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Lysette
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E-book315 pagine4 ore

Lysette

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Lysette, figlia di un facoltoso avvocato e di una nobildonna francese, perde l'amata madre in tenera età.
L'ingresso in famiglia della nuova compagna di un padre assente crea attriti che le sono insostenibili, fino a spingerla ad abbandonare la casa paterna e ad affrontare vita con le sue sole forze e senza alcuna precedente esperienza.
Inizia allora un percorso fatto di difficoltà e di faticose conquiste personali, fino all'incontro con due personaggi che cambieranno – sia in bene che in male – la sua vita.
Una storia di coraggio e di emancipazione, non priva di momenti difficili e di scelte sbagliate, che sfocerà in un sorprendente finale.
Un romanzo al femminile dall'autore di "Dalla passione al coraggio delle scelte", Fabrizio Volterra.
LinguaItaliano
Data di uscita14 ott 2021
ISBN9788898555673
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    Anteprima del libro

    Lysette - Fabrizio Volterra

    1

    In quello stesso momento in una clinica di Milano una donna portava avanti il suo travaglio aspettando il momento di veder nascere sua figlia.

    La casa di cura era silenziosa, in netto contrasto con il caos che nello stesso istante si svolgeva sulle spiagge.

    La totale assenza di rumori era appena rotta dal calpestio delle infermiere e dal ronzio dei condizionatori, che tenevano fresca l'aria nella stanza.

    Che ero una femmina si era saputo dall'ecografia, ma nessuno pensava che sarei stata la prima e l'ultima.

    Unica e SOLA.

    Lysette, questo era il nome che entrambi i miei genitori, di comune accordo, avevano scelto per me. Non avrei mai avuto un fratello o una sorella.

    Già, quelle quattro lettere S O L A che così spesso risuonarono in maniera ossessiva nella mia mente e mi accompagnarono nel corso della vita.

    Così venni alla luce.

    Io, Lysette.

    Ero una bambina di quasi tre chilogrammi, con due occhi grandi color mogano e tanti capelli castano chiaro.

    I miei primi anni furono belli e spensierati grazie anche a una condizione economica che mi poneva tra i privilegiati; mio padre, un importante avvocato di Milano, provvedeva a tutti i bisogni della famiglia senza lesinare nulla.

    Crebbi con mia madre e un'istitutrice francese, Lucille, che mi seguiva quando lei era impossibilitata a farlo, questo succedeva molto raramente, il vincolo affettivo tra me e mamma era forte e saldo e non c’era momento della giornata che non stessimo insieme.

    L’amore e l’affetto che ci dimostravamo era quasi morboso, eravamo così fortemente legate, che sembravamo essere fuse in una sola persona.

    Stravedevo per mia madre, avevo occhi solo per lei.

    Si occupava di tutto, mi accompagnava e tornava a prendermi tutti i giorni a scuola, non facevo in tempo a salire in macchina che già la subissavo di parole, raccontandole con entusiasmo la giornata che avevo trascorso sui banchi. Lei mi ascoltava con rispetto e prestava molta attenzione a quanto le riferivo, era attenta a ogni particolare, temeva sempre per la mia incolumità.

    Ero piccolina, avevo solo sette anni, il prossimo avrei frequentato la terza elementare.

    Mia madre si chiamava Renée. Era francese.

    Conobbe a Milano Roberto, l'uomo che poi sarebbe diventato suo marito.

    Suo padre Vincent Blanchard faceva parte del corpo diplomatico, lavorava al Consolato di Francia proprio nel capoluogo lombardo e la figlia era stata educata in maniera rigorosa, come si conveniva in certi ambienti.

    Si conobbero casualmente Renée e Roberto, in una calda serata di giugno, quando la movida estiva s'impadroniva prepotentemente delle strade simbolo della città meneghina.

    2

    Renée quella sera si trovava in un locale in compagnia di altri amici per trascorrere una tranquilla serata, nulla faceva presagire che quel giorno la sua vita sarebbe cambiata.

