alzava la voce e lei lo interpretò come un segno di quanto fosse vicino a perdere il controllo. Il pensiero la terrorizzò. Se questo era quello che le poteva fare intenzionalmente, di cosa sarebbe stato capace se avesse perso del tutto il controllo?

    «Sì» disse tra le ondate di dolore che la imploravano di mollare la presa sulla coscienza.

    Si abbassò accanto a lei e chiuse le dita attorno alla sua gola, stringendo forte.

    «Dillo come si deve» ordinò.

    «Sì. Ho. Capito» disse con la voce strozzata per le corde vocali compresse con ferocia.

    «Brava ragazza.» Sembrò quasi indulgente, ma Beth sapeva che lui era tutto tranne quello.

    Dopo un’ultima stretta la liberò, lasciandola a rantolare sulle piastrelle fredde. La testa di Beth nuotava tra le onde dell’agonia. Incapace di controllarsi ancora, il suo stomaco si contrasse prima di espellere i resti della tazza di tè che aveva bevuto prima della doccia. Continuò a vomitare fino a che non rimase più nulla. Incapace di muoversi, rimase lì sdraiata, con la faccia e i capelli imbrattati.

    «Immagino che alla fine non uscirai stasera» disse Dan con un tono colloquiale da qualche parte vicino alla porta. Beth si accorse a malapena di lui che si chinava per recuperare la richiesta accartocciata dal pavimento. «E questa non ti servirà più.»

    Ci fu il suono dell’accendino che schioccava, un lieve crepitio quando la fiamma arrivò alla carta e iniziò a consumarla. Tra la nebbia dell’imminente perdita dei sensi, Beth vide il foglio in fiamme cadere per terra nel corridoio, dove bruciò e annerì le frange di un tappeto di cotone. Il cotone avvampò, una tetra fiamma arancione prese vita, crescendo molto lentamente.

    «Guarda là. Sempre così sbadata a lasciare cose in giro. Faresti bene a occupartene prima che si diffonda ulteriormente.»

    E con questo, girò i tacchi e i suoi passi riecheggiarono in fondo al corridoio.

    DUE

    Riverbend, OR, agosto 1941


    Caro diario,

    Oggi l’ho rivisto mentre lavorava nell’appezzamento di terra che hanno vicino casa nostra. È strano ammetterlo, ma è davvero un bell’uomo. Gli occhi mi fanno male quando lo vedo. Il cuore anche. Credo di essere innamorata. È stupido, in realtà, visto che non abbiamo neanche mai parlato.

    So che mi vede quando lo guardo. Faceva molto caldo oggi e immagino che lo sentisse anche lui. Si è tolto la camicia e ho visto il suo petto nudo, i muscoli delle spalle e della schiena mentre legava le balle di fieno e le accatastava sul cassone del camioncino come se fossero leggeri batuffoli di cotone. Giuro che quando l’ho visto ho smesso di respirare per un minuto intero. Mi ha fatto sentire inquieta in quei posti che secondo mamma sono brutti. Quella sensazione però... mi ha fatto fremere nel profondo, ed è così anche adesso, mentre ci penso e scrivo di lui. Mentre lo rivedo nella mia testa.

    Come fa a essere una cosa brutta, questa? Sapevo, in quel momento, che dovevo distogliere lo sguardo, prima che mamma mi scoprisse a fissare, ma non ci sono riuscita. La sua pelle era d’oro brunito e brillava di sudore. Lo indorava come il lucido. Ho già visto gli uomini nei campi togliersi la camicia, ma non mi sono mai sentita così. Non ho mai provato questo desiderio che mi trascina dal profondo. Mamma mi ha scoperto, ovviamente. Ha provato a purificare i miei occhi dopo, dicendo che ero disgraziata per aver fissato. Ma come può l’ammirazione della bellezza, anche se maschile, essere un male? Anche lui è una creatura di Dio, no? Gli occhi mi fanno ancora male e le lettere che ho davanti continuano a essere sfocate. Non importa quanto sapone lei abbia usato, io lo vedo ancora.

    Io lo vedrò sempre.

