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Un metro lungo due metri
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E-book232 pagine3 ore

Un metro lungo due metri

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Info su questo ebook

Il giorno in cui si riordina la soffitta della memoria saltano fuori dalla scatola dei ricordi anche frasi che hanno significato qualcosa. E supponiamo che la frase di tale professoressa Rapposelli “supponiamo di supporre un metro lungo due metri”, suggerisca che certi fatti non funzionino con il sistema bianco/nero o vero/falso. La realtà difficilmente si presta a letture unilaterali e il giudizio, di conseguenza, si fa incerto.
Supponiamo che Mauro Orletti decida che sia conveniente adottare la logica di “un metro lungo due metri” per affacciarsi in modo eccentrico sulle vicende personali e nell’intimità domestica di un notabile di stazza della Prima Repubblica, personaggio buffo e antipatico, innocuo e autoritario, senza cercare di dirimerne le ambiguità. Sembrerebbe poi che la stessa logica sfocata, svincolata dal criterio giusto/sbagliato, pigiama/non pigiama caratterizzi anche le scelte del nostro uomo. E in questo girare attorno alla vita di Remo Gaspari, sconosciuto ai più ma sedici volte ministro, protagonista assoluto nella gestione dell’alluvione in Valtellina, emerge un passato recente, in parte già finito nel dimenticatoio.

Il libro in breve
Dai fatti tragici dell’alluvione in Valtellina del 18 luglio 1987, emerge la figura di un potente della politica, un notabile democristiano della Prima Repubblica. Ma la Valtellina e Remo Gaspari, con le sue luci e soprattutto le sue ombre, sono anche un pretesto per evocare gli anni ’40, la Democrazia Cristiana, i dorotei, le Brigate Rosse, De Mita e il “rinnovamendo”, gli anni ’80, il rampantismo socialista, Craxi, Lupo Alberto, l’amaro Ramazzotti e Maurizio Cattelan.

Mauro Orletti in questa biografia eccentrica, ma documentata a fondo, gira attorno alla vita di un uomo oggi sconosciuto ai più, definito “ministro dell’asfalto e del cemento” (Antonio Cederna), tra i maggiori simboli della decrepitezza civile e morale di un sistema di potere (Michele Serra), notabile di grande stazza la cui unica competenza conosciuta è quella in clientele (Giorgio Bocca).

Ma la realtà difficilmente si presta a letture unilaterali, specie quando subentrano le vicende personali, e il giudizio, di conseguenza, si fa incerto. La vita privata di Gaspari e l’intimità domestica condivisa con la moglie e il figlio, gettano una luce diversa sul personaggio pubblico. E in questo girare attorno alla vita di Gaspari il racconto si abbandona a una forza centrifuga che spinge verso altre vicende e altre figure, anche minime. I fili della narrazione sono innumerevoli, dipanati e intrecciati a seconda dei casi, talora sovrapposti. Entrano in gioco questioni che coinvolgono l’autore a tal punto da indurlo a mettere in pagina perfino stralci autobiografici, in rapporto più o meno diretto con la figura di Gaspari, abruzzese come lui.
LinguaItaliano
Data di uscita28 apr 2022
ISBN9788831461443
Un metro lungo due metri

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    Un metro lungo due metri - Mauro Orletti

    Una proliferazione temporalesca

    Ho tenuto da parte un articolo uscito su Stampa Sera il 17 luglio 1987. È a pagina due, in fondo, sotto un trafiletto che annuncia l’elezione del nuovo presidente della Federazione dei fioristi europei. Si intitola Sotto l’infu riare dei temporali se ne va anche la prima ondata di caldo e dice così: Subentra una circolazione di aria instabile la cui permanenza sull’Europa e sull’Italia si protrarrà oltre il prossimo fine settimana. I piovaschi e i temporali di ieri costituivano la parte più avanzata di una subentrante circolazione depressiva il cui intervento massiccio sulle regioni settentrionali è previsto tra questa sera e la giornata di domani. Comporterà una proliferazione dell’attività temporalesca e il rischio di locali grandinate. Non si esclude inoltre la possibilità di qualche nubifragio. Le località più esposte a questo rischio risultano essere quelle del Piemonte e della Lombardia settentrionale. È interessante fare caso al registro linguistico usato a seconda dei contesti. Personalmente prediligo quello usato dai carabinieri quando stilano una denuncia: l’uso dell’imperfetto è straordinario. Oggi l’imperfetto si usa poco, ed è un peccato. Magari dipende dal fatto che c’è una sorta di regola non scritta per cui l’imperfetto è il tempo del gioco dei bambini,facciamo che io ero Batman e tu Capitan America?, e delle denunce stilate dai carabinieri,veniva così apostrofato dal suo vicino,‘testa di cazzo!’ e tuttavia non riteneva opportuno rispondere, preferendo rientrare nell’abitazione presso la quale custodiva un fucile mitragliatore a carica esterna del quale si serviva per freddare il chihuahua del predetto vicino. Anche il registro burocratico delle ordinanze comunali è una fonte inesauribile di florilegi linguistici. A Riccione è ancora in vigore un regolamento per il servizio delle vetture pubbliche a trazione animale che dice: Per il servizio delle vetture pubbliche debbono essere adoperati cavalli forti e scevri dai seguenti difetti: bolsaggine, piaghe, cecità, magrezza eccessiva, vecchiezza ed estrema debolezza, deformità straordinarie, zoppicature, recalcistranze, ombrosità, mordacità e in generale non sono ammessi difetti o deformità incompatibili con regolare e decoroso servizio.Tutti gli oggetti inerenti al servizio delle vetture pubbliche debbono essere decenti e sempre in istato di buona conservazione.

