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Le insolite indagini del detective Sidney Grice
Le insolite indagini del detective Sidney Grice
Le insolite indagini del detective Sidney Grice
E-book1.480 pagine18 ore

Le insolite indagini del detective Sidney Grice

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Info su questo ebook

I delitti di Mangle Street
La maledizione di Casa Foskett
il mistero di Villa Saturn

3 romanzi in 1

Grande successo in Inghilterra 

È eccentrico, esigente e pignolo, e in tutta l’Inghilterra nessun detective ha mai avuto più successo di lui dai tempi di Sherlock Holmes.
È Sidney Grice, affiancato dalla sua protetta, la giovane March Middleton. Una coppia investigativa decisamente insolita, impegnata a risolvere misteri in una Londra ottocentesca più torbida che mai.
L’efferato omicidio di una giovane donna, Sarah Ashby, di cui è stato incolpato il marito William, li porterà dal raffinato quartiere di Bloomsbury alle fetide strade dell’East End, dove li attende soltanto il primo di una serie di altri inspiegabili enigmi…
Un inatteso visitatore, membro di un’eccentrica confraternita, la Last Death Society, ha il buongusto di morire avvelenato proprio nello studio di Grice, al cospetto del detective e della sua pupilla: un nuovo scottante caso, nel quale è coinvolta addirittura la misteriosa baronessa Foskett, ultima erede del casato maledetto…
Un intricato caso per i detective di Gower Street: un inaspettato invito attira March nella splendida Villa Saturn, dimora di un parente sconosciuto. All’alba, però, la magione si rivela la scena di un terribile delitto. E a Grice toccherà il compito di scagionare la prima indiziata: March.

È arrivato il nuovo Sherlock Holmes!

«Questa serie è destinata a diventare un cult. Grice e Middleton promettono bene, conviene intercettarli adesso.» 
The Daily Mail

«Divertente e sagace: ecco a voi due degni rivali di Sherlock Holmes e del fido Watson.»
Goodreads

«La serie di Kasasian offre uno sguardo deciso sul lato oscuro della Londra vittoriana, ritraendo un’eroina abbastanza forte da resistere a un detective scontroso. Storia avvincente, humour sottile e personaggi vivaci: una bella sorpresa.»
Kirkus Reviews
M.R.C. Kasasian
Cresciuto nel Lancashire, prima di diventare uno scrittore, ha fatto molti lavori diversi. Vive con la moglie nel Suffolk durante l’estate e a Malta d’inverno.Il mistero di villa Saturn è il terzo libro della serie investigativa dedicata al detective Sidney Grice e alla sua assistente March Middleton, di cui la Newton Compton ha pubblicato anche i primi due episodi: I delitti di Mangle Street e La maledizione di casa Foskett.
LinguaItaliano
Data di uscita23 set 2016
ISBN9788854199811
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    Anteprima del libro

    Le insolite indagini del detective Sidney Grice - M.R.C. Kasasian

    1393

    Titolo originale: The Mangle Street Murders

    Copyright © M.R.C. Kasasian, 2013

    First published in the UK in 2013 by Head of Zeus Ltd.

    The moral right of M.R.C. Kasasian to be identified as the author

    of this work has been asserted in accordance with the

    Copyright, Designs and Patents Act of 1988.

    All rights reserved.

    Traduzione dall’inglese di Clara Serretta

    Titolo originale: The Curse of the House of Foskett

    Copyright © M.R.C. Kasasian, 2014

    First published in the UK in 2014 by Head of Zeus Ltd.

    The moral right of M.R.C. Kasasian to be identified as the author

    of this work has been asserted in accordance with the

    Copyright, Designs and Patents Act of 1988.

    All rights reserved.

    Traduzione dall’inglese di Clara Serretta

    Titolo originale: Death Descends on Saturn Villa

    Copyright © M.R.C. Kasasian, 2015

    First published in the UK in 2015 by Head of Zeus Ltd.

