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La rosa nel cespuglio di spine
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La rosa nel cespuglio di spine
E-book198 pagine2 ore

La rosa nel cespuglio di spine

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Info su questo ebook

Il titolo del racconto viene da Nice (lo dico come si pronuncia) e significa che la vita è piena di sofferenze e di caos e che bisogna cercare dei modi per renderla sopportabile ( la rosa).

Il finale non ve lo dico.

Il protagonista è di origine mezzo ebraica e nasce e vive in Texas. Ma descrivo il Texas e l'America come un luogo simile all'Italia.La cosa mi serve anche per citare autori americani famosi.

Noam è simile a un adolescente o giovane d'oggi, specialmente dopo il "corona virus" o le distruzioni delle guerre.

Si sposa con Francy, di origine irlandese. Una ragazza di oggi, ma non del tutto di oggi.

Decidono di andare in una fattoria abbandonata in Israele.

Il mondo agricolo di un tempo non c'è più e è stato brutto per agricoltori che hanno abbandonato l'Italia. Ma la fattoria di un tempo permetteva di vivere cinque mesi senza lavorare e si diventava "pensatori". Oggi una fattoria in collina permetterebbe ai nostri figli di vivere quando le acque invaderanno le coste.

Nomade, Noam, decide di andare per l' Europa, alla scoperta di un passato remoto, dove gli uomini erano spesso bestie.

Torna e vanno a vivere in Australia...
LinguaItaliano
Data di uscita4 mag 2022
ISBN9791221402643
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    Anteprima del libro

    La rosa nel cespuglio di spine - Alessandro Tiberini

    In Texas

    Vigila. Tieni la testa a posto. La città in cui ti porto non è conosciuta e tu non ci sei stato. Ma, se ci sei stato(a) vorrà dire che mi perdonerai per averla travisata, un po’.

    Seguimi dal principio, ab ovo.

    Noam era nato in questa città, a Austin, la capitale del Texas. Una piccola città, ma qui c’erano il governatore e gli uffici amministrativi. C’era il Campidoglio, seppur piccolo. C’erano casette di mattoni rossi col piccolo prato davanti, senza recinzioni.Il liberalismo sassone. Anche se qui di sassone ce n’era pochino. Col contenitore di latta pei giornali e per la posta.

    Sulla porta, la bottiglia del latte.

    Ora le villette diventavano piccoli alberghi, con la piscina e il resto, per i turisti. E negli alberghi, sul comodino, c’era la Bibbia dei Gedeoni. A sì, Dio preferisce l’America, secondo gli Americani, e specialmente quelli del Texas.

    Masse di pipistrelli schifosi riempivano a sera il cielo nero della città.

    I pipistrelli, penis libre.

    ? Non vorresti essere anche tu come il pipistrello, immune dai virus e che non invecchia.

    Appunto, sta’ attento perché ai pipistrelli i virus non fanno niente, ma li diffondono.

    Agli inizi del Novecento ingegneri e imprenditori duri e coraggiosi avevano fatto costruire fra le montagne la grande diga sul Colorado. C’erano gallerie, rocce frantumate dalle enormi macchine, fango, morti. Un inferno.

    Fra quelle montagne e nella pianura spesso venivano gli uragani. Il vento spazzava tutto. Distruggeva le case. Spazzava via il bestiame e gli uomini e i cavalli. Come ai tempi degli indiani.

    A Austin, per evitare le piene del fiume, erano stati realizzati dei laghetti artificiali.

    Intorno, erano sorte casette di legno. C’erano tavoli per il picnic. Barchette e ombrelloni.

    Proprio fuori la città c’era Fort Alamo. Famoso per la lotta dei bianchi. Da lì era cominciata l’epopea americana. La creazione della potenza mondiale. Ma del forte era rimasta qualche tavola cariata. Un cannone.

    Gli uomini che vi combattevano erano gente venuta per diventare latifondisti e per il commercio degli schiavi.

    Davy Crockett non aveva certamente il copricapo di pelo di coniglio con la coda, perché faceva troppo caldo.

    Ora quel luogo era pieno di giostre e baracconi dove si vendevano penne, palline, polpette e così via. C’era un palazzo moderno con al piano terra una esposizione di mostri. C’era l’uomo vampiro. Il vitello a tre teste. La donna barbuta. La statua di cera di Michael Jackson. Del ciclista Armstrong, quello, drogato, che aveva vinto i giri di Francia e che ora a Austin aveva aperto un grande emporio di biciclette con annessi punti ristoro dove si cucinavano bistecche e peperoni.

