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The Blood Circle - La Resurrezione
The Blood Circle - La Resurrezione
The Blood Circle - La Resurrezione
E-book375 pagine5 ore

The Blood Circle - La Resurrezione

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Romance - romanzo (279 pagine) - Il primo nuovo romanzo di una serie Paranormal in cui la Verità verrà scritta col sangue, in un turbinio di avvenimenti tra l’horror e il soprannaturale, in cui l'amore saprà sempre trionfare


Una vampira, una cacciatrice e un licantropo. Così è stato e così sarà per sempre. Questo stabilisce l'Ordinem Angelorum Cadentium creato dall'Arcangelo Michele in persona. Il Cerchio di Sangue è formato da energia pura trasmessa dai tre membri: Magister, Fera e Venator, discendenti da genealogie dei Caduti. Il loro compito è mantenere l'equilibrio tra il mondo umano e quello sovrannaturale, affinché nessuno dei due mondi possa essere d'intralcio all'altro.

L'equilibrio viene a spezzarsi nel momento in cui l'ago della bilancia subisce il peso del mondo sovrannaturale. Molte razze vengono chiamate a raccolta da un gruppo di streghe estremiste, discendenti dirette dei Nascosti. L'obiettivo è riportare sulla terra gli Angeli Caduti attraverso la Resurrezione e l'unica possibilità per far sì che questo non avvenga è il Cerchio, che dovrà avvalersi di un esercito per fermare l'inizio della distruzione.

In tutto questo, come può collocarsi l'amore impossibile fra una vampira e un licantropo? Forse come unica possibilità di salvezza quando tutto sembra destinato a soccombere all'Apocalisse.


Chiara Ambrosi nasce nel 1988. Adora il mondo horror fantasy e le giornate di pioggia. La sua passione per la scrittura nasce all'età di quattordici anni, quando si addentra nel mondo delle fanfiction, dove riesce a migliorarsi, a ogni storia, nell'arte della scrittura.

Nel 2007 inizia a scrivere il suo primo manoscritto, considerandolo sempre un sogno nel cassetto. Durante gli anni seguenti, nonostante vari blocchi dello scrittore, riesce a terminare questa sua storia rimasta senza un finale per troppo tempo. E ora non sembra intenzionata a voler smettere.

LinguaItaliano
Data di uscita15 gen 2019
ISBN9788825407853
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    Anteprima del libro

    The Blood Circle - La Resurrezione - Chiara Ambrosi

    smettere.

    A Lucy,

    eri sempre con me

    ogni volta che prendevo

    in mano una penna.

    Antefatto

    Chi lo avrebbe mai detto che vivere in una città come quella – piccola e desolata – sarebbe stato così facile e allo stesso tempo quasi impossibile?

    Sarah, una giovane neo-ereditiera ventitreenne londinese, aveva preso armi e bagagli e si era imbarcata sul primo aereo per gli Stati Uniti.

    Tutto merito suo, della persona che aveva cambiato la sua vita.

    A vederlo, Carl Knife poteva apparire solo cinico e razzista, ma lui non era solo questo. Carl era il suo tutore legale e lei, nonostante quei suoi modi rudi, gli si era affezionata.

    Carl era un bravo Lord inglese e Sarah, parole sue, una sporca sudista americana. Forse anche per questo – o almeno così lei pensava – Carl aveva deciso di adottarla.

    Sarah, infatti, una famiglia non l'aveva più.

    Suo padre e sua madre erano stati uccisi da qualcosa di inspiegabile. Entrambi trovati senza vita nella loro casa, dopo giorni, in un orrendo stato di decomposizione, e senza una goccia di sangue nelle vene. Lei, che allora era ancora una bambina, era stata trovata in una stanza della stessa casa, rinforzata con basamenti in argento molto particolari e costosi.

