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Rosa spinacorta
Rosa spinacorta
Rosa spinacorta
E-book157 pagine2 ore

Rosa spinacorta

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Info su questo ebook

Tratto da una storia vera, Rosa spinacorta tratteggia la figura di una delle ultime donne allevate e istruite nei conventi, in gran segreto, per vestire la Madonna miracolosa. Racconta l’apprendistato forzato, l’annullamento del corpo, il farsi trasparente di chi ha in sorte la vestizione del Sacro. Ma in questa storia troveremo molto di più.

Il libro in breve
Tecla è la prescelta, veste la Madonna. Ma mentre la Regina, sua unica compagna nella stanza segreta, è solo un pezzo di legno dagli occhi senza vita, la ragazzina ha un corpo vivo fatto di carne che è costretta a negare, a distruggere pezzo dopo pezzo, arto dopo arto, come un nemico di cui vergognarsi. Tecla è destinata a diventare niente, perché la Regina è sempre vestita e chi la sveste non esiste, è trasparente.
La prescelta impara tutto quello che c’è da sapere: i bottoni, le cordelle, gli aculei dell’istrice, le stecche candide della balena; vestiti, gonne, corpetti, mantelli; lino, seta, cotone. E i colori preziosi: il risalgallo, il sangue di drago, il verdaccio, l’oro e l’azzurro.
Ma il suo corpo un giorno reclama i suoi diritti: la condurrà via dal convento lungo il fiume su cui naviga un presepe vivente; un viaggio pieno di rivelazioni, in una dimensione magica che pervade il mondo religioso, fatto di riti, superstizioni, realtà umili, gesti quotidiani. Fino a quando nei boschi nei pressi di Gualtieri troverà un folle pittore, un certo Ligabue.
LinguaItaliano
Data di uscita28 apr 2022
ISBN9788831461436
Rosa spinacorta

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    Anteprima del libro

    Rosa spinacorta - Mario Ferraguti

    Mario Ferraguti

    Rosa spinacorta

    ROSA SPINACORTA

    di Mario Ferraguti

    Progetto editoriale Orfeo Pagnani

    Collana quisiscrivemale

    © ²⁰²² – Edizioni Exòrma

    Via Fabrizio Luscino 86 – Roma Tutti i diritti riservati www.exormaedizioni.com

    immagine 1

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    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    Rosa spinacorta

    quisiscrivemale

    Se non dovessi tornare, sappiate che non sono mai

    partito. Il mio viaggiare

    È stato tutto un restare qua, dove non fui mai.

    Giorgio Caproni

    Biglietto lasciato prima di non andar via

    Rosa spinacorta

    L’ultima volta che l’ho vista stava mettendo la valigia sull’armadio. Sembrava partisse per il cielo.

    Sono entrata nella sua camera e lei era sulla scala, con la valigia in mano, che saliva. Si è voltata a guardare, ha fatto una faccia serena, un accenno di saluto e ha proseguito. Sempre così, di schiena, come la prima volta in quella stanza buia.

    Dopo tre giorni è morta la donnadischiena. E tutti a piangere perché dicevano che la morte l’aveva presa di sorpresa; io ero l’unica a sapere che aveva già preparato la valigia.

    Che se ne fosse andata me ne sono accorta quando non ha aperto la finestra.

    Ultimamente aveva molta paura, non tanto per non esserci mai più, che per tutta la vita aveva cercato di fare solo quello, ma per il dolore, spaventata dal pensiero che morire facesse molto male. E la morte, come i cani, se ne accorge, lo sente dall’odore. Più hai paura, più ti viene a morsicare.

    Era talmente esperta nel non lasciare traccia, che la sua scomparsa è stata solo quella, una finestra. Lei, come me, addestrata a diventare niente.Tre anni per riuscire a farsi trasparente.

    Sono rimasta sola, ho pensato, e lo sono andata subito a dire alla Regina.