    E gli Americani si divertivano un mondo.

    Le farfalle che una volta riempivano l’aria ora non c’erano più.

    E neanche le api.

    Qualcuno cominciava a pensare di fare come i cinesi, impollinare a mano le piante.

    Ognuno di noi deriva da gente che ha lasciato le proprie terre per trasferirsi altrove. Perciò anche a Austin c’era gente che indagava per sapere da dove veniva.

    Il padre di Noam era ebreo. Uno dei pochi che non si era arricchito. Era ferroviere.

    La madre, invece, era di origini irlandesi. E diceva spesso al figlio, Quando sei nato eri soltanto capelli neri e occhi e orecchi grandi.

    Avrà avuto tre quattro anni, Noam, quando, fra i suoi passatempi preferiti, c’era quello di nascondersi sotto le lenzuola e le coperte del grande letto dei genitori. Una caverna, gli sembrava, dove non si sa che cosa ci sia, come una capanna, che teneva su con la testa e che non si osa esplorare fino in fondo per la paura di restare intrappolati. E mentre avanzava strisciando nell’antro nero, con la coda dell’occhio controllava che alle spalle le coperte non chiudessero completamente la luce, ma restasse uno spiraglio, un buco che garantisse lo scampo, nell’eventualità di un improvviso pericolo.

    ?O si trattava di nostalgia di ventre materno, protetto nuotante e senza pensieri. Nostalgia che rimane in molti. Qualcuno lo dice, ma non è vero.

    Era il tempo in cui Noam, oscillando su un grande cancello di ferro, era andato, imprevidente, col piede fra il cancello e il muretto su cui era agganciato. Fortuna volle che il piede non gli era stato staccato, ma una lunga striscia di sangue usciva da sotto l’alluce.

    In ospedale gli avevano cucito la spaccatura, e lui era bianco in viso. Terrorizzato.

    Quando glielo riportarono a casa, la madre era rimasta di sasso. Come la Madonna addolorata. Non piangeva, non gridava, ma, dentro, stava male. Lei che, come tutte le mamme, era preoccupatissima per fatti molto meno gravi.

    Noam aveva frequentato la scuola.

    L’insegnante di inglese era una suora cattolica, giovane, con gli occhiali metallici.

    Quando non insegnava se ne andava in giro con un cestello di vimini, per raccogliere fondi per i poveri.

    Chissà chissà come se la caverà, pensava Noam, quando dovrà parlare di sesso in quegli autori americani che di sesso avevano parlato, e non come di acqua fresca. Ma non solo, anche in Shakespeare, dove c’è sesso mica male.

    Noam sarebbe andato volentieri a un campo estivo come il Great Books, ma non c’era lì a Austin. In quel campo gli adolescenti avrebbero preso la malattia del leggere i testi classici, moderni, contemporanei, di prosa, di poesia, istituzionali e ludici.

    A Noam piaceva far girare la trottola e volare gli aquiloni.

    Da ragazzo spesso rubava qualche soldo che la mamma teneva nel cassetto della credenza e andava al cinema. Si vedeva il film anche duetre volte, fino a sera.

    Specialmente Balla coi lupi, dove Costner, con la divisa sdrucita di soldato americano, si trovava da solo in un avamposto, attendendo un drappello di commilitoni che non arrivava mai. Era stato assalito dagli indiani. Dormiva con un occhio aperto. Poi, però, diventò amico del giovane guerriero indiano. E si innamorò della signorina divenuta indiana, ma che indiana non era. Era stata rapita dagli indiani quando avevano assalito la fattoria dei genitori, trucidati. Questa signorina che un po’ alla volta si ricordò qualche parola dei bianchi e così fece l’interprete fra Costner e il giovane pellerossa.

    Le bravure di Noam ragazzo. Era Aprile inoltrato e lui con gli amici pensò bene di farsi un bel bagno nel Colorado. Non vide un piccolo gorgo. Lui ci stava al centro del mulinello. Fortuna volle che non era un gorgo profondo e riuscì a toccare la riva. Ma si prese una bella polmonite. Per la gioia della mamma che gli ripeteva, Speriamo almeno che ti sia di lezione.

