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Istituzioni di pedagogia sociale e dei servizi alla persona
Istituzioni di pedagogia sociale e dei servizi alla persona
Istituzioni di pedagogia sociale e dei servizi alla persona
E-book581 pagine8 ore

Istituzioni di pedagogia sociale e dei servizi alla persona

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Info su questo ebook

Viviamo in un tempo di continue emergenze (sanitarie, economiche e sociali) che si riflettono in vario modo sui contesti educativi e chiamano in causa la responsabilità di educatori, formatori, insegnanti e pedagogisti.
Più ancora sono chiamati all’azione responsabile i soggetti e le istituzioni che hanno compiti di tipo educativo, a cui compete dare linee di indirizzo e progettare piani d’intervento che sappiano leggere le emergenze del tempo presente e dare risposte significative. La Pedagogia sociale (PS) si colloca precisamente su questo livello, quello della lettura delle responsabilità educative dei soggetti a cui competono tali compiti, e cerca di offrire loro chiavi di lettura, orizzonti di significato, linee d’azione : una sorta di “bussola” per orientarsi nei territori delle grandi sfide educative. La prima parte del volume esplora l’identità della PS, come scienza e come disciplina, da un punto di vista storico, epistemologico, teoretico e metodologico, tenendo conto del dibattito nazionale e internazionale. La seconda parte propone un percorso che si configura come una sorta di “visita guidata” ad alcuni grandi temi, come la pedagogia della scuola e la pedagogia della famiglia, ma con un’attenzione particolare a quella che è possibile identificare come Pedagogia dei servizi alla persona, riletta in ottica di sussidiarietà.
LinguaItaliano
Data di uscita4 mag 2022
ISBN9788838252228
Istituzioni di pedagogia sociale e dei servizi alla persona

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    Anteprima del libro

    Istituzioni di pedagogia sociale e dei servizi alla persona - Andrea Porcarelli

    ANDREA PORCARELLI

    ISTITUZIONI DI PEDAGOGIA SOCIALE E DEI SERVIZI ALLA PERSONA

    Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura ed Universale sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.

    Pubblicato con il contributo del Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata (FISPPA) dell’Università di Padova.

    Prima edizione: settembre 2021 / Ristampa: novembre 2021

    Copyright © 2021 by Edizioni Studium - Roma

    ISSN della collana Cultura 2612-2774

    ISBN Edizione cartacea 978-88-382-5059-0

    ISBN Edizione digitale 978-88-382-5222-8

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838252228

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    PREMESSA

    PARTE PRIMA

    I. LA PEDAGOGIA SOCIALE: PRIMO SGUARDO ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ

    1. Tra scienza e disciplina

    2. Il rapporto con la Pedagogia generale a livello normativo e nell’offerta accademica

    3. Una prima definizione dell’oggetto della Pedagogia sociale

    II. UN ALBERO GENEALOGICO DELLA PEDAGOGIA SOCIALE

    1. Ragioni di un approccio genealogico alla Pedagogia sociale

    2. Alle sorgenti del rapporto tra educazione e politica nell’antichità greca

    3. La cultura biblica tra racconti di fondazione e pedagogia della salvezza

    4. Sviluppi di una pedagogia di comunità di ispirazione cristiana in età patristica e medievale

    5. Le radici prossime della Pedagogia sociale tra Rinascimento ed età moderna

    III. IL PRENDER FORMA DELLA PEDAGOGIA SOCIALE COME DISCIPLINA NEL XIX SECOLO

    1. Il contesto culturale del suo sorgere in Germania

    2. Alle origini dell’espressione Pedagogia sociale

    3. L’opera di Paul Natorp e il primo testo di PS

    4. Alcuni sviluppi della PS di area culturale tedesca

    IV. ALCUNI GRANDI INTERROGATIVI PER LA PS NEL XX SECOLO

    1. Un crogiuolo di questioni socialmente e pedagogicamente rilevanti

    2. Dalle scuole nuove all’attivismo pedagogico

    3. Dal sogno di un rinascimento sociale al personalismo pedagogico e comunitario

    4. Dalla carità educatrice alla pedagogia degli oppressi

    V. PROFILO EPISTEMOLOGICO DELLA PS E PARADIGMI PEDAGOGICI DI RIFERIMENTO

    1. Un’identità sfuggente nella pluralità degli approcci

    2. Alla ricerca dell’oggetto formale della PS

    3. Il rapporto con la Pedagogia generale e le altre scienze dell’educazione

    4. Struttura epistemica della PS come scienza pratica

    ​5. La questione dei paradigmi pedagogici di riferimento

    6. Le basi teoriche della PS in prospettiva personalista

    7. Il nodo dei metodi di ricerca in PS: tra Ricerca Azione e Service Learning

    PARTE SECONDA

    VI. SAPER LEGGERE I DOCUMENTI E LE RACCOMANDAZIONI INTERNAZIONALI

    1. Criteri e suggestioni per leggere i documenti dell’UNESCO

    2. Criteri e suggestioni per leggere i documenti dell’OCSE

    3. Criteri e suggestioni per leggere i documenti dell’Unione Europea

    4. Alcune considerazioni sul senso dei documenti internazionali in ottica pedagogico-sociale

    VII. PER UNA PEDAGOGIA DEI CONTESTI EDUCATIVI FORMALI, NON FORMALI E INFORMALI

    1. Ragioni e limiti di una distinzione in termini pedagogico-sociali

    2. Per una PS della famiglia e dei contesti informali

    3. Associazionismo e volontariato: per una PS dei contesti non formali

    4. Per una pedagogia della scuola non solo come contesto formale

    5. Alcune questioni di pedagogia della scuola: tra educazione, istruzione, personalizzazione e individualizzazione

    VIII. PEDAGOGIA DEI SERVIZI ALLA PERSONA IN OTTICA DI SUSSIDIARIETÀ

    1. Le ragioni di una cultura della sussidiarietà: una chiave di lettura

    2. Dai servizi sociali ai servizi alla persona: ragioni di un’evoluzione

    3. I servizi educativi alla persona e le figure professionali di area educativa

    4. Per una pedagogia della sussidiarietà … a modo di conclusione

    AUTORE

    RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

    INDICE DEI NOMI

    CULTURA STUDIUM

    CULTURA

    Studium

    246.

