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L'Italia dal 2006 al 2008
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E-book374 pagine4 ore

L'Italia dal 2006 al 2008

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Storia - saggio (279 pagine) - Breve storia della seconda e terza Repubblica dal 1994 al 2018 e dello stato sociale


Il centrodestra aveva approvato una nuova legge elettorale (Porcellum) per impedire il successo delle sinistre. Per ironia della sorte quella stessa legge favorì nel 2006 la vittoria del centrosinistra di stretta misura. Il presidente del Consiglio fu ancora Romano Prodi che stavolta si trovò con due grossi problemi: ridurre il debito pubblico e guidare una coalizione, restia ad ogni riduzione dello stato sociale, e con una maggioranza risicata che lo costringeva a patteggiare con ogni partito la sua fiducia in cambio di qualcosa. La fine di questo governo che aveva ben operato nell’interesse del Paese , non delle lobbies economiche e sindacali, era scontata e questa si avverò nel 2008.

Nel IV, V, VI capitolo si analizzano i rivolgimenti socio economici avvenuti in Europa nel Primo dopoguerra aventi per protagonisti i vincitori (Francia, Gran Bretagna, Italia, Stati Uniti…) ed i vinti Germania e l’Impero Austro Ungarico. La Germania, impossibilitata a pagare il debito ed in preda ad azioni sovversive sia di destra sia di sinistra finì per concedere la fiducia ad Adolf Hitler ed al Partito Nazional Socialista, mentre l’impero austro ungarico si dissolse in tante piccole patrie.

Le turbolenze sociali del primo dopoguerra in Italia avevano favorito l’ascesa al potere di Benito Mussolini, che  abolì lo stato liberal democratico in favore di un partito unico il Partito Nazional fascista e seguì la Germania nella sua folle avventura della seconda guerra mondale.


Silvano Zanetti è nato il 21 ottobre 1948 in provincia di Bergamo, da famiglia modesta. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è iscritto al Politecnico di Torino dove si è laureato in Ingegneria Meccanica. Dal 1977 vive a Milano dove ha lavorato presso diverse aziende metalmeccaniche come tecnico commerciale e maturato una buona conoscenza di usi, costumi ed economia dei Paesi europei ed asiatici. Nel 1992 ha frequentato un Master MBA all’Università Bocconi. Alla fine della sua carriera lavorativa si dedica al suo hobby di sempre, lo studio della storia. Collabora con la rivista e-Storia dal 2010. Nel 2018 ha preso la decisione di scrivere i contenuti presenti in questa collana divulgativa di storia contemporanea.

LinguaItaliano
Data di uscita19 apr 2022
ISBN9788825419924
L'Italia dal 2006 al 2008

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    Anteprima del libro

    L'Italia dal 2006 al 2008 - Silvano Zanetti

    Introduzione

    Dato uno spazio a N dimensioni conoscendo l’intensità, la direzione ed il verso di tutte le forze attive, la risultante in direzione, verso ed intensità è nota: la Storia.

    Confesso che era mia unica intenzione di scrivere un semplice e breve saggio storico sugli ultimi anni della politica italiana, dal 2013 al 2018, ovvero la XVIII legislatura. Per esempio, un volumetto dal titolo «Da Matteo Renzi a Matteo Salvini», oppure «Ascesa e declino di Renzi e l’affermazione del M5S» ecc.

    Completato un volumetto di circa 100 pagine, ebbi la malaugurata idea di farlo leggere ad alcuni amici per un loro commento. Fui subissato da critiche costruttive quali: come si fa a parlare in poche pagine di Jobs Act, Globalizzazione, Euro, Riforme costituzionali, se non si spiega quanto avvenne negli anni precedenti? La storia è sempre un dipanarsi di eventi, talvolta nuovissimi e imprevedibili, ma il più delle volte sviluppatisi senza soluzioni definitive negli anni precedenti (es. il debito pubblico, le riforme mai riformate) o che erano «in fieri» e che sono esplosi anni dopo (es. il basso valore aggiunto del settore pubblico e privato o i diritti civili). La soluzione di alcuni problemi ne crea sempre di nuovi per cui, quelli che erano considerati rivoluzionari e che avevano contribuito a cambiare la società nell’arco di due generazioni, diventano conservatori se non reazionari; arroccati nella difesa, con le unghie e coi denti, di conquiste e privilegi, mitizzati e sacralizzati in tabù intoccabili (la riforma del lavoro, il rapporto uomo-donna).