    Si noti l’aggiunta di quella i, si noti come lascia che la frase scivoli via con eleganza,in istato di buona conservazione.

    L’articolo di Stampa Sera rientra pienamente in questa piccola antologia di vezzosità linguistiche. La circolazione depressiva è subentrante, l’attività temporalesca prolifera, le zone montuose sono esposte al rischio di qualche nubifragio. La costruzione delle frasi, il loro suono e perfino il ritmo sembrano prendere le distanze dal significato. Che rimane comprensibile, certo, ma è come se fosse depotenziato, relegato su un piano formale. L’attività temporalesca prolifera: vuol dire che ci sarà tempo molto cattivo. Ma il concetto di proliferazione nasconde l’inganno. Nella Genesi, dopo che Dio ha annunciato il diluvio e suggerito a Noè di costruire un’arca in legno di cipresso da dividere in scompartimenti e spalmare di bitume dentro e fuori, si legge:In quel giorno eruppero tutte le sorgenti del grande abisso, e le cateratte del cielo si aprirono e si capisce che quello è un diluvio universale.

    Ma se Dio avesse detto a Noè:Fatti un’arca di legno di cipresso, trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza, falla in compartimenti e spalmala col bitume perché sta per intervenire una circolazione depressiva che porterà una proliferazione temporalesca, io credo che Noè avrebbe preso l’avvertimento alla leggera e magari l’avrebbe anche costruita, l’arca, ma anziché servirsi del legno di cipresso avrebbe usato il primo legno che aveva sotto mano, per esempio l’abete rosso che, come si sa, è nodoso, poco resistente e si altera con l’umidità. E l’avrebbe fatta più piccola e senza scompartimenti, per risparmiare un po’, e per quanto riguarda il bitume, avrebbe dato solo una mano all’esterno e niente all’interno, così che poi, venuto giù il diluvio, l’arca avrebbe immediatamente imbarcato acqua, gli animali, ammassati in uno spazio troppo piccolo e senza scompartimenti, si sarebbero fatti prendere dal panico sbilanciando il peso e in men che non si dica la nave sarebbe colata a picco e l’uomo e tutte le razze di animali si sarebbero estinti per sempre.

    Scapen che la vengiò

    In Valtellina l’estate dell’87 comincia con giornate insolitamente calde. Il sole picchia inesorabile, asciuga il terreno e lo rende duro come il cemento. Sui monti i nevai si ritirano e a quote ancor più alte la neve lascia scoperto il ghiaccio vivo, lucido e compatto. L’acqua filtra nelle spaccature della roccia e ricompare a valle sotto forma di ruscelli schiumosi, che alimentano i torrenti, che gonfiano l’Adda. I vecchi, in bassa valle, guardano giù dai ponti e si domandano a vicenda:Da dove viene tutta quest’acqua? E scuotono la testa.

    A metà luglio la lancetta del barometro schizza e da gran secco passa a tempesta.

    Il 18 luglio, che è sabato, il rumore dell’acqua sui tetti di Sondrio è diventato insopportabile, un martellare ininterrotto che rincretinisce. La pioggia si unisce alla neve che si scioglie e l’Adda ribolle, livido e minaccioso, e comincia a far paura. Nessuno ricorda un’estate peggiore, neppure i vecchi, che continuano a guardare giù dai ponti e a scuotere la testa.