    TRE

    Beth sollevò la testa e gemette di dolore. Allungò la mano verso il bordo della vasca da bagno e si trascinò in posizione semi-eretta.

    «Beth! Beth? Stai bene? La porta d’ingresso è spalancata e sento puzza di bruciato.»

    Colleen. Grazie a Dio era arrivata. Beth riusciva a malapena a muoversi.

    «Bagno» rispose con voce rauca.

    La sua amica fu lì in un attimo. Sollevò cauta il tappeto che bruciava e lo gettò nella vasca, poi aprì il rubinetto per bagnarlo.

    «Oh, mio Dio. Guarda cosa ti ha fatto. Ora chiamo un’ambulanza. E la polizia. Questa storia deve finire immediatamente.»

    «N-no. Niente polizia» disse Beth con voce stridula. «Meglio di no. Niente aiuto.»

    «Non può avere tutti in pugno. Sul serio, Beth. Poteva ucciderti, per non parlare del bruciarti tutta la casa. Lascia almeno che ti porti al pronto soccorso.»

    Beth scosse il capo e il movimento le provocò fitte di dolore come schegge di vetro nella testa.

    «Da... Aiutami... pulire.»

    «Tesoro, ti serve molto più di una ripulita. Hai bisogno di cure mediche.»

    «No... nessun... altro. Solo... tu. Ti prego.»

    Percepì, più che vederlo, il consenso di Colleen. Trascorse la mezz’ora successiva in una nebbia di dolore e semi-coscienza, ma alla fine Colleen la aiutò a salire le scale all’entrata di casa sua e a mettersi sul divano.

    Beth sentiva Colleen muoversi per casa, mormorando tra sé e sé mentre radunava alcune cose, poi sentì la presenza confortante dell’amica quando tornò a sedersi sul tavolino davanti a lei.

    «Bene» disse con fermezza. «Ora ti dò un’occhiata.»

    Beth sentì le dita fredde e delicate sul mento inclinarle la testa in modo da volgerla verso l’amica.

    «Oh, Beth. Ma cosa ti ha fatto?»

    Beth chiuse gli occhi, le lacrime colarono da sotto le palpebre e le scivolarono sulle guance.

    «Tieni, tesoro. Per un po’ mettiamo questo sulle ustioni, sperando che riesca a far diminuire il bruciore finché non riesco a trovare un impacco di ghiaccio come si deve.»

    Lo straccio umido e freddo contro la pelle la fece sussultare, ma sopportò lo shock iniziale.

    «Come diavolo gli è saltato in mente di marchiarti in questo modo? Quell’uomo è un mostro. Deve essere fermato. Stavolta ha esagerato.»

    Beth fece un verso di protesta. La gola era gonfia, dolorante, mentre cercava di parlare. «Sa... del bambino.»

    La sua voce era poco più di un gracchiare roco.

    «Cosa? Come?» Colleen scosse la testa. «Come l’abbia saputo non è importante. Non ci vuole uno scienziato per capire che non ne era contento.»

    «Devo andarmene, Coll, o ucciderà me e il bambino. Lo so e basta.»

    «Tesoro, riesci a malapena a reggerti in piedi, figuriamoci muoverti. Ci deve essere qualcuno in città a cui possiamo rivolgerci.»

    Beth scosse la testa e il movimento le provocò fitte di dolore in tutto il cranio. Non importava cosa facesse, lui vinceva sempre. Colleen andò in cucina a recuperare un impacco di ghiaccio dal congelatore. Al suo ritorno, tolse il panno dalla guancia di Beth.

    «E il rifugio per le donne? Lì possono aiutarti» chiese Colleen.

    «Mi cercherà lì.»

    «Allora puoi rimanere da me finché non starai meglio.»

    Beth iniziò a protestare ma Colleen fu irremovibile.

    «No, tu rimani qui per ora. Domattina torno a casa tua e ti prendo qualche vestito, la borsa e altra roba. Poi decideremo cosa fare dopo.»

