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L'Italia dal 2008 al 2011
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E-book451 pagine5 ore

L'Italia dal 2008 al 2011

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Storia - saggio (343 pagine) - Breve storia della seconda e terza Repubblica dal 1994 al 2018 e dello stato sociale: Le vicende giudiziarie di Berlusconi - La crisi del 2008 - Pisapia sindaco di Milano


Le elezioni del 2008 furono vinte ancora una volta dal centrodestra e si ebbe il IV governo Berlusconi che poteva poggiare su una solida maggioranza. Sfortunatamente in quell’anno scoppiò una crisi finanziaria in tutto l’Occidente determinata da un eccesso di “denaro facile” nel settore immobiliare e di speculazioni in borsa. La tempesta perfetta avvenne quando a questa crisi economica mondiale, sottovalutata dl Governo, si aggiunse un incremento del deficit pubblico dal 104% al 120% in presenza di una economia stagnante. Per di più in una delle tante inchieste giudiziarie, con l’”affaire Ruby” venne alla luce a vita lussuriosa del premier. Il finale era scritto: l’Europa e l’Italia reclamavano ed ottennero le dimissioni di Silvio Berlusconi nel 2001. La vittoria del candidato delle sinistre, Giuliano Pisapia, alle comunali di Milano era stato un avvertimento per Berlusconi che il vento stava cambiando.

Nel VI e VII capitolo si descrive il cambiamento avvento in Europa dal 1945 (l’età dell’oro) al 2.000 ( l’età della stagnazione, dovuta anche all’eccessivo peso dello stato sociale.


Silvano Zanetti è nato il 21 ottobre 1948 in provincia di Bergamo, da famiglia modesta. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è iscritto al Politecnico di Torino dove si è laureato in Ingegneria Meccanica. Dal 1977 vive a Milano dove ha lavorato presso diverse aziende metalmeccaniche come tecnico commerciale e maturato una buona conoscenza di usi, costumi ed economia dei Paesi europei ed asiatici. Nel 1992 ha frequentato un Master MBA all’Università Bocconi. Alla fine della sua carriera lavorativa si dedica al suo hobby di sempre, lo studio della storia. Collabora con la rivista e-Storia dal 2010. Nel 2018 ha preso la decisione di scrivere i contenuti presenti in questa collana divulgativa di storia contemporanea.

LinguaItaliano
Data di uscita13 set 2022
ISBN9788825420500
L'Italia dal 2008 al 2011

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    Anteprima del libro

    L'Italia dal 2008 al 2011 - Silvano Zanetti

    Introduzione

    Dato uno spazio a N dimensioni conoscendo l’intensità, la direzione ed il verso di tutte le forze attive, la risultante in direzione, verso ed intensità è nota: la Storia.

    Ogni forza rappresentativa di ogni essere vivente, agente in un qualsiasi piano è la risultante di infinite forze attive e potenziali, tutte tese a massimizzare il vantaggio esistenziale.

    Ogni forza rappresentativa di ogni essere vivente, conseguito il massimo vantaggio tende a mantenerlo ed a difenderlo strenuamente.

    Il massimo vantaggio conseguito da una forza rappresentativa di ogni essere vivente è temporale in quanto le forze escluse di ogni essere vivente tenderanno a migliorare il loro vantaggio esistenziale.

    Confesso che era mia unica intenzione di scrivere un semplice e breve saggio storico sugli ultimi anni della politica italiana, dal 2013 al 2018, ovvero la XVIII legislatura. Per esempio, un volumetto dal titolo «Da Matteo Renzi a Matteo Salvini», oppure «Ascesa e declino di Renzi e l’affermazione del M5S» ecc.

