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Liscio (Un giallo di Ruby Steele – Libro 4)
Liscio (Un giallo di Ruby Steele – Libro 4)
Liscio (Un giallo di Ruby Steele – Libro 4)
E-book292 pagine3 ore

Liscio (Un giallo di Ruby Steele – Libro 4)

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Info su questo ebook

Una festa per il quarantesimo compleanno di una moglie facoltosa sfugge di mano, e la donna si risveglia con accanto il marito della sua migliore amica … morto.

Osservando la vita scorrere da una prigione delle Bahamas dov’è rinchiusa per omicidio, la donna si rivolge a Ruby per ricevere l’aiuto di cui ha disperatamente bisogno.

Ruby sa cosa si prova a venire incastrati. Sa anche cosa vuol dire essere ingannati. Questa donna sta forse dicendo la verità?

Quale delle sue ricche e invidiose amiche la voleva morta?

O si è trattato di qualcun altro?

Ma Ruby ha la cattiva abitudine di aiutare gli altri quando riesce a stento a gestire i propri problemi: la ventiquattrore del senatore Wishbourne non è ancora stata ritrovata, la pressione sta aumentando e Ruby è a corto di tempo.

E stavolta non andrà diversamente.

Benvenuti nel mondo delle Bahamas e della vostra nuova protagonista femminile preferita, Ruby Steele, con la sua bettola del posto, la sua scaltra scimmietta, il suo grave problema di alcolismo, gli eccessivi litigi, la sua incapacità di tirarsi fuori dai guai e i suoi pugni di pietra. Non c’è che dire: la vita di Ruby è un completo disastro.

Ma c’è una cosa che sa fare benissimo: conquistarvi il cuore.

LISCIO è il quarto volume di una serie di gialli mozzafiato e ricchi di azione, che una volta terminato resterà impresso per molto tempo nella vostra mente e che piacerà soprattutto agli amanti del mistero, della suspense e dei gialli leggeri, nonché ai fan di Stephanie Plum di Janet Evanovich e di Miss Fortune di Jana DeLeon. La serie di Gialli di Ruby Steele comincia con WHISKEY CON GHIACCIO (Volume n.1), un bestseller con più di 700 recensioni a cinque stelle e download gratuito!
LinguaItaliano
EditoreMia Gold
Data di uscita1 feb 2022
ISBN9781094354217
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    Anteprima del libro

    Liscio (Un giallo di Ruby Steele – Libro 4) - Mia Gold

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    LISCIO

    (Un Giallo di Ruby Steele – Libro Quattro)

    MIA GOLD

    Mia Gold

    La scrittrice esordiente Mia Gold è autrice della SERIE DI GIALLI DI HOLLY HANDS, composta da tre libri (in prosecuzione); della SERIE DI GIALLI DI CORA CHASE, composta da tre libri (in prosecuzione); e dalla SERIE DI GIALLI DI RUBY STEELE, composta da quattro libri (in prosecuzione). A Mia farebbe piacere ricevere un tuo commento: visita il sito www.miagoldauthor.com per ricevere e-book gratuiti, restare al passo con le ultime novità, e mantenerti in contatto con lei.

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    Copyright © 2021 Mia Gold. Tutti i diritti riservati. Ad eccezione di quanto consentito dal U.S. Copyright Act del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o tramite qualsiasi mezzo, o conservata in un database o sistema di recupero, senza previo permesso dell’autore. Questo e-book è fornito sotto licenza unicamente per scopo di intrattenimento personale. Questo e-book non può essere rivenduto o ceduto a terzi. Nel caso in cui volessi condividere questo libro con altre persone, ti preghiamo di acquistare una copia aggiuntiva per ogni ricevente. Se stai leggendo questo libro senza averlo acquistato, o se non è stato acquistato per il tuo uso personale, ti preghiamo di restituirlo ed acquistare la tua copia. Grazie per il rispetto mostrato verso il duro lavoro dell’autore. Questa è un’opera di finzione. Nomi, personaggi, attività, organizzazioni, luoghi, eventi ed incidenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o usati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o decedute, è una pura coincidenza. Copyright copertina: nikkytok, slonme, and Qualit Design, utilizzata sotto licenza di Shutterstock.com.