    Ma non gli fu di lezione. Sempre con gli amici se ne andarono sull’Oceano.

    Ci andarono col bus della Greyhound, quello che da cento anni trasportava le speranze e la disperazione d’America. Si fermarono un paio di volte nelle stazioni di servizio odorose di latrina. Con questo levriero d’alluminio. Guidato da una donna.

    Vicino a Noam s’era seduta una signora quasi vecchia che gli spiegò come, dopo tre tentativi di suicidio e il mancato omicidio con ascia in fronte del marito e dopo il soggiorno in carcere, aveva scoperto che soltanto la cortesia dà la serenità.

    E che la cortesia è saggezza.

    Noam, nella penombra e dietro i grandi finestrini fumè, non poteva neanche godersi il paesaggio.

    E allora sonnecchiava, nel grembo tiepido del cane.

    Arrivati alla spiaggia, il vento soffiava forte. Noam nuotava per tornare a riva. E non si accorgeva che le onde lo spingevano verso i murazzi, non a riva. Gli prese uno spavento, sempre più. Finalmente, senza più fiato, riuscì a spostarsi sulle onde, raggiungendo la spiaggia.

    Chissà chissà, pensò per la prima volta in vita sua, Che cosa succede quando si muore.

    Quando si muore e che non ci dispiace tanto per dover lasciare i propri cari, ma perché ci si è innamorati troppo di se stessi.

    E per la prima volta gli venne l’idea che tutto, piante, uomini, stelle, Dio che c’è in tutte le cose, tutto invecchia e si distrugge, ma ritorna rigenerato. Dio, oggi energia, per la scienza. Eros, per Platone. E, in fondo, anche nell’uomo Gesù c’era Dio. Che morì, con lui. Ma poi si rigenerò, dicono. E deve essere ridiventato Dio, perché dal momento della morte i pochi che seguivano Gesù son diventati milioni e per due migliaia di anni.

    Che è, anche quella, una consolazione.

    Certo, Noam leggeva i filosofi. E si era accorto che anche Spinoza ipotizzava un Dio che era nel mondo e che moriva. Come Schopenhauer per cui quel Dio era volontà cattiva.

    Meglio molto meglio starsene a guardare fenicotteri rosa, aironi leggeri e scoiattoli rossi, che stavano in una pozza d’acqua là vicino.

    O guardare sulle strade i cespugli che rotolavano amorosi, cercandone altri.

    Anche farsi qualche mangiata di pesce. Pure se aveva un dubbio, ?E se la plastica frantumata degli oceani non c’era più perché se l’erano mangiata i pesci, perché aveva un odore che gli piaceva.

    Noam era stato un omicida, senza volerlo. Un giorno un amico lo portò presso uno stagno. Gli diede una pistola che sparava proiettili veri, Prova prova anche tu, è facile. Basta premere il grilletto. Spara in acqua. Noam non aveva mai toccato un’arma e mai più ne toccherà una. Premette il grilletto, l’arma rinculò. Il proiettile schizzò sullo specchio d’acqua come un sasso piatto e sfiorò la testa di un contadino che stava lavorando sul suo campo. Il contadino sentì il fischio e rimase terrorizzato, come Noam.

    L’amico, invece, non si accorse di nulla.

    Noam aveva sempre le labbra atteggiate a un bel sorriso e c’era sempre una garbata ironia nei suoi occhi scuri ridenti e irridenti.

    Aveva denti bellissimi.

    Anche lui salutava alla maniera texana, faceva schioccare la lingua e alzava due dita.

    Si era innamorato perso di una ragazza italiana, Paola si chiamava. Aveva un visetto rosato. Gli occhi neri come il carbone. Un nasino un po’ schiacciato da pugile. Un grande nevo sulla guancia. Gambe da adolescente maschio. Calzini bianchi e scarpe basse di vernice nera.

    Non le disse mai niente. Né la toccò mai neanche con un dito.

    Ma, quando non la vide più, se ne stette giorni, supino sul letto e muto.

    Sentiva che dentro di sé si agitavano forze meravigliose, di volta in volta sfolgoranti e malinconiche, e sapeva al tempo stesso che colei cui andava ogni suo desiderio, chiusa in serena inaccessibilità, sarebbe stata sempre inaccessibile, irraggiungibile. Sono i grandi amori, quelli che non si dimenticano.

