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Raccontare in breve: Cinque studi sul viaggio e viaggiatori
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E-book165 pagine2 ore

Raccontare in breve: Cinque studi sul viaggio e viaggiatori

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Info su questo ebook

Da ormai diversi anni, il tema del viaggio accende l’interesse di storici, antropologi, filosofi, letterati e sociologi. Ognuno, seguendo una specifica prospettiva di indagine, contribuisce a definire un campo di riflessione che si sta imponendo sempre più come uno spazio multidisciplinare e interdisciplinare, in cui convergono – e convivono – istanze di analisi diversissime tra loro.
Fin dal 2006, il C.I.R.I.V. (Centro Interdisciplinare di Ricerca sul Viaggio), centro studi e di ricerca attivo presso l’Università degli Studi della Tuscia, riunisce intorno a sé docenti e ricercatori di differenti settori scientifici dando vita a convegni nazionali ed internazionali, seminari, giornate di studio e laboratori; iniziative seguite da pubblicazioni a carattere monografico o miscellaneo.
Raccontare in Breve: Cinque studi sul viaggio e viaggiatori raccoglie contributi di studiosi che da tempo animano le attività e gli appuntamenti del centro. Ciascuno di loro, con temi e su direttrici che caratterizzano la propria ricerca, offre uno spunto ulteriore per riflettere in piena autonomia intorno ad una fenomenologia – quella del viaggio, appunto – profondamente legata all’esperienza umana e all’esistenza stessa dell’uomo.
LinguaItaliano
Data di uscita4 dic 2020
ISBN9788878538856
Raccontare in breve: Cinque studi sul viaggio e viaggiatori

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    Anteprima del libro

    Raccontare in breve - a cura di Alessandro Boccolini

    stereotipata

    Introduzione

    Da ormai diversi anni, il tema del viaggio accende l’interesse di storici, antropologi, filosofi, letterati e sociologi. Ognuno, seguendo una specifica prospettiva di indagine, ha contribuito a definire un campo di riflessione che si sta imponendo sempre più come uno spazio multidisciplinare e interdisciplinare, in cui convergono – e convivono – istanze di analisi diversissime tra loro.

    Fin dal 2006, il C.I.R.I.V. (Centro Interdisciplinare di Ricerca sul Viaggio), centro studi e di ricerca attivo presso l’Università degli Studi della Tuscia, riunisce intorno a sé docenti e ricercatori di differenti settori scientifici dando vita a convegni nazionali ed internazionali, seminari, giornate di studio e laboratori; iniziative seguite da pubblicazioni a carattere monografico o miscellaneo.

    Raccontare in Breve: Cinque studi sul viaggio e viaggiatori nasce proprio all’interno della linea editoriale e di ricerca del C.I.R.I.V. raccogliendo contributi di studiosi che da tempo animano le attività e gli appuntamenti del centro. Ciascuno di loro, muovendosi su temi e direttrici che contraddistinguono la propria ricerca, offre uno spunto ulteriore per riflettere in piena libertà intorno ad una fenomenologia – quella del viaggio, appunto – profondamente legata all’esperienza umana e all’esistenza stessa dell’uomo.

    In apparenza disgiunti tra loro, nel loro insieme gli articoli raccolti presentano una chiave di lettura facilmente identificabile, favorita da una struttura distinta in due precise sezioni, tra elaborazioni teoriche sul tema e case studies: ad una prima parte formata da articoli in cui emergono considerazioni e valutazioni sulla storia e teoria del viaggio e dell’ odeporica, segue una seconda in cui trovano spazio applicazioni pratiche di studio e analisi su fonti e questioni.