    Convinto da questi suggerimenti amichevoli mi sono accinto a questa immane, ma anche piacevole fatica, che mi ha impegnato due anni di vita.

    Per evitare che i lettori abbiano un giudizio sfavorevole su questo mio lavoro, concentrato soltanto su alcuni aspetti di quanto accaduto in questo lasso di tempo, vi aiuto a districarvi in questo mio «libro-puzzle».

    Il XX secolo fu contrassegnato in Europa da due sanguinose guerre mondiali, che hanno determinato la fine dell’Eurocentrismo, e della contrapposizione tra Capitalismo e Socialismo, con tutte le loro varianti: dal Nazifascismo al Liberalismo democratico, dalla Socialdemocrazia al Comunismo. Verso il 1990 si ebbe il crollo del regime comunista-utopista nell’URSS. Contemporaneamente prese forma ed ebbe successo l’originale «via cinese al Socialismo» che nega sì il Liberalismo politico (solo il Partito Comunista è legale) ma incentiva l’economia di libero mercato favorendo l’affermarsi di un Capitalismo senza Liberalismo.

    Le due culture politiche, Liberalismo e Socialismo, a cui si erano ispirate le élites politiche e culturali al comando in Europa, verso la fine del secolo, avevano esaurito il loro compito e le masse popolari, drogate dai media, erano pronte a dare il consenso ad altre élites più vicine ai loro bisogni primari, rifiutando le precedenti mediazioni ideologico-culturali. Le mediazioni religiose erano già state da lungo tempo rifiutate.

    L’Italia, essendo geopoliticamente e culturalmente parte integrante del mondo occidentale, da quegli sconvolgimenti e crisi di valori ne uscì a pezzi.

    Con il crollo del Comunismo in URSS crollò anche il duopolio democristiano–comunista che aveva retto l’Italia per 40 anni, e nel contempo si ebbe l’ascesa al potere politico di una élite avida e populista senza ben definiti ancoraggi culturali. Questo trapasso di potere reale segnò il fallimento della classe borghese liberale e degli intellettual-marxisti senza profonde radici nelle masse popolari. Tutti si dimostrarono incapaci di guidare la società italiana a fare il salto di qualità, passando da una società di consumi ad una società ad alto valore aggiunto, in cui il fabbisogno di maggiore democrazia e partecipazione è anche più elevato.

    E mentre in questi ultimi 25 anni alcuni paesi continuavano ad accrescere il loro benessere, a cui partecipavano sempre più vasti strati della popolazione, l’Italia andava scivolando verso gli ultimi posti in Europa sia per i livelli di reddito sia per i livelli di diseguaglianza.

    L’avere aderito a pieno titolo, fin dall’inizio alla costituzione dell’Europa negli anni ’50, era stato di grande vantaggio per l’Italia, che aveva ricavato notevoli benefici per la propria industria manifatturiera, e di conseguenza aveva incrementato l’occupazione ed il benessere generale. Tuttavia dal 2.000, con la creazione della moneta unica, l’euromarco, l’Italia perdeva anche la sovranità della moneta. Le sarebbero rimasti solo gli obblighi di onorare i propri debiti, avendo ceduto a terzi sia il proprio mercato, sia la propria sovranità, delegata a Bruxelles con una infinita serie di accordi commerciali e civili.

    Il fallimento post 2.000 era insito nelle motivazioni della classe politica italiana che riteneva di poter rifilare all’Europa parte del suo enorme debito pubblico, essendo incapace ad attuare quelle riforme atte a ridurre la rendita parassitaria.

    Il gioco del cerino acceso da passare a qualcun’altro funzionò. Nessuno era disposto a farti entrare nel condominio chiamato Europa se poi non eri disposto ad accollarti le spese condominiali.