    Scienze dell’educazione, Pedagogia e Storia della pedagogia

    Andrea Porcarelli

    Istituzioni di pedagogia sociale e dei servizi alla persona

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    È vietata e perseguibile a norma di legge l'utilizzazione non prevista dalle norme sui diritti d'autore, in particolare concernente la duplicazione, traduzioni, microfilm, la registrazione e l’elaborazione attraverso sistemi elettronici.

    PREMESSA

    Il tempo in cui viviamo si caratterizza per il carattere emergenziale con cui i temi prendono forma nel dibattito pubblico, nello specchio mediatico e – di riflesso – anche nel sentire delle persone. Il primo pensiero va certamente alla pandemia da COVID 19, che ha rappresentato e rappresenta una sfida educativa e una provocazione forte anche per la riflessione pedagogica, ma non dobbiamo dimenticare le altre grandi sfide che hanno preso forma negli ultimi anni. Vi è una crisi economica globale che è stata drammaticamente aggravata dalla crisi pandemica, vi sono crisi politiche e umanitarie che caratterizzano varie aree del nostro pianeta, ma vi sono anche tanti fenomeni sociali che si presentano con un carattere emergenziale. Ci riferiamo agli episodi di bullismo e cyberbullismo, ma anche alle forme di povertà sociale e relazionale che caratterizzano la vita di alcune periferie, ai fenomeni migratori rispetto ai quali ci si interroga sulle modalità dell’accoglienza e dell’integrazione. Per ciascuna delle sfide o emergenze che prendono forma si tende ad auspicare la capacità, da parte della società, di farsene carico in modo possibilmente stabile, coinvolgendo anche i sistemi educativi e formativi. Vi è un coinvolgimento strutturale delle scienze dell’educazione nel dibattito sulle sfide del tempo presente, ma tale modalità di coinvolgimento porta con sé alcuni rischi sul piano teoretico.

    Il primo rischio è quello di limitarsi a chiedere alle scienze dell’educazione semplicemente delle ricette, prontuari operativi utili per affrontare le singole sfide emergenziali, privilegiando la predisposizione di strumenti di lavoro a scapito delle chiavi di lettura e, soprattutto, delle ragioni pedagogiche che presiedono alle scelte operative. È paradigmatico in tal senso il caso del bullismo (con tutte le sue possibili declinazioni concrete) che si è tradotto in progetti miranti a farsi carico degli episodi o anche a prevenire il fenomeno, attraverso una letteratura specifica di autori di varia formazione (prevalentemente di tipo psicologico e sociologico) che ha portato al costituirsi di una categoria di esperti di bullismo (potremmo quasi chiamarli bullologi) pronti ad intervenire in progetti specifici e che tendono a produrre pubblicazioni molto operative, con piste di lavoro, temi svolti, racconti da utilizzare e indicazioni su come utilizzarli, giochi di ruolo e schede per il debriefing di essi. Gli obiettivi educativi risultano in tal senso molto mirati, ma anche molto limitati (identificare i casi di bullismo, evitare di assumere ruoli vessatori, non rimanere spettatori passivi) e con il rischio di interventi di tipo autoreferenziale, magari all’interno di progetti specifici e specificamente finanziati, a cui mancano gli strumenti culturali per interfacciarsi con un’intenzionalità educativa più ampia che dovrebbe invece costituire l’orizzonte di riferimento di educatori ed insegnanti. Va sottolineato come la mancanza di una robusta base pedagogica di riferimento, in queste tipologie di interventi, rischi di rendere irrilevante la differenza tra esperti provenienti dal campo delle scienze dell’educazione e della formazione ed esperti afferenti ad altri profili culturali e professionali (filosofi, psicologi, sociologi, ecc.) che si siano creati una competenza ad hoc su singole questioni o problematiche.

    Il secondo rischio è più sottile e riguarda il dibattito pedagogico sulla Pedagogia sociale (PS [1] ) e l’immagine complessiva della disciplina che emerge in parte della letteratura recente. Il desiderio di dialogare in modo proficuo con le sfide e le emergenze del tempo presente è segno di vitalità della disciplina e porta certamente alla formulazione di nuovi interrogativi, o a ripensare i grandi temi di cui la pedagogia sociale si occupa. Tutto questo è perfettamente comprensibile e ha un fondamento epistemologico, perché la pedagogia in genere e la pedagogia sociale in particolare è chiamata a saper leggere e farsi carico della domanda sociale di educazione (che è soggetta a cambiamenti). D’altro canto è importante evitare il rischio di agganciare l’identità di una disciplina e del suo paradigma di ricerca alle caratteristiche peculiari degli oggetti e dei contesti a cui pro tempore si applica. Il rischio di rendere evanescente l’identità epistemologica della disciplina è, paradossalmente, ancora più forte proprio per il fatto che si tratta di un insegnamento previsto per il primo anno dei corsi di studi in Scienze dell’educazione e della formazione. Se le matricole di tali corsi studieranno un solo testo di Pedagogia sociale e in tale testo non sarà significativamente presente la questione epistemologica essi tenderanno a pensare che non ve ne sia una e che l’unica cosa importante sia di rimanere aggiornati sulle questioni emergenti dal dibattito sociale, che oggi sono quelle che hanno trovato spazio nel testo che è passato per le loro mani, domani potrebbero essere altre. Un imprinting culturale di questo tipo rischia di sedimentarsi nel tempo e riproporsi, con ancora maggior forza, quando il professionista dell’educazione (che è sempre molto preso da questioni pratiche e concrete da risolvere) si dovesse mettere alla ricerca di letture pedagogiche per aggiornarsi: difficilmente potrebbe essere sensibile alle questioni di tipo epistemologico, se non ne avesse colto l’importanza durante il tempo della formazione iniziale.