    Il contributo di Platania, Dalla teoria alla pratica. Viaggi e viaggiatori tra centro e periferia, accompagna il lettore all’interno di una lettura critica del rapporto intrinseco che esiste tra viaggio e uomo, e tra viaggiatore e scrittura. In un primo momento l’autore, ricorrendo a pensatori e viaggiatori del passato, più o meno noti, riflette sul grande tema dell’ utilità dei viaggi arrivando a riaffermare fino a che punto la pratica del viaggiare sia congenita nella natura umana e, insieme, decisiva per la crescita personale e sociale di un individuo; successivamente, proprio l’idea del peregrinare in terre straniere per conoscere l’ altro e l’ alterità, diventa lo spunto per intraprendere un viaggio tra diverse forme di scrittura odeporica – memorialistica, con diari e relazioni, e utilitaristica, con le guide e manuali ad uso di chi viaggiava –, evocate facendo riferimento a fonti e documenti editi e inediti prodotti da quei viaggiatori che nel transitare lungo gli itinerari polverosi dell’Europa d’età moderna ne hanno lasciato traccia scritta.

    Un discorso per alcuni versi ripreso e approfondito da Pifferi con un articolo che riflette e considera l’entità e il valore – prendendo in prestito parole del titolo – dei «legami, dipendenze, connessioni tra viaggio e scrittura». Un contributo dalla chiara impronta letteraria che intende suggerire e dimostrare l’alto grado di ponderazione e di elaborazione celato nella produzione di viaggio, troppo spesso considerata come sola e fedele rappresentazione di una realtà vista e attraversata, e per questo ancora oggi difficilmente collocabile all’interno del sistema letteratura tradizionalmente inteso. Una riflessione che, nel ripercorrere velocemente le tappe evolutive di un genere – l’ odeporica –, dalla prima modernità, al romanticismo, fino al modernismo e post-modernismo, fa emergere tutta la complessità di una scrittura degna e matura di riconoscimenti critici e letterari.

    La seconda sezione della raccolta segue un criterio prettamente cronologico. Boccolini analizza un diario secentesco conservato presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze: autore, un eclettico personaggio e grande viaggiatore, il fiorentino Giovan Battista Fagiuoli. Come segretario di monsignor Andrea Santacroce, nunzio ordinario alla corte di Jan III Sobieski, nel 1690 si mise su strada per raggiungere Varsavia, capitale del regno guidato dal liberatore di Vienna. Un vero modello di true travel account che restituisce tappa per tappa il viaggio intrapreso e, insieme, una narrazione fedele dell’intera esperienza condotta in Polonia: agli interessi strettamente storiografici, con un quadro esatto della Rzeczpospolita del tempo, si uniscono le più tipiche suggestioni di un’analisi odeporica tra motivazioni, condizioni e modalità del viaggiare in età moderna.

    Stessa linea, ma trasportata ai primi dell’Ottocento, è quella proposta da Francesca De Caprio con un contributo che presenta il viaggio di un soldato napoleonico. Protagonista è Paolo Magelli e le sue 147 lettere conservate presso la Biblioteca Estense di Modena: scritte al fratello tra il 1804 e il 1809 dai maggiori teatri di guerra dell’Europa centro-orientale come effettivo del Corpo dei Veliti della Guardia reale di Eugenio Beauharnais. Dieci anni di corrispondenza che seguono la parabola di Napoleone e coprono l’intero arco cronologie delle campagne belliche intraprese dopo la costituzione del regno d’Italia: pur nella tragicità della guerra, i sogni imperiali di Bonaparte permisero a Maugelli di sfuggire a quel destino di immobilità al quale in Ancien Régime si era destinati se non si apparteneva ad una famiglia facoltosa; in marcia con l’esercito, ebbe l’opportunità di viaggiare attraverso la Dalmazia, l’Austria, l’Ungheria, la Germania e la Russia, restituendoci con le sue lettere immagini vive di città e luoghi visitati o semplicemente attraversati.