    L'arrivo di Carl nella sua vita la portò alla scoperta del mondo da cui lei credeva fossero usciti i mostri che avevano ucciso i suoi genitori. Assai più importante: trovò in lui qualcuno che le credeva e, nonostante le sue maniere da nobile snob, Sarah finì per iniziare a volergli bene come a un padre.

    Ora, tornare alle origini dopo anni trascorsi a Londra, le riportava alla mente il proprio passato. La differenza sostanziale si trovava nella capacità di Sarah di essere pronta a una minaccia non umana imminente. Carl non era stato solo un padre, per lei; le aveva insegnato anche a difendersi da quelle forme sovrumane che erano diventate parte della sua vita: i vampiri.

    Ebbene sì, nessuno le aveva mai creduto quando affermava convinta che la sua famiglia era stata sterminata da un vampiro. Di nuovo, oltre ad avere le prove della loro esistenza, era anche in grado di combatterli.

    Il mondo poteva anche ignorare la loro presenza, ma lei non si sarebbe di certo fatta spaventare. Aveva imparato a proprie spese, ma sempre con l'aiuto di Carl, a maneggiare le armi e, come ultima risorsa, a usare l'argento, un metallo che rallentava i vampiri e quindi era un buon alleato di qualunque cacciatore.

    Nonostante questo, Sarah non si riteneva una cacciatrice di vampiri: semplicemente, era una ragazza a cui piaceva avere ordine nel proprio vialetto e, se possibile, anche nel proprio vicinato.

    Purtroppo, però, gli umani non vivono per sempre. Carl morì nel sonno, colpito da un infarto una sera d'inverno, nella sua residenza poco lontano da Canterbury.

    E lei si ritrovò sola con un'eredità da capogiro.

    A stupirla non fu tanto ciò che lui le aveva lasciato ma la desolante e triste assenza di persone al suo funerale. Sarah era certa che Carl avesse conoscenze in tutto il mondo. Ne era più che sicura. Spesso lo sentiva parlare con perfetta padronanza altre lingue, al telefono, come nulla fosse.

    Aveva anche provato a cercare qualche parente, ma da quanto era riuscita a capire lui non aveva più nessuno ancora in vita. Certo, Carl non era mai stato una persona espansiva e in tutti quegli anni passati insieme le aveva raccontato poco dei suoi affetti.

    Dagli atti, nella dichiarazione testamentaria, venivano elencati pochi beni immobili, tra cui la casa a Londra, l’arsenale che si trovava nelle cantine della casa, la residenza estiva e un’abitazione a Jasper, nel Tennessee.

    La decisione di partire la prese quindi per rispettare le ultime volontà di colui che si era preso cura di lei. Anche se in fondo non sarebbe stato poi così male ritornare in America, visto che Jasper si trovava poco distante da Chattanooga, la città in cui aveva vissuto con la sua famiglia.

    A destinazione ci arrivò nel pomeriggio, dopo un volo interminabile di ben dodici ore e un viaggio in macchina di mezz'ora buona, praticamente a pezzi per via del jet-lag.

    Attraversò la città immersa nel verde, quasi fosse un giardino zoologico. Quel luogo le fece una prima bella impressione. Però la casa di Carl non si vedeva all’orizzonte, solo alberi e strada.

    Poi, a un tratto, oltre una curva, intravide una costruzione, un rudere, a essere più precisi. Non pareva una casa, bensì un assemblato di mura. Cambiò opinione non appena fu abbastanza vicina da distinguere un piccolo maniero. L'osservò bene: doveva essere molto antico, forse apparteneva ad almeno tre generazioni della famiglia di Carl.

    La facciata era bianca con alcuni mattoni a vista. A vederla meglio, ricordava molto un castello. A destra aveva una torre, non molto alta ma sicuramente degna di nota. Il tetto la fece sorridere: in legno e mattoni, era una sorta di copertura da palazzo delle fiabe. La parte più spettacolare, però, era l’entrata: non aveva un cancello, ma dal piccolo vialetto che portava alla veranda in legno faceva capolino un arco sorretto da due colonne greche.

