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Il cigno nero
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E-book190 pagine2 ore

Il cigno nero

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Info su questo ebook

Le note riempiono la stanza. Respiro. La musica apre una fessura dell’anima attraverso la quale si può intravvedere l’assoluto. Respiro e non provo più imbarazzo né vergogna o timore, rabbia. Oggi ho davvero poco da nascondere e forse meno da scoprire. Ascolto quelle note che sembrano venire da molto lontano mentre mi dico che di me non cambierei nulla, niente di niente, anche se potessi. A volte penso che Dio abbia creato la Musica e l’armonia degli universi nell’istante stesso in cui ha creato l’uomo. Ognuno di noi è una singola nota. Sedici racconti straordinari nella loro ordinarietà, uomini e donne come tutti noi che si trovano ad affrontare un difficoltoso e irto percorso chiamato vita. Cigni neri ma dalle cui piume si spargono gocce d’arcobaleno.
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita17 mar 2020
ISBN9788833664606
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    Anteprima del libro

    Il cigno nero - Antonio Mazziotta

    Antonio Mazziotta

    Il cigno nero

    Questo romanzo è opera di fantasia. Ogni riferimento a luoghi, oggetti e persone è puramente casuale.

    Editing: Emanuela Navone

    Immagini di copertina: Nika Akin/Pixabay, Free Vector Images/Pixabay

    © 2020, PubMe, Antonio Mazziotta

    Tutti i diritti riservati

    UUID: 811413bb-1862-456e-9601-6e42792f7912

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    CON UN CHE DI RISIBILE

    GRETA

    TRE SABATI E UN PO’ DI PIÙ

    IL PROFESSORE

    L’AUTORE DI POCO CONTO

    L'ULTIMO FUNAMBOLO

    IL LABORATORIO DELLA MEMORIA

    UN SIMBOLO PER DOWNTOWN

    DUE INSIEME

    KRÜGER GÜNTHER, IL MAESTRO DEL TEMPO

    PARADOSSI

    LE PAROLE PER ADA MARTA

    LA PENNA A SFERA DEL SIGNOR M

    SCELTA D’AMARE

    TROPPE VERITÀ

    UN VOLTO E UNO SPECCHIO

    GLI ALTRI LIBRI DELLA COLLANA

    Per Andrea.

    Tutto ciò che chiamiamo reale è fatto di cose

    che non possiamo considerare reali.

    Niels Bohr

    CON UN CHE DI RISIBILE

    «Ascolta me» disse senza preavviso. «Voglio dirti una cosa.»

    Sapevo che le sue parole erano mille, come le sue facce, ma non potevo credere che ne avesse il coraggio. Che diavolo avrei dovuto ascoltare?!

    Lui era tutto ciò che c’era di sbagliato. Così avevo sempre creduto, questo mi era stato detto, questo conoscevo di mio padre.

    «Compra e vesti abiti decorosi, puliti, non troppo eccessivi, neppure mediocri.»

    Lo ascoltavo tenendo gli occhi bassi. Ma lui sembrò non accorgersene.

    «Quando parli, ma soprattutto se ascolti, guarda i tuoi interlocutori, specie se donne, dritti negli occhi; loro amano mettere alla prova la virilità. Il denaro che hai nelle tasche non conta del tutto, ma conta l’impressione che dai di possederne. Hai capito?»

    Ora lo guardavo dritto negli occhi.

    «Leggi molti libri e ridi anche quando non va. Bevi allegramente in compagnia e scopa; sì, hai capito bene, scopa e ama tanto! Comportati come se fossi il migliore, come se tu potessi attraversare i muri di ogni stanza e guardare gli altri che restano imprigionati lì.»

    Si accese un’altra sigaretta, si versò dell’altro vino.

    Avevo come l’impressione di essere rimasto da solo al tavolo del ristorante. Lui non era più lì. C’erano solo il vociferare della gente ai tavoli del belvedere, il tintinnio dei bicchieri, l’odore della cucina, del pesce, il profumo del tabacco e del caffè, il mare. Lui era andato via, ondeggiando sui suoi passi a inseguire il vento, lontano, proprio com’era arrivato, sul vento, sbattendo le finestre in un giorno d’estate.