    Era una ragazza molto bella, alta quel giusto che serviva per essere notata, aveva dei capelli neri, morbidi come la seta che le arrivavano fin oltre le spalle, la sua carnagione era molto chiara, sembrava una bambola di porcellana, la sua pelle era liscia, il suo viso finemente truccato esaltava la sua bellezza.

    Non aveva più di ventisei anni ma ne dimostrava molti di meno.

    Roberto la notò e anche lei notò lui, probabilmente i loro sguardi, anche se si trovavano a tavoli diversi, s'incrociarono più volte.

    Roberto, ad un certo punto, forte delle occhiate che si erano scambiati, ruppe gli indugi e senza pensarci troppo, per evitare che la timidezza potesse prendere il sopravvento, con un gesto della mano chiamò il cameriere e chiese di servire una bottiglia di champagne al tavolo dove Renée sedeva in compagnia dei suoi amici, con l'evidente intento di rendere omaggio alla sua bellezza.

    Il pensiero fu gradito e accettato.

    Quando il cameriere ebbe riempito i bicchieri, lui sollevò il suo e guardando nella loro direzione, con un gesto deciso, brindò alla loro salute.

    Le ragazze a loro volta alzarono i calici in segno di ringraziamento, per cui il brindisi fu prontamente condiviso e lui, facendosi animo, invitò tutti al suo tavolo per approfondire la conoscenza. Era chiaro che aveva individuato in Renée la sua preda preferita.

    Così ebbe inizio la loro storia, da quella sera cominciarono a frequentarsi sempre più spesso, lui aveva da poco terminato gli studi, si era laureato in giurisprudenza con il massimo dei voti e stava facendo tirocinio presso uno studio legale.

    Si vedevano ormai tutti i giorni, si telefonavano continuamente, in breve tempo quell’attrazione reciproca divenne passione e la passione amore.

    Trascorsero un periodo di fidanzamento molto intenso fatto di tante piccole e grandi attenzioni, finché la loro storia fu coronata dal matrimonio.

    La cerimonia nuziale fu celebrata nella chiesa di San Cristoforo sul Naviglio, un piccolo gioiello romanico, situato sulle sponde del Naviglio Grande.

    Quei Navigli che poi torneranno spesso protagonisti nella mia vita.

    Si trattava di un complesso architettonico costituito da due chiese: la più antica risalente al '200, la più recente al '400.

    La navata di sinistra era coperta da un soffitto ligneo e si contrapponeva alla navata di destra, che presentava invece delle volte a crociera.

    Affreschi di rilievo rivestivano in parte l'abside.

    La scelta della chiesa fu della mamma, era una ragazza semplice, non amava le cose lussuose e snob.

    Fu comunque un matrimonio importante riservato a pochi intimi.

    Furono ammessi alla cerimonia, oltre ai parenti stretti solo ospiti importanti, il numero complessivo degli invitati non superò le sessanta unità.

    Partirono per un favoloso viaggio di nozze di un mese, che li portò a visitare le isole della Polinesia Francese.

    Tornarono da quell'esperienza, vissuta dall'altra parte del mondo, più belli e innamorati di prima.

    Furono anni incantevoli, straordinari, il loro era un amore pulito e sincero, ma come in tutte le favole i sogni più belli svaniscono all'alba.

    3

    Mio padre non era ancora un avvocato famoso, si stava formando, quindi passava a studio molto più tempo di quanto sarebbe stato necessario, dimenticandosi troppo spesso di avere una moglie e in parte anche trascurandola.

    Era senza dubbio una persona molto ambiziosa, voleva bruciare le tappe, riuscire al più presto a mettersi in proprio e aprire uno studio tutto suo, cosa che gli riuscì nel giro di tre anni.

    Intanto io ero venuta al mondo.

    La mamma apprezzava molto la caparbietà di mio padre, la voglia di emergere a tutti i costi era indice di una persona molto determinata e ambiziosa che sapeva dove voleva arrivare, ma non vedeva di buon occhio il suo anteporre il lavoro a tutto il resto.

