Lettere
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Info su questo ebook
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Su quel maledetto treno diretto in città c’è Veronica Vignola, una ragazza profondamente turbata, senza ambizioni né sogni, che ormai esce di casa solamente per recarsi a qualche colloquio di lavoro, sperando sempre di non essere assunta per non dover fronteggiare le proprie ansie. Ma Veronica non è solo questo, perché, in un modo o nell’altro, nel bene e nel male, è sempre stata legata a Marco. E proprio per questo motivo, attraverso sedici lettere racchiuse in un diario, è a lei che il ragazzo racconta la sua storia, rivela i suoi segreti e confessa le sue paure.
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Quattro anni dopo il tragico evento, Veronica decide di rispondere a Marco, anche se lui non leggerà mai le sue lettere. Per lei è giunto il momento di affrontare finalmente la morte dell’amico e di raccontare la sua versione della storia, cercando di trovare conforto nelle parole.
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Da ciò, scaturisce uno scambio epistolare, sebbene solo ideale, travolgente e profondo, in cui emergono i dubbi e i timori di due ragazzi che, da sempre emarginati, tra momenti di gioia e attimi di oscurità cercano di trovare il proprio posto nel mondo.
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Grazie a uno stile semplice ma incisivo, Lettere permette di crescere con i protagonisti, di entrare in contatto con esperienze spesso appuntite come schegge, di affrontare con Veronica e Marco, pagina dopo pagina, alcuni problemi con cui tutti si sono scontrati almeno una volta nella vita: quelli legati all’adolescenza, all’amicizia e ai primi amori, la paura di non essere accettati, l’incertezza per il futuro, il dolore dovuto alla perdita di una persona cara.
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Anteprima del libro
Lettere - Paolo Castelli
tardi.
Capitolo I – Marco
21 febbraio 2000
Ciao Veronica,
so che non leggerai mai quello che ti sto scrivendo, ma la psicologa mi ha consigliato di tenere un diario in cui raccontare cosa mi succede.
Non ti ho detto che vado da una psicologa, ma è quello che i miei genitori hanno deciso perché pensano che io sia strano, che non sia come gli altri.
Loro pensano che io non capisca, ma li sento parlare e discutere di me, di quanto io sia diverso dalle mie sorelle e, soprattutto, dai miei compagni.
Tu sei l’unica amica che ho, forse perché siamo i due emarginati della classe, presi sempre in giro da quel simpaticone di Tiziano, quello che per mio papà sarebbe il figlio perfetto.
Secondo te, che colpe ho io se non mi piace il calcio? In generale odio gli sport e tu lo sai bene, visto che lo ripeto ogni giorno all’intervallo. Nella vita ci sono altre cose più interessanti e che mi piacciono di più.
Mi tocca andare da una psicologa, però da domani prenderò lezioni di violino: è stato un patto che ho fatto con mia mamma, poi ha pensato lei a convincere mio papà. Alla fine è lui che deve pagare.
Le mie sorelle fanno finta che non ci sia, credo che a volte si vergognino di me.
Mia mamma dice che l’adolescenza è così.
La vita, però, non fa schifo perché ci sei tu. E tu sei meglio di loro.
Non è vero che mia mamma ti odia. Sente quello che la gente dice in paese e ci crede, ma io so che sono tutte bugie e infatti ogni giorno ti lascio venire a casa mia.
Sai quanto mi piaccia leggere e anche scrivere, ma purtroppo questa lettera non potrò fartela vedere.
E non posso neanche dirti della psicologa: è un mio segreto, ho troppa vergogna.
Ti sono grato per avermi salvato l’altro giorno, quando Beatrice è stata crudele: sono abituato alle cattiverie, ma pensavo che fosse una bambina buona.
Desideravo da tempo andare in gita alle rovine di Casalmaiore, ci andavo spesso con i miei genitori e le mie sorelle ed ero curioso di scoprire cosa ci avrebbe detto la guida.
«Sei noioso, cosa ci fai qui? Sei sempre in mezzo alle femmine, non hai degli amici maschi?»
Sono bastate queste parole di Beatrice, seguite dalle risate delle altre, per farmi star male e rovinarmi la giornata che aspettavo da più tempo in assoluto.