    Trascorremmo insieme una giornata qualunque della mia adolescenza. Pensavo quanto fosse errato credere che l’età sia uno dei requisiti fondamentali dell’autorevolezza, della saggezza.

    Rimasi a guardarlo senza capire.

    Eccoci insieme, di nuovo.

    È trascorso molto tempo da allora, l’innocenza è svanita, non c’è il mare, il vento gelido dell’inverno mi ha trascinato qui. Una passeggiata lungo il fiume, parole spezzate dai respiri, false verità. Sento il suo orgoglio debole, i suoi pensieri fragili rispecchiano i miei. Ha un completo scuro, camicia e foulard e pochi soldi in tasca. Io scarpe da ginnastica. Due caffè, due amari, serviti a un tavolo dove sono seduti due perfetti sconosciuti.

    Vuole parlare della mamma. Dice che il vero amore non può durare che un istante. Poi ci si sposa, ma quasi sempre con un’altra donna. Quest’altra era sua moglie e senza dubbio lui il marito: un diritto acquisito e riconosciuto davanti a Dio e agli uomini. Il cartello sull’anulare della mano sinistra diceva PROPRIETÀ PRIVATA. Erano diventati il dovuto, al di là del quale cresceva il desiderato. Questo il riassunto del suo matrimonio.

    Io sono giovane, dice, devo divertirmi, devo amare e stare lontano dalle donne perfette: sono le peggiori.

    Cammina sul vento come prima, come sempre.

    Dondola piano la sua ombra, leggera, lontana.

    Ci fermiamo di fronte a una vetrina. C’è un abito. Un bel taglio. Mi chiede il perché delle mie scarpe da ginnastica. Parla dell’eleganza, del bello, dice di cercare armonia nelle forme, nei colori, lungo i tratti di un viso; di cercare l’essenza del bello in ogni cosa, di cercare il piacere.

    Ha avuto molte donne, certo, alcune anche solo immaginate. Anche il flirt è un bluff, dice, ma è la più bella e grande scopata che tu possa fare con una donna.

    So cosa intende. Conosco già le donne, ma non quanto lui. Dice che se non amiamo le donne come sono, con le loro insicurezze, la fragilità emotiva, l’ironia, il gioco della seduzione, allora rimarremo solo stupidi maschi che si accoppiano un gradino o più sotto le nuvole di raso rosso, dove il godere è un po’ meno del piacere che c’è in alto.

    Sorrido, in fondo la sa raccontare bene.

    Non c’è nient’altro da fare qui che baciarsi sotto le stelle. Nient’altro, conclude sorridente.

    Scoppiamo in una fragorosa risata.

    Adesso lo ricordo come in quel giorno di giugno, quando dal finestrino del treno il vento giocava con i capelli mentre la stazione si allontanava veloce e silenziosa per sempre. Tutto senza un vero saluto.

    Ora capisco. Con lui ho conosciuto il vento, la finzione del possesso di una combinazione vincente, la vanteria infondata, il bluff.

    Oggi non ho abbastanza spazio perché ogni volta lo posseggo tutto. Tutto è costrizione, non è sufficiente. Sono incontenibile come il vento, sono un bluff, sono diventato tutto ciò che c’è di sbagliato per qualcun altro.

    Già, mio padre. Mi accorgo di avere sempre cercato mio padre e di quanto, proprio per questo, sia stato sempre con me, lui e le sue parole maledette. Oggi anch’io fingo di interessarmi alla vita degli altri.

    Ho una donna. Abito con Elena. Abitare insieme non è vivere insieme ma semplicemente condividere un trilocale dove far recapitare la posta. Sono un egoista. Soffro perché non amo ma ancor di più per non essere ricambiato dalla persona che non amo. Ho scoperto che la convivenza forzata degli amanti è disordine alla continua ricerca di ordine. È fatica.

