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Banditi: Ciclo: Crypt Marauders Chronicles
Banditi: Ciclo: Crypt Marauders Chronicles
Banditi: Ciclo: Crypt Marauders Chronicles
E-book111 pagine1 ora

Banditi: Ciclo: Crypt Marauders Chronicles

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Info su questo ebook

Fantasy - romanzo breve (85 pagine) - Sono Ayrin, de la Teppa… Siamo la Teppa, noialtri, e questo ti basti. Quando domani incrocerai qualcuno, racconta di noi. Nessun diritto e nessuna bandiera… e via a sgozzare sotto le tonache nere del Nuovo Credo, a sbudellare quei porci dei banchi e delle gilde, a mozzarlo a quei senza palle dei boiardi e dei lord.


Sono di poche parole quelli della della Teppa, ma svelti di spada e balestra. Più di tutti, Ayrin, la giovane capitana.

Preti corrotti, necromanti perversi, sbirri sadici, tutti hanno motivo di temere la Teppa, le cui condanne senza appello sono eseguite nella tenebra notturna.

In queste storie, ambientate a Thanatolia, il continente della morte inventato da Alessandro Forlani e Lorenzo Davia,  Domenico Mortellaro riprende l'eroina creata per l'antologia del 2018 (Thanatolia, Watson Edizioni), ma le dà un degno partner – antagonista: il misterioso spadaccino Mainfried, sicario o cacciatore di taglie o forse peggio, che appare e scompare, ora giovane ora vecchio. I due, tra una provocazione e un bacio, affrontano necromanzie oscene e mostruosità sepolte, in un crescendo fantastico di avventure e orrori.


LinguaItaliano
Data di uscita7 apr 2020
ISBN9788825411898
Banditi: Ciclo: Crypt Marauders Chronicles

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    Anteprima del libro

    Banditi - Domenico Mortellaro

    orrori.

    Introduzione dell'autore

    Il ciclo delle Cronache del Vortice, di cui Banditi è la prima raccolta, è una saga narrativa ambientata a Thanatolia, il Necrontinente, un setting letterario creato da Alessandro Forlani e Lorenzo Davia. Circola una leggenda, tra noi tombaroli. Pare che esistano tanti Necrontinenti quanti sono gli autori che hanno deciso di avventurarsi nel Deserto di Cenere. Bene: quella leggenda non mente. Quella che avete tra le mani è la mia Thanatolia. Spero vi affascini come le tante altre.

    Domenico Mortellaro

    Logo Crypt Marauders Chronicles realizzato da Pietro Rotelli

    Sentenza di morte

    Il cielo s’era rifatto nero. Nemmeno il tempo di far posare le polveri soffiate ovunque dall’ultimo Vortice che, puntuali come ogni stagione, passate le ultime sferzate di vento e cenere, i cappucci neri del Nuovo Credo avevano alzato la loro pira.

    Alba Nuova: così si chiamava la celebrazione di ogni passaggio del Vortice ed il ritorno ad un cielo terso e pulito. Almeno: i cappucci sostenevano che così era scritto nel Lascito. Chi l’avesse vergato, quel libro diventato sacro per volere reale nel volgere di una notte, non è ancora dato sapere. Ci stava impresso dentro il volere di Colei Che Si Attende, però… Almeno a sentire quello che salmodiavano i Maestri del Credo.

    L’Alba Nuova era la maniera di festeggiare il passaggio di quel muggito di morte, la scomparsa di quel tornado di ceneri e miasmi che spazzava il Necrontinente per poi correre a inabissarsi in mare.

    Fino al prossimo Vortice, ovviamente.

    Alba Nuova, dunque, quel giorno. Una pira enorme di corpi tanto secchi da sembrare giunchi arsi e sterpi foderati di scorza. O di qualcosa che, in passato, doveva somigliare a pelle. La catasta di corpi appestati veniva innalzata in una delle piazze centrali e cosparsa di fulminato. Sotto gli occhi benedicenti di un Maestro Fumigatore, tra salmi e preghiere a Colei Che Si Attende, si dava fuoco all’ammasso. Per la gioia e il timore di una folla inebetita che restava lì ferma a guardare le fiamme. A pregare che davvero quell’ultimo rogo sarebbe bastato a lenire per l’ultima volta la collera della Madre. A implorare perdono per le cerche forsennate, le razzie senza diritto, le piaghe e le ulcere rinnovate da ogni tomba scoperchiata senza potestà. Senza che il Giusto Prezzo fosse stato pagato.

    Ayrin si strinse nello janib nero che l’avvolgeva. Accelerò il passo, sollevando il velo dal collo per coprirsi bocca e naso. Detestava doversi muovere di giorno, nella città, intabarrata col lutto delle vedove. La puntualità delle celebrazioni e la prospettiva di folle di cappucci neri invasati dappertutto, però, non le lasciavano altra scelta. E l’impegno di quella mattina non poteva essere rimandato. Anche perché i giorni migliori per mimetizzarsi e scambiarsi informazioni erano proprio quelli: strade piene, mandrie di poveracci, mercatini e bancarelle ovunque. E flotte di vedove, nere come mosche, a nugoli, che risalivano le vie, dritte verso la scalinata della Misericordia della Madre. La Gilda dei Pii Cercatori aveva la sua sede proprio accanto a quel Banco di Pietà; confondersi con le mendicanti e prendere l’altra scalinata era un attimo.

    Il problema era arrivarci!