Probabilmente la maestra se ne è accorta perché ho visto che poi l’ha rimproverata, ma ormai il danno era fatto…
Stavo male anche perché lei aveva detto la verità: io non ho amici maschi.
Non vedo l’ora che passino questi mesi e l’anno prossimo, così possiamo andare alle medie e iniziare una nuova vita.
Prego ogni sera prima di dormire di poter essere in classe con te anche lì, sarebbe bellissimo.
Ora ti lascio e nascondo il diario in un posto in cui non potrai mai trovarlo quando verrai in camera mia, perché sarei troppo in imbarazzo. Ho sempre avuto vergogna nel far leggere agli altri ciò che scrivo, soprattutto se riguarda certi segreti.
Capitolo II – Veronica
21 febbraio 2016
Ciao Marco,
ogni volta che leggo queste lettere per me è troppo doloroso.
Avevo rimosso dalla mia mente la gita alle rovine e le parole, come sempre cattive, di Beatrice.
Sono quasi passati quattro anni da quel giorno tragico e non sai quanto mi manchi, ma questa è un’altra storia, ti racconterò tutto più in là, quando sarà il momento.
Dopo aver ricevuto da tua mamma le lettere, per un attimo ho pensato di bruciarle, di far finta che non le avessi mai lette e tentare di eliminare anche te dal mio cervello, come mi avevi consigliato di fare nel biglietto.
Non ci sono riuscita e allora ho pensato di farti rivivere.
Sento la tua presenza ogni giorno, come se fosse una colpa che devo espiare per averti lasciato da solo quando tu avevi bisogno di me.
Ho pensato che la soluzione migliore fosse quella di rispondere alle tue lettere, nonostante siano passati anni, come se veramente avessimo avuto uno scambio epistolare. L’avrei desiderato tantissimo.
Perché non me le hai mandate, all’epoca? Che bello sarebbe stato se tu quel giorno di sedici anni fa (di cui oggi ricorre l’anniversario) mi avessi spedito veramente quella lettera!
Le nostre vite sarebbero cambiate, magari, e non avremmo passato tutte quelle vicissitudini che abbiamo dovuto affrontare.
Non voglio bruciare le tappe, però. Partirò da questa prima lettera e spesso sarò prolissa, perché vorrei spiegare tutto in modo preciso. Non c’è nessuna fretta ed è giusto che la gente sappia la verità, nel caso in cui questo diventasse un libro.
Ricordo bene la nostra quarta elementare. Era il primo anno del nuovo millennio e tutti erano preoccupati, ma tu mi dicevi che sarebbe stato sempre lo stesso schifo e io mi tranquillizzavo.
Ci conoscevamo e ci sostenevamo a vicenda, sempre io e te, tu e io, anche se ogni tanto si aggiungeva qualcuno, di solito bambini o bambine che stavano nella nostra classe per qualche mese e poi sparivano, se ne andavano da Lucino senza che sapessimo più niente di loro.
Ora c’è Facebook e potremmo cercarli; all’epoca dovevamo fare affidamento solo sulle parole dei grandi, spesso e volentieri malvagie nei confronti di quelle famiglie forestiere che rovinavano l’immagine del nostro bel paese.
Ecco, in questa prima risposta voglio parlarti di me, di quello che non ti ho mai detto; voglio che tu sappia la mia intera storia. Probabilmente l’avrei fatto tanti anni fa, se tu mi avessi mandato quella lettera.
Anche io, Veronica Vignola, ero una forestiera , come si dice a Lucino, il paese in cui mia mamma e mia nonna hanno deciso di venire ad abitare nel lontano 1996.
Avevo sei anni, ma la vita era già stata poco clemente con me. Credo tu lo abbia sempre saputo, anche se non ne abbiamo mai parlato, perché quando eravamo bambini cercavamo di vedere solo il meglio dalla vita e le brutte cose rimanevano fuori.
Mio papà, o meglio la persona dalla quale ho preso il cognome, è morto quando avevo due anni, nel 1992, a causa dell’eroina, come migliaia di giovani della sua generazione che hanno lasciato il mondo troppo presto. Aveva soltanto ventitré anni e purtroppo non ho alcun ricordo di lui, niente di niente. In casa mia non c’è mai stata nemmeno una sua foto. Di lui è rimasto solo il cognome che ho ereditato.