    La maggior parte della gente è a casa, guarda la Tv. La sera c’è La Corrida, condotta con garbo da un signore di nome Corrado, oppure Telefono Giallo di un altro Corrado, Augias. Ma è la Democrazia cristiana, partito che in Italia governa da quarant’anni, a mandare in onda lo spettacolo migliore. Il suo leader è l’avellinese Ciriaco De Mita, entrato in piazza del Gesù, la sede storica della Dc, con la promessa di portare il rinnovamendo. De Mita ha uno stile démodé, la pelata prescritta dal potere e un accento irpino che nessuna scuola di dizione potrebbe addomesticare. Grazie alle t pronunciate come d è la pacchia degli imitatori e la bestia nera dei traduttori. In un vertice internazionale a Toronto nel giugno 1988, al quale partecipa come primo ministro, l’interprete che dovrebbe tradurre il suo intervento sfila gli auricolari e si dichiara sconfitto mentre gli statisti presenti girano e rigirano le cuffie convinti che ci sia un qualche problema di tipo tecnico.

    Comunque i suoi raggionamendi non sono per niente ridicoli, semmai complicadi. E uno di questi complicadi raggionamendi lo porta tentare il miracolo della resurrezione che Gesù fece a Betania: far risorgere l’ottantenne Amintore Fanfani, un metro e mezzo di acume e vanità, già alla guida di un governo nel lontano 1954, e nominarlo presidente del Consiglio. Alla faccia del rinnovamento.

    Con questa mossa De Mita affossa il governo in carica del suo nemico giurato, Bettino Craxi, primo leader socialista a capo di un esecutivo, stessa pelata, identica vocazione al potere, medesima sopravvaluta zione delle proprie capacità. Il piano è il seguente: far votare la fiducia a un governo tutto Dc che, vista l’età di Fanfani, deve durare appena il necessario per riassestare qualche equilibrio. Ma c’è un imprevisto, un colpo di scena che neppure a Telefono giallo s’è mai visto o sentito: socialisti, socialdemocratici e radicali, che in teoria dovrebbero osteggiare la manovra dell’avellinese, annunciano di voler appoggiare il nuovo governo. Spiegata meglio: votano la fiducia per impedire a De Mita di fare e disfare governi a suo piacimento.A quel punto, rischiando di riuscire a fare ma non a disfare, tocca ai demitiani impedire la nascita di una maggioranza allargata ai socialisti. Per farlo si astengono al momento del voto. È come se Gesù avesse resuscitato Lazzaro per ucciderlo subito dopo.

    In Valtellina, intanto, continua a diluviare. L’Adda e i suoi affluenti, il Frodolfo, il Poschiavino, il Mallero, il Tartano e il Brembo, sono diventati fiumi incontrollabili, gli straripamenti e le frane devastano ogni cosa. I turisti sono prigionieri negli alberghi, guardano sconfortati la Tv. Nell’hotel La Gran Baita, a Tartano, gli ospiti sono scesi nell’atrio. Chi sprofonda in poltrona, chi gioca a biliardino, chi organizza interminabili partite di ramino. Fra loro c’è Nazareno Marcotullio, un metro e novanta di delusione e avvilimento, che guarda la pioggia attraverso la veranda. È a Tartano da una settimana, sperava di divertirsi con lunghe camminate nei boschi e invece è chiuso in albergo. Si sente in gabbia. Guarda fuori e vorrebbe essere lì, a riempirsi i polmoni di aria buona. Guarda il pratone dove un tempo c’era la baita che ha dato il nome all’albergo. Non era costruita in un luogo qualunque ma in un punto preciso, un punto suggerito dall’esperienza. Lì di fianco, infatti, si era formato un vallone che convogliava le acque in discesa dal fianco della montagna. Perciò la gran baita, quella originale, era costruita al riparo dalle frane.

    Poi, all’improvviso, nel punto in cui cerca di immaginare un possibile sentiero fra l’erba, Nazareno vede una massa indistinta che si muove a gran velocità. Arriverà dritta contro La Gran Baita ma è tutto talmente assurdo che fa fatica a capire cosa stia realmente succedendo mentre lo spazio e il tempo, perfino l’urlo scapen che la ven giò! sfuggito a chissà chi, vengono deformati. Così quella massa informe, che all’inizio appare lenta, all’improvviso, preceduta da un colpo di vento che odora di terra, è dentro l’albergo e non c’è tempo di spostarsi o cercare riparo.