    Attraversare la grande Piazza delle Cerimonie. Senza sgomitare troppo. Senza mordersi la lingua ogni volta che c’era un verso da recitare ad alta voce. Senza scivolare via troppo veloce. Senza dimenticarsi di sollevare almeno per un minuto gli occhi al fumo nero che saliva, per dedicare un pensiero, solo uno, all’ Offesa. Fingendo di pregare che quel fumo le fosse gradito, la inebriasse e lenisse l’agonia ulcerosa che ancora pativa.

    Perché in mezzo alle vedove che mendicavano, ai poveri pii di spirito che si godevano il rogo, ai mercanti che per un attimo dimenticavano roba e prezzi e battevano il petto intonando il Presto Ritorna, ci stavano seminati gli occhi e le orecchie del Credo. E i Tumularii della Nuova Catena, nelle armature e nelle scorze di cuoio nere.

    Non poteva permettersi di essere scoperta. Non così, con le vesti nere d’una poveraccia qualsiasi, senz’altro acciaio a difesa che uno stiletto allacciato alla caviglia. Farsi beccare così, in mezzo a migliaia, non era nel novero delle possibilità contemplate.

    Per le tue piaghe leviamo preghiere,

    bruciando incenso, peccatrici schiere,

    per ogni tomba aperta e scoperchiata,

    ogni sonno violato con disprezzo,

    per ogni eterna attesa profanata,

    perché ogni morte abbia il suo giusto prezzo.

    Ayrin seguiva a memoria la cantilena del Maestro Fumicatore. Ripeteva ogni verso nella mente, per essere sicura di non perdere il tempo e non arrivare in ritardo sull’attacco. Contava i passi, le sillabe, le parole. Per ognuna bestemmiava e chiedeva perdono a Colei Che Non Si può Nominare – le farneticazioni del Credo: erano quelle le vere bestemmie e le ulcere più profonde, per come la vedeva lei.

    Attese quasi sospesa a mezz’aria, tra un passo e l’altro, la parola prezzo. Poi s’arrestò. Stando attenta a non mostrarci troppa enfasi, in quel gesto. Si voltò verso la pira, sollevò gli occhi alla voluta di fumo scuro che mulinava verso il cielo e alzò le mani all’altezza del viso, i palmi aperti rivolti al suo sguardo.

    Ogni tumulo ha il suo diritto!

    Inspirò tre volte. Il puzzo insostenibile di quella carne secca che si faceva carbone e quello dolciastro degli incensi mescolati al fulminato le pizzicava la gola e solleticava i polmoni. Abbassò la fronte e asciugò gli occhi lucidi di fumo.

    Sistemò meglio il velo, a mascherare il sorriso per quella finta commozione e s’incamminò mentre dal catafalco il Fumigatore addentava la strofa che enumerava i tanti nomi disperati della Madre. Li avrebbe ripetuti a voce alta scalpicciando via. Per ognuno le parve di sentire la fitta acida di uno spillo che le si conficcava nel cuore. Pregò che quel giorno il cappuccio sul palco ne dimenticasse almeno qualcuno, preferendo una preghiera in forma più breve.

    Tenne gli occhi bassi e cercò di scartare verso il bordo della piazza, al limitare della calca, stando sempre attenta che la sua voce si sentisse chiara, attorno. E la sua partecipazione a quel rito apparisse sincera. Mosse i passi velocemente, orientandosi tra i piedi e le ombre, per evitare il rischio di incrociare sguardi. Fu fuori dalla ressa che dal palco ci si attardava tra la Putrefatta e l’Ulcerata. Divorò i primi gradini che la seconda strofa era ancora lontana.

    Scostò il drappo pesante di velluto che schermava una delle porte. Si fece strada oltre quel diaframma e guadagnò l’ingresso. Doveva essere ombra, in ogni Sala dei Banchi, ogni sede di Gilda. Abituarsi a quel che attende tutti, nel buio della Morte: stava scritto pure questo, nel Lascito. Snodò il drappo dalla nuca e lo girò dietro le spalle. Si guardò attorno, tra le decine di tavolacci seminati lungo il profondo colonnato, cercando il dettaglio di quella testa canuta. Era la quarta sul lato destro.

    Di fronte, nessuno cui dare soddisfazione: tante volte la fortuna!

    Abbassò la testa e si mosse rapida per non rischiare di farsi superare da altri questuanti. Gli fu davanti scivolando sul pavimento senza che nemmeno il velo frusciasse.

    – Ognuno attende, Mio Signore…

    L’uomo, dietro il tavolone, alzò gli occhi dal registro che stava scorrendo e glieli cacciò in faccia. Non s’era accorto del suo ingresso, del suo arrivo. Gli bastò incrociare lo sguardo della donna per riconoscerla. Ringoiò velocemente la sorpresa che gli era rintoccata nel petto e le rispose con la cortesia che il Lascito suggeriva per chiudere quella formula di saluto.

    – L’Attesa e il Ritorno, buona donna! Che posso fare? Mi dica!

    Ayrin si avvicinò e sollevò la sedia per provare a muoversi col minimo rumore. Si accomodò.

    – Sono qui per una Confessione, Mio Signore.

    – Com’è caro a Colei che Attende, buona donna – per poi aggiungere, indugiando sullo janib nero che la fasciava e denunciava un lutto ancora fresco –L’Attesa che patisce sarà certo più lieve e più breve se segue con devozione le vie del Lascito.

    Ayrin annuì con un timido sorriso. Dissimulò il nervosismo che

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