    Tale secondo rischio si incrocia dunque con la più profonda questione del ruolo formativo delle discipline pedagogiche per coloro che si formano come educatori e come pedagogisti. Tali discipline possono certamente contribuire a fornire chiavi di lettura per intercettare le sfide della contemporaneità, specialmente se si tratta di sfide educative, ma il loro ruolo non può esaurirsi in questo. È importante che i futuri educatori, pedagogisti ed insegnanti maturino la sensibilità pedagogica che li abiliti non solo a cogliere le emergenze del tempo presente, ma a coglierne la dimensione propriamente educativa nella concretezza dei vissuti delle persone che sono loro affidate. Per far questo non bastano alcune categorie socio-educative di carattere generale, ma serve una sensibilità affinata, capace di misurarsi con l’esperienza e di rileggere in termini riflessivi le esperienze educative proprie e di altri, in modo da farne emergere tutto il potenziale trasformativo ed interpretarlo alla luce di categorie apparentemente più astratte – quelle pedagogiche – ma più capaci di giocare il ruolo di cabina di regia della cultura dell’educazione delle persone educanti. Il compito formativo di un pedagogista è proprio quello di contribuire allo strutturarsi di una forma mentis capace di abitare tutte le sfide educative, sia quelle che si legano ad alcune questioni emergenti e culturalmente codificate, sia quelle che si legano ai bisogni speciali di persone singole, a situazioni particolari che prenderanno forma in alcuni gruppi in cui si innescheranno dinamiche non prevedibili a priori, ma che educatori formatori ed insegnanti dovranno essere in grado di leggere e affrontare con fine sensibilità pedagogica.

    Per raggiungere tale obiettivo serve una preparazione pedagogica profonda, che metta in relazione le domande educative del tempo presente con alcune categorie dell’umano che hanno accompagnato il cammino dell’umanità e che costantemente riemergono, magari in forme diverse, nei vari tempi e luoghi. Paradossalmente è proprio la capacità di distanziarsi da uno sguardo troppo ravvicinato sulle questioni urgenti della contemporaneità che può renderci capaci di leggere tanto le sfide di oggi, come quelle che verranno domani e che non è possibile prevedere e dunque inserire tra le pagine di questo libro. L’approccio generale del testo è quello della riflessione scientifica sulla PS, perché è convinzione profonda di chi scrive che l’eventuale apertura ad una prospettiva formativa e didattica, potrà essere autenticamente tale proprio nella misura in cui sarà, essa stessa, scientifica: come vedremo a breve (quando parleremo della distinzione tra scienze e discipline) la formazione di un professionista dell’educazione può essere solida e ben fondata solo se le discipline propriamente pedagogiche vengono affrontate con tutto il rigore scientifico che il dibattito accademico richiede. Dal punto di vista dell’architettura complessiva il testo si articola in due parti, di cui la prima esplicita l’identità culturale ed epistemologica della PS, mentre la seconda propone un itinerario tra i grandi temi che caratterizzano il dibattito contemporaneo.

    La prima parte – dopo una prima indicazione sommaria dello spazio concettuale della PS entro cui si muove la nostra indagine – si apre con una sorta di esplorazione guidata in senso diacronico che non si propone certo di delineare un profilo storico con qualche pretesa di completezza, ma si configura come un albero genealogico della PS, per individuare alcuni testimoni significativi che hanno posto – nel corso dei secoli e in tempi in cui questa disciplina non era ancora stata formalizzata come tale – temi educativamente significativi che la PS ha poi fatto propri. Si tratta di un percorso che ha una finalità di tipo euristico, mirante a mostrare come in alcune culture e società del passato, donne e uomini di grande ingegno si siano posti alcune domande circa l’educazione alla socialità e le modalità con cui gestire alcune responsabilità educative che competevano (o avrebbero potuto essere attribuite) a soggetti socialmente significativi. In alcuni casi troveremo alcuni veri e propri laboratori di PS ante litteram, in altri casi alcuni grandi maestri che saranno punto di riferimento significativo per gli autori che costruiranno le basi scientifico-disciplinari della PS propriamente detta. Per quanto riguarda la parte epistemologica (che abbiamo voluto strutturare in modo articolato ed esplicito, anche in rapporto al dibattito internazionale), dopo avere dato rapidamente conto di alcune delle direttrici fondamentali lungo le quali si sviluppa il dibattito scientifico attuale, abbiamo compiuto la scelta di campo che ci porta a percorrere un sentiero fondativo di impianto personalista, che viene indicato e proposto con chiarezza, pur nel dialogo sempre aperto e stimolante con altre ipotesi epistemologiche e linee di pensiero.

    La seconda parte del volume è quella la cui organizzazione concettuale è soggetta alla maggiore discrezionalità, come si può facilmente vedere anche solo scorrendo i principali manuali attualmente in uso, che compiono – per quanto riguarda i temi – le scelte più disparate, ispirate ai criteri più diversi. Avremo modo di chiarire meglio più avanti le ragioni (epistemologicamente fondate) delle scelte compiute in questo volume, ma possiamo qui anticipare alcuni criteri di massima. Il percorso ha carattere esemplificativo, nella consapevolezza di poter intercettare solo alcuni dei grandi temi di cui la PS è chiamata a farsi carico, oggi, privilegiando ancora una volta le questioni che hanno un carattere fondativo e cercando di tenere – come filo rosso – la logica con cui si muovono i soggetti a cui competono responsabilità di tipo educativo. Prenderemo dunque le mosse dall’analisi dei criteri di lettura per orientarsi nei documenti e nelle raccomandazioni internazionali (dell’UNESCO, dell’OCSE, dell’Unione Europea), per poi passare ad una riflessione pedagogica sui contesti educativi formali, non formali e informali ed approdare infine ad una pedagogia dei servizi alla persona, presentata in ottica di sussidiarietà. Il testo si chiude proprio con il tentativo di aprire nuovi orizzonti, ovvero una possibile pedagogia della sussidiarietà, che rappresenta – dal nostro punto di vista – il correlato (nell’ambito della PS) di un’impostazione di tipo personalista tanto nell’ambito della PG, come in quello della filosofia politica. Si tratta di un itinerario, tra i molti possibili, che cerca di intercettare i temi pedagogici dotati di maggiore densità teoretica, ma anche di offrire strumenti per riflettere sui contesti operativi in cui più frequentemente si muovono coloro che svolgono professioni educative.