    Che stranezza, per una casa in stile gotico come quella! Di solito i castelli medioevali non erano contornati da effigi greche o romane. Le ci volle un poco per notare le scritte nella pietra appena sopra le due colonne precedenti il vialetto.

    Si alzò sulle punte per poter leggere meglio.

    in scientiam venit atque querit

    Parole incise nella pietra che – nonostante gli anni che quella casa doveva avere – erano ancora perfettamente leggibili. Sfortunatamente Sarah non aveva studiato abbastanza latino (eppure Carl aveva insistito tanto affinché lei si applicasse di più nello studio sui libri) per capire quale fosse il significato della frase.

    Parole di benvenuto, molto probabilmente, penso tra sé.

    Decise, senza ulteriori indugi, di entrare.

    L'interno le parve molto ordinato, polveroso ma ordinato, benché quella fosse solo l’entrata; uno scaffale coperto da un telo trasparente rifletteva tutti i libri compostamente ordinati e catalogati in quella che doveva essere una libreria. Il resto dell’arredamento era anch’esso coperto da teli.

    Si avvicinò al muro in cerca dell’interruttore della luce. Non si accese nulla; d’altronde era prevedibile: la casa doveva essere disabitata e quindi nessuno aveva più provveduto alla sua manutenzione.

    L'espressione di Sarah mutò nel giro di mezzo secondo.

    – Maledizione! – disse a se stessa. Nella sua breve e disastrata vita, finalmente ereditava qualcosa d’importante e guarda che cosa le capitava tra le mani, una catapecchia che ricordava il castello di Dracula.

    Sospirò ancora, questa volta sconfortata: sarebbe stato tutto da sistemare, altro che casa di lusso! Si era quasi illusa che Carl possedesse una residenza di pregio come si conveniva alla sua classe.

    Si fermò un secondo allo specchio per controllare in che stato era ridotta.

    Una brutta espressione le comparve sul viso. Aveva delle occhiaie evidenti che offuscavano i suoi occhi eterocromi azzurro e grigio di cui andava fiera. Una stramberia genetica che spesso accoglieva attenzione da parte dei curiosi.

    Specchiandosi non poté non notare l'ammasso di capelli arricciati, da mossi diventati un cespuglio.

    Sospirò per l'ennesima volta, spostò lo sguardo verso destra e si lasciò il polveroso salone d’ingresso alle spalle. Raggiunse un'altra stanza, altrettanto impolverata. Doveva essere una veranda o comunque qualcosa che la ricordava, poiché c’erano un divano a due posti e quello che doveva essere il resto di una delle prime televisioni in bianco e nero.

    Si avvicinò, entrando nella stanza con occhio felino e vigile; chissà, magari le sarebbe anche potuta cadere in testa una trave di legno, oppure un vampiro sentendo la sua presenza avrebbe cercato di morderla.

    In sostanza quella casa era davvero una stamberga e non si sarebbe stupita di trovarci dentro un abusivo.

    Allungò una mano verso lo schermo della televisione. Pessima idea: in un suono simile a frammenti di cristallo, il vetro si sbriciolò.

    – Cominciamo bene, mio caro Carl! Spero almeno che tu abbia tenuto in conto che io non ho la più pallida idea di come mettere a posto tutto questo casino – brontolò mentre guardava in alto, sperando forse che lui potesse risponderle.

    La cucina parve più presentabile rispetto al resto del piano terra. Constatò infatti, con sua immensa gioia, che almeno il gas funzionava. Fu meno felice di vedere due topolini sgattaiolare lungo la parete.

    Altro sospiro. Occhi al soffitto.