    La Gran Bretagna, verificato che gli svantaggi della sua partecipazione ad un’Europa a trazione tedesca erano superiori ai vantaggi, sarebbe uscita da questa trappola, con l’appoggio del suo popolo.

    Ed ecco in breve i fili conduttori, che mi hanno ispirato nello scrivere questo saggio e che aiuteranno i lettori a capire quanto accaduto negli anni dal 1994 al 2018.

    In tutti i volumi, il primo, il secondo e talvolta il terzo capitolo, descrivono sia il panorama politico, sia i dibattiti tra i partiti, sia i Governi che si sono succeduti con le loro promesse, programmi e provvedimenti legislativi realizzati in quel preciso momento storico.

    I Partiti politici ed i loro leaders sono tutti coinvolti in una rissosità continua e, per dirlo alla Guicciardini, sembrano tutti super interessati a conseguire i propri interessi «particolari» piuttosto che pensare al bene comune. La lotta tra il cartello delle Sinistre e il cartello delle Destre, dominato da Silvio Berlusconi, durerà venti anni e finirà per portare il Paese stremato fuori da tutti i giochi politici europei.

    Nei restanti capitoli di ogni volume si introducono argomenti a tema che si distribuiscono fra i vari volumi. I due temi principali trattati sono: le rivoluzioni industriali, fino a quella dell’informatica, che si sviluppano di pari passo con il Capitalismo-liberale e, come contrappunto, la storia dello Stato sociale, dalla riforma delle pensioni di Bismarck, alla Third Way di Tony Blair, Gerhard Schröder,ed al Jobs Act di Matteo Renzi.

    Accanto a questi due mainstreams si introducono anche temi completamente nuovi: l’immigrazione, gli attentati terroristici islamici, i mutamenti nella Chiesa Cattolica, il cambiamento dei costumi degli italiani, la Repubblica Popolare Cinese, la globalizzazione, il crollo del sistema bancario mondiale e poi la bancarotta sfiorata delle banche italiane.

    Per finire, un ringraziamento lo devo al nostalgico gruppo degli «amici Einaudini» capitanato da Francesco Favero (collegio universitario Principe Amedeo di Torino) sopravvissuti al ‘68 ed in particolare ad Alessandro Accorinti, che si è sobbarcato l’immane compito di raddrizzare le mie bozze creative.

    Non vi è mai stata l’ambizione di redigere qui una storia onnicomprensiva del passato ventennio, ma solo una parziale rivisitazione dei momenti più significativi di cui sono stato testimone diretto o indiretto.

    Buona lettura…

    Silvano Zanetti

    Introduzione al quarto volume

    Questo quarto volume è molto importante perché in esso è descritto il fallimento del cartello delle sinistre che si era già formato nel 1994 con l’inizio della II Repubblica. Esso era formato da un insieme di partiti riformisti rissosi per fumosi motivi ideali (ex-comunisti, ex-democristiani, ecologisti ecc.) che tentarono di percorrere un sentiero virtuoso per il risanamento economico sociale del Paese. È importante notare che il rapporto PIL/debito pubblico durante il Governo Prodi era diminuito leggermente e vi erano concrete possibilità che alla normale fine della legislatura si sarebbe assestato al 100% senza bisogno di ricorrere a manovre di macelleria sociale.

    L’Italia era sulla strada della ripresa economica, dopo il tonfo mondiale seguito all’attentato delle torri gemelle (11/9/2001) e contemporaneamente erano state introdotte riforme sociali per garantire una maggiore equità e una riduzione delle disuguaglianze sociali.