    [1] In tutto il testo utilizzeremo la sigla PS per identificare la Pedagogia sociale e PG per la Pedagogia generale.

    PARTE PRIMA

    ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ PER LA PEDAGOGIA SOCIALE

    I. LA PEDAGOGIA SOCIALE: PRIMO SGUARDO ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ

    1. Tra scienza e disciplina

    In un tempo in cui tende a crescere il tasso di specializzazione, a tutti i livelli, il momento in cui si cerca di delineare la carta di identità di una disciplina è sempre molto delicato e la nostra riflessione sulla PS non fa eccezione. Va anche detto che – soprattutto nel campo delle scienze umane – molti degli interrogativi che si propongono all’interno di un dominio disciplinare non necessariamente sono assenti da altri, per cui vi possono essere significative zone di intersezione, tra discipline differenti, che – oltre a costituire un incentivo implicito per il lavoro interdisciplinare – rappresentano anche motivi fisiologici di sovrapposizione (e talora di confusione), che non è facile (e talvolta neppure possibile) eliminare. In più va detto che, nel processo di progressiva specializzazione disciplinare, vi sono interrogativi che prendono forma in un certo modo all’interno di un campo più ampio, per poi divenire occasione per la nascita di un campo più specifico. Si pensi, per citarne uno fra i molti, alla nascita della Psicologia (oggi dovremmo dire delle discipline psicologiche ), che prende forma – come molti campi del sapere – all’interno della filosofia (il termine stesso, psico-logia , nella sua radice greca, indica lo studio dell’anima) ed ancora oggi possiamo parlare di una Psicologia filosofica (che viene così aggettivata, proprio per distinguerla da quella scientifica [1] ), accanto alle varie branche della psicologia (clinica e sociale), della psicoanalisi, della neuropsichiatria che – da prospettive differenti – convergono verso oggetti di studio in parte simili e in parte differenti.

    Un analogo processo si può osservare nell’ambito della pedagogia, che a sua volta ha le proprie radici nella filosofia, se pensiamo che tra le opere di Platone ve ne è una (la Repubblica) che pone al centro il tema dell’educazione e un’altra (il Menone) che affronta in modo sistematico il tema della conoscenza, riservando ampio spazio all’insegnamento. La stessa espressione metodo socratico, che si utilizza ampiamente nel dibattito pedagogico contemporaneo, fa esplicitamente riferimento ad uno stile educativo che si ispiri al modo di lavorare di Socrate, maestro di Platone, che è certamente uno dei padri della filosofia, ma pone questioni rilevanti di tipo pedagogico e didattico.

    Potremmo dire che prima prendono forma gli interrogativi umanamente significativi, poi – progressivamente – le persone si strutturano per poterli affrontare con strumenti concettuali quanto più rigorosi ed efficaci possibile, quindi si collocano tali interrogativi all’interno dei campi di ricerca in quel momento attivi, con gli strumenti concettuali disponibili. Se gli interrogativi permangono in tutta la loro carica sfidante o aprono comunque nuovi orizzonti, si apre anche lo spazio per approfondire gli strumenti concettuali con cui affrontarli e, man mano che il set di strumenti concettuali cresce e si codifica sempre meglio, si possono anche aprire nuovi campi disciplinari e nuove metodologie o paradigmi scientifici. Man mano che cresce e si consolida la comunità scientifica di coloro che operano all’interno di quel campo disciplinare, con l’analisi riflessiva degli strumenti concettuali individuati e progressivamente affinati, si può arrivare a definire lo statuto epistemologico di un campo del sapere, cioè a codificarlo come scienza e distinguere, all’interno di un determinato ambito scientifico, diverse metodologie di lavoro, scuole di pensiero, paradigmi epistemologici.

    Fin qui abbiamo utilizzato quasi indifferentemente i termini scienza e disciplina, ma – prima di procedere – ci sembra opportuno un chiarimento che riprenda la distinzione effettuata da Von Humboldt [2] per cui possiamo intendere per scienza un insieme ordinato e coordinato di leggi e di teorie, atto ad interpretare e conoscere un aspetto della realtà umana e naturale, particolari fenomeni e avvenimenti, rilevarne l’origine e seguirne lo sviluppo, con criteri di rigore che le sono propri e che vengono convalidati da una comunità scientifica. Per disciplina possiamo invece intendere una scienza o parte di essa, o un insieme di diverse scienze tra loro raccordate in quanto possono inserirsi in un percorso di studi, entro il quale hanno un preciso valore formativo, sul piano culturale e su quello della crescita della persona. Come il concetto di scienza si è evoluto nel tempo [3] , così anche il numero delle scienze è cresciuto con l’identificazione di nuovi ambiti di indagine o il modificarsi dei punti di vista da cui osservare la realtà e formulare ipotesi e modelli esplicativi. Fin dal mondo antico l’intelligenza euristica di chi individua un nuovo campo del sapere e metodologie adeguate a dominarlo viene avvolta nell’alone del mito: l’arte medica viene posta sotto gli auspici divini di Asclepio nell’antica Grecia, mentre in Egitto le scienze e le arti vengono fatte risalire al dio Toth. In diverse epoche sono stati effettuati dei tentativi di classificazione delle scienze, con la costante tensione verso l’unità del sapere [4] , ma inesorabilmente la necessità di rendere più acuto lo sguardo della conoscenza umana ha portato a rivedere tali classificazioni e a rendere più fluidi i confini tra campi di ricerca un tempo separati. La nascita di una nuova scienza comporta elementi ben precisi: una definizione chiara di un oggetto (materiale e formale) che costituisca il campo di indagine, dell’apparato metodologico necessario per esplorarlo, dei criteri di validazione delle conclusioni a cui si perviene.