    Completato un volumetto di circa 100 pagine, ebbi la malaugurata idea di farlo leggere ad alcuni amici per un loro commento. Fui subissato da critiche costruttive quali: come si fa a parlare in poche pagine di Jobs Act, Globalizzazione, Euro, Riforme costituzionali, se non si spiega quanto avvenne negli anni precedenti? La storia è sempre un dipanarsi di eventi, talvolta nuovissimi e imprevedibili, ma il più delle volte sviluppatisi senza soluzioni definitive negli anni precedenti (es. il debito pubblico, le riforme mai riformate) o che erano «in fieri» e che sono esplosi anni dopo (es. il basso valore aggiunto del settore pubblico e privato o i diritti civili). La soluzione di alcuni problemi ne crea sempre di nuovi per cui, quelli che erano considerati rivoluzionari e che avevano contribuito a cambiare la società nell’arco di due generazioni, diventano conservatori se non reazionari; arroccati nella difesa, con le unghie e coi denti, di conquiste e privilegi, mitizzati e sacralizzati in tabù intoccabili (la riforma del lavoro, il rapporto uomo-donna).

    Convinto da questi suggerimenti amichevoli mi sono accinto a questa immane, ma anche piacevole fatica, che mi ha impegnato due anni di vita.

    Per evitare che i lettori abbiano un giudizio sfavorevole su questo mio lavoro, concentrato soltanto su alcuni aspetti di quanto accaduto in questo lasso di tempo, vi aiuto a districarvi in questo mio «libro-puzzle».

    Il XX secolo fu contrassegnato in Europa da due sanguinose guerre mondiali, che hanno determinato la fine dell’Eurocentrismo, e della contrapposizione tra Capitalismo e Socialismo, con tutte le loro varianti: dal Nazifascismo al Liberalismo democratico, dalla Socialdemocrazia al Comunismo. Verso il 1990 si ebbe il crollo del regime comunista-utopista nell’URSS. Contemporaneamente prese forma ed ebbe successo l’originale «via cinese al Socialismo» che nega sì il Liberalismo politico (solo il Partito Comunista è legale) ma incentiva l’economia di libero mercato favorendo l’affermarsi di un Capitalismo senza Liberalismo.

    Le due culture politiche, Liberalismo e Socialismo, a cui si erano ispirate le élites politiche e culturali al comando in Europa, verso la fine del secolo, avevano esaurito il loro compito e le masse popolari, drogate dai media, erano pronte a dare il consenso ad altre élites più vicine ai loro bisogni primari, rifiutando le precedenti mediazioni ideologico-culturali. Le mediazioni religiose erano già state da lungo tempo rifiutate.

    L’Italia, essendo geopoliticamente e culturalmente parte integrante del mondo occidentale, da quegli sconvolgimenti e crisi di valori ne uscì a pezzi.

    Con il crollo del Comunismo in URSS crollò anche il duopolio democristiano–comunista che aveva retto l’Italia per 40 anni, e nel contempo si ebbe l’ascesa al potere politico di una élite avida e populista senza ben definiti ancoraggi culturali. Questo trapasso di potere reale segnò il fallimento della classe borghese liberale e degli intellettual-marxisti senza profonde radici nelle masse popolari. Tutti si dimostrarono incapaci di guidare la società italiana a fare il salto di qualità, passando da una società di consumi ad una società ad alto valore aggiunto, in cui il fabbisogno di maggiore democrazia e partecipazione è anche più elevato.

    E mentre in questi ultimi 25 anni alcuni paesi continuavano ad accrescere il loro benessere, a cui partecipavano sempre più vasti strati della popolazione, l’Italia andava scivolando verso gli ultimi posti in Europa sia per i livelli di reddito sia per i livelli di diseguaglianza.

    L’avere aderito a pieno titolo, fin dall’inizio alla costituzione dell’Europa negli anni ’50, era stato di grande vantaggio per l’Italia, che aveva ricavato notevoli benefici per la propria industria manifatturiera, e di conseguenza aveva incrementato l’occupazione ed il benessere generale. Tuttavia dal 2.000, con la creazione della moneta unica, l’euromarco, l’Italia perdeva anche la sovranità della moneta. Le sarebbero rimasti solo gli obblighi di onorare i propri debiti, avendo ceduto a terzi sia il proprio mercato, sia la propria sovranità, delegata a Bruxelles con una infinita serie di accordi commerciali e civili.

    Il fallimento post 2.000 era insito nelle motivazioni della classe politica italiana che riteneva di poter rifilare all’Europa parte del suo enorme debito pubblico, essendo incapace ad attuare quelle riforme atte a ridurre la rendita parassitaria.

    Il gioco del cerino acceso da passare a qualcun’altro funzionò. Nessuno era disposto a farti entrare nel condominio chiamato Europa se poi non eri disposto ad accollarti le spese condominiali.