    È un caso da manuale (da sociologia politica) studiare come la Sinistra radicale, la cui base elettorale era impiegata in settori ad economia protetta o nel settore pubblico, si sia comportata e come abbia contribuito a far cadere il Governo Prodi. Si sarebbe tentati ad affermare che la totale protezione di uno strato di lavoratori anziché generare fedeltà e dedizione allo Stato in Italia, genera la cupidigia di massimizzare solo il proprio vantaggio personale. Non dissimile fu il comportamento dei Soviet Operai in Russia nel 1917/18, quando dopo aver preso il controllo delle fabbriche si aumentarono i salari, finché il Comitato Centrale presieduto da Lenin spiegò loro che le fabbriche dovevano produrre utili e beni materiali a prezzi ragionevoli per il popolo. Una guerriglia continua su ogni provvedimento, una sfida alla maggioranza interna al Governo per erodere il consenso, nessuna cautela o presunzione di poter fare il gioco dell’avversario. Si può dire che il cartello delle destre capitanato da Berlusconi non potesse avere migliore alleato. E come non capire la decisione del Segretario del PD Walter Veltroni mai più alleanze con la Sinistra radicale? Perché questo accanimento verso un Governo non solo amico, ma il miglior amico possibile in quel momento? E che cosa, quali classi sociali, quali interessi proponeva in alternativa la Sinistra radicale? E soprattutto che cosa prevedeva in alternativa se non il saccheggio delle finanze pubbliche a difesa di nicchie di categorie svantaggiate (ad es. i lavori usuranti) che condizionavano mediaticamente l’opinione pubblica?

    I radicali di sinistra erano prigionieri del loro stesso mito, cioè la riduzione delle disuguaglianze sociali, ovvero la collettivizzazione della miseria e dell’ignoranza e l’affermazione dei diritti civili, che talvolta si rivoltano contro le classi meno abbienti (con l’insensata totale apertura all’immigrazione e la scarsa attenzione alla lotta contro la criminalità comune). L’Estrema sinistra contestava ogni legge, frutto di necessari compromessi in una coalizione, perché ritenuta sempre minimalista ed al massimo era accettata come base per ulteriori migliorie. Contemporaneamente non si impegnava con lo stesso vigore nella lotta alla corruzione, all’evasione fiscale, alla mafia, all’inefficienza dell’amministrazione statale, al rifiuto di applicare il criterio del merito in tutte le funzioni pubbliche.

    E se gli aiuti all’industria erano ancora bollati come regali ai padroni, non si incentivavano forme alternative di produzione secondo le leggi di mercato: le cooperative o società pubbliche o semipubbliche, che presentavano nella maggior parte dei casi bilanci in rosso, erano costantemente sostenute con il denaro pubblico. Il nemico era quel Governo Prodi che con due lustri di ritardo cercava di seguire una politica socialdemocratica incentrata sull’efficienza dello Stato sociale e di tutti servizi gestiti dallo Stato, già applicata con successo in Germania e Gran Bretagna. Questa politica aveva permesso, dopo gli anni della stagnazione negli anni ‘80 e ‘90, una crescita economica, sociale e culturale in questi Paesi che erano riusciti a sconfiggere la disoccupazione, ad incrementare il reddito pro-capite e, ancora più importante per un partito socialdemocratico, a ridurre le disuguaglianze sociali.

    Ci soffermiamo nel terzo capitolo ad analizzare alcuni parametri economici che chiuderanno un intero periodo storico: la stagnazione iniziata con l’introduzione dell’euro nel 2000. Se fino al 2008 di parlava di stagnazione, da ora in poi, anche a causa di fattori esterni quali la crisi finanziaria mondiale dovuta al fallimento della Lehman Brothers, l’Italia entrerà nel tunnel della recessione indotta da un debito pubblico fuori controllo che nessuna forza politica si proporrà seriamente di ridurre. Anzi apparve evidente che l’opinione pubblica avesse rimosso il concetto di debito pubblico, questo per responsabilità della classe politica e sindacale sia di destra che di sinistra.

    Nel IV capitolo ci dilunghiamo ancora ad analizzare alcuni aspetti sociali ed economici causati dalla I guerra mondiale che si protrarranno anche dopo la fine del conflitto.

    Nel V e VI capitolo si analizzano gli effetti catastrofici della prima guerra mondiale non solo sull’economia da trasformare da bellica a civile, che si avviava verso forme di autarchia, ma anche per l’avvento del fascismo in Italia con Mussolini e del nazismo in Germania con Hitler.