    Cercando di non intossicarsi con l’aria impregnata dalla polvere, si appoggiò d’istinto al primo mobile che riuscì a raggiungere. Pessima idea: si ritrovò tra le mani una sostanza collosa, forse resina; sempre che fosse possibile che il legno potesse perdere resina dopo anni di termiti e muffa. Forse era colla velenosa per topi.

    Il tavolo, spostato contro la parete, la rallegrò appena: almeno qualcosa in quella casa era ancora integra. Sarah si sorprese. Aveva ancora la carta trasparente per evitare urti o danneggiamenti e la scritta FRAGILE sul cellophane che lo ricopriva.

    Davvero strano.

    Lo toccò.

    Era nuovo. Non riuscì a capire.

    Che ci faceva un tavolo ancora imballato in quella catapecchia?

    La prima risposta logica che elaborò fu che qualcuno, vedendo la casa disabitata, avesse deciso di prenderne possesso.

    Sì, doveva essere così, si disse.

    La gita al piano superiore fu molto più interessante. Almeno ogni stanza al suo interno era rimasta intatta e non aveva mobili che si sbriciolavano a destra e a manca. Le stanze non erano molte, solo quattro, non molto grandi ma, a giudicare dalla prima che vide, dovevano essere luminose. Le camere comunicavano tra loro a due a due. Doveva essere una famiglia numerosa, quella di Carl.

    Mentre pensava a tutto questo, si ritrovò in fondo al corridoio; una finestra era opaca, smessa, con i vetri rigati. Si soffermò a guardare quegli strani sfregi: non erano normali, sembrava che un gatto li avesse graffiati nel tentativo di scappare. Spostò lo sguardo verso la porta alla sua destra e lasciò perdere il vetro rigato.

    In quell’ultima stanza trovò il bagno, molto grande, quasi quanto il salone d’ingresso.

    Aguzzò lo sguardo ed ecco un'altra stranezza: una lavatrice. Nuova di fabbrica.

    D'accordo, qualcosa non andava. Si guardò intorno. Una strana sensazione, una sorta di angoscia, l’avvolse. Senza pensarci due volte corse verso le scale, scese sempre con la stessa velocità e afferrò al volo le chiavi.

    Uscì dalla porta lasciandosi alle spalle solo il silenzio.

    Tornò lì alcuni giorni dopo, informazioni alla mano, pianta della casa e alcuni biglietti da visita di agenzie di ristrutturazioni.

    Il sole era calato da poco, e non fece troppo caso alla facciata che la prima volta aveva attirato la sua attenzione. Ora era decisamente più moderna.

    Infilò invece la chiave nella toppa e questa scattò troppo facilmente.

    Primo segnale di allarme.

    A porta aperta tutto quello che teneva tra le mani le cadde finendo sul pavimento, in un volteggiare di carte. Rimase immobile per quella che le parve un'eternità.

    Pensò inizialmente di aver sbagliato casa: opzione da scartare, quella era l’unica abitazione del genere nella periferia nord di Jasper. Arretrò di un passo e cercò di guardarsi intorno. Poi, mentre faceva un altro passo verso il salotto, ricordò i fogli sparsi a terra. Li raccolse a casaccio poggiandoli sul mobile all’ingresso. Osservò meglio il mobile in legno che qualche giorno prima aveva all'incirca trenta centimetri di polvere. Ora incredibilmente era lucido, nuovo.

    E mica solo quello.

    Sarah si avvicinò lentamente al soggiorno, ma un rumore la mise sul chi va là. Velocemente si voltò, rimanendo in attesa di un altro suono simile.

    Eccolo, proveniva dalla cucina.

    Camminando sulle punte dei piedi per non far scricchiolare il pavimento di legno, raggiunse il luogo da cui provenivano i rumori. Se si fosse imbattuta in un ladro avrebbe dovuto usare la forza, e questo non le andava molto a genio, non voleva morti nella casa nuova! Non subito, almeno.