    LIBRI DI MIA GOLD

    UN GIALLO DI RUBY STEELE

    WHISKEY CON GHIACCIO (Libro #1)

    MARTINI DIRTY (Libro #2)

    VINO CORPOSO (Libro #3)

    LISCIO (Libro #4)

    UN GIALLO INTIMO E LEGGERO DI HOLLY HANDS

    AL TAPPETO (Libro #1)

    COLPO IMPREVISTO (Libro #2)

    COLPO BASSO (Libro #3)

    INDICE

    PROLOGO

    CAPITOLO UNO

    CAPITOLO DUE

    CAPITOLO TRE

    CAPITOLO QUATTRO

    CAPITOLO CINQUE

    CAPITOLO SEI

    CAPITOLO SETTE

    CAPITOLO OTTO

    CAPITOLO NOVE

    CAPITOLO DIECI

    CAPITOLO UNDICI

    CAPITOLO DODICI

    CAPITOLO TREDICI

    CAPITOLO QUATTORDICI

    CAPITOLO QUINDICI

    CAPITOLO SEDICI

    CAPITOLO DICIASSETTE

    CAPITOLO DICIOTTO

    CAPITOLO DICIANNOVE

    CAPITOLO VENTI

    CAPITOLO VENTUNO

    CAPITOLO VENTIDUE

    CAPITOLO VENTITRE

    CAPITOLO VENTIQUATTRO

    CAPITOLO VENTICINQUE

    CAPITOLO VENTISEI

    CAPITOLO VENTISETTE

    CAPITOLO VENTOTTO

    PROLOGO

    Marsha Whitaker emise un lamento.   

    O almeno così le sembrò. La sua testa pulsava così tanto che non era sicura se il suono provenisse dalla sua stessa gola o da quella di qualcun altro. Sarebbe anche potuto trattarsi del suo stomaco che si lamentava, oppure poteva essere tutto solo nella sua testa.

    Marsha Whitaker era in balia dei peggiori postumi della sbornia della sua vita. I morbidi cuscini, il comodo materasso e le fresche lenzuola di cotone del letto della villa in cui soggiornava non stavano alleviando le sue sofferenze.

    Aveva la bocca impastata e le pesanti palpebre chiuse sembravano essere incollate ai suoi occhi.

    Ogni singolo muscolo le faceva male.

    E poi c'era lo stomaco.

    Cercò di non pensare al suo stomaco. Se lo avesse fatto avrebbe vomitato all'istante.

    Alzò con fatica un braccio per massaggiarsi le tempie. Le lenzuola erano appiccicate alla sua pelle e si staccavano man mano che il braccio si muoveva. Quando si portò la mano al viso ebbe la stessa sensazione, come se qualcosa di vischioso si fosse appena asciugato.

    Aveva già vomitato? Non riusciva a ricordarlo. In effetti, non riusciva a ricordare quasi nulla di ciò che era successo dopo le undici della sera prima. Era uscita con i suoi amici. Avevano iniziato a bere cocktail in un bar sulla spiaggia prima di andare in una discoteca.

    Lì i superalcolici avevano preso il posto dei cocktail.

    Ricordava vagamente che a mezzanotte si era allontanata per tornare al suo albergo. Aveva detto a tutti che era ubriaca e aveva bisogno di dormire.

    Ma la sua villa aveva una cucina e, con tutti quelli del suo gruppo che andavano e venivano, forse la festa era continuata proprio lì. Quando iniziava a bere aveva problemi a fermarsi. Era sicura che, se qualcuno fosse arrivato, non avrebbe resistito a qualche altro drink.

    Cercava di ricordare, ma il rientro alla villa era svanito dalla sua memoria.

    Era quasi sicura di aver ancora bevuto una volta rientrata e  il suo cranio martellante, la lingua gonfia e la bocca arida come un deserto erano prove sufficienti.

    Confusamente, con riluttanza, aprì gli occhi.

    L’interno della stanza era buio. Solo un sottile fascio di luce riusciva a farsi strada tra le pesanti tende, non abbastanza per dare una vera illuminazione.