    La Gran Bretagna, verificato che gli svantaggi della sua partecipazione ad un’Europa a trazione tedesca erano superiori ai vantaggi, sarebbe uscita da questa trappola, con l’appoggio del suo popolo.

    Ed ecco in breve i fili conduttori, che mi hanno ispirato nello scrivere questo saggio e che aiuteranno i lettori a capire quanto accaduto negli anni dal 1994 al 2018.

    In tutti i volumi, il primo, il secondo e talvolta il terzo capitolo, descrivono sia il panorama politico, sia i dibattiti tra i partiti, sia i Governi che si sono succeduti con le loro promesse, programmi e provvedimenti legislativi realizzati in quel preciso momento storico.

    I Partiti politici ed i loro leaders sono tutti coinvolti in una rissosità continua e, per dirlo alla Guicciardini, sembrano tutti super interessati a conseguire i propri interessi «particolari» piuttosto che pensare al bene comune. La lotta tra il cartello delle Sinistre e il cartello delle Destre, dominato da Silvio Berlusconi, durerà venti anni e finirà per portare il Paese stremato fuori da tutti i giochi politici europei.

    Nei restanti capitoli di ogni volume si introducono argomenti a tema che si distribuiscono fra i vari volumi. I due temi principali trattati sono: le rivoluzioni industriali, fino a quella dell’informatica, che si sviluppano di pari passo con il Capitalismo-liberale e, come contrappunto, la storia dello Stato sociale, dalla riforma delle pensioni di Bismarck, alla Third Way di Tony Blair, Gerhard Schröder,ed al Jobs Act di Matteo Renzi.

    Accanto a questi due mainstreams si introducono anche temi completamente nuovi: l’immigrazione, gli attentati terroristici islamici, i mutamenti nella Chiesa Cattolica, il cambiamento dei costumi degli italiani, la Repubblica Popolare Cinese, la globalizzazione, il crollo del sistema bancario mondiale e poi la bancarotta sfiorata delle banche italiane.

    Per finire, un ringraziamento lo devo al nostalgico gruppo degli «amici Einaudini» capitanato da Francesco Favero (collegio universitario Principe Amedeo di Torino) sopravvissuti al ‘68 ed in particolare ad Alessandro Accorinti, che si è sobbarcato l’immane compito di raddrizzare le mie bozze creative.

    Non vi è mai stata l’ambizione di redigere qui una storia onnicomprensiva del passato ventennio, ma solo una parziale rivisitazione dei momenti più significativi di cui sono stato testimone diretto o indiretto.

    Buona lettura…

    Silvano Zanetti

    Introduzione al quinto volume

    Nel 2008 si scatenò una tempesta economico-finanziaria su tutto l’Occidente capitalistico. Russia, Cina e paesi del terzo mondo ne furono solo sfiorati.

    Le crisi economico-finanziarie in un sistema capitalistico sono create nella maggior parte dei casi da un eccesso di domanda sull’offerta. In questi casi la speculazione altera la normale fluttuazione dei prezzi dovuta alla naturale divergenza tra domanda ed offerta, e amplifica le variazioni di prezzo facendolo aumentare o diminuire nella previsione di ricavare migliori profitti nella liquidazione a breve o medio termine dei beni acquistati.

    Nel diciannovesimo secolo con l’affermazione del Capitalismo si erano verificate due crisi mondiali nel 1833 e nel 1873, sempre dovute ad un eccesso di domanda sull’ offerta che aveva surriscaldato i prezzi. Nel ventesimo secolo la crisi più drammatica si verificò nel 1929 con il crollo delle borse. Fu imprevista e colse tutti i poteri impreparati. Il Presidente degli Stati Uniti Herbert Hoover nell’autunno del 1929 dichiarava:¹

    By poverty I mean the grinding by undernourishment, cold and ignorance and fear of old age of those who have the will to work. We in America today are nearer to the final triumph over poverty than ever before in the history of any land. The poorhouse is vanishing from among us. We have not yet reached the goal, but given a chance to go forward with the policies of the last eight years, and [sic] we shall soon with the help of God be in sight of the day when poverty will be banished from this Nation.