    Nazareno si aggrappa allo stipite della porta, ha l’acqua alla gola. Fango, rami, sassi e pezzi di cemento lo colpi scono alle braccia e alle gambe. Ha male ovunque ma resiste. Il rumore è assordante, a tratti sembra di sentire la voce di qualcuno che chiede aiuto, poi tutto è schiacciato dal rombo del disastro.

    Solo quando riesce a venir fuori dall’edificio si rende conto delle proporzioni dello sfacelo. La frana si è abbattuta sul condominio a monte, La Quiete, e l’ha sfondato al centro, lasciando in piedi le ali laterali. Poi ha travolto La Gran Baita. Il piano terra è sventrato, sconquassato dal fango e dai detriti piovuti qui a velocità impressionante. I piani superiori sembrano di un altro edificio, miracolosamente scampato al cataclisma. A pochi metri dall’ingresso c’è un cartellone pubblicitario con una donna in bikini che invita il turista a rilassarsi nel solarium, oppure nella sauna, oppure nel parco. Per contrasto con le figure spettrali che si aggirano nel piazzale, coperte di sangue e fango come reduci di guerra, ha un aspetto grottesco.Alcuni scavano con le mani, seguendo i lamenti di chi è rimasto sepolto ma ha ancora voce in gola. Sui volti dei superstiti Nazareno legge solo smarrimento, lo sconcerto di chi non capisce cosa sia successo e perché.

    Poco alla volta i feriti vengono trasportati in elicottero fino all’ospedale di Morbegno. Le corsie sono piene, le persone vengono sistemate lungo i corridoi, ogni tanto passano degli infermieri che spingono una barella. Comunque è tutto estremamente ordinato, nessun lamento, nessun grido, la paura ha cucito le bocche della gente.

    Mentre aspetta che qualcuno si occupi di lui Nazareno riconosce un vecchio che ha visto spesso a La Gran Baita, un amico dei proprietari. Lo saluta con un accenno di sorriso.

    Ho visto che guardavi il pratone – gli dice il vecchio seduto su una panca, lo sguardo perso come in uno stato di trance. – Lì c’era un canalone, io me lo ricordo. Dopo lo hanno fatto sparire, lo hanno coperto e gli hanno costruito sopra quel condominio, là.

    Si ferma, scuote la testa, perché i vecchi di tutto il mondo, anche quelli della Valtellina, scuotono spesso la testa, e piange un po’.

    Mio nonno diceva che l’acqua è come la corrente elettrica, segue il percorso di minore resistenza, sempre. Mio nonno era un rottiere. Ce n’erano un sacco come lui. I rottieri tenevano aperto il passo dello Stelvio con un sistema vecchissimo che però ha sempre funzionato. Legavano ai cavalli una griglia di metallo poi ci salivano sopra e battevano la neve con gli scarponi.Tutti sapevano che i cavalli dei rottieri erano i migliori in assoluto.Avrebbero ritrovato la strada con qualunque tempo, anche se la via del ritorno fosse stata coperta da due metri di neve. Finalmente arriva un uomo in camice che chiede a Nazareno se è in condizione di camminare. Lui risponde di sì e l’uomo in camice gli fa segno di seguirlo. Entrano in un piccolo stanzino dove ci sono una scrivania, un paio di sedie, una bilancia meccanica con altimetro. La visita è alquanto rapida e superficiale e, a parte disinfettare le ferite e misurare la pressione, per il resto sono tutte domande generiche: ha dolore da qualche parte? avverte senso di nausea? ha giramenti di testa? riesce a respirare bene? ricorda cosa è successo?

    Il medico segna tutto dentro una cartellina poi lo riaccompagna in corridoio e questa volta si avvicina al vecchio. Lo aiuta ad alzarsi prendendolo per un braccio.

    Come si chiama? – gli domanda.

    Gerardo Orsingher, figlio di Ausano Orsingher – risponde il vecchio. E poi, rivolgendosi a Nazareno: – Ti dico solo questo, che l’acqua è come i cavalli dei rottieri, ritrova sempre la strada, anche quando sembra scomparsa. E in tanti anni, secondo Nazareno, quella resta la migliore spiegazione sulla frana di Tartano.

    Un signore molto potente

    Ho scoperto alcune cose della mia famiglia in modo del tutto casuale. Per esempio ai tempi dell’università sono stato a Massenzatico, una frazione di Reggio Emilia, per vedere la casa in cui ha vissuto mio nonno Walter prima di trasferirsi in Abruzzo. Lì vive ancora Noemi, cioè la sorella di mio nonno, che conosco perché è venuta varie volte a Chieti, dove sono nato e dove ho vissuto fino a diciott’anni.