    Con il passare del tempo, Renée si accorse che lui non era più il Roberto che aveva conosciuto e frequentato, anche quando uscivano il suo argomento preferito era l’andamento dello studio, mai una parola su di me e questo la mandava su tutte le furie.

    Roberto, ti ricordo che oltre al lavoro hai anche una figlia. Possibile che tu non mi chieda mai di lei? Sembri completamente disinteressato, non ti stai comportando da padre, questa cosa non mi piace, gradirei che tu fossi più presente.

    Lui la guardò quasi sorpreso.

    Amore, non mi sembra che a Lysette manchi nulla, la stiamo crescendo con tutte le attenzioni, sta frequentando una scuola molto esclusiva, parla correntemente sia l’italiano che il francese, anzi, volevo dirti che hai avuto una buona idea a rivolgerti a lei nella tua lingua madre, i risultati sono stati eccellenti, parlare correntemente due lingue le porterà giovamento nella vita.

    Lei lo lasciò parlare, poi intervenne decisa.

    Quello che hai detto non è per nulla corretto, non la stiamo crescendo, bensì la sto crescendo, non mi risulta che durante la giornata tu alzi mai il telefono per salutarmi o per chiedermi di Lysette. Riesci a vedere tua figlia solo quando rientri la sera a casa e sono più le volte che la trovi a dormire, che sveglia. Dov'è finito il Roberto del quale mi sono innamorata? Quel Roberto così amorevole e premuroso che mi cercava dieci volte al giorno? È quello il Roberto che io voglio, non quello che passa le sue giornate a studio dimenticandosi di tutti noi. Oltretutto ultimamente sento degli strani fastidi che mi provocano dei giramenti alla testa, avrei piacere che tu mi stessi un po' più vicino, non mi sembra di chiederti tanto.

    4

    Avevo da poco compiuto sette anni quando mia madre incominciò ad avere questi disturbi, all'inizio si manifestarono con amnesie e perdita di equilibrio, poi con il passare del tempo andarono sempre più peggiorando.

    Conviveva con delle spaventose emicranie, che spesso la costringevano a letto per ore.

    Nessuna visita evidenziò problemi di particolare rilievo, ma i dolori alla testa seguitavano sistematicamente e ogni giorno che passava era peggiore del precedente.

    Mio padre decise di farla ricoverare in una clinica specializzata dove fu sottoposta a radiografie, tac e risonanza magnetica, fu fatto tutto quanto era possibile per risolvere il dolore che l'affliggeva, ma nonostante ciò non si riscontrarono miglioramenti, per cui dopo diversi consulti medici fu deciso di portarla in un ospedale specializzato di Stoccolma dove, dopo una serie interminabile di analisi, arrivò il responso che fu impietoso, crudele, spietato e feroce.

    La sua scheda clinica recitava quanto di più brutto si potesse immaginare, quel qualcosa che in altre analisi non si era evidenziato, ora era chiaro: le restavano forse quattro o sei mesi ancora, non di più, poi la sua avventura terrena sarebbe drammaticamente terminata.

    Ero ancora una bambina e non potevo capire l'entità di quello che stava accadendo alla mamma, ma nonostante tutto mi rendevo conto che qualcosa in casa non era più come prima.

    Durante la sua malattia stavo costantemente intorno al suo letto, le parlavo, le appoggiavo i giocattoli lungo il corpo, le bambole sul cuscino, cercando in ogni modo di attirare la sua attenzione, ma non riuscivo a capire il motivo, per il quale la mamma non era più quella di sempre, non partecipava più ai miei giochi come aveva fatto in ogni altra occasione, inconsciamente mi rendevo conto che era sempre meno reattiva. Questo suo atteggiamento mi faceva arrabbiare, non capivo perché non mi prestasse il solito interesse.

    Ero molto triste, arrivai perfino a pensare che non mi volesse più bene, anzi, ancora peggio, che avesse incontrato un’altra bambina e che questa avesse preso il mio posto nel suo cuore.

    Confidai questo mio sospetto a Lucille, la quale mi rassicurò.

    La mamma sta attraversando un periodo delicato, ha bisogno di riposo, dobbiamo lasciarla tranquilla, poi appena si sarà ristabilita, vedrai che ricomincerà a giocare con te, ma adesso è necessario farla riposare.

