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Aspenia n. 89
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E-book328 pagine4 ore

Aspenia n. 89

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Nuova coscienza del rapporto tra sicurezza e libertà nelle società occidentali, lo smart working come nuovo modo di lavorare, una parziale deglobalizzazione del sistema economico e i cambiamenti negli assetti geopolitici internazionali: di questo e molto altro tratta il numero 89 di Aspenia - rivista di Aspen Institute Italia diretta da Marta Dassù - sul quale intervengono Domenico De Masi, Nando Pagnoncelli, Francis Fukuyama, Azar Nafisi, Sabino Cassese, Walter Russel Mead, Grady Nixon, Minxin Pei e Bruno Tertrais.
La pandemia non sta cambiando il mondo: ha piuttosto compresso e forzato dei fenomeni già in atto come la vulnerabilità delle catene globali del valore e lo stallo del sistema geopolitico multilaterale. La crisi economica - che per molti assomiglia alla Grande Depressione degli Anni Venti del secolo scorso - porta con sé il rischio di un¿esplosione sociale e probabili forti spinte nazionalistiche.
Non ci saranno né vincitori né vinti negli assetti post-Covid-19.
Gli Stati Uniti, pessimi gestori della pandemia, con numeri di disoccupazione ancora preoccupanti, hanno però dalla loro una minore dipendenza dall'export e dei fondamentali economici sostanzialmente solidi. Anche se la mala gestione dell'emergenza sanitaria e il non risolto nodo del razzismo possono ulteriormente scatenare una diffusa rabbia sociale.
La Cina, dove tutto ha avuto origine, ha provato a recuperare la caduta verticale di immagine puntando su aiuti umanitari ai Paesi più in difficoltà e ha debellato la pandemia con un rigorosissimo lockdown. Ha però già perso il 7% del PIL e, di certo, i suoi fondamentali economici non solo solidi come quelli americani e, in ogni caso, troppo dipendenti dall'export.
E l'Europa come dovrà giocare la sua partita a fronte dei due "perdenti relativi" Usa e Cina? La prospettiva di una sovranità economica europea dovrà combinarsi con il tentativo di ricostruire l'ormai difficile rapporto con gli Stati Uniti.
Una rafforzata relazione transatlantica resta il punto strategico di un'agenda geopolitica europea post-Covid 19 che, peraltro, dovrà prevedere anche una rinnovata attenzione ai rapporti con l'area mediterranea, messa ulteriormente sotto stress da pandemia e crisi petrolifera.

LinguaItaliano
Data di uscita12 ott 2020
ISBN9788832496161
Aspenia n. 89

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    Aspenia n. 89 - Aa.vv.

    ITALY WATCH

    IL CLIMA SOCIALE DELL’ITALIA AI TEMPI DI COVID-19

    Nella fase più acuta dell’emergenza sanitaria l’opinione pubblica ha mostrato notevole coesione e sostegno per l’operato delle autorità (sia centrale che locali); con le prime riaperture il quadro si complica in ragione delle preoccupazioni economiche. Emergono poi con forza varie questioni irrisolte che sono state in qualche modo acuite dalla pandemia: rapporto con l’Europa, globalizzazione, uso delle tecnologie digitali, rapporto tra Stato e regioni.

    È chiaro a tutti che la pandemia introduce forme profondamente nuove e inattese nelle condizioni di vita globali, sotto diversi punti di vista. Se infatti la crisi è sanitaria, le sue ricadute economiche, sociali, psicologiche saranno presumibilmente vaste e durature. Disegnando uno scenario che vede mutare tutto, dal livello micro – l’intensità e la qualità delle nostre relazioni sociali e affettive – al livello macro – una trasformazione della globalizzazione come sinora l’abbiamo conosciuta e, probabilmente, un riequilibrio dei rapporti di forza tra le potenze mondiali con una ristrutturazione profonda del multilateralismo.

    In questo quadro le reazioni degli italiani allo scoppio dell’emergenza e al suo evolversi, le attese e le prospettive che si intravvedono, sono elementi centrali per raffigurarsi non solo il decorso ma per cercare di delineare quello che ci possiamo aspettare con la ripresa, per quanto articolata e progressiva.

    LA CURVA DELLA CONSAPEVOLEZZA E IL SOSTEGNO ALLE AUTORITÀ. La percezione della gravità del fenomeno diventa prevalente e diffusa a partire dalla seconda settimana di marzo, quando il governo decide una serie di drastici provvedimenti restrittivi, dalla chiusura delle scuole alla creazione di una zona rossa relativa alla Lombardia e ad altre 14 province del centro-nord, provvedimento pochi giorni dopo esteso a tutto il territorio nazionale.