    Il 29 ottobre 1929, che passò alla storia come il martedì nero, si ebbe alla Borsa di New York a Wall Street, un crollo del 12%, che era stato preceduto del 14% il giovedì precedente, 24 ottobre. La borsa di New York avrebbe perso l’80% del suo valore in 3 anni. Che cosa era successo? Terminata la guerra, gli Stati Uniti erano usciti più potenti di prima, avevano fornito derrate alimentari, prodotti industriali e credito agli alleati. Le industrie avevano lavorato a pieno ritmo, ed il reddito pro capite del paese, l’unico tra i paesi belligeranti, era aumentato. Per riconvertire la produzione bellica in quella civile si impiegò un paio d’anni ma dal 1921 si andò affermando la rivoluzione industriale delle telecomunicazioni. Radio e telefono e tutto quanto connesso, produzione e servizi, divennero beni di massa e tutte le industrie che avevano a che fare con questo settore strategico videro le loro quotazioni e portafoglio ordini salire alle stelle.

    Il tutto cominciò a sgonfiarsi dopo il 1925, ma si sa che la speculazione capitalistica ha 4 ganasce e dopo i lauti pasti non si sarebbe rassegnata ad una dieta dimagrante, ed allora si indirizzò nel settore immobiliare ed agricolo concedendo crediti facili per tenere alto sia il livello della domanda che avrebbe trascinato l’offerta e con esso il settore manifatturiero in grado di fornire migliaia di nuovi prodotti. Finché anche questo si sgonfiò e il castello di carta crollò trascinando sul lastrico milioni di lavoratori e il fallimento di migliaia di aziende in una reazione a catena in cui la domanda improvvisamente si arrestò.

    Negli ultimi anni del XX secolo in parte la storia si ripeté. Si ebbe la rivoluzione informatica e le quotazioni di qualsiasi azienda produttrice di beni informatici (computer, ecc.) o servizi nel settore informatico anche con un semplice indirizzo dot.com volarono alle stelle. Sgonfiatosi il boom, il Nasdaq che quotava le aziende informatiche crollò dal 2000 al 2002 del 75% da 5000 a 1250 punti . Ancora una volta la speculazione capitalistica dalle 4 ganasce dopo i lauti pasti non si rassegnò ad una dieta dimagrante e per l’abbondanza di capitali disponibili liquidi a basso costo rivolse le sue attenzioni al settore immobiliare. Cominciò ad erogare facili mutui nel settore immobiliare sia a privati, per la loro abitazione principale, sia ad aziende. Se il rimborso di una rata di un mutuo è pari ad una rata d’affitto, il contraente, se in difficoltà, rinuncia al pagamento e magari usufruisce gratis per un certo periodo della casa prima dello sfratto. Così avvenne, con il peggiorare della congiuntura economica, milioni di persone non furono in grado di rimborsare le rate d’affitto o di mutuo degli immobili e le banche e assicurazioni che avevano prestato imprudentemente denaro si trovarono ipoteche deprezzate o inesigibili.

    L’Italia non era particolarmente coinvolta in questa speculazione del settore immobiliare, ma Berlusconi e Tremonti compirono un errore madornale. Sottovalutarono la crisi e, mentre gli altri paesi non solo risanarono le loro banche ed assicurazioni fallite (quelle che avevano fornito capitali ad elevato rischio) con il denaro prestato dalla loro Banca Centrale, o dalle istituzioni internazionali (FMI, Banca Centrale Europea), e convogliarono queste nuove risorse in settori più produttivi, l’Italia si trovò invece con i suoi cronici piccoli problemi irrisolti.

    Questa sottovalutazione della gravità della crisi fu ampliata da un irresponsabile aumento del debito pubblico statale finalizzato ad una spesa improduttiva avente per scopo l’acquisizione di un facile consenso elettorale. Il precedente Governo delle sinistre aveva praticato un’austerità ragionevole, mentre il Governo di Berlusconi praticò una finanza allegra, contrariamente alla tradizionale austerità dei Governi di destra. Anche i sindacati erano da sempre per un aumento della domanda interna a favore dei consumatori ma molto tiepidi a favorire i produttori.