    Non sentirai più, le ho sussurrato nel suo orecchio di legno, il fruscio di mani esperte tra le tue vesti preziose, non più il respiro che sa di menta e basilico, l’affanno delle scale e la pazienza, ma le mie dita acerbe a litigare tra i bottoni, gli spilli, le cordelle, i fili d’oro, gli aculei dell’istrice e le stecche candide della balena; dita dure di calli gialli del cappone, graffiate più dal gelo della terra che dalla rosa spinacorta. Dita che tremano per la paura di essere rimasta sola in questa stanza, tanto alta sulla chiesa da sembrare il trampolino per il cielo.

    E tu sopporta, lo sai bene, mi hanno trascinata dai capelli e spaventata con l’inferno e le scarpe ancora ai piedi; la donnadischiena lo teneva ripiegato nella tasca. Per me il mondo dei dannati non era sottoterra ma nascosto dentro al suo vestito, tanto vicino da arrivarci con la mano. Poterlo prendere l’inferno, mostrarlo e poi subito nasconderlo simile a un segreto, a una minaccia, a un gioco di prestigio. Scartarlo e offrirlo come una caramella, a me che ero soltanto una bambina.

    Il giorno in cui è morta la donnadischiena, mentre le suore erano in chiesa a pregare, mi sono nascosta in un angolo buio a cantare, per tredici volte, La bella lavanderina.

    Io sono stata abbandonata nella ruota, mi ha raccolto una suora che nutriva le taccole, le prendeva da piccole nei buchi della rocca, e quando una le è morta mi ha chiamato Tecla. Il mio nome viene dal verso di quell’uccello nero, più piccolo del corvo e più domestico.

    Io sono stata scelta. È successo in un giorno all’improvviso, eravamo appena uscite dalla chiesa, disegnato il tracciato sul sagrato col gesso per giocare a mondo, che ho sentito il mio nome; mi chiamavano tre suore, grigie come le cornacchie. Ero su una gamba sola, in bilico nella casella del cielo.

    Mi hanno portato in una stanza, di cui ricordo solo il buio.

    Sei stata scelta per vestire la Regina, hanno detto sottovoce come in coro, ma è un segreto da non dire; a rivelarlo si va dritto all’inferno di volata, con le scarpe ai piedi, ancora prima di morire. Credevo fosse un altro gioco, una penitenza; ho atteso che mi coprissero gli occhi con la benda per farmi scegliere, cieca, una delle cinque dita. Dire, fare, baciare, lettera o testamento.

    Tre sere dopo sono venute a prendermi nella camerata, raccontato alle altre che erano i pidocchi e mi hanno portato ancora nella stanza buia dove, dalla luce debole di una candela, è uscita una donna di schiena a cui non potevo guardare la faccia.

    Giura che resterà un segreto, hanno sussurrato tre di fronte e una di schiena, tu sarai quella che veste la Regina ma non dovrà saperlo mai nessuno, la Madonna per il mondo non si sveste, resta sempre vestita. Giura che rimarrai pura per tutta la tua vita. Eccola, ho pen sato, questa è la penitenza e mi sembrava strano di non avere scelto, non avere afferrato il dito a nessuno.

    Ho detto giuro e la donnadischiena, come quei giochi in latta con la chiave a molla, si è subito girata a mostrarmi la faccia. Giuro era la parola che aspettava, quella giusta; si è fatta, veloce, il segno della croce e ha sussurrato, ripeti con me la consacrazione.

    Vergine Santissima, vi offerisco la mia mente, il mio cuore, i miei occhi, le orecchie, la lingua e il mio corpo intero. E piuttosto che io abbia a macchiarmi di impurità fatemi morire.

    Mi è venuta vicino, tanto da sentire il suo corpo addosso; stringeva un foglio, l’ha aperto e c’era un drago gigante, con gli occhi rosso sangue che sputava fuoco. Attorno aveva uomini e donne, con le scarpe, che scappavano terrorizzati dalle fiamme; urlavano, piangevano e si graffiavano il corpo.

    A tradire il giuramento si finisce così, tra le fiamme del diavolo dell’Apocalisse, ripetevano in coro le tre suore cornacchie e la donnadischiena faccia a molla. A tradire il giuramento si va dritti all’inferno con le scarpe ai piedi.