    Si acquattò contro la parete e sbirciò attraverso una fessura. Vide una ragazza. Alta, bionda, fisico longilineo come quello di una modella. Nonostante la vedesse solamente da dietro, la sua bellezza la irradiava comunque. Non pareva pericolosa, ma Sarah sapeva per esperienza che niente era più pericoloso di ciò che si reputava normale.

    Resto a fissarla mentre una serie di domande si affacciavano nella sua testa. Forse la sconosciuta si era stabilita in casa da molto e lei non se n'era nemmeno resa conto, nonostante gli indizi strani notati nei giorni precedenti.

    Oppure cercava solo un riparo per la notte. Optò per la seconda ipotesi.

    – Potresti anche entrare, io non ti mangio!

    Quelle parole la scossero come un fulmine a ciel sereno. Scostò il viso dalla fessura e uscì allo scoperto.

    La bionda si girò e la guardò in viso col sorriso sulle labbra. – Ciao – disse ancora, senza mutare espressione.

    Sarah rimase immobile. Muta.

    – Che succede, il gatto ti ha mangiato la lingua?

    Rimase a fissarla come se fosse stata una scultura di Raffaello. Era abituata a confrontarsi tutti i giorni col sovrannaturale e mantenere la mente fredda avrebbe dovuto essere la prassi.

    – Spero ti piaccia come ho sistemato casa – aggiunse ancora l'altra, come se nulla fosse.

    Lei, al contrario, si sentì una statua di sale.

    – Chi… chi sei? Cosa ci fai qui?

    La ragazza rise, portandosi una mano davanti alla bocca, in un gesto comunemente usato nel passato. Sarah rimase a osservarla ancora più attentamente.

    – Hai ragione! Domande più che lecite, le tue.

    La sua voce… aveva un non so che di melodioso, affascinante quanto lei. Eppure l'istinto e l'esperienza le suggerivano che di umano la sua ospite aveva ben poco.

    Meglio correre ai ripari.

    Sarah passò all'attacco. Sfilò con un gesto veloce uno dei fermagli in legno per capelli che teneva spesso addosso.

    – Non te lo consiglio – sorrise la bionda quasi divertita, nemmeno avesse captato il movimento lieve delle dita nascoste di Sarah.

    Quest'ultima aprì braccia e mani e rispose al suo sorriso. Ora aveva capito: doveva essere più furba, con lei, non era un vampiro qualunque. Bene.

    – Cosa ci fai qui? – ripeté appoggiandosi al mobile con una mano.

    – Tante cose – rispose la bionda, passandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

    Tante cose, eh… penso Sarah. Allora bisogna agire subito.

    Velocemente afferrò la bacchetta di legno fermacapelli: era appuntita ma non era un'arma, solo un oggetto di comune uso in caso di emergenze sovrannaturali come quella. Con una mossa che a un umano qualunque sarebbe parsa estremamente veloce, si avventò contro di lei, ma quello che trovò fu una mano che le stringeva il collo alle sue spalle.

    Prima regola: mai scagliarsi contro un avversario che ha un vantaggio su di te, gioca d'astuzia. Sarah reagì allora con una gomitata e infilzò la sua avversaria con l'arma di fortuna che aveva ancora in mano. La sua contendente emise un gemito di dolore.

    Legno e vampiri non andavano d'accordo. Legno e argento.

    Quando Sarah si allontanò dalla vampira, la vide fare una smorfia di dolore. Era riuscita a prenderla di traverso in piena pancia, niente cuore.

    – Accidenti. Carl mi aveva parlato di te. Sei un tipino piuttosto… come dire, vivace! – Sorrise allungando la mano per prendere il coltello da cucina che stava vicino al lavandino. Glielo scagliò contro e lei schivò il colpo all'ultimo secondo.

    La bionda rimaneva comunque più veloce.

    Sarah la guardò come se provenisse da un altro pianeta. Conosceva Carl?