    La tempesta perfetta avvenne quando a questa crisi economica mondiale, sottovalutata dal Governo, si aggiunse un incremento del deficit pubblico dal 104% al 120% in presenza di una economia stagnante. Per di più, tra una delle tante inchieste giudiziarie, con l’affaire Ruby venne alla luce la lussuriosa vita privata del premier. Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso.

    Il finale era scritto: il Presidente Napolitano, i media italiani, i partiti di opposizione e la Chiesa Cattolica, mollarono il Sig. Berlusconi al suo destino dopo aver trovato l’uomo giusto di alta reputazione internazionale, che rimettesse in ordine i conti pubblici Italiani, perché l’Italia era too big to fail.² Un intervento esterno indiretto, come nel 1994, controllava ancora la vita politica italiana. A novembre 2011 Berlusconi fu costretto alle dimissioni e fu sostituito da Mario Monti.

    La vittoria alle elezioni comunali di Milano del candidato delle sinistre Giuliano Pisapia di cui si parla diffusamente nel IV capitolo era stato un avvertimento per Berlusconi che il vento stava cambiando e che Lui sottovalutò.

    Nel V capitolo si ha un panorama economico dell’evoluzione dell’economia dal 2008 al 2011.

    Nel capitolo VI e VII ci si sofferma ad illustrare una delle principali tracce delle piste che ispirano questa Collana: lo Stato sociale in Gran Bretagna, in Germania ed in Italia indotto dal cambiamento del modo di produrre, che passa dalla manifattura ai servizi, favorito dalla rivoluzione informatica, con le donne che ormai condividono con gli uomini tutti i lavori e talvolta anche gli stipendi.

    Da notare che la Germania dopo la riunificazione aveva dovuto attraversare una profonda crisi di ristrutturazione, ma con le misure messe in atto a cavallo del 2000 porrà le basi per essere il paese guida a tutti gli effetti dell’Europa, risolvendo a suo modo il problema della globalizzazione, (delocalizzazione della produzione a minor valore aggiunto all’estero, ma concentrazione in Germania di tutte le ricerche, l’amministrazione e finanza, il marketing e la progettazione). Essendo mutato sia cosa produrre sia il modo di produrre, un nuovo Stato sociale veniva plasmato per garantire ad ogni cittadino, uomo o donna, la possibilità di successo nella vita a prescindere delle condizioni di censo alla nascita, e la protezione economica in caso di avversità. Si riscrive in quegli anni il principio dei diritti e dei doveri che ogni cittadino ha verso lo Stato sociale.


    ¹. Per povertà intendo gli spasmi della denutrizione, il freddo, l’incertezza e la paura della vecchiaia di coloro che vogliono lavorare. In America oggi siamo vicini alla vittoria finale sulla povertà come non mai nella storia di qualsiasi paese. Gli ospizi stanno scomparendo da noi. Non abbiamo ancora raggiunto l’obbiettivo, ma possiamo proseguire con le politiche degli ultimi otto anni e [sic] saremo presto in vista, con l’aiuto di Dio, del giorno in cui la povertà sarà bandita da questa Nazione.

    ². Troppo grande per fallire

    Capitolo I - Il panorama politico e il dibattito nei partiti

    Nonostante la crisi finanziaria mondiale il dibattito nei partiti continuò, sottovalutando gli effetti devastanti che la crisi avrebbe indotto in tutto il Paese. Berlusconi, dopo la fusione di Forza Italia con AN nel PdL, fagocitò il Segretario di AN Fini che fu costretto alle dimissioni.

    Queste fusioni erano piuttosto alleanze elettorali. Ogni partito era ben radicato con strutture e uomini, ferocemente determinati a difendere il proprio spazio elettorale-ideologico e clientelare, indifferenti a queste pseudo fusioni verticistiche.

    Il PD che di fusioni se ne intendeva, dopo la sconfitta alle elezioni cambiò cavallo. Veltroni il quasi rosso, venne sostituito da Franceschini il bianco (ex DC). Poi il potere ritornò nelle mani della componente rossa Bersani (ex PCI) che si preparava a vincere le elezioni. La Sinistra radicale prigioniera dei suoi miti marxisti-rivoluzionari-individualisti per sopravvivere si alleava con i verdi. Mentre l’Italia dei Valori del magistrato populista Di Pietro, protagonista dei processi "mani pulite, si spegneva ed il suo elettorato era conquistato da un nuovo protagonista della vita politica: Il Movimento 5 Stelle guidato dal comico Beppe Grillo. Solo il fallimento delle due forze antagoniste, la Sinistra e la Destra, nell’indicare una prospettiva di sviluppo al Paese poteva permettere l’affermazione di questo movimento.