    Girò la testa, sussultò mentre il suo cervello minacciava di espandersi oltre la capacità del suo cranio, e vide la sagoma scura di Dan che giaceva accanto a lei.

    Oh Dio, c’era anche Dan? Doveva essere stata una festa epica. Avrebbe tanto voluto ricordare.

    L'orologio sul comodino dietro di lui segnava le 11: 32.

    Si voltò nell'altra direzione, con lo stomaco in subbuglio, e cercò a tentoni la luce. Chiuse un occhio e ridusse l'altro ad una fessura, sapendo che la luce sarebbe stata come un chiodo che le attraversava la retina. Doveva vedere in che stato era ridotta la stanza e magari mettere un po' a posto prima che Dan si svegliasse.

    Alla fine trovò l'interruttore e lo accese, sussultando di nuovo mentre la stanza si illuminava.

    Richiuse immediatamente l'occhio. Il dolore era troppo forte.

    Doveva veramente smettere di bere. Se fosse ingrassata, a Dan non sarebbe più piaciuta. Era già abbastanza brutto che suo marito Oliver avesse smesso di interessarsi a lei tre anni prima. Se avesse perso anche Dan, non le sarebbe rimasto niente.

    Marsha rimase lì per un minuto in modo che i suoi occhi si abituassero alla luce, poi li aprì lentamente. Faceva male, ma era sopportabile.

    Si girò di nuovo verso Dan.

    E urlò.

    Dan era immobile, con gli occhi e la bocca aperti e coperto di sangue. Aveva segni di coltellate sul viso, alla gola e al petto.

    Era quasi irriconoscibile, coperto di sangue appiccicoso e secco.

    C'era sangue sulle lenzuola, sangue sul muro bianco e sangue dappertutto su di lei.

    Marsha urlò di nuovo e continuò a urlare finché un colpo alla porta la fece sobbalzare in preda al panico.

    CAPITOLO UNO

    Ruby Steele fece un respiro profondo e cercò di convincersi che era pronta. Era ora di chiamare suo padre.

    Era la sua serata libera e si sedette nel soggiorno del suo fatiscente bungalow di Nassau. La scimmia Zoomer, la mascotte del bar dove lavorava, sedeva accanto a lei sul divano con un'espressione annoiata. Ruby avrebbe preferito essere al lavoro. Affrontare ubriaconi e turisti violenti da dietro il bancone del The Pirate's Cove le faceva meno paura di quello che stava per fare.

    Anche Zoomer avrebbe preferito essere al bar, almeno lì c'era l'alcol.

    Ruby non parlava con suo padre da più di un anno e il senso di colpa l'aveva logorata per ogni minuto degli ultimi dodici mesi.

    Sua madre era morta quando lei era piccola e non aveva fratelli. Lei e Papà erano sempre stati una cosa sola.

    Non esisteva una relazione più stretta e amorevole.

    Era sempre stato lì per lei, incoraggiandola, facendo il tifo per lei ai giochi sportivi della scuola e aiutandola con i compiti. Mentre Ruby cresceva, cresceva anche il suo interesse verso la palestra di boxe del padre, che presto diventò il suo allenatore e in seguito il suo coach.

    Le arti marziali miste non sono l'attività extrascolastica che di solito interessa ad una ragazza adolescente, ma Ruby non era mai stata la tipica teenager. Pur non essendo un maschiaccio, preferiva lo sparring alle bambole e andava più volentieri in palestra che dalla parrucchiera. A volte il papà si preoccupava che stessero andando troppo oltre e le chiedeva gentilmente: «Sei sicura di non volere un vestito al posto dei jeans?» oppure «Puoi saltare l'allenamento stasera se vuoi uscire con i tuoi amici».

    A queste domande Ruby aveva sempre risposto con un sorriso, abbracciandolo e vivendo la vita come voleva viverla. Alla fine il padre aveva smesso di fare domande.