    Il rapporto che ho creato con Elena si regge a malapena sui nostri continui piccoli litigi che continuano a tenerci uniti, sfiniti. Poi le bugie, perché devono nascondere quello che non si mostra, ma anche quello che non è dentro. In fondo siamo porte socchiuse che non si aprono mai del tutto né a tutti e vogliono rimanere tali. Elena e io siamo una coppia sola, una coppia triste, una coppia che non balla più su quella pista dove tanto in fretta è bruciato l’amar quanto lento si raffreddava il non amar in uno struggente tango domestico.

    Siamo diventati anche noi il dovuto, al di là del quale cresce il desiderato. Si sa, siamo tutti uguali: egoisti, spregiudicati, avidi di un piacere che ci rende schiavi.

    Siamo uomini, donne. Niente di così strano, in fondo.

    Stare insieme è pura illusione. Anche una piazza gremita di persone non è che un ritrovo di gente sola, figuriamoci un appartamento e una vita a due in così pochi metri quadrati.

    Ero rimasto solo. Nessuno in quella piccola casa poteva sentirmi, vedermi. Immaginavo di essere in isolamento. Strana sensazione, davvero sgradevole.

    Al di fuori delle mura, invece, sentivo gravitare attorno a me un’attrazione e un’energia pura. Erano i corpi meravigliosi delle donne che si scontravano con il mio, che mi venivano incontro con la loro andatura vestita di quella sensuale agitazione che ne cadenza il movimento. Ruotavano, leggere, attratte da me e io da loro. Queste meravigliose figure si avvicinavano con tutta la loro vivacità, fino a girare all’impazzata, per un attimo, per sempre, in un luogo dove si giocava il gioco della seduzione che impaziente attende il desiderio.

    In questo gioco entrambi cercavamo il piacere, volevamo vincere. Volevamo stare sopra. Poi la danza d’amore continuava finché non sentiva sbattere la rude nudità dei corpi, fino a che non ci mancava il fiato.

    E così stringevo una donna al buio. La respiravo e impazzivo. Mordevo la sua smania. Cercavo il suo nome. Frugavo avidamente fra le pieghe del vestito, nella sua carne. Poi la scoprivo con impeto, giù, fino in fondo. Lasciavo che le sue mani mi accarezzassero mentre le sussurravo parole calde sulla bocca. La trattenevo ancora, il tempo di un bacio, affinché desiderasse il mio sesso. Poi la prendevo. Diventavo schiavo del suo piacere, dei suoi capelli, delle sue voglie, e godevo al ritmo dei suoi fremiti. Godevo sino a tremare. Potevo decidere se amarla ancora e ancora e un’altra volta di più prima che mi uccidesse fra le sue gambe, ingannato dalle sue labbra, avvinto dai suoi seni.

    Attento, uomo, di fronte a te c’è una donna, mi dicevo. Non avrei dovuto implorare. Lei non avrebbe avuto pietà di me! Già sapevo che sarei diventato cadavere nel suo stesso sangue prima che fosse finita la notte. No. Non l’avrei amata. Mai. La scopavo e basta.

    Le donne sono come le cose degli altri: sono sempre più belle, sono lontane, e a una certa distanza tutto attrae, certo, ma poi ci si avvicina; poi le scopri, le abiti e ti rendi conto che tutto quello che riluce crea ombre, che tutto il pulito è stato lavato, e che dove c’è la luna c’è sempre un pozzo, e presto ti redi conto che lei non ti interessa più, non ha niente di più, niente che lasci davvero il segno. Di lei resta solo un momento, un quasi amore già passato, un astro minore, che lento affonda in un tiepido oblio trascinando con sé anche il suo nome.

    Ormai le donne si sovrapponevano. Ero arrivato al punto che cercavo di vivere quello che avevo immaginato di fare con una mentre facevo l’amore con un’altra. La mia vita era in cortocircuito. Tutto falsato, romanzato, desiderato e voluto prima ancora che vissuto. Qual era la realtà? Non sapevo neppure come, ma avevo il potere di farlo.

    Mi amavo un po’ di più. Quel nuovo me stesso mi era simpatico e il mondo lo amava. Avevo scoperto di possedere un’innata abilità nel flirtare.

    Le donne vogliono sognare. Io inventavo un sogno.

    Era tutto, e questo tutto era nella mia mente. Io ero la mia mente. La mia mente è magica, è rossa, è rifugio, fantasia, potenza, volo, fuga, è piacere, ma è molto di più!