    In quei momenti egli aveva creduto di perdere tutto. La delusione aveva portato quasi al terrore, perché gli era sembrato di non poter più ricominciare la vita d’amore. Gli era parso che tutto crollasse e aveva avuto paura di non poter guarire. E sopra ogni cosa aveva temuto che l’amore non sarebbe più venuto e che avrebbe dovuto conservare per sempre, nel cuore, nella mente e negli occhi l’ immagine che lo aveva fatto patire.

    E sì, la giovinezza è il periodo più difficile della vita mentre i vecchi sono più sereni e soddisfatti dei giovani. E, se i vecchi dicono spesso, Ah, quanto era bello quando ero giovane, è perché non ricordano quanto hanno sofferto da giovani.

    Ma in gioventù si guarisce bene.

    I giovani traggono molto godimento e molta sofferenza dalla propria vita perché la vivono soltanto per sé soli. Ogni desiderio e ogni idea, in tal caso, è importante, si gusta ogni gioia, ma anche ogni sofferenza, e più di un giovane che veda irrealizzabili i propri desideri, getta subito via tutta quanta la vita.

    Però poi le cose cambiano, gli adulti vivono maggiormente per gli altri, come atto spontaneo e naturale. Per i più è effetto della famiglia.

    La gioventù vuole giocare. L’età adulta lavorare ( non sempre, non oggidì).

    I giovani credono di vivere eternamente e possono, quindi, fare di se stessi il centro di ogni desiderio e riflessione.

    Gli anziani si sono già accorti che da qualche parte esiste una fine e che tutto quello che si fa e che si sa soltanto per sé, alla fine va a cadere dentro una fossa e resta vano.

    Noam a quel tempo era come rimarrà negli anni a venire. Non alto di statura, ma ben fatto e muscoloso.

    In televisione anche a Austin si guardava Tyson. Arrogante. Rabbioso. Violento sul ring. Disperato fuori. Metafora di molta America.

    Brutto, sporco, cattivo. Il tatuaggio maori che gli copriva metà del viso.

    Capace di masticarti un orecchio come chewing-gum.

    Vita da nababbo.

    Poi la miseria.

    Aveva comprato video porno. Aveva usato viagra. Aveva dormito negli strip club. Aveva preferito spogliarelliste nude.

    In carcere era diventato paranoico.

    Ma ora era in pace.

    La solitudine del nero senza famiglia, e pezzente.

    Eppure molti neri sono gioviali, semplici. Ridono di gusto. Non si ribellano e non sono aggressivi perché discriminati.

    Come il cinquantenne che odiava gli immigrati e che era chiuso contro tutti i diversi. Che aveva perso il lavoro, perché la fabbrica in cui lavorava aveva chiuso, e che non ne avrebbe trovato un altro. Computer e cellulari non gliene avrebbero trovato un altro, di posto. Destinato a morire presto o perché suicida o perché drogato di alcol e psicofarmaci.

    Certo molte volte Noam pensava,? Ma i ragazzi e tutti che guardano gli smartphone vedono e riflettono sul mondo reale o quel mondo è virtuale e ristretto.

    Noam era andato una volta a vedere con gli amici uno spettacolo di wrestling. La gente impazziva intorno al ring, anche i bambini, vedendo questi giganti brutti e ciccioni e muscolosi che, per finta, si davano colpi terribili, anche con le sedie, si morsicavano, si mescolavano nella lotta sudata. E fingevano di avere dolori terribili.

    Tutti ridevano, si divertivano.

    Noam no.

    E al wrestling non ci era andato più.

    Nella notte umida e buia come la bocca di un lupo, Noam preferiva filosofeggiare con qualche amico, filosofo come lui.

    In America c’era quello che, da solo, controllava il sette per cento della ricchezza mondiale.

    C’era il finanziere d’assalto che sfidava Apple e che si presentava come difensore dei piccoli azionisti.

    Blackrock amministrava quattromila miliardi di dollari dei clienti.

    Sembrava uno dei ricchissimi cinesi, in un mondo che diceva d’essere comunista.

    Quando Noam era adolescente a Austin c’erano bei negozi, quelli dove si vendevano dentifrici, lozioni per capelli, creme da barba e per evitare

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