    Presto gli allenamenti si intensificarono, Ruby passò dallo sparring in palestra agli incontri semiprofessionisti e poi diventò professionista. Papà, che aveva allenato molti lottatori maschi, si ritrovò ad allenarne uno femmina. Anche lui aveva avuto una breve carriera nel pugilato ed era stato cintura nera di ju-jitsu. Non era mai arrivato al successo e aveva riposto le sue speranze, e un'enorme quantità di energia, nei suoi allievi.

    Soprattutto in sua figlia. Avevano creato una squadra, il Team Wayne, usando il vero cognome di Ruby, il cognome che aveva usato per tutta la vita fino a quando non era fuggita alle Bahamas.

    Arrivò il giorno dell'incontro per il titolo tra lei e Teresa Klein, a Las Vegas.

    Un incontro serrato, una vera lotta durante la quale, ad un certo punto, la Klein fece un movimento impercettibile, che durò una frazione di secondo.

    Una frazione di secondo, il tempo che bastò alla Klein per assestare un violento diretto alla testa di Ruby.

    Ruby si risvegliò solo in ospedale, con un brutto trauma cranico che segnò la fine della sua carriera.

    Il senso di colpa che Ruby provava era insopportabile. Il sogno di vincere un titolo internazionale era svanito. Non avrebbe mai più combattuto. Aveva deluso papà.

    Ovviamente il papà non la vedeva in quel modo. Tutto ciò che gli importava era che la sua bambina si riprendesse da quel brutto colpo. L'uomo era stato di supporto, di incoraggiamento, ma il senso di colpa che Ruby sentiva era rimasto e aveva inasprito il loro rapporto.

    Dopo essersi rimessa dall'infortunio, accettò un lavoro come guardia del corpo, proteggendo una serie di clienti di alto profilo. Quando si ritrovò a lavorare per la senatrice Wishbourne, dovette trasferirsi a Washington DC. Mentre da un lato Ruby sentiva la mancanza di suo padre,  dall'altro provava un grande sollievo perché la sua presenza le ricordava costantemente il suo fallimento come atleta.

    Purtroppo, evitare i suoi sensi di colpa la faceva sentire ancora più colpevole e le chiamate a casa erano diventate sempre più rare.

    Poi la senatrice fu assassinata, Ruby divenne una sospettata e si ritrovò a dover fuggire.

    Per qualche tempo fu impossibile fare telefonate. E anche quando ne ebbe la possibilità, Ruby decise comunque di non chiamare.

    Ma stava semplicemente mentendo a se stessa. Uno spacciatore d'erba, un habituè del bar dove lavorava, l'aveva messa in contatto con un tizio che le aveva mostrato come usare un servizio telefonico criptato. Avrebbe potuto chiamare. Era irrintracciabile.

    Ma lei ancora non ci riusciva. Non voleva affrontare quel fallimento del passato. Ma doveva farlo. Ruby lo aveva promesso ad una buona amica, anzi, a diversi amici. E, anche senza quelle promesse, era ora di smetterla di essere egoista.

    Il telefono giaceva sul suo tavolino da caffè malconcio e di seconda mano.

    Bene, disse a se stessa. Hai affrontato trafficanti di esseri umani, lottatori di arti marziali miste e assassini. Ce la puoi fare.

    No, non ce la faccio.

    Almeno inizia col prendere il telefono.

    Non appena lo toccò, il telefono iniziò a squillare.

    «Gesù!» Ruby balzò in piedi. Zoomer strillò, spaventato dalla sua reazione.

    Per un momento pensò che fosse suo padre, poi si rese conto che era impossibile. Non sapeva nemmeno in che paese fosse, figuriamoci se poteva conoscere il suo numero di telefono.

    Poi guardò lo schermo malridotto del suo telefonino e lesse il nome di chi la stava chiamando.

    Ruby sobbalzò. Era The King, un boss mafioso della zona che organizzava incontri di lotta a mani nude. The King era riuscito a ritagliarsi un ruolo fondamentale nella vita di Ruby.

    Il telefono squillò una seconda volta. Ruby lo fissò. Poteva fingere di essere al lavoro, anche se The King ormai conosceva bene i suoi turni. Sapeva molto di lei. Troppo. Forse avrebbe potuto cercare di trovare qualche altra scusa.