    Per disciplina si potrebbe intendere – e il significato è d’uso comune – una qualsiasi branca del sapere scientifico, ma in questa sede proponiamo di dare al termine un significato più specifico. Per cui chiameremo disciplina una scienza, o parte di essa, o un insieme di diverse scienze tra loro raccordate, in quanto possono inserirsi in un percorso di studi, entro il quale hanno un preciso valore formativo [5] , sul piano culturale e sul piano della crescita della persona. In tal senso le discipline hanno sempre ragione di mezzo (in vista di finalità di tipo formativo) e mai di fine. Per esempio, anche a livello accademico, è diverso il ruolo della matematica in un corso di studi di ingegneria, di economia, di matematica pura, o al limite in un piano di studi di filosofia particolarmente orientato all’area della logica formale ... la scienza di riferimento è sempre la stessa, ma non in tutti i casi la finalità per cui la si studia è quella di formare dei matematici. Tale distinzione si fa ancora più significativa se oltre alle finalità per cui si inserisce una disciplina in un piano di studi prendiamo in considerazione l’età delle persone a cui ci si rivolge e i compiti formativi propri della fase evolutiva che stanno vivendo: un docente di scuola primaria che insegna ai suoi bambini la storia locale non avrà come obiettivo quello di formare degli storici, ma di aiutarli a prendere coscienza del proprio rapporto con il tempo, all’interno di uno spazio, di una comunità, di un insieme di persone che in quei luoghi hanno vissuto molto prima che il bambino vi iniziasse la propria avventura personale. Volendo sottolineare specificamente la funzione umanizzante di una disciplina, ci sembra illuminante la definizione proposta da Giuseppe Lombardo Radice:

    Si può definire la disciplina come un interiore conformarsi dell’alunno alla legge che sente viva e operosa nel maestro, o meglio: la formazione di una legge di vita, che si genera nella coscienza del maestro e dell’alunno, nell’atto della loro comunione che è l’educazione [6] .

    Gli stessi criteri utili per identificare una disciplina vengono presentati con significative differenze dai diversi autori. Schwab [7] evidenzia un duplice livello a cui si strutturano le discipline: la struttura sostanziale e la struttura sintattica. La prima riguarda i contenuti culturali, ovvero l’insieme organizzato delle conoscenze (informazioni, concetti, teorie) che caratterizzano la disciplina; la seconda riguarda invece i metodi utilizzati per procurarsi tali conoscenze, attraverso le forme di indagine che sono proprie di una determinata scienza. In tale impianto prevale la centratura sui contenuti culturali (siano essi di tipo dichiarativo o di tipo metodologico) rispetto alle istanze formative, per cui - per completare il quadro - si potrebbe aggiungere un terzo livello che chiameremo struttura formativa, anche se risulta difficile caratterizzarla sulla base di un’analisi strutturale dell’impianto epistemico di una scienza. Per questo preferiamo prendere in esame anche un altro punto di vista. Jerome Bruner ritiene che «la struttura di ogni campo del sapere si caratterizzi secondo tre criteri, ciascuno dei quali influisce sulla capacità da parte del discente di dominare un determinato campo: il modo in cui viene rappresentata, la sua economia e la sua reale efficacia» [8] . Le modalità con cui un campo del sapere può essere rappresentato dipendono dalla sua struttura epistemica e vanno dalla rappresentazione attiva di azioni orientate a raggiungere un fine, alla rappresentazione iconica mediante grafici o immagini, alla rappresentazione simbolica che si traduce in regole o proposizioni. L’ economia di un campo disciplinare dipende dal modo in cui sono organizzate le conoscenze e dal numero di informazioni necessarie (o di operazioni concettuali da compiere) per comprenderne un’altra. La caratteristica più importante di una disciplina, dal punto di vista pedagogico, è quella che è stata identificata come efficacia, ovvero il valore generativo che essa possiede per ciascun discente. Più in generale si può dire che «alla base della metodologia di pensiero propria di una data disciplina vi è un complesso di proposizioni generative, connesse tra loro e in varia misura implicite» [9] . Dal nostro punto di vista riteniamo che tale insieme di proposizioni generative non necessariamente debba essere dedotto dall’impianto epistemologico di un’unica scienza di riferimento, ma possa essere costruito a partire da un insieme di obiettivi formativi che ne hanno palesato l’urgenza. Vi è un ulteriore elemento utile per identificare l’identità strutturale di una disciplina, che si può desumere dalle ricerche più recenti dello stesso Bruner sul principio narrativo. Premesso che «la narrazione ha la stessa importanza per la coesione di una cultura che per la strutturazione di una vita individuale» [10] , si può affermare che:

    Un sistema educativo deve aiutare chi cresce in una cultura a trovare un’identità al suo interno. Se quest’identità manca, l’individuo incespica nell’inseguimento di un significato. Solo la narrazione consente di costruirsi un’identità e di trovare un posto nella propria cultura [11] .