    Ho cominciato a sentirle, quelle anime nude che tremavano e chiedevano perdono. Urlavano forte, dentro le mie orecchie, parole scandite; me le lanciavano addosso come fossero pietre. Le parole e le colpe.

    Sono scoppiata a piangere e lei, la donnadischiena, si è avvicinata; ho avvertito il caldo del suo fiato in faccia, sapeva di menta, di basilico e paura; t’insegno io a vestirla, ha sussurrato. Mi ha preso la testa e l’ha appoggiata

    al suo petto, duro di ossa sporgenti fatte a spigolo. Ha ripiegato il foglio e l’ha riposto in tasca, intanto con un soffio ha spento la candela, è ritornato il buio. Da allora l’inferno per me è finito lì, nella sua tasca, e guai a riaccendere quel fuoco.

    Domenica, a dire messa, veniva don Sergio in bicicletta. Aveva pochi capelli, molto bianchi, che bucavano la pelle sottile attraversata da un intrico di vene azzurre come rigagnoli; non gli cresceva la barba e le sue unghie erano grigie, le mani storte, deformate dall’artrite di cui parlava come un mostro femmina. La bocca invece era un taglio sottile senza labbra, tanto stretta che non si ca piva come facessero a uscirgli voce e fiato.

    Sapeva dire messa in latino, anche se qualcuno bisbigliava che molte parole ci assomigliassero soltanto. Nessuno, comunque, avrebbe potuto contraddirlo. Le suore lo temevano perché erano convinte che don Sergio avesse una Bibbia speciale, tanto diversa da tutte le altre da tenerla chiusa a chiave, un vero e proprio libro del comando con formule segrete e le istruzioni precise per costruire un marchingegno prodigioso, tra il proiettore e la locomotiva, capace di provocare le fisiche, far apparire a ciascuno, all’improvviso, la propria paura fatta d’aria.

    Quando, la domenica, si avvicinava al convento che sembrava una piccola nuvola nera in lontananza, le suore si agitavano, correvano da tutte le parti, schioccavano la lingua, emettevano versi con la bocca e gli spuntavano espressioni incontrollate dalla faccia; somigliavano a gal line eccitate, rinchiuse nel pollaio, che non capiscono se è in arrivo il becchime o un predatore.

    Loro non possono dire messa, neanche la superiora, sono donne e hanno bisogno per forza di un uomo, un sacerdote. Me l’ha spiegato suor Imelde, la carne di donna vale meno, è come quando dal macellaio si compra quella di seconda per il brodo; è una creatura ricavata dalla costola la femmina, è impura, a ogni cambio di luna sanguina, è molto più simile a una bestia.

    Tutte le notti, da luna piena a luna piena, la donnadischiena mi prendeva col buio, che nessuno vedesse, per portarmi alla tua camera, la camera inaccessibile della Regina, il nome che ti davo prima di entrare in confidenza.Tutte le notti per tre anni e con l’inferno in tasca, con la sua minaccia di far male, anche molto più male della morte.

    Non che io non volessi salire, quella che mi fermava era la paura, tu per me eri in alto, su nel cielo, dietro le nuvole bianche, non riuscivo a pensarti chiusa in una stanza; Regina miracolosa, guai a toccarti, c’era da incenerirsi, guai anche solo a incrociare i tuoi occhi, c’era da accecarsi.

    Era da questo che fuggivo, dal pensiero di ritrovarmi insieme a te, due nature di così diversa sostanza, vicine in una stanza buia e segreta a tutti gli altri, quella più in alto della chiesa, appena prima della campana capace, con il suo suono acuto, di rompere le nuvole da tempesta. Io insieme a una divinità, le mie mani che toccano e vestono ciò che si riesce a malapena a immaginare, un corpo capace di miracoli.

    Scappavo, mi nascondevo, io non volevo ma la donnadischiena, come un cacciatore, annusava la traccia della mia paura, mi braccava e quando mi stanava non sparava, la sostituiva con una più forte, quella dell’inferno con le scarpe.