    Con questi due dittatori la fine dello Stato liberale ed i conflitti sociali, fino ad allora risolti da una libera contrattazione tra capitale e lavoro, tra i rappresentanti degli imprenditori e i sindacati, rappresentanti degli operai, ora vengono avocati allo Stato che per il bene della Nazione media insindacabilmente fra le parti.

    La Germania illiberale cercherà una rivincita dopo la umiliante ed ingiusta pace imposta dagli Alleati, e l’Italia di Mussolini si accoderà sopravalutando il proprio potenziale militare ed umano.

    La seconda guerra mondale scoppiata nel 1939 e terminata nella primavera del 1945 decreterà la fine dell’Europa Occidentale come potenza di riferimento e sarà sostituita dalle due potenze vincitrici, Stati Uniti e Russia, dotate di sistemi politici economici contrapposti.

    Capitolo I - Il panorama politico alla vigilia delle elezioni

    Una campagna elettorale molto combattuta portò alla vittoria il Centrosinistra, grazie alla nuova legge elettorale, benché avesse ottenuto qualche migliaio di voti in meno dell’antagonista Centrodestra. Dopo un sereno ed ampio dibattito si giunse ad una fusione tra la Margherita e i Democratici di Sinistra dando vita a nuovo partito chiamato PD (Partito Democratico). La Lega migliorò i contatti con le altre forze autonomiste ed Alleanza Nazionale fu traghettata da Fini nell’alveo del Partito Popolare Europeo.

    1.1 – Forza Italia

    La campagna elettorale per le elezioni politiche del 2006 fu una delle più accese di tutta la storia repubblicana. Forza Italia e la coalizione di centrodestra, guidata da Berlusconi che si ricandidava, si presentavano agli elettori chiedendo un giudizio positivo sull'esperienza dei due governi guidati da Berlusconi, durati complessivamente cinque anni.

    Sul campo avverso si presentava L’Unione, la coalizione di centrosinistra rinnovata e guidata da Romano Prodi, che giudicava in modo diametralmente opposto l’esperienza legislativa dei governi guidati da Berlusconi.

    Berlusconi partecipò a due confronti televisivi ufficiali con il suo sfidante Prodi, risultando perdente nei sondaggi per i suoi argomenti propagandistici, fumosi e futuristi a fronte delle proposte concrete e realistiche del Professore.¹

    Il Cavaliere aveva a disposizione tre canali televisivi che richiamavano circa il 60% dell’audience dei telespettatori, tuttavia una legge sulla par condicio² imponeva una propaganda televisiva con condizione di parità del tempo concesso a ciascun candidato per esporre i programmi elettorali in proporzione al consenso elettorale di cui ciascun partito disponeva.

    Poiché la nuova legge elettorale non prevedeva che l’elettore potesse scrivere sulla scheda elettorale la preferenza per un candidato, ma venivano presentate liste di candidati a posto fisso, la campagna elettorale fu risparmiosa, infatti i candidati, essendo sicuri della vittoria in relazione alla posizione che avevano in lista, non avevano bisogno di spendere e di impegnarsi personalmente in superflue campagne elettorali individuali, quindi delegarono ai loro partiti gli investimenti e le strategie di comunicazione. Si fece naturalmente un grande uso dei media televisivi ed in questo furono avvantaggiati i candidati telegenici e logorroici negli innumerevoli talk-show.

    Nel totale dei telegiornali e dei programmi d’attualità di prime time, i tre canali pubblici monitorati trasmisero servizi piuttosto equilibrati sulla campagna in termini di quantità. Per quanto concerne il tono dei servizi, Rai Uno e Rai Due favorirono per lo più la coalizione di centrodestra, mentre Rai Tre favorì quella di centrosinistra.

    Le reti private avvantaggiarono chiaramente, in termini di qualità e di quantità, Berlusconi e il suo partito Forza Italia. Per lo più, sui canali principali sembravano generalmente mancare servizi critici e investigativi per offrire al pubblico una valutazione approfondita dei candidati e dei partiti partecipanti alle elezioni. Complessivamente però, gli elettori ebbero accesso ad un ampio spettro di opinioni, il che permise loro di fare scelte informate al momento del voto.