    The moral right of M.R.C. Kasasian to be identified as the author of this work

    has been asserted in accordance with the Copyright, Designs and Patents Act of 1988.

    All rights reserved.

    Traduzione dall’inglese a cura di Librofficina

    (Micol Cerato, Giulia Grimoldi, Chiara Beltrami)

    Prima edizione ebook: settembre 2016

    © 2014, 2015, 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9981-1

    www.newtoncompton.com

    M.R.C. Kasasian

    Le insolite indagini

    del detective Sidney Grice

    I delitti di Mangle Street

    La maledizione di casa Foskett

    Il mistero di Villa Saturn

    Newton Compton editori

    I delitti di Mangle Street

    A Tiggy, con amore

    Prologo

    Sono passati sessant’anni dal mio primo incontro con Sidney Grice. Allora era abbastanza giovane – anche se non sembrava – e in Inghilterra lo conoscevano già tutti, sebbene non avesse ancora raggiunto quella fama internazionale che gli sarebbe valsa, di lì a qualche anno, una serie di film hollywoodiani tanto approssimativi da risultare comici.

    Sidney era un uomo vanesio e amava le luci della ribalta, tuttavia persino lui si schermiva davanti ad alcune delle storielle più esagerate che giravano sul suo conto. Non aveva mai risalito, per esempio, le cascate del Niagara all’inseguimento di un lupo mannaro. Non era abbastanza affascinante, né atletico. Ma non era nemmeno il sadico mostro che negli ultimi tempi i biografi avevano dipinto. Erano state solo le cattive condizioni di salute a dissuaderlo dal citare in giudizio E.L. Jeeveson per quel libro scurrile e superficiale in cui sosteneva che Grice avesse assassinato il proprio padre. La paura di colpire un innocente e di subire le rappresaglie legali (o illegali) del colpevole certamente ha condizionato i miei primi resoconti sul «Monthly Journal» relativi alle indagini di Grice. Ma visto che ormai i protagonisti sono quasi tutti morti e che la mia stessa vita sta giungendo alla sua naturale conclusione, credo sia arrivato il momento di dire come si sono effettivamente svolti i fatti.

    La Londra che conobbi allora si innalzava in tutta la sua magnificenza dal lezzo di un’umanità corrotta. La Londra di oggi è saccheggiata e ridotta in macerie da un nemico la cui ferocia è paragonabile solo alla brutalità delle orde barbariche che spazzarono via l’impero romano.

    Rimane da stabilire se anche l’impero britannico subirà lo stesso destino, come molti sostengono. Tuttavia sono sicuro che Sidney non avrebbe abbandonato la sua capitale: per quanti difetti avesse, non era certo un codardo. Nemmeno io lo farò, sebbene, mentre scrivo queste righe nello scantinato freddo e umido al numero 125 di Gower Street, le luci si siano spente e la terra non smetta di tremare.

    M.M., 3 ottobre 1941

    1

    Gli omicidi di Slurry Street

    Lizzie Shepherd pare che morta sia

    proprio sopra la birreria.

    Janie Donnell, è morta pure lei.

    Fossi in te, alla larga me ne starei.

    (Filastrocca vittoriana)

    Rhymes and Reasons,

    Jenny Smith e Alex Duncan MacDonald

    Eliza Shepherd era stata ammazzata. La sorella e la coinquilina, Maria, la trovarono morta nel suo letto, lunedì 28 gennaio 1882 alle otto di mattina. Le tre ragazze vivevano all’ultimo piano di un ammasso diroccato di stanze, sopra il Red Lion, un pub di Slurry Street, a Whitechapel.

    Due ore dopo, in una camera che affacciava sullo stesso corridoio, ritrovarono un altro corpo senza vita: quello di Jane O’Donnell.

    Le due donne erano state brutalmente assassinate. Avevano ricevuto entrambe esattamente quaranta coltellate al volto, agli arti e al busto. Non c’erano segni di rapina e, sebbene il movente dei delitti potesse essere di natura sessuale, né Eliza né Jane erano ritenute prostitute. La prima faceva la sarta e la seconda aveva da poco cominciato a lavorare come cameriera al pub del piano terra.