    Nel fine settimana del 7-8 marzo, con l’assalto ai supermercati e la fuga al sud, si prende coscienza delle dimensioni e dell’impatto di quanto sta accadendo. Dopo un breve momento di sbandamento e di incredulità, tendono a prevalere opinioni – e comportamenti – virtuosi.

    La convinzione che prima di tutto si debba preservare la salute dei cittadini – anche correndo rischi in termini di tenuta economica del paese – diventa prevalente: quasi l’80% degli italiani, in quelle settimane, mette al centro la paura per la salute propria e dei propri familiari, a discapito dei timori per il lavoro e per il reddito.

    E la maggioranza assoluta dei cittadini si dichiara disponibile a continuare a lungo, anche per più di due mesi, nel rispetto delle rigide regole di restrizione e distanziamento. Anche se rimangono molti dubbi sulla capacità degli altri di rispettare queste imposizioni: circa due terzi dei nostri intervistati infatti ritiene che gli italiani non abbiano capito appieno la necessità di rimanere in casa e di rispettare le imposizioni. È la classica dicotomia che nel nostro paese si ripropone per tutte le valutazioni di comportamento responsabile: ci si autoassolve, ritenendosi virtuosi e corretti, mentre gli altri sono irresponsabili e irrispettosi. Indubbiamente, l’enfasi con cui i mass media hanno dato risalto e stigmatizzato gli episodi di mancato rispetto delle regole ha dilatato agli occhi dei cittadini la portata del fenomeno.

    Figura 1 • Coloro che ritengono che gli italiani si stiano attenendo alle regole

    Figura 1 • Coloro che ritengono che gli italiani si stiano attenendo alle regole

    Note: mille interviste a popolazione adulta.

    Fonte: Ipsos, Italiani & Coronavirus, maggio 2020.

    La drammatica emergenza, inoltre, fa sì che l’opinione pubblica si schieri in favore di chi governa. Succede a livello internazionale (ad esempio la cancelliera Angela Merkel cresce nella fiducia dei tedeschi), a livello nazionale (l’approvazione del governo Conte fa segnare una rapida crescita), e a livello locale (diffuso e trasversale l’apprezzamento per l’operato dei governi regionali). È come se ci fosse una reazione da unità nazionale, un serrate le file imposto da una situazione imprevedibile. In qualche modo si prescinde dall’appartenenza politica e anche da una valutazione puntuale delle scelte di governo.

    I dati a questo proposito sono molto evidenti: il governo Conte nella prima settimana di marzo aveva un indice di approvazione (percentuale di voti positivi su chi si esprime, escludendo quindi i non sa) pari al 43, a metà marzo si attesta al 54, a fine aprile intorno al 58. Il presidente del Consiglio ha sempre goduto di un’approvazione sensibilmente superiore a quella concessa alla compagine governativa.

    Se ne percepisce la capacità di sintesi, di direzione e anche di rappresentanza internazionale. Rappresenta insomma il punto di unità di un governo che spesso non brilla per coesione. Anche il presidente Conte fa comunque rilevare una progressione decisamente consistente: se agli inizi di marzo l’indice di approvazione era al 47, circa 4 punti sopra al governo, a fine aprile raggiunge il 66, con una crescita di quasi venti punti, distanziando di otto punti la valutazione dell’esecutivo.

    DALLA COESIONE ALLE TENSIONI POLITICHE E SOCIALI. Come dicevamo, questa appare una condizione obbligata che abbiamo già visto altre volte, in particolare appunto in relazione a emergenze quali i terremoti. Questo sentimento diffuso attenua quando non annulla l’impatto delle iniziative e delle opinioni dell’opposizione, in particolare della formazione più consistente del centrodestra, la Lega, che all’innalzarsi dei toni vede una virtuale riduzione dei consensi. Al di là di alcuni incidenti comunicativi, nell’elettorato queste modalità vengono considerate non coerenti, quando non confliggenti, con le attese di coesione nazionale che nell’emergenza prevalgono.