    Ma sapeva che non avrebbe funzionato. Anche se non avesse risposto ora, avrebbe dovuto rispondere prima o poi e impedirgli di fare una delle sue visite a sorpresa.

    La risposta avrebbe ritardato la chiamata a suo padre.

    Con un misto di paura e profondo senso di colpa, rispose al quinto squillo. Meglio non rispondere prima per evitare di incoraggiarlo. L'aggressività passiva era tutto ciò che si poteva osare con un tipo così.

    «Come sta la mia migliore lottatrice questa sera?» disse The King senza preamboli, con il suo tono baritonale ricco di falsa cordialità.

    «Quelle costole incrinate fanno ancora male». Almeno questo era vero.

    «Devi smetterla di litigare fuori dal ring, signorina. E far arrabbiare il capitano del porto. Una pessima scelta di nemici», disse The King.

    Ruby rimase a bocca aperta. «Lo sai?»

    Domanda stupida. Ovviamente sapeva della sua ultima vicenda. C'era molto poco che The King non sapesse.

    «Ti metti troppo in pericolo e questo può ostacolare la carriera che stai facendo con me. Per favore, cerca di limitarti ai combattimenti all'interno del ring e a buttare fuori gli ubriachi dal The Pirate's Cove. Quello non è un problema. È un bene per la reputazione che hai in strada».

    «Cosa sai del capitano del porto?» chiese Ruby. Mentre parlava con questo delinquente avrebbe almeno potuto apprendere qualcosa sul suo nemico più potente.

    Il nemico più potente? Non proprio, diciamo il suo nemico più potente a Nassau.

    Anche se dipendeva da come la guardavi: il capitano del porto era il suo nemico più potente, mentre The King era il nemico che aveva più potere su di lei.

    Perché la vita doveva essere così dannatamente complicata?

    «Controlla gran parte del contrabbando di fascia alta a Nassau», spiegò The King, «i carichi più piccoli e più preziosi che provengono dagli yacht che vanno nel suo porto turistico.»

    Ruby annuì. Il capitano era responsabile del più grande porto per navi private della città. I mercantili entravano in un altro porto. Presumibilmente la capitaneria di porto laggiù gestiva il contrabbando di merci illegali di dimensioni maggiori.

    «Lo sapevo già» rispose Ruby. «Forse potresti darmi qualche altra informazione: qualcosa che possa tenermi in vita.»

    «Oh, non sa ancora di te. Sa solo che una donna americana ha aiutato a rapire uno dei suoi migliori soci in affari, quel cocainomane che gli ha fatto guadagnare tutti quei soldi con le operazioni di contrabbando.»

    «Prima o poi scoprirà che sono io.»

    «Sì, lo farà. Ma non preoccuparti, non lascerò che accada nulla alla mia star del ring. Come stanno i Marley’s Kids?»

    Ruby soppresse un gemito. Portava del cibo ai bambini di uno dei quartieri più poveri di Nassau e il suo autoproclamato manager, che lei aveva soprannominato Bob Marley perchè indossava sempre una maglietta con sopra la famosa star del reggae, ne era venuto a conoscenza e aveva preso in mano la cosa. Non solo, per entrare in sintonia con The King, gli aveva raccontato di questa sua iniziativa. Il fatto che The King avesse menzionato la cosa, era il suo modo per ricordarle che aveva il completo controllo sia su di lei che sui ragazzini.

    «Stanno tutti bene», disse Ruby in maniera disinvolta. «Domenica farò di nuovo pranzo con loro.»

    Tanto valeva dirglielo. Lo avrebbe comunque saputo presto.

    «Perfetto! Spero che avrai un aspetto presentabile.»

    Ruby ebbe una fitta allo stomaco. Anche se sapeva già la risposta, decise di chiedere comunque.

    «Perché non dovrei?»

    «Perché hai un incontro questo venerdì.»

    Adesso Ruby gemette davvero. Era mercoledì sera.

    «Le mie costole non sono ancora guarite», disse Ruby.

    Qualche tempo prima, in uno degli incontri illegali di The King, si era fratturata un paio di costole e farsele prendere a calci mentre si occupava del suo ultimo caso non aveva esattamente aiutato il processo di guarigione.