    In generale si può considerare la conoscenza come un cammino [12] , in cui l’oggetto culturale scandisce l’itinerario ed offre lo sfondo di riferimento (il paesaggio), ma l’attenzione dell’insegnante (e delle istituzioni educative formali) è centrata sull’allievo, ovvero su colui che compie il cammino. Del resto, anche l’etimologia del termine (dal latino discere = imparare) indica una centralità dell’alunno e del suo apprendimento (quanto meno in termini di auspicio), piuttosto che la centralità dei contenuti e del loro insegnamento.

    Vi sarebbero anche altri due termini che oggi vengono utilizzati soprattutto in rapporto agli insegnamenti scolastici, uno è quello probabilmente più diffuso, per cui si parla di materie di insegnamento, l’altro – entrato in auge in tempi più recenti – fa riferimento ai saperi [13] . Il termine materia è molto usato nella quotidianità scolastica, sostanzialmente per indicare quella che nell’accezione di Von Humboldt abbiamo chiamato disciplina, termine che riteniamo preferibile perché nella sua semantica richiama l’idea di un ordine e di una organizzazione della mente (che viene disciplinata dall’apprendimento), mentre il termine materia sembra più centrato sui contenuti (gli oggetti culturali) che di fatto costituiscono il programma di insegnamento. Il termine saperi, invece, è potenzialmente portatore di confusione, perché consapevolmente tramuta un verbo (il verbo sapere, che indica un dinamismo della mente, che passa dalla potenza all’atto in un determinato campo del conoscere) in un sostantivo plurale: ci sembra che questo corrisponda ad un processo di cosalizzazione della conoscenza, quasi che i contenuti di apprendimento fossero trattati come delle cose di cui appropriarsi (quasi materialmente) o, più modernamente, alla stregua di pacchetti formativi che qualcuno (l’insegnante) è chiamato ad erogare e qualcun altro (gli studenti) sono chiamati ad apprendere, così come sono stati trasmessi.

    La PS, si può configurare sia come scienza che come disciplina ed anche in questo testo la tratteremo come tale. Che vi sia un insegnamento di Pedagogia generale e sociale (come disciplina), nelle Università italiane, è un dato di realtà e quindi è chiaro che essa sia anche una disciplina accademica che si ritiene possa essere utile nel percorso formativo di tutti coloro che si preparano a svolgere professioni educative. In realtà – soprattutto se volgiamo lo sguardo anche a livello internazionale [14] – tutti coloro che svolgono professioni di tipo sociale ( social workers) potrebbero trarre profitto da una formazione di tipo pedagogico in genere (e pedagogico-sociale in particolare), per poter riflettere con strumenti concettualmente attrezzati sulle variabili educative del proprio lavoro in ambito sociale. Per coloro che operano in senso specifico come educatori e come pedagogisti, però, è importante che la PS venga considerata sia come disciplina, che come scienza. In altri termini è importante che coloro la cui professionalità specifica poggia sulle competenze pedagogiche, abbiano – delle discipline pedagogiche – anche una chiave di lettura più ampia e approfondita, che sappia identificarne in termini scientifici (nel senso humboldtiano) i fondamenti, ma anche riconoscerne le diverse scuole di pensiero e paradigmi epistemici. Chi, all’interno di équipe professionali multidisciplinari [15] è portatore sano di una cultura pedagogica, non può accontentarsi di alcuni concetti frettolosamente appresi in vista del loro uso pragmatico nel proprio campo professionale, come invece può fare per altri utili e preziosi apporti disciplinari. Un educatore o un pedagogista devono, per esempio, disporre di strumenti culturali di tipo psicologico, ma non per questo prenderanno anche una laurea in psicologia (e men che meno potranno aprire uno studio da psicologi), quindi – potremmo dire – che la psicologia (nel curricolo formativo di un educatore) si configura meramente come disciplina. Allo stesso modo la PS studiata, per esempio, da un infermiere, avrà una funzione formativa, offrirà strumenti concettuali per intendere alcune questioni di natura educativa che potrebbe intercettare nella sua professione [16] , ma non andrà a configurare un profilo da educatore o da pedagogista [17] .

    Il fatto di approfondire l’identità della PS come scienza (e non solo come disciplina) può consentire, in primo luogo, di decidere a quale scuola di pensiero si preferisce fare riferimento, ma anche di riconoscere – man mano che ci si aggiorna, anche sul piano pedagogico – la matrice specifica delle riflessioni dei diversi autori che si incontreranno, o ancora di individuare la pedagogia implicita dei nostri interlocutori di riferimento (dai membri dell’équipe in cui ci dovessimo trovare coinvolti, alle propensioni educative dei familiari dei minori di cui eventualmente ci si dovrà occupare). Tutto questo non è possibile se non si accetta di entrare anche nella stanza dei bottoni della PS come scienza, percorrendo l’intero itinerario che proponiamo in questo volume.


    [1] È a partire dalla seconda metà del XIX secolo che vengono aperti i primi laboratori di psicologia scientifico-sperimentale, secondo un paradigma culturale di tipo positivista. Ricordiamo il gruppo di studiosi che si riunirono attorno al fisiologo Wilhelm Wundt e diedero vita – nel 1879 – al primo laboratorio di psicologia sperimentale a Lipsia.

    [2] Cfr. W. Von Humboldt, Università e Umanità (saggi del 1793, 1795, 1810), tr. it. Guida, Napoli 1974.

    [3] La concezione classica di scienza si deve alla formulazione di Platone e Aristotele, che la identificano come una conoscenza certa e rigorosa (Platone distingueva tra opinione - doxa - e conoscenza rigorosa - episteme -, corrispondente al concetto di scienza), diversa da altre forme di approccio alla realtà, come ad esempio le opinioni vaghe e confuse (ma talvolta necessarie per dare avvio alla conoscenza) o le espressioni poetiche. In età moderna si è affermata l’accezione galileiana del concetto di scienza, legata alla formulazione di ipotesi e verifica sperimentale, che a sua volta è stato oggetto di ulteriori precisazioni ad opera degli epistemologi contemporanei (Kuhn, Lakatos, Popper, ecc.).