    Le parole di Lucille mi avevano in parte tranquillizzata, ma non convinta, la mamma era troppo strana, non l’avevo mai vista così disattenta verso di me.

    Provai un morso di terrore alla bocca dello stomaco, quando nella mia mente balenò l'idea che potesse restare sempre in quello stato, il mio pensiero di bambina non poteva concepire la malattia, o ancor peggio la morte, tantomeno quella di mia madre. Per me la mamma era ormai costretta a letto e quella sarebbe stata la condizione che avrebbe per sempre condiviso con me.

    La mia mente innocente era molto angosciata, ma decisi di accettare mio malgrado questa nuova situazione.

    Con il passare del tempo il suo stato di salute andava sempre più peggiorando, alternava momenti di lucidità a periodi di semi incoscienza, parlava con voce sempre più flebile.

    In uno di questi momenti di lucidità, quando probabilmente si era resa conto che il suo tempo stava ormai scadendo, con un gesto della mano mi chiamò a sé e raccogliendo tutte le forze residue mi prese amorevolmente la testa tra le mani e mi sussurrò nell'orecchio delle parole che mai più avrei dimenticato.

    Lysette, amore mio, quando la mamma starà meglio, appena sarò guarita, ce ne andremo insieme per mano a passeggio per le strade più belle della città e ci compreremo tanti bei vestiti.

    Solo a distanza di anni compresi quale sforzo sovrumano le costò dire quella frase, in cuor suo già sapeva che quel giorno non sarebbe mai arrivato.

    5

    Confusione, trambusto, persone mai viste correvano avanti e indietro per la casa.

    Attimi frenetici, vedevo passare strani oggetti che solo adesso identifico come maschere d'ossigeno, che allora erano per me apparecchiature sconosciute, in quel momento mi apparivano come macchinari di vitale importanza per qualcuno che non stava bene.

    Lucille mi prese in braccio e mentre mi sussurrava parole dolci nell'orecchio, mi portò con sé in una stanza, i miei sensi percepivano che qualcosa di terribile stava accadendo, non capivo cosa, ma non c'era nulla di normale in tutto quel fermento, vedevo solo una gran confusione, tutta la casa era in fibrillazione. Poi un lampo, un bagliore e capii.

    Iniziai a urlare: "Mamma. Mammaaaaa. Voglio la mia mamma, portatemi dalla mia mamma".

    Lucille mi strinse a sé con forza e mentre mi teneva la testa sulla spalla, mi accorsi che singhiozzava.

    Se Lucille piange, deve essere successa una cosa grave, pensavo nella mia testa di bambina.

    Infatti, qualcosa di grave era accaduto alla mamma, non riuscivo a capire cosa, ma di certo era qualcosa di terribile e di irreparabile.

    La bella Renée si stava lentamente spegnendo.

    La mia mamma, la mia adorata mamma, la ragione della mia vita, lei che mi aveva portata in grembo e che mi aveva cresciuta e amata, stava morendo.

    Come, morta? Le mamme non possono mai morire.

    Invece era così, la mamma era morta.

    Non mi avrebbe più parlato, né accarezzato la testa per farmi addormentare come mi piaceva tanto e così come solo le mamme sanno fare; non avrei più ascoltato le sue storie di quando era una bambina piccola come me, non mi avrebbe mai più cantato le sue dolci ninne nanne.

    Mi sentii per la prima volta nella vita SOLA.

    Senza di lei sarei stata sola, mio padre era sempre assente. Lucille, nonostante l'amassi, non si sarebbe mai potuta sostituire a lei.

    Chiesi di poterla vedere, lo volevo a tutti i costi.

    Passarono delle ore interminabili fino a quando mi fu consentito di entrare nella sua stanza.

    La camera era ordinata, pulita, una pace opprimente gravava lì dentro, quegli strani congegni che la circondavano, erano spariti.

    Ogni cosa era tornata come prima, sembrava tutto finito, mi ero svegliata da un bruttissimo sogno e ora finalmente si era tornati alla normalità di tutti i giorni.