    Quella cagna avrebbe sofferto. Se ne sarebbe assicurato. Incinta! Di suo figlio. Le mani si strinsero in pugni di collera e frustrazione mentre scendeva dalla macchina e fissava la casa. Stupida, stupida cagna. Oh sì, avrebbe sofferto. Dan fremeva di rabbia mentre prendeva la tanica di benzina dal bagagliaio dell’auto. La casa era al buio, ma non lo sarebbe stata ancora per molto. Non dopo averle dimostrato chi comandava.

    La porta d’ingresso era chiusa ma si aprì al tocco della sua mano. Quella stupida puttana non aveva neanche messo in sicurezza la sua proprietà. Forse era ancora in bagno a curarsi le ferite.

    Ricordare ciò che le aveva fatto gli provocò un fremito di eccitazione che gli infiammò l’inguine. Forse si sarebbe degnato di scoparsela un’ultima volta.

    Inclinò la testa in cerca di un rumore ma sentì solo il normale ronzio del frigorifero in cucina e un rubinetto che gocciolava da qualche parte in fondo al corridoio. Avanzò con cautela lungo il corridoio fino alla camera da letto. Le tende erano aperte e la luce proveniente dall’esterno si diffondeva sul letto accuratamente rifatto. Girò dall’altra parte del corridoio verso il bagno. Le narici si spalancarono all’odore del tappeto bruciato.

    «Beth? Vieni fuori. Non ti farò del male» la chiamò dolce.

    Non ci fu alcuna risposta. Nessun respiro corto e veloce. Nessun fruscio di tessuto. Niente. Si infuriò. Pensava di potersi nascondere da lui? Le avrebbe insegnato come si giocava a nascondino. Aprì il tappo della tanica di benzina e tornò in camera da letto. Sì, questa volta avrebbe imparato la lezione.

    Quando Colleen rientrò la mattina seguente, l’espressione sul suo volto diceva tutto.

    «Beth, mi dispiace davvero tanto. La tua casa. È tutto andato, tesoro. Quando ci sono passata davanti c’erano ancora i vigili del fuoco che spegnevano l’incendio. Non devo aver spento il tappeto come si deve. Io...»

    «Non è colpa tua» la interruppe Beth, con la voce ancora roca e peggiorata dal fatto che ora stava cercando di trattenere le lacrime.

    Perduto, tutto perduto. Tutti i ricordi dei suoi genitori. Fino all’ultimo ricordo d’infanzia. Tra il dolore si fece strada un senso di impotenza. Non le era rimasto nulla oltre ai vestiti che indossava. Niente soldi, niente documenti, niente.

    «Non so come ho fatto a non accorgermene, Beth. Sono sicura di aver spento quel tappeto.»

    «L’hai fatto» sussurrò con voce rotta. «Non è stato il tappeto.»

    Colleen la guardò intensamente. «Credi sia stato lui? Che sia tornato? È un bel rischio per uno nella sua posizione.»

    Beth non aveva dubbi che fosse andata proprio così. Era una furia quando se n’era andato la prima volta. Tornare indietro e scoprire che non c’era doveva averlo fatto uscire di testa e lo disse alla sua amica.

    Colleen sospirò. «Non riesco a credere che qualcuno possa essere così malvagio e vendicativo. Perché? Perché non poteva semplicemente lasciar perdere?» Scosse la testa in totale sconcerto. «Tornando a casa ho preso il Portland Tribune.»

    Qualcosa nel tono di Colleen fece irrigidire Beth, un sentore che ciò che stava per dire fosse anche peggio di ciò che le aveva già detto. Peggio? Cosa poteva essere peggio di perdere il tetto sopra la testa e ogni singolo bene in suo possesso?

    Colleen aprì il giornale su una pagina interna, passò il dito su un titolo.

    incendio doloso, sospetti sulla proprietaria dell’immobile.

    «Cosa? Stanno dicendo che sono stata io a incendiare casa mia?»

    «Secondo un testimone chiave.» Fece il segno delle virgolette con le dita. «Ti porto qualcosa di caldo. Ne avrai bisogno.»