    – Prima che tu me lo chieda: sì, lo conoscevo da molto tempo – rispose quasi le avesse letto nel pensiero. Poi abbassò lo sguardo. – Ma porca puttana! Era la mia maglietta preferita! – sbottò incazzata. – Se non fosse che eri la cocca di Carl, ti avrei già ammazzata, lo sai?

    Sarah, dal canto suo, la fissò con sufficienza. Doveva essere uno scontro mortale, vampiro contro umana, e la bionda pensava alla sua maglietta?

    – E smettila di guardarmi in quel modo. Non sono qui per fare a botte con te. È stato Carl. – Un'espressione oltremodo stizzita. – Le sue ultime volontà!

    – E io dovrei crederti?

    – Sì perché ho poca pazienza. È sera, non ho ancora mangiato e tu, signorina, hai rovinato la mia maglietta preferita – borbottò indicandola nuovamente.

    Era risoluta, la ragazza, non c'era che dire, e non aveva più quell'aspetto così etereo parso a Sarah appena entrata in scena.

    La sentì sospirare.

    – A ogni modo, sono qui per aiutarti. E non per farti fuori. Come vedi, la casa era un completo disastro. Sapevo che non avevi il becco di un quattrino, nonostante le fortune di Carl. In effetti so molte cose di te. – Sorrise ancora, in quel modo che a Sarah sembrava sempre più irritante.

    Avrebbe voluto farle a pezzi quei denti perfetti ma si limitò a guardarla. – E quindi hai pensato di sistemarla per il mio arrivo? Hai rapinato una banca o semplicemente ammaliato i muratori? – chiese acida.

    L'altra scoppiò a ridere.

    – Come conoscevi Carl? – fece ancora Sarah. Non riusciva proprio a togliersi quel dubbio dalla testa. Malfidata come Carl, stessa pasta.

    – Te l'ho detto, lo conoscevo da parecchio tempo – rispose la vampira guardandola con un'espressione più gentile. – Sapevo che saresti arrivata, prima o poi, come sapevo anche che Carl aveva lasciato tutti i suoi beni a te, la sua prediletta. Ti adorava, lo sai? – Sorrise per poi cambiare nuovamente espressione. – Purtroppo per te, sei arrivata prima della fine dei lavori di ristrutturazione – fece ancora, portandosi una mano tra i ciuffi biondi.

    – In effetti, mi sono chiesta tante volte perché abbia voluto lasciare proprio tutto a me…

    Stava esternando i propri dubbi con una vampira che voleva aiutarla a sistemare casa.

    Il mondo stava andando al rovescio!

    – Dove hai le tue cose? – chiese d'improvviso l'altra, cambiando totalmente discorso.

    – Arrivano domani – rispose secca lei, nascondendo le proprie paure.

    – Ottimo!

    Sarah la scrutò bene e subito un brivido le corse lungo la schiena.

    Uno

    Tre mesi dopo

    Mi sentivo particolarmente rilassata, quella sera. Il tempo fuori dalla finestra non prometteva nulla di buono: nonostante fosse appena calato il sole, il cielo era plumbeo.

    Odiavo il cattivo tempo, mi metteva sempre di pessimo umore.

    Dei passi sulle scale mi distrassero dalle mie ingiurie contro la pioggia imminente.

    – Buona sera – dissi.

    Sarah mi guardò con occhi assonnati: non doveva aver riposato molto, la notte precedente. – Buona sera – rispose con voce un po’ impastata, Morfeo ancora incombente su di lei. Doveva essersi concessa un riposino pomeridiano prolungato.

    Si avvicinò al tavolo e con un gesto meccanico si appropriò del piatto che aveva di fronte. Si spostò verso il frigorifero e lo aprì afferrando la bottiglia del latte, richiuse infine il tutto e tornò al tavolo.

    – Dormito male? – non potei fare a meno di chiedere.

    – Abbastanza… ho avuto una notte un po’ travagliata da incubi di vecchia data. – Si stiracchiò come un gatto, prima di cercare il cucchiaio che velocemente le allungai.