    Qualcosa di diverso c'era, era il silenzio assordante che regnava sovrano nella sua camera.

    Tutto era tornato normale tranne una cosa, lei.

    Era adagiata sul suo letto, immobile, i capelli pettinati e ordinati erano avvolti in una treccia nera che le scendeva sul petto, era stata impeccabilmente vestita da mani amorevoli; ricordo che non aveva le scarpe, le mani incrociate sul grembo, stringevano un rosario, sembrava che dormisse, il suo aspetto sofferente aveva lasciato posto a un viso sereno e disteso.

    Era bianca, così bianca non l'avevo mai vista, sembrava di porcellana. Mi avvicinai per toccarla e baciarla, era fredda, gelida, mi ritrassi impaurita.

    Ai piedi del suo letto c’era mio padre, aveva il viso coperto da entrambi le mani, mi accorsi che stava piangendo.

    Mi prese, stringendomi a sé in uno dei suoi rarissimi gesti d’affetto, mi baciò sulla fronte, mi rimase impresso il suo viso bagnato di lacrime.

    Mi tenne così per un tempo che sembrò eterno, ero confortata da quella stretta paterna così rara e insolita, poi Lucille mi prese per mano con grazia e mi portò fuori dalla stanza.

    Quando mi scostai da lui, mi accorsi che il mio vestito era intriso del suo pianto.

    Prima di uscire mi girai ancora per guardarla, avrei voluto dirle tante cose, ma le parole mi si strozzarono in gola.

    Fu l'ultima volta che la vidi, la sua immagine è ancora oggi fissa nei miei occhi.

    Vedendo mio padre in quello stato, capii che l’unico amore della sua vita era mia madre, non mi ero sbagliata, io ero solo la sua appendice, cui aggrapparsi in momenti come questo.

    Il Funerale fu celebrato nella stessa chiesa di San Cristoforo sul Naviglio, dove nove anni prima si erano uniti in matrimonio.

    Ricordo che c'era molta gente, tante lacrime furono versate quel giorno. Compresi quanto la mamma fosse amata e benvoluta, il suo viso sempre sorridente e gioioso sarebbe mancato a tutti.

    Mio padre mi teneva abbracciata, era assente e attonito, mentre mia nonna, accanto al feretro di sua figlia, si era abbandonata a un pianto a dirotto.

    Sentivo che mormorava.

    Signore, dovevi prendere me, la mia bambina era così giovane, aveva una vita davanti, sei stato ingiusto con lei. Dovevi prendere me, dovevi prendere me.

    Lucille, dietro a mio padre, sempre pronta a prendermi la mano, qualora ce ne fosse stato bisogno.

    Prima della fine della funzione posai una margherita sulla sua cassa, sapevo che era il suo fiore preferito, l'abbracciai e la baciai, poi con un filo di voce, sperando che nessuno mi sentisse, dissi: Ciao Mammina, ti voglio bene, ricordati sempre di me.

    Compresi che non l'avrei più vista.

    In quel triste giorno di novembre tutto era finito.

    6

    Il tempo scorreva veloce, la scuola continuava il suo corso, alla fine delle lezioni uscivo correndo assieme alle mie compagne e istintivamente come facevano tutte, anch'io cercavo mia madre, eppure sapevo che non poteva essere lì, al suo posto trovavo immancabilmente ad aspettarmi la cara Lucille.

    Di mio padre nemmeno l'ombra.

    Solo rarissime volte veniva a prendermi fuori dalla scuola, a casa non lo vedevo quasi mai, rientrava dal lavoro sempre tardi e io ero già stata messa a dormire.

    Arrivarono le medie, cominciavo a essere grande, mio padre da qualche tempo frequentava una donna, vedere quella nuova presenza in casa mi dava un senso di fastidio, non capivo qual era il suo ruolo, oltretutto invece di darmi affetto, mi trattava con sufficienza, per non dire di peggio.