    1.1 – In campagna elettorale per la XVI legislatura

    Con la caduta prematura del secondo Governo Prodi e con lo scioglimento anticipato delle Camere del 6 febbraio 2008, da parte del Presidente della Repubblica Napolitano, a soli due anni dalle precedenti elezioni, i partiti si accinsero ad affrontare una nuova campagna elettorale.

    Poiché si andava a votare con il Porcellum, che non prevedeva l’espressione di preferenze, la campagna elettorale dei singoli si dimostrò superflua. Tutti cercarono di risparmiare sui manifesti elettorali, sul volantinaggio e per la presenza sui media locali. Solo Veltroni con il Tour nelle province cercò un contatto con la realtà locale.

    Berlusconi aveva l’appoggio sornione delle sue televisioni. La legge elettorale imponeva la "par condicio" negli spot elettorali, nei dibattiti e nei talk shows, e non aveva nulla da inventare attingendo alla dottrina liberal conservatrice su cui basava la sua campagna.

    Circa l’85% dell’elettorato era suddiviso tra Centrosinistra e Centrodestra, era quindi evidente che la figura del leader avrebbe giocato un ruolo determinante.

    Berlusconi era il leader di un partito personale e con la sua semplice presenza era in grado di esprimere valori, identità e proposte. Veltroni si poneva come una novità rispetto al passato fallimentare di Prodi, leader che era stato percepito come debole nei confronti dei partiti della coalizione da lui guidata e, di conseguenza, di proposte programmatiche in parte incompiute. Ambedue i leader erano stati molto generici nella definizione dei programmi eccetto per il caso Alitalia che fu volutamente gonfiato da Berlusconi.

    Eppure è sul programma che si decidono le elezioni. È attraverso la lettura del programma che si parteggia, si sceglie, ci si orienta. Senza un programma, su che base scelgono gli indecisi? Il Centrosinistra, che aveva fatto da sempre del programma il suo cavallo di battaglia, coinvolgendo milioni di simpatizzanti, si mostrò poco radicale ed innovativo. Così l’elettore dovette scegliere tra il nuovo Veltroni rispetto a Prodi, e il nuovo Berlusconi rispetto al Berlusconi di 15 anni prima.

    La mancanza di dibattito televisivo tra i due leader non aveva permesso agli elettori di capire quale dei due fosse il migliore. Con queste premesse era chiaro che Berlusconi con la sua Casa delle Libertà, avrebbe potuto prendersi la sua rivincita.

    1.2 – La Casa delle Libertà

    Silvio Berlusconi non si fece cogliere impreparato per la inattesa campagna elettorale. Già nel Novembre del 2007 era salito sul predellino di un’auto in piazza san Babila a Milano per annunciare la creazione-invenzione di un nuovo partito: quello che fu poi chiamato il Popolo della Libertà (PdL). Questo nuovo soggetto politico doveva essere il contenitore in cui Berlusconi prevedeva di collocare i suoi tradizionali alleati del Centrodestra.

    Alleanza Nazionale, con il suo Segretario Fini, obtorto collo, accettò di entrare nel Pdl. L’8 febbraio del 2008 Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, in vista delle elezioni politiche, rinunciarono ai vecchi simboli di Forza Italia e di Alleanza Nazionale per dare vita a una lista unificata sotto il nome di Popolo della libertà.

    La Lega Nord rimase fedele all’alleanza con Berlusconi, ma scelse di rimanere autonoma, così strinse un patto di federazione con il Popolo della Libertà.