Mia mamma era giovanissima e non aveva intenzione di passare la sua giovinezza con me, così io stavo con la nonna, la terribile nonna Giovanna, che sembrava molto più vecchia di quello che in realtà era e che era sempre alle prese con misteriosi oggetti.
Quando avevo cinque anni, al mio paese scoprirono che quello morto non era realmente il mio padre biologico. Probabilmente il mio vero padre era un signore di una città vicina che aveva avuto una relazione con mia mamma, chi lo sa… Non so come si diffuse la notizia tra la gente, so solo che provocò uno scandalo così grande che io, mia mamma e mia nonna dovemmo fuggire e iniziare a Lucino una nuova vita, anche se io fortunatamente ricordo poco di quei giorni. Addirittura c’era chi mormorava che fosse stata mia nonna a uccidere quell’uomo con una pozione magica… Come sai anche tu, i pettegolezzi non hanno mai un limite, ma io non ho mai creduto a questa storia, anche se la gente diceva che lei fosse una strega.
Siamo arrivate a Lucino con le nostre valigie decrepite e siamo andate ad abitare in una delle poche case fatiscenti del paese, unico ricordo del terremoto degli anni Ottanta, visto che tutto il resto era stato ricostruito velocemente.
Così in prima elementare ci siamo conosciuti.
Tu eri piccolo e minuto, ma sempre vestito bene. D’altronde tuo papà era stato il sindaco di Lucino.
Io, invece, ero la figlia di una sbandata troppo assente perché potesse prendersi cura di me, e avevo una nonna che, sebbene non fosse una strega come diceva la gente, era una donna debole, distrutta dalla vita, che cercava in un mondo immaginario qualcosa di migliore, anche se spesso diventava cattiva e diceva parole orribili, come se fosse posseduta.
Ecco, non te l’ho mai detto, ma queste sono le condizioni in cui sono cresciuta. Io, però, ero felice perché avevo conosciuto te, il mio primo compagno di banco, nonché l’unico alle elementari, visto che gli altri ci evitavano.
Ora arrivo al giorno della gita, non ti preoccupare. Dato che raccontare la tua e nostra storia è diventato il mio scopo, però, voglio godermi ogni parola che scrivo, perché è come se tu fossi ancora qua con me. Ora avresti ventisei anni e, per me, saresti un professore o uno scrittore perché sei sempre stato troppo intelligente.
Va bene, ritorno alla lettera anche perché sto andando fuori tema e questo è male, come diceva la professoressa Gatto (chiamata da noi la Felina ) alle medie.
Come eri contento per quella gita! Tu amavi la storia, io cercavo di farmela piacere e ammiravo la tua conoscenza. Sembravi più grande e più maturo dei ragazzini della nostra età.
Anche il giorno prima ero venuta a casa tua a studiare. Ormai non facevo più caso agli sguardi di tua mamma e all’indifferenza nei miei confronti di tuo papà, perché grazie a te avevo iniziato a impegnarmi, i voti erano alti e, inoltre, facevo le migliori merende che potessi immaginare. Nonostante tutto, tua mamma dava sempre più cibo a me che a te, forse perché sapeva che, tornata a casa, non avrei cenato più di tanto e avrei dovuto badare anche alle altre due mie coinquiline .
E così quel giorno di febbraio siamo andati in gita, emozionatissimi con i nostri zainetti e il pranzo al sacco che tua mamma ci aveva preparato: tu non vedevi l’ora di vedere le rovine, io già alle sette del mattino avevo l’acquolina in bocca pensando al panino con la cotoletta che avrei mangiato.
Purtroppo, poi, è arrivata Beatrice. Era cattiva con tutti, si diceva fosse così già all’asilo: lo mormoravano i vari genitori tra di loro. Io spesso li ascoltavo di nascosto perché sapevo che prima o poi avrebbero parlato anche di me e immaginavo cosa avrebbero inventato.
Ho scoperto dalla tua lettera che andavi da una psicologa. Perché non me l’hai mai detto? Avrei voluto un appuntamento anche io all’epoca per aver qualcuno di grande con cui sfogarmi e che mi desse un sostegno per andare avanti. Non ho mai avuto il coraggio di dirtelo perché non volevo tirare fuori alcune vicende, di cui parlerò solo in queste lettere.
La gita era stata noiosa, molto peggio del previsto, si era messo persino a piovere. Nonostante tutto, però, per un certo verso era stata anche bella, perché avevo passato del tempo con te.
