Il tango dell'Enganche
Di Renato Villa
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Narrativa - racconto lungo (41 pagine) - Un racconto di calcio giovanile e di amicizia a ritmo di tango.
Adolescenza, calcio, tango, amore. Queste sono le basi di una storia ambientata nel calcio giovanile argentino e che ha come protagonista il timido patologico Pedro, enganche (nel nostro calcio europeo, trequartista) di una squadra di amici.
La storia racconta di come, nonostante tutto, possa ancora esistere qualcosa di dolce nel mondo, anche grazie alla sensuale musica del tango che accompagna tutto lo svolgersi degli eventi.
È la storia di una crescita, della nascita di un rapporto ostacolato e delle difficoltà che possono avere i ragazzi a trovare la persona giusta: il tutto all’interno di un mondo, quello del calcio giovanile argentino, nel quale invece tutti vivono alla pari, perché quello che conta è la squadra…
Renato Villa è nato a Genova nel 1965. Scrive per divertimento dai tempi delle superiori, ma fino al 2019 non ha mai pubblicato nulla. Grazie a un amico si è autoprodotto Ballate di uomini e vicoli, antologia di racconti ambientati nella sua città. Nel 2020 ha pubblicato Vite in testacoda con Urbone Publishing. Ha partecipato a vari concorsi per poesie e racconti, tra i quali il RiLL e Bordighera/Racconti liguri. Nel 2020 ha collaborato come curatore ed autore alla raccolta Cavalieri d'acciaio per l’editrice Cento Autori. Nel 2021 per Delos Digital ha pubblicato, nella collana Ucronica, il suo primo romanzo, La notte della Stella.
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Anteprima del libro
Il tango dell'Enganche - Renato Villa
1
Il suo passo era lento, su quel campo in terraccia schifosa che quando pioveva diventava melma. Il suo modo di giocare era raffinato, anche dove giocare non era possibile: finte, controfinte, dribbling stretti che più stretti non si può, invenzioni di ogni tipo al ritmo del tango, danza triste della sua terra. Aveva quattordici anni Pedro, e giocava nel La Plata, una squadretta di ragazzini insolenti che si divertiva a sbeffeggiare i pari età delle avversarie più quotate, riccastri del River in testa. L'ultima volta avevano giocato al Monumental: avevano vinto tre a zero e i dirigenti del River avevano detto un gran bene di tutta la loro squadra, tranne che di lui.
– E questo sarebbe il nuovo Maradona? – era stato il commento più elegante.
Pedro sognava, palla al piede, di fargliela pagare, quella cattiveria, ai ricchi del River. Va bene, era lento e usava solo il sinistro, ma l'importante era come lo usava, e nient'altro. Contro i ragazzi dell'Independiente il suo avversario diretto, Suarez, era stato umiliato per tutta la partita e alla fine aveva pianto, perché aveva capito qual era la vita dei difensori se lui giocava seriamente. Chissà, se avesse continuato così forse l'allenatore della prima squadra avrebbe potuto convocarlo, tra un paio d'anni, fosse cresciuto un po’.
Il lunedì dopo la partita contro il Racing, a scuola le ragazzine erano andate tutte in cerca di Luis Morales, il puntero, l'eroe della partita, che aveva anche un anno più di lui ed era una stanga tutt'altro che male, e che piaceva a tutte, anche perché segnava tanto ed era bravo e simpatico. Lui, Pedro Alvarez, era un ragazzino scontroso: casa, scuola, campi di calcio, forse un po’ troppo timido per avere successo, ma mai che qualcuno riconoscesse i suoi meriti, accidenti al mondo. I tre gol di Luis erano tre sue idee, tre giocate da autentico fuoriclasse che avevano aperto la difesa avversaria e lanciato il compagno solitario verso la rete. Qualcuno lo aveva anche applaudito, forse suo padre, forse l'allenatore, forse qualche amico, ma nulla in confronto a ciò che avevano detto a Luis. Il loro presidente l'aveva definito il Batistuta delle giovanili
, e l'allenatore lo aveva pubblicamente elogiato di fronte a tutta la squadra. Per lui poche parole: Oggi Pedro ne aveva voglia, di giocare
. Se ne era andato immusonito e con gli occhi rossi d'invidia, perché non li ho mai fatti io, tre gol
, che voleva dire tanto per lui: segnava cinque o sei gol all'anno quando ne faceva tanti, ma contava specialmente quelli che faceva segnare ai compagni. Una volta Diego Gatti gli aveva detto una frase di questo tipo: "Se tu non ci fossi, non sapremmo cosa fare: sei il nostro Banco Nacional". Diego Gatti era il terzino destro, e il suo migliore amico.
Arrivò il giorno che il Boca si degnò di sfidarli, sul loro campo. Alla Bombonera sarebbero andati a giocare al ritorno, in quell'inferno di tifo e carta e fumogeni, prima di una partita importante della prima squadra del Boca. Lo doveva accudire in zona Ramon Jimenez, uno dei più promettenti mediani della sua leva, e uno dei più cattivi. Aveva collezionato già otto cartellini gialli e due rossi, Jimenez, e giocava nientemeno che nel Boca: doveva essere una carogna di altissimo livello, accidenti. Pedro pensò, tra sé, oggi mi ammazza, oggi quello mi spezza
, sino a quando non sentì sulla sua spalla appoggiarsi una mano. Si girò, e vide Luis Morales, il puntero.
– Mi aspetto l'impossibile da te oggi, e te lo dico adesso – disse Luis, sorridente come al solito.
Pedro lo fissò triste e chinò la testa mentre rispondeva flebilmente, come voleva la sua timidezza.
– Mi controlla Jimenez, oggi – affermò, con un filo di voce. – Mi massacra. –
Luis si mise a ridere tanto da rigarsi le guance di lacrime, poi piantò i suoi incredibili occhi verdi