    Non ho mai dato peso al mio aspetto né tantomeno al mio sesso. Ero di bell’aspetto e la bellezza è un ospite sempre gradito; questo era un buon inizio, certo, altroché.

    Sapevo invece che tutto era nella mente e che la mente può tutto giacché è tutto. Troppo! Con la mente è possibile ogni cosa in ogni luogo, sempre. La mente è un Dio. E noi siamo la nostra mente. Noi siamo Dei!

    Non ci credete? Chiudete gli occhi.

    Ora state facendo l’amore.

    Ma il poco è presto tanto e anche la mente inganna.

    Come un innamorato, desideravo godere nel mostrarmi con le mie nuove amanti, ma il piacere che provavo nel segreto di questi incontri amorosi era sempre più artificioso e allontanava ogni altro mio nuovo desiderio di conquista. In fondo già sapevo che il tutto era ormai routine. Era un inganno. Qualcosa in me sentiva che tutto era già stato fatto, già usato, e le cose usate non piacciono a nessuno. Cose nuove, di questo avevo bisogno. Altre e altre cose. Solo la natura vive e si inebria di eccessi senza rimorsi, senza colpevoli, all’infinito, senza stancarsi mai.

    Poi accade qualcosa di straordinario mentre sei lì. Come sempre. Sta succedendo. È per te!

    Rincaso dopo una nottata con amici. Posso ancora fantasticare sulle sue labbra mentre ascolta mie parole che la incantano.

    Lei gioca a fare la cameriera. Lei è unica. Lei è qualcosa di mai visto prima, lei è magica. Scintilla. Capelli castano scuro, naturali, dai riflessi pesca. Sorride. Sorride ancora e ancora. So che non posso averla o l’avrò ingannata; non ho carte per lei, non voglio bluffare, ma so anche che potrei farlo. La sua pelle è agile, fresca, non teme di sporcarsi. Prima che si spogli la saluterò. Addolcisco il tono della voce e mi preparo a rimpiangerla.

    Ho trascorso una meravigliosa serata con te, non so chi sei e questo è quanto. Ora devo andare. Presto, forse, ti dimenticherò.

    Sento immediatamente il desiderio di vedere il mio volto mentre mento senza parole.

    Lei è ritta di fronte a me. Si lascia ammirare, desiderabile, maliziosa. Straparla ma la voce non tradisce l’emozione. I suoi occhi hanno una strana lucentezza e imprigionano i miei. Nasce un brivido fra due sguardi che si cercano, sempre.

    Rispondo. Lei non può ascoltare le mie parole. Il suono della mia voce la attrae, la confonde. Riflesso nel suo sguardo scorgo finalmente la lucentezza del mio.

    Ci penetriamo e una smania carnale prende forma, è irrefrenabile e migra verso il piacere. Ora tutto è voglia, desidero, che stringe, accarezza, lusinga, attrae, è tutto dentro un’occhiata.

    Quest’attimo scivola tra gli sguardi di tutta l’altra gente che non può vederlo perché è solo per noi; sarebbe riduttivo definirla semplicemente attrazione, anche questa è una parola vuota.

    Tornerò da lei? Non lo so, né so se la rivedrò.

    Qualcosa di più è successo. Non abbiamo fatto l’amore ma qualcosa di simile, di altrettanto bello. L’atto sessuale è solo una parte del contatto sensuale che è possibile godere con l’altro sesso.

    Allora abbiamo fatto l’amore? In un certo senso sì.

    I nostri incontri sono stati casuali, attorniati da altri, voluti da altri. Queste comparse sono anche le nostre sentinelle, guardie dai contorni sbiaditi che diventano invisibili quando i tuoi occhi sconvenienti incontrano i miei, quando i miei occhi inquieti incontrano i tuoi. In mezzo a quel frastuono solo noi possiamo sentire l’impazienza e la speranza di quell’incontro.

    Ma quelle figure invadono il nostro spazio, rubano il nostro tempo, sembrano sorvegliarci.

    Poi un saluto e non le vediamo più, non le ascoltiamo più perché adesso siamo così vicini

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