    Tutte le notti veniva a cercarmi e io a correre, infilarmi nel buio, ma lei nel buio vedeva, le si allargavano le pupille degli occhi come ai gatti. Mi afferrava i capelli e mi trascinava, in mille passi lenti da formica che io contavo a uno a uno, fino a te, là, ferma immobile, in attesa di essere vestita.

    Immaginare che avevi bisogno, che in quei momenti eri così debole e fragile da bastare un niente, anche solo uno sguardo, un tarlo a farti male, immaginare che avevi freddo e aspettavi il caldo di un abito, sarebbe stata tutta un’altra cosa. Ma allora non mi passava neanche per la testa, allora sentivo solo la mia paura e non sospettavo potesse esistere una divinità di legno che prova dolore per i morsi dei tarli, trema per il freddo e teme il buio. In quella stanza, trampolino per il cielo, non ci riuscivo a entrare; sentivo mille passi, vedevo mille occhi, mille rumori di niente e di nessuno, quel posto era proibito anche a don Sergio. Vestire la Madonna, che è fem mina, è un onere e un privilegio riservato alle suore. Sembrava impossibile che io, così debole, sottile e pic cola dovessi proteggere lei, attorniata da angeli custodi; io così sola, fragile e senza niente, costretta a difendere lei, a capo di un esercito intero d’argento e metallo; io a far la guardia per la notte a lei, regina del mondo e della luce.

    Solo a pensarci mi si stringeva lo stomaco e mi girava la testa fino a cadere a terra nel continuare a ripetermi non sono abbastanza forte, non sono abbastanza grande, io non sono niente.

    E lei, la donnadischiena, a strisciarmi la pelle con le unghie, a stringermi le braccia da far venire i lividi e dire che non dovevo, non potevo rifiutare, ero stata scelta. Lei a srotolare l’immagine dell’Apocalisse che teneva in tasca, il drago sputafuoco, le anime bianche e nude con le scarpe che si coprono la faccia mentre bruciano e gridano, a bocca spalancata, il loro tradimento all’universo che come un grande orecchio ascolta e punta il dito.

    Continuavo a sentirle quelle anime dannate, urlavano insieme, con una sola voce e mi assaliva la vertigine del vuoto, si apriva un baratro sotto i miei piedi e quando, ormai, stavo per precipitare giù, fino all’inferno dannata insieme a loro, riconoscevo la mano secca della donnadischiena stringere la mia, mi riportava indietro, mi salvava.Allora scoppiavo a piangere e lei si avvicinava fino a soffiarmi il caldo del suo fiato nell’orecchio, piegava il foglio, rimetteva il diavolo, il fuoco, le anime nude con le scarpe, le loro urla in tasca e diceva, come a risolvere tutto, col suo afrore di menta e basilico, t’insegnerò a vestirla.

    Per prima si recita la preghiera dell’angelo. Angelo che sei il mio custode, ricordami di essere sempre trasparente; vestire la Madonna è diventare niente, che la Regina è vestita e chi la sveste non esiste.

    C’era riuscita, aveva fatto il cambio con la mia paura.

    Non conoscevo niente della donnadischiena, ogni volta che l’avvicinavo, per chiederle qualcosa, mi si bloccava la lingua, si asciugava la saliva.

    Nei corridoi giravano bisbigli, dicevano si fosse nascosta tra le suore quando, in paese, qualcuno l’aveva apostrofata come strega e le portassero i panni da bollire per togliere il malocchio.

    Voci sottili a entrare nelle orecchie e suggerire che, invece, era figlia di girovaghi, con scimmie e orsi ballerini, che l’avevano lasciata in convento, insieme a due pavoni bianchi, con la promessa di tornare a prenderla. Un piccolo gruppo di suore, infine, tramandava che era stata abbandonata in un fosso da due zingare, dopo averla rubata a una famiglia nobile ed essersi accorte che si trattava di una bambina strana, con un accenno di coda. L’acqua melmosa l’aveva cullata e trascinata in Po, fino a raggiungere una secca dove gli

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