    In chiusura della campagna, il Presidente del Consiglio uscente lanciò la proposta dell'abolizione dell'ICI sulla prima casa. La Casa delle Libertà riuscì così a riconquistare la fiducia di molti elettori e Forza Italia si riappropriò della leadership all'interno della coalizione.

    Dopo le elezioni a lui sfavorevoli Berlusconi, costretto a stare all’opposizione, si sentì minacciato nel suo impero mediatico televisivo e scatenò una violenta opposizione contro il Governo Prodi che dimostrava di voler modificare le precedenti leggi ad personam e la legge Gasparri sulle frequenze televisive approvate dal suo Governo nel quinquennio precedente. Usò tutto il suo potere mediatico e non esitò a tramare con alcuni componenti della maggioranza di centrosinistra per mettere in minoranza in Parlamento il Governo Prodi. Compito abbastanza facile considerata l’accozzaglia di partiti di estrazione eterogenea facenti parte della coalizione di centrosinistra e l’esiguità del vantaggio della coalizione di sinistra sulla destra.

    Il 18 novembre 2007 Silvio Berlusconi, a margine di un'iniziativa di Forza Italia contro il Governo Prodi, dichiarò il prossimo scioglimento del partito, che sarebbe poi confluito in una formazione maggiore, il partito del Popolo della Libertà.

    Il progetto venne in un primo momento accantonato, ma fu poi rilanciato dopo la caduta del Governo Prodi e così Forza Italia si presentò assieme ad Alleanza Nazionale, che inizialmente aveva rinunciato all'adesione, e ad altri movimenti e partiti politici dell'ormai ex coalizione di centrodestra in una lista unica alle elezioni politiche del 2008.

    1.2 – La lunga marcia della sinistra italiana verso il PD

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    Immagine VI.1: I diversi loghi partitici che indicano la trasformazione dal PCI al PD. Immagine di dominio Pubblico.

    I lusinghieri risultati ottenuti elezioni legislative del 2006, e constatato che il simbolo dell'Ulivo, alla Camera, aveva raccolto più voti della sommatoria DS + Margherita al Senato, pose come tema centrale la costituzione del grande partito unitario, il Partito Democratico, tant'è che a livello parlamentare venne costituito un unico gruppo di deputati e senatori, il gruppo dell'Ulivo. Tale prospettiva politica e la stessa leadership del nuovo partito unitario, peraltro, costituivano un argomento controverso negli ambienti dei due partiti fondatori, tanto più che il Segretario Fassino comunicò di voler rimanere fuori dalla nuova squadra di governo per dedicarsi all'attività del partito: egli stesso propose il metodo delle elezioni primarie per la scelta del futuro Segretario del costituendo Partito Democratico.

    Il tema centrale del IV Congresso dei DS, che si svolse dal 19 al 21 aprile 2007 al Pala Mandela di Firenze, fu la costituzione del Partito Democratico. La maggioranza guidata da Piero Fassino, sostenuta dai principali esponenti del partito e dalla larga maggioranza degli iscritti, si presentò rivolta al superamento dei DS, con lo sguardo rivolto alla costituzione di un più ampio partito di centrosinistra che semplificasse lo scenario politico italiano e si ponesse come unione dei riformisti di matrice socialdemocratica e cattolica.

    Al congresso si confrontarono tre mozioni:

    La prima mozione, che fu quella vincente, ebbe 193.784 voti, pari al 75,5% dei votanti, e ricandidò il Segretario Fassino e si intitolava: Per il Partito Democratico… "…Oggi il tempo è maturo, per dar vita insieme ad altre forze politiche e organizzazioni sociali e culturali, su un piano di pari dignità, a quel partito nuovo che il Paese domanda. Solo in questo modo, la lunga transizione italiana che ha preso le mosse nell'89, potrà dirsi compiuta. Ci sono, dunque, ragioni forti e valori condivisi che ci spingono al progetto del Partito Democratico…³".