    Anche il leader dell’UDC, Casini, si rifiutò di accettare l’ingresso nel Popolo della Libertà in quanto non voleva lasciare il suo simbolo e ribadì il suo «no» ad «annessioni». Poiché non si fidava delle promesse di Berlusconi, tentò invece di trattare un’alleanza con il PdL come aveva fatto la Lega Nord. Ma il 12 febbraio del 2008 Berlusconi negò la possibilità di un apparentamento con una lista autonoma dell’UDC. Casini non ebbe altra alternativa che abbandonare la coalizione con il Centrodestra. Berlusconi d’altro canto pareva aver corretto le sue intemperanze ed i suoi conflitti con la magistratura e fu capace di porsi nuovamente come il leader indiscusso del Centrodestra, dopo essere riuscito ad assorbire gran parte di Alleanza Nazionale.

    1.3 – La rottura tra Fini e Berlusconi

    L’alleanza del PdL con la Lega e l’assorbimento di Alleanza Nazionale ebbero successo alle elezioni di aprile 2008 e il Centrodestra vinse le elezioni. Fini ottenne la presidenza della Camera e per qualche tempo tutto andò liscio. Tuttavia i contrasti fra Fini e Berlusconi non si fecero attendere, in quanto Berlusconi non si rivelò disponibile a condividere la sua leadership con Fini, quando si trattò di prendere decisioni importanti. Il rapporto fra i due leaders iniziò a sgretolarsi sempre di più.

    A tale proposito si riporta uno stralcio di intervista dell’epoca in cui Italo Bocchino, esponente di Alleanza Nazionale, confidò al giornalista Bruno Vespa la sua opinione sul ruolo di Fini:

    All’inizio questo ruolo gli piaceva, perché gli consentiva di regnare senza essere invischiato nei meccanismi quotidiani di governo. Ma, salendo alla Presidenza di Montecitorio, ha abdicato completamente al suo ruolo politico. Aveva detto ai Colonnelli: occupatevi voi del partito, poi pensiamo tutti insieme al futuro. Salvo poi accorgersi che i Colonnelli, lasciati liberi, si erano messi in proprio, com’è naturale che accada… Quando stavano tutti dentro AN, lui poteva anche tenerli a distanza, ma sempre da lui dovevano tornare, perché restava l’elemento principale di raccolta del consenso… non appena il capo è diventato Berlusconi e il consenso lo garantiva lui, quelli non avevano più bisogno di Fini. E quando Gianfranco se ne è accorto, era già tardi.

    In realtà, Gianfranco Fini non si ribellò perché perplesso dall’uso, violento e personale, che il Premier continuava a fare dello Stato anche nella legislatura in corso, bensì per non vedersi ridimensionato, tagliato fuori. Berlusconi gli stava comprando la sua base elettorale.

    Il 15 aprile 2010 Bruno Vespa (noto commentatore politico alla televisione di Stato RAI) raccontò di avere assistito a gennaio, nel Salotto di rappresentanza del Presidente della Camera, a Montecitorio, a un incontro tra Fini e Berlusconi:

    FINI – prese la parola e sputò subito il rospo: Ero titolare di una piccola azienda, che gestivo in assoluta autonomia e libertà e che aveva un fatturato sicuro. Un’azienda non grande come la tua, caro Silvio, ma di grande dignità e sulla quale avevo investito tutta la mia vita. Questa azienda si occupava di politica… ed in tempo di grandi fusioni ho pensato che fosse utile conferire questa piccola azienda a una più grande e l’ho fatto, mai immaginando che le cose sarebbero finite così. L’ho conferita pensando che dalla fusione potesse derivare una mia presenza politica più forte. Le cose sono invece andate diversamente, al punto che rischio ormai di perdere sia il vecchio fatturato sia la mia dignità, alla quale per nessuna ragione intendo rinunciare. La sostanza è che mi trovo emarginato, non conto più niente, e io non posso accettare una tale situazione… Non rinnego l’alleanza con te, non faccio ribaltoni, ho sempre condannato chi li ha fatti, ma rivendico la mia libertà, e se questa non può esistere nei gruppi parlamentari attuali, vorrà dire che ne costituisco di miei.

    BERLUSCONI – ascoltò in silenzio – a parte qualche sporadica interruzione – ma poi sbottò, attaccando: Ma perché mi fai sempre il controcanto?… C’è tempo e modo di chiarirsi nelle sedi opportune. Se ti senti emarginato nella posizione di Presidente della Camera, vieni a fare il Presidente del PdL!