    Proprio il tema delle descrizioni che sostanziano le testimonianze odeporiche, diventa per Sanfilippo l’occasione per riflettere quanto, e fino a che punto, la resa di un determinato luogo ad opera di singoli viaggiatori possa coincidere, in tutto o in parte, con topoi descrittivi che è possibile ritrovare e rintracciare in diverse tipologie di narrazioni, non soltanto odeporiche. L’idea dell’autore è che l’immaginario collettivo su una determinata città o attrazione possa essersi formata a partire da un insieme di libri basilari, la cui circolazione ha favorito l’avvio di un graduale processo di standardizzazione della rappresentazione; la stessa sulla quale hanno poi agito le descrizioni offerte da viaggiatori e narratori in generale. Una tesi che verifica investigando il caso di Marsiglia: riprendendo narrazioni che abbracciano un arco plurisecolare, dal Trecento ai nostri giorni, e che toccano diversi canali espressivi, tra letteratura, poesia, cinema e giornalismo, l’articolo ripercorre le tappe della creazione di un immaginario della cittadina francese assai noto e identificabile in quei suoi topoi che la identificano come città di porto, di emigrazione e di malavita.

    Alessandro Boccolini

    Dalla teoria alla pratica. Viaggi e viaggiatori tra centro e periferia

    Gaetano Platania

    [1]

    Un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo né finisce nel

    momento in cui raggiungiamo la mèta. In realtà comincia molto

    prima e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a

    scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. È il virus del

    viaggio, malattia sostanzialmente incurabile.

    (R. Kapuściński, In viaggio con Erotodo, Milano 2004, p. 77)

    1. Prologo

    Il tema del viaggio ha visto in questi ultimi decenni un crescendo di molteplici interessi sia da parte di storici, antropologi, filosofi, in generale di letterati, soprattutto di sociologi che hanno cercato con i loro studi di fissare una volta per sempre un argomento che, diciamolo pure, è difficile poter racchiudere in schemi precisi e definitivi. Tuttavia, prima di entrare nel vivo dell’argomento, mi piace riaffermare un concetto per certi versi ovvio, ma sempre necessario ripeterlo, ossia ricordare che si è viaggiato in passato (ma si viaggia ancora oggi) per motivi diversi. Per necessità politica, diplomatica, per affari strettamente familiari, per esigenze di studio, militari, economiche, come simplex servus Dei [2] , oppure, per dirla alla Michel de Montaigne, per exercise profitable:

    […] le voyager me semble un exercice profitable. L’ame y a une continuelle exercitation à remarquer les choses incogneuës et nouvelles; et je ne sçache point meilleure escolle, comme j’ay dict souvent, à former la vie que de luy proposer incessamment la diversité de tant d’autres vies, fantasieet usances, et luy faire gouster une si perpetuelle varieté de formes de nostre nature [3] .

    Da questa semplice osservazione diventa chiaro che il viaggio è dell’uomo, è metafora della vita è, per citare il sociologo Eric J. Leed, intrinsecamente «legato all’esperienza, poiché tramite il conosciuto, il già esperito si tenta di acquisire l’ignoto e ciò giustifica il gran numero delle espressioni metaforiche legate al movimento» [4] .

    Se le cause del viaggiare sono molteplici, lo sono altrettanto i modi di viaggiare che, fin dalla nascita dell’uomo, come cercherò di esporre, sono andati evolvendosi nel tempo. Come poter spiegare questo cambiamento? Il motivo è racchiuso semplicemente nel momento storico nel quale si è viaggiato. Non v’è dubbio che il movimento da un luogo ad un altro, rispecchia la cultura, le aspettative, le paure del periodo in cui si viaggia. Le trasformazioni del viaggiare vanno di pari passo alla causa e alla misura di quanto il viaggiatore viene segnato e messo alla prova dalla propria esperienza; così come altri sono stati i problemi che l’uomo in movimento ha dovuto affrontare lungo l’itinerario scelto. Condizioni fisiche dei luoghi in cui si viaggia, condizioni atmosferiche, del paesaggio, ma anche dell’incontro con l’ altrove e l’ altrui. In ogni caso un’occasione unica per apprendere, conoscere altre culture.