    La seconda mozione che ebbe 38.757 voti, pari al 15,1%, candidò alla segreteria il Ministro Fabio Mussi, e si intitolava: A Sinistra. Per il socialismo europeo. Considerava la laicità come il principio democratico fondamentale e non negoziabile, ed era contraria ad una possibile deriva moderata del partito e a qualsiasi allontanamento, anche solo formale, dal Partito del Socialismo Europeo, il legame col quale era anzi giudicato ancora troppo debole. Si proponeva la nascita di una grande forza socialista di sinistra piuttosto che di un progetto riformista-democratico di centrosinistra.

    La terza mozione, con 24.148 voti, pari al 9,4%, aveva come primi firmatari Gavino Angius e Mauro Zani e si intitolava Per un partito nuovo. Democratico e Socialista. Non aveva un candidato alternativo alla segreteria, voleva raddrizzare la linea della maggioranza spronandola ad inserire, nel nuovo partito in fase di costruzione, un richiamo forte al socialismo europeo e maggiore chiarezza circa la futura appartenenza del soggetto politico al PSE.

    I partecipanti ai congressi di sezione furono il 43,7% degli iscritti, cioè 256.461 iscritti su un totale di 615.414, di cui 3015 italiani all’estero.

    Nella seconda giornata di congresso, Mussi nel suo intervento annunciò la non-adesione della sua mozione alla fase costituente del PD.

    Il 5 maggio 2007 gli aderenti alla mozione Mussi e parte del gruppo appartenente alla mozione Angius, che avevano deciso di uscire dal partito, fondarono il nuovo movimento Sinistra Democratica (SD), con l'obiettivo di dar vita ad una più grande forza che potesse unire le forze che si collocavano a sinistra del PD. La scissione dovuta per la maggior parte a motivazione ideologiche e personali, ma con scarsa conoscenza della realtà e dell’evoluzione della società, era nel DNA della Sinistra da oltre un secolo. Essendo l’ideologia comunista–marxista una fede, le scissioni nella Sinistra sono sempre state ideologiche. In altre parole qualsiasi interpretazione non dogmatica dell’Ideologia–Fede determinava scissioni.

    Le varie scissioni subite nella storia della Sinistra si possono paragonare alle varie eresie che si svilupparono nei vari secoli sia nella religione cristiana sia nella religione mussulmana, che portarono a sanguinosi conflitti apparentemente ingiustificabili, ma in realtà comprensibili perché la vittoria di un’eresia determinava la supremazia economica e politica anche dei suoi sostenitori.

    Nell’ottobre 2007 si formò il Partito Democratico. La sua storia formale cominciò quando Romano Prodi decise di dare l’incarico a 13 saggi, personalità scelte nel mondo della politica e della cultura, di redigere un Manifesto per il Partito Democratico che sarebbe dovuto nascere dalla fusione dei DS e della Margherita.

    Seguirono i congressi dei DS il 19 Aprile e della Margherita il 20 Aprile, convocati allo scopo di sciogliersi e convergere in quella nuova, difficile sfida. Il primo atto formale del nuovo partito fu la nomina del Comitato 14 ottobre, che prese il nome dal giorno in cui si decise di battezzare il nuovo soggetto politico. Spettava al Comitato definire le modalità di svolgimento delle primarie, introdotte per la prima volta nella storia politica italiana, per l’elezione delle assemblee costituenti nazionale e regionali. A luglio vennero ufficializzate le candidature alla segreteria: oltre a Walter Veltroni, Rosy Bindi ed Enrico Letta, c’erano Mario Adinolfi, Pier Giorgio Gawronsky e Jacopo Schettini.

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    Immagine VI.2: le elezioni primarie del Partito Democratico 14 ottobre 2007.

    Alle primarie del 14 ottobre 2007 parteciparono 3 milioni e 554 mila persone. A vincere fu Walter Veltroni, sindaco di Roma che prese da subito in mano le redini del nuovo soggetto politico. Si scelse il simbolo, che presentava un logo contenente le lettere P e D, la prima in rosso la seconda in verde, su

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