    Il clima tende anche a favorire comportamenti responsabili e solidali. Le raccolte fondi che abbiamo visto crescere, i successi di iniziative locali come i panieri solidali, testimoniano di atteggiamenti di condivisione e aiuto. Al 21 aprile le donazioni degli italiani alla protezione civile ammontavano a oltre mezzo miliardo, stando ai risultati del data room di Milena Gabanelli, che evidenzia come ci sia una stretta correlazione tra entità e diffusione della pandemia e dimensione delle donazioni. I livelli più elevati si registrano in Lombardia, Emilia, Veneto, le regioni più colpite. Naturalmente questo dato va correlato anche alla numerosità della popolazione (la Lombardia è la regione con il maggior numero di residenti) e con le disponibilità economiche delle famiglie, più elevate nel nord del paese. Va tenuto in considerazione inoltre che non vengono conteggiate le iniziative locali, le donazioni alle piccole ONG, e così via. Ma non sono solo le donazioni: la presenza di un diffuso volontariato organizzato, la capacità di osservare le regole, con poche deviazioni come ci evidenziano i dati del ministero dell’Interno che fornisce statistiche giornaliere sul tema: anche nei giorni più a rischio, quelli di Pasqua e Pasquetta, le persone sanzionate sono state intorno al 6% dei controlli. Normalmente il dato è decisamente inferiore, intorno a circa il 3% nella settimana dal 18 al 24 aprile.

    Tuttavia, queste forme di coesione e compattamento, politiche e sociali, tenderanno a declinare se non a venire meno con l’allentamento dell’emergenza.

    Già il dibattito sulla riapertura segna le prime crepe e i primi allentamenti, anche all’interno della maggioranza di governo, degli sforzi unitari. Il DPCM che indica le linee per la prima ripresa delle attività è sottoposto a critiche non solo dagli oppositori esterni e da Italia Viva, ma suscita qualche perplessità nello stesso Partito Democratico. E c’è un primo impatto sull’opinione pubblica, con un calo delle valutazioni del presidente Conte, ma con una crescita dell’apprezzamento per l’operato del governo. In sostanza, qualche (piccola) perplessità sul premier che non intacca per ora l’adesione all’operato dell’esecutivo. Occorre inoltre tenere conto che l’operato del governo nazionale è valutato decisamente meglio di quello degli altri governi, europei e non. I nostri connazionali rimangono convinti che l’Italia abbia operato in modo più efficace.

    Figura 2 • Coloro che si preoccupano

    Figura 2 • Coloro che si preoccupano

    Note: mille intervistati adulti, 28-30 aprile.

    Fonte: Ipsos, Italiani & Coronavirus, maggio 2020.

    Comunque, la ripresa avverrà in un clima sempre più pesante dal punto di vista economico e sociale. Il DEF 2020 approvato a fine aprile prevede un calo del PIL all’8% (ma è evidente a tutti che il quadro è tale per cui è davvero difficile in questo momento fare previsioni attendibili), un indebitamento che sale al 155% del PIL, un’occupazione in calo del 6% in termini di unità standard di lavoro, con un tasso di disoccupazione di poco meno del 12%. Inoltre, si prevede un calo dei consumi di oltre il 7%, e una contrazione di importazioni ed esportazioni tra il 13% e il 14%.

    Il clima nel paese è coerente con queste condizioni strutturali: la fiducia dei consumatori rilevata da ISTAT registra nel mese di marzo un calo importante di circa 10 punti rispetto al mese precedente (da 111 a 101). I dati di aprile, per l’emergenza coronavirus, non verranno diffusi. I dati dei sondaggi Ipsos per il mese di aprile sono drammatici. La previsione di peggioramento delle condizioni economiche del paese passa dal 29% di febbraio al 71% di aprile; l’idea che le proprie condizioni personali e familiari peggioreranno sale dal 22% al 52%.

    E proprio a fine aprile comincia a emergere il crescere della preoccupazione per il proprio futuro economico, per il previsto peggioramento delle condizioni economiche personali, a scapito della preoccupazione per il rischio di essere esposti al contagio. Sono in questo caso dati ancora contenuti ma che sembrano segnalare un modificarsi dell’opinione degli italiani. Anche perché cresce – in questo caso in misura davvero importante – l’attesa per la riapertura. A fine aprile, il 50% degli italiani ritiene che la priorità sia riaprire le attività, per evitare un aggravio delle condizioni economiche del paese, mentre solo il 37% pensa meglio continuare a tenere chiuso, visto il rischio contagio. Risulta praticamente un ribaltamento delle posizioni espresse soltanto due settimane prima.

    Figura 3 • La propensione alla ripresa delle attività

    Figura 3 • La propensione alla ripresa delle attività

    Note: mille intervistati adulti, 28-30 aprile.