    [4] Cfr. G. Tanzella Nitti, voce Unità del sapere, in G. Tanzella-Nitti e A. Strumia (a cura di), Dizionario interdisciplinare di Scienza e Fede. Cultura scientifica, filosofia e teologia, Urbaniana University Press - Città Nuova, Roma 2002, Tomo II, pp. 1410-1431.

    [5] In questo senso la nostra accezione del termine si distingue da quella utilizzata da Morin, per cui «la disciplina è una categoria organizzatrice in seno alla conoscenza scientifica; vi istituisce la divisione e la specializzazione del lavoro e risponde alla diversità dei domini delle scienze» ( La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero (1999), tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2000, p. 112). Mentre per Morin la distinzione delle discipline si colloca soprattutto a livello accademico e corrisponde (nel migliore dei casi) ad esigenze di una divisione del lavoro scientifico, per noi il termine disciplina evoca - a tutti i livelli di istruzione - il valore formativo di una scienza, parte di essa o di un insieme di esse, in funzione di una formazione di tipo educativo (se abbiamo a che fare con persone in età evolutiva), di una formazione di tipo accademico o di una formazione di tipo professionale.

    [6] G. Lombardo Radice, Lezioni di didattica e ricordi di esperienza magistrale, Sandron, Firenze 1954, pp. 13-14.

    [7] Cfr. J. Schwab, La struttura delle discipline, in J. Schwab-L. Lange-G. Wilson-M. Scriven, La struttura della conoscenza e il curricolo (1964), tr. it. La Nuova Italia, Firenze 1971, pp. 1-27. L’accezione del termine disciplina in Schwab si sovrappone a ciò che noi abbiamo chiamato scienza e, nell’identificarne il valore formativo, egli ha un approccio riduttivo, in quanto afferma che «identificare le discipline su cui si fonda la conoscenza e il dominio del nostro mondo significa identificare l’oggetto dell’educazione, il materiale che ne costituisce la fonte e lo scopo» ( ibid., p. 7), nel senso che dalla struttura delle discipline – intese come campi del sapere epistemologicamente strutturati – si potrebbe direttamente desumere l’ordine delle conoscenze che costituiscono gli obiettivi dell’istruzione.

    [8] J. Bruner, Verso una teoria dell’istruzione (1966), tr. it. Armando, Roma 1967, p. 79. L’autore precisa che «modo, economia ed efficacia variano in relazione alle diverse età, al diverso stile dei discenti e alle diverse materie» ( ibid.), con un uso del termine materia che coincide di fatto con quello che noi abbiamo identificato come disciplina.

    [9] Ibid., p. 234.

    [10] J. Bruner, La cultura dell’educazione. Nuovi orizzonti per la scuola (1996), tr. it. Feltrinelli, Milano 1997, p. 53.

    [11] Ibid., p. 55.

    [12] Sviluppiamo in modo analitico questa metafora nel volume: A. Porcarelli, Saper guardare al di là degli occhi. Come percorrere i cammini della vita imparando dalle proprie esperienze, Diogene Multimedia, Bologna 2016.

    [13] L’espressione è posta in grande evidenza nel documento denominato I contenuti essenziali per la formazione di base , elaborato da sei esperti, su incarico del MPI e reso pubblico nel marzo del 1998, in preparazione al percorso di riforma della scuola che trovò una prima codifica nella Legge 30/2000 (riforma Berlinguer, mai entrata in vigore).

    [14] Approfondiremo più avanti, nel capitolo dedicato alle questioni epistemologiche, il dibattito internazionale sull’identità della PS.

    [15] Come sono quelle di chi opera nell’ambito dei servizi alla persona in genere e dei servizi educativi in particolare.

    [16] A tal riguardo ci sia permesso sottolineare come sarebbe importante che tutti i professionisti che, a qualunque titolo, intercettano problematiche di tipo educativo, non fossero totalmente sguarniti dal punto di vista pedagogico.

    [17] Altra conseguenza di tale considerazione è che, come l’educatore non potrebbe aprire uno studio di consulenza psicologica o prescrivere i farmaci di cui si occupa lo psichiatra, allo stesso modo – specularmente – lo psicologo e lo psichiatra non dovrebbero gestire processi di tipo educativo senza la collaborazione di un professionista di area educativa.

    2. Il rapporto con la Pedagogia generale a livello normativo e nell’offerta accademica

    Che vi sia un rapporto tra Pedagogia generale (PG) e PS, perlomeno in Italia, è un dato assodato a partire dal fatto che entrambe rientrano tradizionalmente all’interno dello stesso Settore scientifico disciplinare [1] (M-PED 01), denominato Pedagogia generale e sociale , la cui definizione articolata ( declaratoria ) veniva espressa in questi termini:

    Il settore include due ambiti di ricerca differenziabili per l’immediatezza delle implicazioni applicative. Il primo comprende l’area delle ricerche pedagogiche di carattere teoretico-fondativo ed epistemologico-metodologico; in particolare raccoglie le competenze che hanno una tradizione trattatistica e speculativa e che pongono le basi teoriche e procedurali per le competenze pedagogiche. Il secondo ambito di ricerca è caratterizzato dall’attenzione per i bisogni educativi e formativi nella società e nelle organizzazioni e dalle ricerche sulle attività educative connesse ai cambiamenti culturali e degli stili di vita e sulle implicazioni educative dei nuovi fenomeni sociali e interculturali. Comprende altresì l’educazione permanente e degli adulti [2] .