Sapessi cosa diceva di me la gente! Avevo risposto a Beatrice e mi ero beccata subito un rimprovero, anche se sapevo che la maestra la pensava come me.
Tutti ci evitavano, è vero, ma io e te, insieme, stavamo bene. Era come se fossimo un’unica persona, nonostante più diversi di così non potessimo essere.
Io, da bambina, ero brava in qualsiasi sport, ho sempre avuto la giusta grinta, forse fin troppa, mentre tu eri appassionato d’arte, ti piaceva disegnare, scrivere e ricordo ancora quanto fossi contento quando hai iniziato a suonare il violino. Ogni volta volevi eseguire per me alcuni spezzoni delle tue canzoni preferite (gli esiti erano sempre tragici, purtroppo), brani che consideravo vecchi e incomprensibili, niente a che vedere con i capolavori di Eros Ramazzotti e Laura Pausini, i miei idoli.
Tu storcevi sempre il naso quando li ascoltavo, facevi finta di vomitare e di svenire. Io allora fingevo di arrabbiarmi affinché tu ti scusassi con me e, specialmente, con loro.
Che nostalgia ricordare quei tempi! Nonostante tutto, mi mancano, perché eravamo ancora due bambini ingenui, e mi commuovo a pensare a quello che è stato, a quanto fossero belli gli anni delle elementari.
Sono passati sedici anni da quella tua prima lettera mai mandata ed è successo di tutto.
Devo fermarmi perché mi fa troppo male pensare che tu non sia qui. Sei stato crudele a lasciarmi così all’improvviso…
Capitolo III – Marco
24 maggio 2001
Ciao Veronica,
dopo più di anno ritorno a scrivere queste lettere che sono indirizzate a te, ma che rimarranno solo sul mio diario.
Avessi più coraggio, magari te le invierei. Purtroppo sono un fifone e tutto questo resterà qua, senza che tu sappia realmente cosa provo.
Ho accantonato subito il progetto consigliatomi dalla psicologa perché lo trovavo inutile e senza senso. Restavo comunque isolato e senza nessuno con cui potessi parlare. Inoltre, stavo ancora più male perché avrei dovuto scrivere di faccende che mi provocavano dolore.
Nel frattempo è passato un anno, stiamo finendo la quinta elementare e per fortuna abbandonerò quell’edificio spettrale dedicato a Virginio Laurenzi, nonno di Tiziano e figura importante per questo paese schifoso. Non so se lo sapevi, questo!
Ritorno a scrivere perché ieri è successa una cosa speciale: sono stato bene con te, ma non ho avuto il coraggio di dirtelo.
Scusami, ho visto nei tuoi occhi quanto fossi delusa.
Non ho dormito stanotte pensando a quanto sia stato stupido. Però sono anche contento perché con te sto bene e spero sia sempre così tra di noi.
Quando le maestre avevano detto che saremmo andati allo zoo e poi al parco divertimenti per celebrare i cinque anni delle elementari, ero a disagio perché pensavo a quanto sarebbe stato imbarazzante il viaggio in pullman, tra la gente che stava male e i cori beceri dei nostri compagni di classe.
Tu, invece, eri contenta perché per un giorno ti saresti allontanata dalla tua realtà e saresti potuta fuggire da quello che ti sta accadendo.
Non ho il coraggio di chiederti cosa sia successo alla tua famiglia. Magari con una lettera sarebbe più facile parlare di alcuni argomenti, ma non me la sento, ho paura che qualcuno possa leggere quello che ti scrivo. So che tutti mi considerano un po’ strano.
Tu mi piaci, ma non come io piaccio a te. Mi sa che l’hai capito ieri e so di averti delusa. È che io tengo troppo alla nostra amicizia e non vorrei rovinare tutto, specialmente in questo momento, perché stiamo finendo le elementari e, se perdo anche te, le medie saranno un altro disastro.
Quest’estate già dovremo stare lontani per molto tempo. Starò via da giugno a settembre in una casa che hanno affittato i miei genitori al mare. Staremo lì io e mia mamma, mentre mio papà e le mie sorelle ci raggiungeranno appena finiranno il lavoro e gli esami all’università.
Ho insistito perché venissi anche tu, ma, appena l’ho