    – Quali incubi? – Carl mi aveva parlato a lungo di Sarah, ma non appena cercavo di saperne di più venivo zittita.

    – Niente. Vecchi incubi che ogni tanto tornano e fanno venire il mal di testa, nulla di preoccupante.

    La guardai poco convinta, ma le sue parole successive rafforzarono la mia convinzione. Almeno un po’.

    – Alex, per favore. Non guardarmi così, dai… non è niente… Davvero!

    Sarah era una delle persone più strane che avessi mai conosciuto. Malleabile ma non superficiale e lunatica, anzi; capace di sorprendere quando meno te lo aspetti.

    Ecco, sorprendente era la parola più adatta a lei.

    – Che programmi hai, per oggi? – mi chiese dopo aver buttato giù una cucchiaiata di latte. Presi da un'anta del mobile il pacco di cereali.

    Come poteva solo pensare di cenare con una tazza di latte…?

    – Quelle nuvole stanno rovinando il mio umore e il mio prossimo pasto – sbuffai.

    Avrei dovuto rimandare a notte inoltrata. D'altronde, ero pur sempre un vampiro! Per nutrirmi dovevo aspettare il tramonto, se non volevo finire ridotta a un mucchietto di cenere.

    – Vuoi un ombrello? – mi chiese ironica.

    La fissai con sguardo omicida. Sul suo viso, solare come il cielo d’agosto, spiccavano occhi dai colori vivaci. Spostai lo sguardo sulla mensola: Sarah ci aveva messo due foto.

    – Siete tu e Carl?. – Posai la mano sul primo portafoto.

    – Già. – Sorrise, mentre versava i cereali nel latte.

    Nella foto Sarah doveva avere più o meno dieci anni, Carl invece non era cambiato affatto, sempre quello sguardo fiero e posato; tipo un vecchio dottore, uno di quei chirurghi con barba bianca e occhiali in equilibrio sul naso, modello vecchio film.

    Indicai la seconda foto.

    – Uhm… wow… uno spasimante? – chiesi ancora. Ridendo.

    – No, no. Si chiama Logan ed è… be'… era solo un amico – si affrettò a spiegare.

    Non fu affatto convincente.

    Tornai a guardare la foto. Quel Logan non era affatto brutto, anzi era decisamente un bel ragazzo, almeno per lo standard umano.

    – È molto carino – la sentii dire e, malgrado la pensassi come lei, mi limitai a sollevare le spalle.

    – Passabile, sì. Potrebbe rivelarsi un buon pranzetto. – Semplice e pura constatazione senza emozioni.

    – Pranzetto?

    Cosa c'era da stupirsi?

    – Ho una classifica per ogni preda, come un menù.

    Fu lei a ridere, stavolta.

    – Perché ridi? Ce l'avrai anche tu una classifica dei cibi preferiti, no? Che ne so… pizza, gelato… quelle porcherie che piacciono tanto a voi mortali.

    Sarah rise di nuovo e di gusto. – Guarda che Logan non è una cosa da mangiare!

    – Questo lo dici tu! Sei gelosa, per caso? Piuttosto, dovresti invitarlo a pranzo, un giorno… – La fissai.

    – A pranzo? – Questa volta fu lei a scrutarmi con sospetto.

    – Lascia stare. Le probabilità di incontrarlo sono comunque scarse. Quindi non hai motivo di essere gelosa. – Le sorrisi, un sorriso sincero.

    – Per quel che ne so è tornato a vivere a Evansville, in Indiana… ci siamo persi di vista alcuni anni fa. – Le si illuminarono gli occhi così tanto che credetti potessero riflettersi contro le posate e fondermi letteralmente il cervello.

    Sentimentalismi umani!

    Abbozzai un sorriso e lasciai Sarah al suo latte e cereali.