    Fonte: Ipsos, Italiani & Coronavirus, maggio 2020.

    I NODI DEL PROSSIMO FUTURO. L’uscita dall’emergenza porta con sé diversi interrogativi. Il primo è relativo al mantenersi o meno del clima di concordia nazionale e, con poche sbavature, di accettazione delle regole. Molto sarà naturalmente determinato dalle condizioni economiche e dal peso del disagio sociale che sarà prodotto dalla crisi. I paragoni con la recente crisi del 2008 sono utili. In quel caso tutto sommato nel nostro paese non si sono manifestate reazioni pesanti, pur a fronte di una caduta del PIL decisamente consistente. Oggi è molto difficile fare previsioni, ma sembra ragionevole pensare che le conseguenze siano più pesanti rispetto a quello che accadde allora. In particolare, al momento sembrano colpite pesantemente alcune delle aree (in particolare turismo ed esportazioni) che allora furono strategiche per contenere il disastro. E dall’altro lato non sembra esserci una forza politica in grado di raccogliere il disagio come avvenne allora con il Movimento Cinque Stelle, dato il ridimensionamento attuale di questa forza e le difficoltà della Lega con la caduta di appeal di Salvini. La prima faglia di possibile frattura sarà quindi quella del disagio, con il rischio che si trasformi in rivolta sociale, molto paventata per il Sud.

    A questo tema si collega direttamente il secondo aspetto che emerge come portato evidente del dramma di questi mesi, ovvero il ruolo dello Stato. La relativa insufficienza della sanità rispetto alle necessità determinate dalla pandemia, i dubbi su alcuni modelli che hanno accentrato l’attenzione sui presidi ospedalieri a scapito della presenza territoriale, il tema del ruolo del privato e del suo rapporto con il pubblico, fanno sì che si renda evidente l’esigenza di investimenti più consistenti e di una riorganizzazione complessiva del sistema sanitario. E, per certi aspetti, si evidenzia anche il tema della fiscalità, relativo al tasso enorme di evasione nel nostro paese e al suo impatto sul welfare.

    Temi simili emergono in riferimento alla scuola, altro comparto che, sia pure in misura e con modalità diverse, è stato direttamente colpito dallo tsunami coronavirus. Qui si rende evidente che il mantenimento del distanziamento sociale renderà necessario un ampliamento degli spazi, del personale e dei tempi di apertura, richiedendo investimenti in risorse umane, tecniche e strutturali. Ma non è solo questo. Il tema generale è infatti riferito al ruolo dello Stato non solo per quel che riguarda gli stimoli per l’economia, ma anche alla capacità di indirizzare strategicamente gli investimenti, orientandoli nei settori e nelle aree determinanti per lo sviluppo sostenibile. Non si tratta forse di tornare all’IRI, per quanto la suggestione sia stata ripresa più volte nel dibattito recente, ma sicuramente all’ordine del giorno è la revisione del rapporto pubblico ed economia, già affiorato in vicende recenti come ILVA, ponte Morandi, e ancora in relazione al ruolo della Cassa Depositi e Prestiti.

    Questo mette in discussione almeno due altri aspetti di grandissimo rilievo. Il primo è il ruolo dell’Europa. La fiducia nell’Europa ha manifestato tra gli italiani qualche segnale di ripresa, accompagnato però dal mantenersi di un diffuso scetticismo rispetto alla capacità dell’Unione di affrontare la crisi in tutte le sue principali istituzioni (Banca centrale, Commissione, Parlamento). In sostanza l’Europa al momento è un problema, ma non si può farne a meno.

    Il secondo è il tema della globalizzazione, che mostra tutte le sue difficoltà. Già fortemente messa in discussione con la crisi del 2008, oggi lo è ancora di più a fronte di un dramma diffuso che revoca in dubbio gli assetti precedenti, già intaccati da fenomeni quali la presidenza di Trump, la Brexit, e non solo. A fronte di una crescita del ruolo degli stati, l’assetto dei poteri mondiali uscirà probabilmente profondamente modificato.

    Infine, vale la pena di sottolineare altri due aspetti che hanno a che fare con i cambiamenti dell’Italia. Il primo è l’assetto dei poteri costituzionali: al di là delle valutazioni di merito, è indubbio che la legislazione concorrente e il tema delle autonomie regionali (e dei poteri dei sindaci) sia caldo e ineludibile. Qualcosa non ha funzionato e va rivisto. Tema difficile da affrontare se non in un più ampio (e condiviso) riassetto degli equilibri.