    Non ho l’indirizzo esatto di questa casa a Massenzatico ma sono sicuro che se cerco informazioni in un bar, uno di quelli che affacciano sulla piazza del paese, dove c’è anche la chiesa, avrò la risposta che cerco. Infatti Massenzatico ha una piazza, una chiesa e un bar che affaccia sulla piazza della chiesa. La piazza è in verità un incrocio fra due strade, via Mozart e via Beethoven, la chiesa è la chiesa di San Donnino, il bar è il Bar Acli, dove però nessuno ha mai sentito nominare una tal Noemi.Allora provo con il soprannome, Cucca, visto che in famiglia la chiamano tutti così. E viene fuori che Diobòno, ma cosa c’entra la Noemi con la Cucca!; la Cucca abita un po’ più avanti, su via Beethoven, in una casetta arancione di tre piani, cinquanta metri dopo la cantina sociale.

    Suono. Passa un’eternità ma nessuno risponde. Suono di nuovo e finalmente la porta viene leggermente aperta. La Cucca piega la testa e mi guarda un po’ di traverso ma non mi riconosce, devo spiegarle che sono il nipote di Walter, suo fratello. Allora mi bacia, mi fa entrare, mi guida attraverso corridoi bui appoggiandosi a un bastone. Ogni volta che incontriamo una porta fa ruotare la chiave nella toppa, gira la maniglia, mi invita a entrare, poi chiude con un nuovo giro di chiave.Andiamo avanti così per un po’, porta che si apre, giro di chiave, porta che si chiude. Finalmente arriviamo in cucina. Mi offre caffè, brodo, succo di frutta, acqua, forse è rimasto un po’ di vino. Le dico che sto bene e la invito a sedersi e a farmi compagnia. Mi racconta molte cose interessanti. Scopro ad esempio che dopo l’università mia madre scappò di casa e venne a rifugiarsi a Massenzatico, dove rimase per più di un anno. Lavorava come maschera al cinema Ariosto di Reggio Emilia, girava in bicicletta e se la passava bene. Invece a Chieti si trovava malissimo perché lei e la madre, cioè mia nonna, litigavano continuamente. Poi un giorno suo padre, cioè mio nonno Walter, arrivò a Massenzatico e la supplicò di tornare a casa.

    Mio nonno è sempre stato buonissimo, un uomo con cui era impossibile litigare. Ho discusso con lui una sola volta. Ricordo quando ma non perché. È l’estate del 1987, ho dieci anni e lui,Walter, mi rimprovera urlando e siccome quella è la prima volta che gli sento alzare la voce, rimango traumatizzato.

    Arriva a consolarmi proprio lei, la Cucca, che è venuta a trovarci per l’estate. Mi dice che Walter mi vuol bene e non c’è persona sulla terra alla quale tenga di più. Mi racconta anche dell’altro: quando nasco, non voluto e in un periodo economicamente difficile, scoppia una crisi familiare. Chi baderà a me e mia sorella? In quel momento lavorano tutti: genitori, zii, nonni, lavorano tutti e si guadagna poco. Allora Walter, per risolvere il problema, dichiara che si occuperà lui dei nipoti. E così lascia il lavoro, un lavoro al quale tiene moltissimo. Lavora alle Poste e per ottenere quell’impiego è dovuto andare fino a Roma e pregare in ginocchio un signore molto potente che è il capo delle Poste. Mio nonno è sempre stato buono e se per risolvere una situazione c’è bisogno di mettere da parte l’orgoglio e supplicare, lui mette da parte l’orgoglio e supplica. Supplica la figlia. Supplica il signore molto potente.

    Considerato che è rivolto a un bambino di dieci anni il discorso della Cucca, dal punto di vista pedagogico, non è un discorso particolarmente riuscito. In pratica mi dice che sono venuto al mondo a causa di una gravidanza indesiderata, che la mia nascita ha innescato una crisi familiare, che mio nonno, per starmi accanto, ha rinunciato al suo lavoro, un lavoro al quale teneva moltissimo visto che, per ottenerlo, è andato fino a Roma per chiedere una raccomandazione.

    L’uomo molto potente, se vogliamo essere precisi, non è il capo delle Poste, perché quando mio nonno va a Roma a chiedere lavoro è il 1960 e l’uomo molto potente, in quel momento, è sottosegretario alle Poste e telecomunicazioni. Comunque verrà nominato ministro nel giro di qualche anno e allora

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