    Poco dopo decisi di uscire.

    Casa di Carl, che ora era diventata casa di Sarah, non distava molto dal centro città. I boschi, a pochi passi da me, parevano più lugubri del solito. Iniziai a pensare alla mia specie e all’aiuto che avremmo potuto dare alla società.

    Non mi ero mai ritenuta un mostro, almeno non com'erano soliti fare certi vampiri, crogiolandosi nella sofferenza dell'essere immortale. Al contrario, pensavo che se gli umani avessero saputo di noi, non sarebbe stata una così grande catastrofe. Anzi, ero più che convinta che avremmo contribuito a dare una mano concreta alla comunità.

    Io ero una vampira, una non-morta, certo, ma non per questo dovevo restare nascosta in una bara buia e scomoda; o in una cripta, fredda e umida. Molti altri vampiri avrebbero da ridire sul mio stile di vita. Ne sono conscia. Vivere in mezzo agli umani senza che sappiano la verità: roba da film!

    Non m'importa, io non mi voglio nascondere da nulla, finché posso.

    – Scusa signorina?

    Una bambina. Avrà avuto poco più di sei anni. A pochi passi da me.

    – Se ti bagni poi prendi freddo – mi fece e mi sorrise, porgendomi un ombrello.

    Rimasi a guardarla, perplessa. Aveva un profumo delizioso, invitante. E io avevo molta sete. I miei occhi erano fissi su di lei, verdi come smeraldi e freddi come il ghiaccio. Era davvero carina con quell’ombrellino e quegli stivaletti rosa che si intonavano con i suoi capelli biondi lunghi e ondulati.

    Presi l’ombrello che mi porgeva con la gentilezza tipica dei bambini di quell’età.

    – Cosa fai in giro da sola? Ti sei persa? – le chiesi mentre la pioggia iniziava a infittirsi.

    L’ora non era tarda, ma mi sorpresi comunque di trovare una bambina così piccola in giro da sola. Aprii anch'io l’ombrello.

    Il vampiro che era in me, invece, pensava già perversamente a quel piccolo batuffolo dalle guance rosse e piene di vita tra le proprie labbra grondanti sangue.

    – Io abito qui. E tu?

    Non capii. Quella bambina parlava troppo bene per l’età che dimostrava ma si sa, l'America era la patria delle stranezze.

    – Abito anch'io qui. – Mi voltai verso l’interno del bosco. Il mio naso ormai viaggiava solo seguendo gli odori di sangue.

    – Sei annoiata? – fece inclinando il faccino di lato, con un sorrisino dolce e curioso.

    Mi voltai velocemente verso di lei e la guardai.

    – Ho sete – risposi semplicemente. Ancora pochi istanti e sarebbe diventata una preda. Scostai lo sguardo da lei, giusto per andarmene.

    – Perché sei cattiva con me, Alexandra?

    Ritornai a guardarla, veloce e con occhi sbarrati. Non c’era più. Scomparsa. Mi guardai intorno, cercandola con lo sguardo. Di lei nessuna traccia.

    No, ragioniamo. Non poteva essere stata una semplice illusione. L'ombrello che tenevo tra le mani era scomparso e la pioggia ora mi inzuppava.

    Rimasi ancora per qualche attimo a guardare il bosco silenzioso. Il minimo rumore mi faceva scattare sull’attenti, nella speranza che fosse quella bambina fantasma.

    Le mie aspettative vennero deluse dalla comparsa di un coniglio selvatico.

    Avevo davvero sete e nel momento in cui l’animaletto portò i suoi occhi nei miei, non resistetti oltre. Mi lasciai guidare dall’istinto predatorio della mia specie e la bambina sparì dai miei pensieri.

    Avevo solo voglia di sangue. Mi dovetti accontentare.

    Era quasi mezzanotte quando ripresi la strada verso Jasper. Ricordai che la città diventava sempre un fremito per la Festa di

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