    In entrambi i casi la porta era stata chiusa dall’interno ed era stato necessario forzarla per entrare. Sussisteva un piccolo dubbio su come l’assassino fosse riuscito a penetrare nelle stanze: le finestre erano state rotte dall’esterno, ma si trovavano a circa dieci metri d’altezza dalla strada e non c’erano grondaie o appigli d’altro genere che avrebbero potuto permettergli di arrampicarsi. Portare, posizionare e rimuovere una scala a pioli in una via tanto trafficata senza farsi notare sarebbe stato impossibile. Il tetto non era facilmente accessibile e le sue condizioni erano per di più così precarie che non riuscì nemmeno a sostenere il peso del ragazzino mandato dalla polizia a ispezionarlo.

    Era difficile immaginare chi potesse avere commesso due omicidi tanto efferati, e molti chiamarono in causa qualche animale: l’ipotesi citata più di frequente attribuiva il misfatto a un gorilla fuggito da un circo itinerante. Le voci si moltiplicarono, incontrollate, e il pericoloso leone braccato una notte a Knackers’ Yard si rivelò essere in realtà un vecchio pony Shetland in pastoia che aspettava pazientemente la propria fine.

    Jack il saltatore – fantomatica creatura folkloristica – conobbe un nuovo momento di gloria e fu avvistato varie volte mentre balzava da un tetto all’altro. Qualche anno prima, una ragazza di buona famiglia aveva raccontato che il demone le era piombato davanti, le aveva strappato gli abiti con gli artigli e aveva premuto le labbra fredde come la morte sulle sue, ma non gli erano mai stati attribuiti degli omicidi.

    Nell’East End la morte era di casa, poiché spesso la zona era teatro di violenze e assassinii; tuttavia il massacro di Eliza Shepherd e Jane O’Donnell fu così feroce che persino la polizia ne rimase turbata e le proteste popolari portarono a interrogazioni parlamentari in entrambe le Camere.

    Vi fu un improvviso incremento nella produzione di libretti da due soldi riguardanti orribili crimini che ricordavano seppur vagamente i due omicidi di Slurry Street e la stampa non faceva che pubblicare sensazionali rivelazioni in merito all’identità del colpevole. Si disse che sui muri delle stanze in cui era stato commesso il delitto fosse stata trovata la parola "Vendetta"¹, scritta con il sangue, e si parlò di un misterioso napoletano dai capelli rossi che si aggirava con fare sospetto nei paraggi del luogo del delitto. Ne conseguì un’ondata di aggressioni ai danni degli immigrati nell’area dei Docks.

    Per un breve periodo furono molto in voga una canzoncina dal titolo Il mattatoio di Slurry Street e una pièce melodrammatica, Omicidio al Red Lion. Tuttavia, in assenza di reali sospetti e di altri delitti, presto l’interesse del pubblico per la vicenda svanì.

    L’assassino – che non fu mai catturato – non era destinato a ispirare solo autori di canzonette e libri di poco conto. Fu fonte d’ispirazione anche per almeno un’altra persona, che ne seguì le orme.

    ¹ Sempre in italiano nel testo. (n.d.t.)

    2

    Lo strangolatore di Chelsea

    Era il mio ultimo giorno. Il signor Warwick, l’agente immobiliare, arrivò puntuale, alle nove. Gli diedi le chiavi e montai su un carro, senza nemmeno voltarmi indietro. La mia famiglia aveva vissuto nella fattoria per trecento anni, e di sicuro la casa sarebbe rimasta in piedi anche senza di noi.

    George Carpenter, il vecchio guardiacaccia, mi accompagnò con il suo anziano asinello, Onion, su per Parbold Hill e poi giù lungo l’altro versante della collina così lentamente che ebbi paura di perdere il treno. Alla fine arrivammo in tempo e George depositò la mia valigia sulla banchina.