    FINI – e qui si rivelò la chiave di tutta la vicenda: Le cose stanno in maniera molto diversa rispetto a quando il partito è nato, il 30% che fu assegnato ad AN contro il 70% di Forza Italia non esiste più. Io non mi sento rappresentato dai miei, perché tu li hai comperati!

    BERLUSCONI: Ma che dici, tuonò innervosito.

    FINI – tagliò subito corto, non voleva farsi prendere in giro, e per la prima volta perse il controllo del tono vocale: Pensi forse che Gasparri mi rappresenti?

    Il 22 aprile 2010 si tenne a Roma la Direzione nazionale del PdL. Si riporta qui uno stralcio degli interventi di Fini e Berlusconi che riflettono in modo evidente a che punto era giunto il logorio dei rapporti fra i due leader:

    FINI: Non credo che la libertà di opinione possa rappresentare il venir meno alla lealtà all’interno del PdL solo perché si danno indicazioni diverse da quelle che vanno per la maggiore.

    Fini era consapevole che il PdL fosse un’aggregazione dove vigeva il centralismo carismatico, dove non si discuteva, dove si creavano situazioni come la spaccatura in Sicilia. Il partito che Fini aveva in mente era quello che sui temi dell’immigrazione si schierava con le tesi del Partito Popolare Europeo improntate al rispetto della dignità umana e non su quelle della Lega.

    BERLUSCONI: Ma le posizioni del Carroccio sono le stesse che aveva AN… Gli sbatté in faccia il Premier.

    FINI: …Un partito che assume la legalità come valore, che celebra, senza reticenze, l’unità d’Italia, che non delega tutte le scelte al Governo…. Ricordi il processo breve? Quella era un’amnistia mascherata per 600.000 detenuti. Incalzò Fini ricordandogli il litigio che avevano avuto. E gli domandò: Mi devi dire che cosa c’entra la riforma della Giustizia se poi passano questo tipo di messaggi. Poi gli suggerì di rivedere il programma economico del PdL, che metteva in guardia dall’attuazione del federalismo che il Carroccio voleva a tutti i costi.

    BERLUSCONI – Delle cose che hai chiesto non avevo notizia, comunque ne discuteremo. Lascia stare la Sicilia che ci sono dentro i tuoi uomini e ti ho già detto che voglio vendere il Giornale. Si arrivò così al rush finale gettato in faccia a Fini tra gli applausi della sala: Dici che sei super partes? Per questo non sei venuto a piazza San Giovanni? Allora, se vuoi fare politica, lascia la presidenza della Camera.

    FINI: agitò il dito urlando: Che fai mi cacci?… Non ho nessuna intenzione di dimettermi dalla presidenza della Camera. Né tantomeno di lasciare il partito. Oggi è un giorno importante per il PdL, viene meno la fase dell’unanimismo o della totale convergenza e si apre una positiva e democratica fase di discussione.

    Il documento finale del convegno ottenne 12 voti contrari e si ritenne che soltanto il 6% del partito fosse disposto a seguire Fini.

    Lo scisma si materializzò il 30 luglio del 2010 quando 33 Deputati e 10 Senatori (di cui 2 in agosto) lasciarono il PdL e aderirono al nuovo gruppo parlamentare: Futuro e Libertà Per l’Italia (FLI), che garantiva soltanto un appoggio condizionato al Governo. Passarono alla nuova formazione anche cinque componenti del Governo: il Ministro Andrea Ronchi, il viceministro Adolfo Urso, i sottosegretari Antonio Buonfiglio, Roberto Menia e Pasquale Viespoli. Il Presidente della Camera Gianfranco Fini aderì al gruppo l’8 settembre.

    Il 5 settembre del 2010, alla festa del tricolore a Mirabello (FE), il Presidente della Camera Gianfranco Fini criticò l’operato del Governo e annunciò il distacco di FLI dal Pdl. Il 17 novembre gli esponenti del nuovo soggetto politico Futuro e Libertà per l’Italia impegnati nel Governo, rassegnarono le dimissioni. Lasciarono l’Esecutivo il Ministro per le Politiche Europee Andrea Ronchi, il viceministro Adolfo Urso e i sottosegretari

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