    Ovviamente, quella scusa non avrebbe funzionato con questo malvivente. Era in debito con lui per l'aiuto che le aveva dato in una delle sue varie vicissitudini. Avrebbe dovuto lottare per lui ancora una volta. The King riscuoteva sempre i suoi debiti in un modo o nell'altro.

    «Lo so» disse The King  «e per favore accetta le mie più profonde scuse. È solo che abbiamo un combattente in visita: Toro del Diablo, dal Messico.»

    «Toro del Diablo?»

    «Nome interessante, vero? Lo capirai quando lo incontrerai. È un osso duro, uno che attacca gli avversari senza pensare alle conseguenze. Molto aggressivo. Lo conoscono in tutta l'America Latina: è stato un bel colpo convincerlo a venire nel nostro umile, piccolo ring.»

    «Non puoi farlo combattere con uno dei lottatori maschi?»

    «Oh, ha sentito parlare di te. Vuole conoscerti.»

    «Possiamo pranzare insieme.»

    La profonda risata di the King risuonò attraverso il telefono. «Sei forte, Ruby. È sempre un piacere parlare con te. Toro del Diablo ha saputo di te, del fatto che riesci a mettere KO i lottatori maschi ed è desideroso di metterti KO lui stesso. Un po' di quel machismo messicano. Non riesce a sopportare il pensiero di una combattente donna che ha successo in uno sport dominato dagli uomini.»

    «Fantastico», mugugnò Ruby.

    «Allora vai ad allenarti. Durante il combattimento concentrati sulla protezione delle costole e sono sicuro che te la caverai benissimo.»

    Se proteggo le mie costole non posso proteggere la mia testa, e se mi colpisce alla testa sono morta.

    Ruby sapeva che dirglielo non avrebbe fatto alcuna differenza, e non voleva che in città si diffondesse la voce che lei era una debole. Con tutti i nemici che aveva accumulato poteva rivelarsi fatale.

    The King continuò: «Sono così felice che tu abbia accettato di farlo. Io e i miei uomini siamo a tua disposizione. Se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiamarmi.»

    Ho bisogno di te fuori dalla mia vita, pensò Ruby.

    «Ehm, grazie. Buona notte.»

    «Buonanotte Ruby. Allenati senza risparmiarti!»

    The King riattaccò.

    Ruby lasciò cadere il telefono sul tavolino ed espirò a lungo. Cadde all'indietro sul divano, chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie. Aveva davvero, davvero bisogno di un drink.

    Un rumore stridente sul tavolo le fece aprire gli occhi. Zoomer era in piedi all'estremità del tavolo con gli occhi spalancati, la bocca aperta e fissava la porta d'ingresso.

    A Ruby sembrò di avere acqua ghiacciata che le scorreva nelle vene. Una scimmia poteva sentire meglio di un umano. C'era qualcosa là fuori. Qualcosa che aveva emesso un suono che aveva allertato Zoomer.

    Poi lo sentì anche lei.

    Un leggero scricchiolio delle assi deformate della sua veranda.

    Un suono sommesso, del quale non si sarebbe accorta se Zoomer non l'avesse messa in allarme.

    Qualcuno era sulla sua veranda. Qualcuno che non voleva essere sentito.

    Quell'assassino mandato dai sauditi era tornato per vendicarsi? No. Lo aveva picchiato troppo forte perché fosse già guarito. Però poteva essere uno dei suoi amici.

    O qualcuno mandato dal capitano del porto. Forse aveva scoperto chi era quella ‘donna americana’.

    O qualcuno di uno dei cartelli che gestivano gran parte dell'economia turistica dell'isola. Di certo li aveva irritati abbastanza da indurli a ucciderla.

    O poteva essere il Dipartimento di Stato che l'aveva finalmente rintracciata.

    O poteva essere qualcun altro. Aveva  perso il conto di tutte le persone che la volevano morta.

    Ho un disperato bisogno di cambiare stile di vita, pensò Ruby.

    Più silenziosamente che poteva si alzò dal divano e strisciò attraverso la cucina e verso la sua porta sul retro. Per fortuna aveva lasciato

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