    Da ultimo l’area della tecnologia e del web. La clausura ha portato gli italiani a fare un salto in termini di intensità e di qualità in questo campo. Dalla didattica a distanza allo smart working fino alla telemedicina e alle videoconferenze con i familiari, per non parlare degli acquisti online o delle relazioni con l’amministrazione pubblica, ci siamo sempre più acclimatati con nuovi strumenti. È probabilmente una modalità che non abbandoneremo del tutto. E un’occasione per attenuare, e sperabilmente colmare, il digital divide che caratterizza il nostro paese.

    Dopo la crisi, il mondo e l’Italia cambieranno profondamente. E forse si tratta anche di un’occasione da cogliere.

    Questa edizione del Watch è stata curata da Nando Pagnoncelli, country manager dell’Ipsos, leader globale nelle ricerche di mercato.

    p023-01p024-01Salute e libertà: le democrazie sotto stress

    Salute e libertà: le democrazie sotto stress

    Conversazione con Sabino Cassese*

    Costituzione e privacy

    ASPENIA. Tutti si aspettano (e molti auspicano) un ruolo del big government nel gestire la recessione e le misure di sostegno all’economia e alle fasce più deboli della popolazione. Cosa significa oggi, nelle nostre società postmoderne ed economicamente complesse e interdipendenti, il big government? Che caratteristiche dovrebbe avere per essere efficace, oltre che big? Parliamo di Stato più forte o di Stato che allarga lo spettro dei propri compiti?

    CASSESE. Quello che si sta preannunciando è uno Stato – elargitore e controllore delle frontiere economiche più forte. Uno Stato che assicura government largesse con più ampiezza. Uno Stato che usa molto più ampiamente il golden power. Il primo orientamento è dovuto al consolidamento dell’idea che lo Stato sia l’assicuratore di ultima istanza. Quindi, che qualunque rischio comporti l’intervento dello Stato. Il secondo è dovuto all’idea neonazionalistica che la proprietà delle industrie strategiche e di base – come si definivano una volta – debba rimanere in mani nazionali.

    Siamo chiaramente in uno stato di eccezione, sia per la proclamazione di un’emergenza sanitaria, sia ancor più per le misure restrittive (lockdown) che ne sono derivate: la nostra Costituzione è sufficientemente precisa in merito? Ci sono stati degli abusi, eccessi, confusioni? Era comunque inevitabile fare degli errori nel camminare in questo terreno minato?

    A differenza dalla costituzione di Weimar e di quella della V Repubblica francese, noi non abbiamo una clausola generale relativa alle emergenze e al conseguente stato di eccezione. La scelta fu voluta da parte dei costituenti, edotti degli inconvenienti prodotti dalla clausola della costituzione weimariana. E io sono convinto che la scelta fu saggia. Per rendersene conto, si leggano gli articoli 48 e seguenti della costituzione ungherese, che hanno consentito a Orbán di far approvare la brutta legge sul coronavirus della primavera scorsa.

    Nella Costituzione italiana, vi sono quindi solo specifiche autorizzazioni a porre limiti a singole libertà (di circolazione, della libertà personale, della corrispondenza e della comunicazione, di riunione). In linea generale questi limiti comportano il ricorso alla legge, il carattere generale, e l’intervento, nei casi più rilevanti, del giudice. Su questa base, una costante giurisprudenza costituzionale ha sviluppato ulteriori limitazioni del potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti, come temporaneità, nominatività degli atti e determinazione legislativa dei poteri e dei modi di esercizio.

    Nell’attuazione pratica, questi limiti non sono stati rispettati dal governo nel marzo-aprile 2020, non tanto per una diversa volontà politica, quanto per ignoranza delle norme da parte degli uffici serventi, ignoranza riconosciuta dallo stesso palazzo Chigi, che ha provveduto a sostituire il primo decreto legge con un secondo più corretto.

    Come si possono bilanciare, nel campo della salute, diritti e doveri dei cittadini? Soprattutto nel caso di un’epidemia infettiva, è evidente che i comportamenti individuali sono un fattore chiave dell’azione di sanità pubblica; ma cosa spetta allo Stato e alle autorità sanitarie, e come possiamo valutare l’adeguatezza della loro azione a fronte dei sacrifici chiesti ai cittadini? Inoltre, abbiamo forse sottovalutato, nel contesto del coronavirus, il fatto che lo Stato non proibisce normalmente vari altri comportamenti che (sebbene non tecnicamente contagiosi) sono certo dannosi per la salute e costosi per la collettività (come ad esempio l’assunzione di alcune sostanze nocive, e in fondo le stesse abitudini alimentari e lo stile di vita)?