    Precisiamo che l’analisi delle declaratorie universitarie non si configura semplicemente come esplorazione di un documento di natura burocratico-normativa, ma ci interpella sul piano culturale in genere e su quello pedagogico in particolare. Il fatto che il Ministero dell’Università assuma l’onere di definire dove si collochi una disciplina e quali siano i suoi spazi formativi è – come vedremo – un atto di tipo pedagogico-sociale in senso stretto. Per ora ci limitiamo ad acquisire, in via preliminare, alcuni elementi di riflessione che – a partire dalle declaratorie ministeriali – ci permettano di identificare, in prima approssimazione, i contorni accademici dell’ambito scientifico-disciplinare che stiamo indagando. Con lo sviluppo normativo a cui si è accennato in nota, il suddetto SSD è ora parte del macro-settore 11/D1 ( Pedagogia e storia della pedagogia), che viene complessivamente definito attraverso una nuova declaratoria che può essere utile leggere per esteso:

    Il settore si interessa all’attività scientifica e didattico–formativa nei campi di carattere teoretico-fondativo ed epistemologico-metodologico che forniscono le basi teoriche, procedurali ed empiriche per le competenze pedagogiche, educative e formative necessarie alla persona, anche nella prospettiva di genere, nei rapporti con la società e nelle organizzazioni. Inoltre studia l’area delle ricerche storiche, storiografiche e metodologiche relative alle teorie pedagogiche, alle pratiche educative e ai sistemi formativi e didattici. Il settore raggruppa complessivamente studi e ricerche che concernono la Pedagogia generale e la metodologia della ricerca pedagogica, la filosofia dell’educazione, la Pedagogia sociale e della famiglia, la pedagogia del lavoro e della formazione, la pedagogia interculturale, l’educazione permanente e degli adulti, la Storia della pedagogia e dell’educazione, la storia comparata dell’educazione, la storia della scuola e delle istituzioni educative e formative, la teoria e la storia della letteratura per l’infanzia [3] .

    Volendo applicare a queste declaratorie la distinzione tra scienze e discipline che abbiamo esplicitato sopra, si possono mettere in campo alcune considerazioni utili al nostro scopo, ma è necessario precisare che questo livello di preoccupazione per la precisazione definitoria è tipica soprattutto del contesto legislativo e culturale italiano, dove si sente ancora il peso di una cultura della Pubblica Amministrazione di tipo fortemente burocratico, per cui – per cogliere le istanze delle declaratorie che abbiamo appena citato – è necessario esplicitare le ragioni normative che le generano, rileggendole in termini culturali e pedagogici [4] .

    La prima missione dell’Università è quella della ricerca, la seconda è quella dell’insegnamento e la terza si lega alla divulgazione [5] . Tutti coloro che entrano nella comunità accademica ( Universitas studiorum) vi entrano in forza di una competenza che deve essere riconosciuta e svolgono le attività di ricerca e insegnamento che si legano a tale competenza: non avrebbe senso, per esempio, che una persona fosse riconosciuta competente come fisico nucleare e si trovasse ad insegnare latino o greco. Il problema è che questa affermazione di comune buon senso non è sufficiente come organizzatore codificato del mondo accademico, per cui – nel contesto italico [6] – si è ritenuto di definire dei settori che fossero – ad un tempo – scientifici e disciplinari, cioè tali da dar conto delle competenze maturate nell’ambito della ricerca (dimensione scientifica) e utili per organizzare l’offerta formativa sul piano didattico (dimensione disciplinare). Di qui, per usare un esempio concreto, per essere assunti all’Università al fine di svolgere ricerche (prima missione) ed insegnare (seconda missione) nell’ambito della Pedagogia generale e della Pedagogia sociale è necessario avere superato un concorso, che attesti la competenza nell’ambito della Pedagogia generale e sociale [7] , ovvero poter contare su un’abilitazione scientifica nell’ambito della Pedagogia e storia della pedagogia [8] .

    Se andiamo a leggere in questa prospettiva le declaratorie che abbiamo sopra riportato, possiamo notare come la prima (relativa al SSD M-PED 01), parli di «due ambiti di ricerca differenziabili per l’immediatezza delle implicazioni applicative», riferiti – rispettivamente – alla Pedagogia generale e alla Pedagogia sociale, laddove questo secondo ambito di ricerca risulterebbe «caratterizzato dall’attenzione per i bisogni educativi e formativi nella società e nelle organizzazioni e dalle ricerche sulle attività educative connesse ai cambiamenti culturali e degli stili di vita e sulle implicazioni educative dei nuovi fenomeni sociali e interculturali. Comprende altresì l’educazione permanente e degli adulti» [9] . La lettura di questa declaratoria ci fa pensare ad un’unica scienza (la Pedagogia) che si articola in due ambiti di ricerca (che non sempre è così semplice distinguere o separare), a cui corrispondono anche due distinte discipline. La PS viene anche caratterizzata – in prima approssimazione – per uno sguardo diretto sui bisogni educativi delle società e delle organizzazioni, con riferimento anche ai cambiamenti culturali e allo studio dei nuovi fenomeni socio-culturali, mentre sarebbero proprie della PG le questioni di tipo teorico-fondativo ed epistemologico-metodologico.

    Se ci concentriamo sulla seconda di queste declaratorie (relativa al macro-settore 11/D1), si vede come la dimensione teorico-fondativa ed epistemologico-metodologica risultino comuni a tutto il macro-settore, mentre i diversi ambiti di ricerca (a partire da quello storico, ma anche la PG, la metodologia della ricerca, la filosofia dell’educazione e la stessa PS) vengano semplicemente elencati, per delineare i confini burocratico-normativi di un ambito allargato in cui possano essere valutati tutti gli studi di coloro che abbiano lavorato nei due SSD che in esso sono stati accorpati.

    Distinguere la PG dalla PS in quanto scienze appare complesso, anche perché è difficile eliminare dall’ambito della ricerca in PS le questioni di tipo teorico-fondativo o epistemologico, così come non è semplice eliminare dalla PG l’idea che l’agire educativo si realizzi sempre in una dimensione sociale e comunitaria, di cui bisogna tener conto in modo significativo. Sul piano della

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