    2. Un rapido sguardo teorico

    Ciò detto, il significato della parola viaggio è andata al giorno d’oggi radicalmente mutando rispetto al tempo delle pericolose prove affrontate da Gilgamesh, il protagonista del più importante poema assiro-babilonese, o quelle dell’omerico Ulisse, topos per eccellenza delle sofferenze legate al viaggio che fa «chiaramente da cornice alle gesta dell’eroe» [5] . I loro viaggi, sono stati decretati dagli dei e – dunque – non volontari e non rappresentavano un piacere, non erano espressione di un profondo desiderio dell’apprendere, del conoscere. Le sofferenze del viaggio facevano chiaramente da cornice alle gesta dell’eroe e ne intensificavano l’importanza. La caratteristica del viaggio come prova, rappresentava la rivelazione non di nuovi elementi, ma di qualcosa che già apparteneva al viaggiatore e che ancora doveva conoscere di sé: il coraggio, la resistenza, la capacità di sopportare dolore, di mantenere la propria lucidità e stabilità anche in situazioni di affaticamento e pericolo [6] .

    Oggi non si viaggia più nella solitudine per conoscere le cose del mondo, per scoprire le bellezze della natura, per conquistare nuovi mercati, per raggiungere Roma, la nuova Gerusalemme e acquisire il giubileo. Oggi, grazie alla rivoluzionaria idea di Thomas Cook, predicatore inglese, il solitario viaggio del pellegrino è stato soppiantato dal turismo di massa che reclama il tutto compreso, dove l’ avventura alla scoperta di una nuova città, di nuovi paesi più o meno vicini, è diventato un fatto programmato, predisposto da altri, pre-costruito [7] . Su questo terreno si è cimentato Claude Lévi-Strauss il quale, col celebre Tristi Tropici del 1955 [8] , decretava la fine dei viaggi, intesi, si intende, di quelli alla ricerca della propria identità e dell’autentica esperienza [9] . Il progresso dei mezzi e delle vie di comunicazione unito allo sviluppo sempre più esteso del turismo di massa e dei tour organizzati, ha reso definitivamente obsoleta la distinzione che Paul Bowles faceva nel lontano 1910 quando distingueva le due tipologie di viaggiatori: i viaggiatori veri e propri e i vacanzieri. I primi, avevano cognizione esatta del giorno della loro partenza ma ignoravano il rientro in patria, anzi non è raro che non conoscessero affatto la loro destinazione. I secondi, non sperimentano durante il viaggio alcuna particolare sensazione di smarrimento o di sospensione del tempo, in quanto restano ancorati alla propria quotidiana realtà e, dunque, sanno fin troppo bene quando faranno ritorno a casa dove, soltanto dopo, gusteranno la loro esperienza contorniati da amici e parenti tutti interessati nel vedere le diapositive e/o le fotografie scattate durante la loro vacanza.

    Se facciamo nostro il pensiero di Bowles, è facile poter dire che i viaggiatori di oggi, i vacanzieri, si muovono in uno spazio uniforme. Il loro viaggio è stato, nella maggior parte dei casi, già visto in televisione, su una guida turistica, sui social o su una rivista del settore, tutti mezzi di informazione/comunicazione che contribuiscono a rendere impossibile l’autentica esperienza, poiché il villaggio globale implica anche la preoccupante omogeneizzazione dell’immaginario. Così Peter Handke trasporta la propria esperienza nella sua Breve lettera del lungo addio, dove precisa che già in «aereo avevo perduto ogni capacità di immaginare qualche motivo di curiosità per questo posto. Tutto l’immaginabile mi era già noto, lo avevo visto in riproduzione durante il viaggio» [10] . Se a tutto ciò accostiamo anche la realtà della nuova comunicazione, assistiamo a due opposti fenomeni che ci allontanano sempre più dall’idea romantica che alcuni di noi ancora oggi conserva. Da un lato assistiamo ad un nuovo nomadismo come espressione di mancanza di identità, dall’altro, constatiamo la formula del viaggiare senza partire accontentandoci di sognare guardando una trasmissione televisiva dove altri viaggiano e noi con gli occhi pensiamo di essere lì con loro.

    Tutto questo è l’oggi, mentre

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