    «La signora Carpenter le ha preparato questo». Mi porse un piccolo pacchetto avvolto nella carta oleata marrone e legato con un cordino dello stesso colore. «Ha pensato che avreste avuto fame».

    Lo ringraziai, mentre avanzava trascinando i piedi.

    «Nutrivamo grande rispetto nei confronti del colonnello», mi disse.

    Gli misi cinque scellini nella mano rotta. Poi il treno fischiò, sobbalzò e partì. E io mi chiesi se lo avrei rivisto di nuovo, se avrei mai rivisto Ashurst Beacon, il Douglas, un fiume poco profondo e inquinato, che si insinua come un filo color zafferano nel canale che collega Leeds a Liverpool.

    Cambiai a Wigan Wallgate, aspettando a capo chino sul ciglio della strada che passasse il corteo funebre al seguito di quattro bare di minatori. Erano trascorsi appena tre giorni dall’esplosione della miniera di carbone e la città era ancora ferita.

    A Wigan North Western acquistai un volume alla libreria W.H. Smith and Son e montai subito nello scompartimento senza corridoio riservato alle donne. Era per non fumatori, ma visto che, a parte me, non c’era nessun altro, potei mangiare il tortino alla carne della signora Carpenter, fumare tre sigarette e bere un bicchierino del gin che portavo nella fiaschetta di mio padre prima che con uno stridio il treno si fermasse a Rugby.

    Ci fu un gran gridare e sbattere di sportelli e stavo cominciando a convincermi che avrei continuato a viaggiare da sola proprio quando, mentre il ferroviere soffiava nel suo fischietto, la porta dello scompartimento si aprì ed entrò una signora di mezz’età, elegantissima, che mi si accomodò di fronte. Aveva un’espressione seria e sprezzante, e per un po’ ce ne restammo in silenzio.

    Poi lei annusò l’aria. «Avete fumato?»

    «No».

    Si tolse il guanto sinistro, lo posò insieme al cappello sul sedile di fianco e mi guardò. «Cosa state leggendo?», mi chiese sbirciando la copertina del libro. «Lo sconvolgente caso dell’avvelenatore di Primrose Hill. Che stupidaggini. Dovreste leggere Lo strangolatore di Chelsea. È davvero cruento e molto più divertente». Annusò di nuovo l’aria. «Avete fumato, senza dubbio».

    «Potrei averlo fatto», dissi, e lei sorrise. Aveva piccoli denti bianchi e il mento appuntito come quello di un bambino.

    «Allora non dovrebbe dispiacervi se lo faccio anch’io». Estrasse una scatoletta d’argento dalla borsa. «Gradite una Turkish?». Prese uno svedese e con esso accese entrambe le sigarette, aspirandone a fondo il fumo. «Oh, adesso va meglio. Sono stata agitata per tutto il giorno. Charles non approva, ecco perché mi tengo il guanto destro, così i polpastrelli non si ingialliscono. Le sigarette sono il mio segreto. Voi avete qualche segreto? Be’, ne avrete di certo, e dovete assolutamente raccontarmi quello più scandaloso prima di lasciare questa carrozza».

    Molto tempo fa ho ucciso un uomo – l’uomo più bello sulla faccia della Terra – ma resterò impunita.

    «Charles dice che blocca la crescita», stava dicendo lei. «Come se alla mia età potessi ancora crescere e migliorare. Compirò quarantadue anni domani, non che lui se ne ricordi. Sa a memoria tutti i punti che ha segnato in battuta W.G. Grace, il suo giocatore di cricket preferito, ma fatica a richiamare alla mente i nomi dei suoi figli. E dire che per lavoro costringe dei ragazzini a imparare il greco antico. Che cosa orribile!». Si fermò e trasse un respiro.

    «Buon compleanno». Le offrii la mia fiaschetta e lei buttò giù un bel sorso tutto d’un fiato.

    «Harriet Fitzpatrick», si presentò. «Ma chiamami pure Harriet».

    «March Middleton».

    «Stai andando a Londra, March?»