    Beth allungò il braccio per prendere il giornale dal tavolino e soffocò un gemito di dolore. La mattina aveva rivelato alcuni grossi lividi sulla schiena e sulle gambe, e le ustioni sulla guancia si erano arrossate, scorticate ed erano piene di pus. L’articolo era a dir poco scoraggiante. Apparentemente, un detective della zona era passato per caso da casa sua e aveva visto lo sfarfallio delle fiamme dalla finestra. Data l’ora tarda e sospettando che all’interno ci fosse qualcuno, era entrato con un calcio alla porta d’ingresso – be’, almeno quell’ultima parte era vera, pensò Beth – ed era poi stato affrontato dalla proprietaria di casa che si trovava in uno stato maniacale. Maniacale? L’unica persona che soffriva di una qualsiasi forma di mania era lui ma, da perfetto incantatore qual era, aveva creato una storia che conteneva verità a sufficienza per sembrare credibile. E poi, chi non gli avrebbe creduto? Era un agente decorato. Un uomo rispettato dai colleghi. Un marito. Un padre. Un pilastro della comunità. Il suo stomaco si contorse mentre leggeva il resto. Riguardo alle ferite autoinflitte, al comportamento selvaggio con cui aveva dato fuoco alle tende in ogni stanza. Al modo in cui lei lo aveva aggredito.

    Cosa?

    Era come leggere del brutto sogno di qualcun altro, se non che non era un sogno: era un incubo, ed era il suo.

    E adesso era ricercata dalla polizia per un reato che non aveva commesso. Dan aveva efficacemente distrutto tutto il suo mondo e l’aveva lasciata in miseria. Chiuse gli occhi, lasciò cadere il giornale in grembo. Doveva aver fatto rumore perché sentì subito Colleen al suo fianco.

    «Troveremo una soluzione, Beth. Ce la faremo. Non può passarla liscia per l’incendio. Riusciremo a incastrarlo, ne sono certa. I periti incendiari...»

    Beth scosse la testa. «È furbo. Avrà già coperto le sue tracce. Sarà la mia parola contro la sua.»

    «E la mia. Andrò alla stazione di polizia. Rilascerò una dichiarazione.»

    La voce di Colleen si alzò alimentata dall’indignazione e dalla convinzione che avrebbero creduto alla verità.

    «No!» La voce di Beth cedette sulla sillaba pronunciata duramente. Fu poco più di uno stridio mentre si allungava verso le mani della sua amica e la guardava dritta negli occhi. «Non metterti in mezzo. Non lasciare che prenda di mira anche te.»

    «Non posso starmene seduta qui e lasciare che la passi liscia. Non è giusto, Beth. Non è per niente giusto.»

    «Lo so, ma non possiamo toccarlo, Coll, non capisci? Ha già pensato a tutto. Non ci crederà nessuno.»

    «E il poliziotto che ha raccolto la tua dichiarazione quando hai richiesto l’ordine restrittivo? Sicuramente ti ha creduto.»

    «Intendi la richiesta che Dan ha usato per dare fuoco al tappeto?» Beth scosse la testa. Vide l’incredulità insinuarsi nello sguardo di Colleen. «No, sono tutti dalla sua parte.»

    Il corpo le faceva male, non riusciva a parlare e il viso le pulsava per il dolore. In quel preciso istante, l’unica cosa che desiderava era strisciare in un luogo buio e rimanerci per sempre.

    «Cosa hai intenzione di fare? Cioè, puoi rimanere qui tutto il tempo necessario...»

    «Dammi un paio di giorni per rimettermi in forze. Troverò una soluzione.»

    «Sei sicura?»

    Beth pensò a ciò che Dan avrebbe fatto a Colleen se avesse scoperto che la stava ospitando e sussultò. «Sì, sono sicura. Me ne andrò da qui appena riuscirò a camminare senza rischiare di vomitare a ogni passo.»

    «Oh, mio Dio» disse Colleen, stringendo ancora le mani di Beth, come se la sua vita dipendesse da quello. «Il bambino. Hai... Pensi di aver...?»

    «Credo stia ancora bene. Mi è uscito un po’ di sangue quando ho fatto pipì ma nient’altro. Non mi ha preso a calci la pancia. Non gliel’ho permesso.»