    Col passare del tempo cominciò a prendere le redini, si comportava come se fosse lei la padrona, iniziò ad assumere decisioni senza interpellare nessuno, era come se mio padre le avesse dato potere decisionale su tutto, approvando qualsiasi cosa lei desiderasse fare.

    Spostava la disposizione dei mobili come se volesse cancellare qualsiasi traccia del passato, arrivò al punto di togliere dalle stanze le foto che ritraevano mia madre.

    Quel gesto fu l'occasione del nostro primo duro scontro.

    Mia madre non si tocca urlai "Non devi permetterti di levarle, tu qui non sei nessuno, rimetti subito le sue foto da dove le hai tolte o dovrai vedertela con mio padre".

    Rise sbeffeggiandomi ed io mi lanciai verso di lei con tutta la rabbia che avevo in corpo. Mi tratteneva per un braccio mentre io cercavo di divincolarmi.

    Stasera dovrai rendere conto a tuo padre di questo gesto, fossi mia figlia, ti spedirei in collegio.

    Io invece ti spedirei all'inferno, nelle fiamme dalle quali sei venuta a infestare questa casa, le dissi con odio.

    Accusò molto quella frase, tanto che ammutolì e si chiuse nella sua stanza.

    Dopo poco meno di un mese, Lucille, cui ero molto affezionata e che mi aveva sempre trattata come una figlia, su indicazioni di questa donna, fu convocata nello studio da mio padre e dopo un breve colloquio fu licenziata.

    Lysette ormai è grande, non ha più bisogno di lei, è ora che cominci a fare le cose da sola, nella vita non è necessario avere una governante ed essere serviti.

    Lucille balbettò qualcosa, ma fu subito ammutolita da quella donna che ormai in casa la faceva da padrona.

    In realtà per me lei era molto altro, non era la mia governante, ma una sorella maggiore, una persona che era stata scelta da mia madre, le ero molto affezionata, sapeva come trattarmi e come insegnarmi a vivere.

    Il distacco che ne seguì fu triste e doloroso.

    Nuovamente mi sentii sola.

    La casa, in mancanza di Lucille che si era sempre rivelata mia fedele alleata e che prendeva, per quanto possibile, le mie difese, era diventata un vero e proprio inferno.

    Subivo tanto le continue vessazioni di questa donna, che non riuscii nemmeno lontanamente a considerarla una matrigna.

    Mi odiava, la mia presenza la infastidiva, non cercò mai di instaurare con me un rapporto amichevole, tanto che durante una delle innumerevoli liti mi disse: Ricordati Lysette che tu qui sei un ospite.

    Inorridii nel sentirmi dire quella frase.

    Io ospite in casa mia?

    La misura era ormai colma.

    Mio padre sempre lontano da casa a causa del lavoro che lo assorbiva quasi totalmente, non era informato di quello che accadeva durante la sua assenza, oggi a distanza di tempo penso che se anche fosse stato presente, non avrebbe dato il giusto peso alle mie parole.

    Dovevo comunque prendere la maturità e rassegnarmi ancora per due anni a subire questa insostenibile situazione.

    Curiosando tra le carte di mio padre, scoprii che mia madre, su indicazione dei suoi genitori, lo aveva informato riguardo a un buon affare che si sarebbe potuto concludere nel Principato di Monaco.

    Si trattava di un appartamento all'ottavo piano di un palazzo vista mare. Il prezzo era sicuramente impegnativo, ma assolutamente conveniente per il posto in cui si trovava.

    L'occasione fu colta al volo e l'acquisto fu portato a termine.

    M’informai per capire se quella casa era ancora di proprietà della mia famiglia e dalle carte che avevo sotto gli occhi capii che era stata intestata alla mamma, di conseguenza la sua legittima erede ero io, anche se mio padre avesse voluto sposare quella brutta strega, lei non avrebbe avuto niente da pretendere su quell'immobile.

    A quel pensiero feci una smorfia di soddisfazione, ripiegai con cura quelle carte e le riposi là dove le avevo trovate.

    Un giorno potrebbero tornami utili, pensai.

    Accantonai subito quell'idea, oltretutto avevo solo quindici anni e non ero

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