    Qui entra in ballo il bilanciamento tra diritti e loro limitazioni. Bilanciamento che deve rispettare il principio di ragionevolezza e quello di proporzionalità. Un esempio in cui non è stato rispettato riguarda la Chiesa. È stato sproporzionato violare la libertà di culto di cui all’articolo 19 (impedendo ai fedeli di recarsi in chiesa), a fronte dell’esigenza di tutelare la salute. Invece, è stato proporzionato limitare la libertà di circolazione garantita dall’articolo 16 della Costituzione, a fronte del diritto alla salute della collettività.

    È possibile ragionare in termini di trade-off tra emergenza sanitaria e costi economici? Le polizze assicurative sono strutturate più o meno in questo modo nel quantificare il rischio, ma come si può applicare ragionevolmente tale concetto a un’epidemia da parte delle autorità?

    In termini costituzionali, si tratta di bilanciare il diritto alla salute (articolo 32) con il diritto al lavoro e all’iniziativa economica (articoli 4 e 41). Si tratta in altre parole di soppesare l’uno e gli altri, di stabilire priorità, di limitare gli altri solo nella misura strettamente necessaria ad assicurare il diritto alla salute.

    Il rapporto tra privacy e sicurezza è ovviamente da tempo al centro di molte discussioni alla luce delle tecnologie digitali sempre più pervasive; cosa è cambiato a seguito della pandemia? Saremo meglio disposti verso limitazioni della privacy se in gioco c’è la salute? Oppure il richiamo della normalità sarà talmente forte da riportare l’equilibrio verso il polo delle garanzie individuali? L’effettivo utilizzo della famosa app per il tracciamento sarà in fondo una scelta personale volontaria, dunque anche una sorta di test su vasta scala.

    Ritorniamo al punto di partenza. Per installare in via obbligatoria una app, dovevano esser rispettate le seguenti condizioni: previsione in una legge; tempo di rilevazione determinato; poteri e modi di esercizio determinati nella legge; anonimizzazione dei dati aggregati (salvo individuazione dei casi al momento del rischio); informazione dell’interessato; gestione da parte di un’autorità dotata di indipendenza; obbligo di distruzione entro data determinata dalla legge. La questione pare superata in sede politica, anche per l’indirizzo europeo relativo alla volontarietà. Ma rimane un buon esempio di come si possa invadere una libertà (e con quali limiti) per rispettare un altro diritto.

    p029-01

    * Sabino Cassese, giurista e accademico, è giudice emerito della Corte costituzionale.

    Edoardo Campanella*

    Il panottico

    Sconfiggere una pandemia richiede ordine e disciplina. Lo spazio della vita civile diventa chiuso e perfettamente segmentato, mentre i diritti e le libertà dei singoli vengono sospesi per riportare ordine nel disordine della malattia. Come accaduto nei secoli passati, la forte centralizzazione del potere scaturita dalla necessità di controllare la pandemia difficilmente svanirà anche quando la crisi sanitaria sarà rientrata. Si riscopre così tanto la vulnerabilità del genere umano a virus e batteri quanto la natura coercitiva della sanità pubblica.

    Lo scorso aprile, circa quattro miliardi di persone, ossia la metà della popolazione mondiale, si sono viste costrette a casa nel tentativo di combattere la diffusione del Covid-19. In un brevissimo arco temporale, i governi di tutto il mondo, o quasi, hanno assunto poteri emergenziali, introdotto forme invasive di sorveglianza e compresso libertà civili. Alcuni sostengono che in Europa il coronavirus abbia già creato un nuovo dittatore quando il parlamento ungherese ha concesso al primo ministro Viktor Orbán di governare indefinitamente per decreto, sospendendo le leggi esistenti. In Israele, le misure antipandemia introdotte dal primo ministro Benjamin Netanyahu hanno indotto l’opposizione a parlare di corona golpe. In Cina, nonostante la cattiva gestione iniziale, il coronavirus ha rafforzato il regime autoritario del presidente Xi Jinping.

    Nella fase acuta di un contagio, una deriva quasi dispotica è inevitabile. Sconfiggere una pandemia richiede ordine e disciplina. Quando

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