    «Vorrà trovarti, vero?»

    Beth lasciò che le parole dell’amica si assestassero nel profondo delle sue ossa. «Sì. Sì, è così. Ma non glielo permetterò. Giuro.»

    Dan si sedette al solito posto alla tavola calda, dove poteva vedere chi entrava e chi usciva dalla cucina e dalla porta d’ingresso. Nessun segno di Beth. Erano passate un paio di settimane. Sarebbe già dovuta tornare.

    «Caffè?»

    La cameriera teneva la caraffa sospesa sulla sua tazza.

    «Sì, grazie... Colleen» aggiunse guardando la targhetta. «Dov’è l’altra ragazza? Com’è che si chiama... Beth?»

    La mano della donna tremò leggermente, rovesciando il caffè sul bordo della tazza. «Non ha chiesto di lei la settimana scorsa? È da un po’ che non si fa vedere.»

    Dan si irrigidì, attraversato da un’ondata di irritazione. La sua mano scattò e afferrò il polso della donna mentre si voltava.

    «Sono un poliziotto, è il mio lavoro fare domande. E...» continuò, mentre faceva un po’ più pressione sul polso sottile della donna, «il tuo è rispondere quando te le faccio. Sai dove si trova?»

    La cameriera scosse la testa e diede uno strattone per liberarsi dalla presa. «Ho altri clienti da servire. Per favore, mi lasci.»

    «Me lo diresti se lo sapessi, vero?» Fece ancora un po’ di pressione e sorrise quando la sentì ansimare.

    «Sì... sì, certo. Ma non ho niente da dirle.»

    Ci fu un distinto tentennamento nella sua voce. Gli occhi di Dan si strinsero mentre studiava la sua faccia. Sapeva riconoscere la paura quando la vedeva, e una bugia quando la sentiva. Cosa non gli stava dicendo?

    «Sarà meglio che tu non stia mentendo, Col-leen.» Scandì le due sillabe del suo nome e la lasciò andare. «Perché io lo verrò a sapere.»

    Colleen si allontanò appena la lasciò andare, ma non importava. Era stato chiaro. E sarebbe tornato l’indomani e il giorno dopo ancora. E avrebbe continuato a farle domande fino a che non gli avrebbe detto esattamente quello che sapeva. Aveva i suoi metodi.

    Beth guardò inorridita i lividi freschi sul polso di Colleen.

    «Mi dispiace, Coll.»

    Ancora non riusciva ad abituarsi al suono della sua voce, allo stridio roco che le era rimasto dopo quella notte.

    «Non è colpa tua» si affrettò a dire Colleen per rassicurarla. Si sedette accanto a Beth e sospirò pesantemente mentre si strofinava il polso in maniera inconscia. «Ma devi andartene, il prima possibile. Sono sicura che sa che non gli ho detto la verità e non ci metterà molto a scoprire dove vivo. Verrà qui, ne sono certa.»

    Uno shock gelido fluì nelle vene di Beth. Non si era ancora ripresa, ma Colleen aveva ragione. Non poteva rimanere un giorno di più. Non era giusto nei confronti della sua amica, soprattutto adesso che Dan la teneva d’occhio.

    «Hai ragione» annuì Beth. «Me ne andrò. Non sarei dovuta rimanere qui così a lungo.»

    «Non che tu avessi altro posto in cui andare» protestò Colleen alzandosi all’improvviso e iniziando a camminare avanti e indietro. «Non può continuare a minacciare la gente in questo modo. Qualcuno dovrà opporsi prima o poi.»

    Beth scosse la testa. «No, non farlo. Ti ucciderà se ci provi.»

    «Non può uccidere tutti» disse animata Colleen prima che il suo spirito combattivo si afflosciasse. «Ascolta, ho messo da parte le mance per un paio di mesi. Voglio che tu le prenda.»

    «No, Colleen, non posso farlo. I soldi ti servono.»

    «Non quanto servono a te. Per favore, insisto. Già mi sento in colpa perché non posso

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