    «Sì. Per la prima volta».

    «I migliori negozi e la peggiore gentaglia del mondo». Schiacciò il mozzicone per terra. «Troverai abiti davvero deliziosi, ma dovrai scansare una ciurma di bambini affamati prima di varcare la soglia del negozio. Stai andando a trovare i tuoi genitori?»

    «Sono orfana», le risposi. «Il cuore della mia povera mamma non ha retto alla fatica di darmi alla luce, ventuno anni fa, e mio padre è morto lo scorso luglio, cadendo da una cascata, in Svizzera. Ho trascorso i tre mesi successivi a scrivere la storia della sua vita, che è stata pubblicata poco prima di Natale. Il colonnello Geoffrey Middleton. Vita e avventure. Magari lo hai letto».

    Harriet scosse il capo. «E quindi dove andrai a stare?», mi chiese.

    «Dal mio padrino, che si è gentilmente offerto di farmi da tutore legale».

    «Oh, povera cara».

    Aveva il naso piccolo, e ne ero alquanto invidiosa.

    «Probabilmente è la soluzione migliore». Buttai la sigaretta per terra e la schiacciai con il piede. «Mio padre ha perso molto denaro in Borsa l’anno scorso e ha dovuto mettere una grossa ipoteca sulla casa. Mi ha lasciato un’eredità esigua, che non potrò nemmeno usare, almeno per la maggior parte, fino a quando non avrò compiuto venticinque anni. E visto che la mia rendita è così ridotta da non permettermi di mantenere la casa e il fiore della mia gioventù sta rapidamente appassendo, non credo di riuscire a trovare marito».

    Harriet scoppiò a ridere. «Scusami. Continua, ti prego».

    «Se non fosse intervenuto il mio padrino, proprio non saprei cosa avrei fatto, perché sono inadatta a lavorare nel campo del commercio e troppo orgogliosa per mettermi a servizio. Perciò mi sono sentita incredibilmente sollevata quando mi ha scritto per farmi le condoglianze e per dirmi che, siccome mio padre un tempo gli aveva fatto un grosso favore, non vedeva l’ora di estinguere il suo debito».

    Harriet mi guardò pensierosa. «Posso chiederti quand’è stata l’ultima volta che hai visto questo generoso signore?»

    «Oh, io non l’ho mai conosciuto», le risposi. «Non ricordo nemmeno che mio padre mi abbia mai parlato di lui».

    Harriet bevve un altro sorso di gin prima di restituirmi la fiaschetta. «Sei sicura che l’eredità sia così esigua?». Mi guardò come si sarebbe guardato un cane randagio e malmesso. «Non vorrei che venissi derubata della tua fortuna da una canaglia senza scrupoli».

    «Sì, in effetti si tratta di poca cosa», le risposi, «e comunque avevo considerato anche questa eventualità. Infatti, prima di accettare la proposta, ho chiesto all’avvocato di mio padre di fare qualche indagine. Pare proprio che il signor Sidney Grice sia una persona di buona famiglia e con una reputazione immacolata».

    Harriet tossì.

    «Sidney Grice, il detective privato?»

    «Lo conosci?»

    «Be’, direi di sì», mi rispose. «È praticamente impossibile aprire il giornale senza imbattersi in qualcuna delle sue imprese. Pare, per esempio, che la settimana scorsa abbia sventato il rapimento dell’arciduca di Turingia a Hyde Park e che innumerevoli volte abbia aiutato il principe di Galles a evitare di incappare in uno scandalo. Oh, sei davvero fortunata. Quanto mi piacerebbe avere un uomo così intelligente, eroico e affascinante a prendersi cura di me!».

    Fumammo entrambe altre due sigarette e finimmo il gin per festeggiare la mia buona sorte, poi Harriet rimase in silenzio e io mi misi a guardare fuori dal finestrino le colline dolci e verdi trasformarsi in mucchi di mattoni, e i mucchi di mattoni diventare sempre più alti e rossi. Quando arrivammo alla stazione di Euston, mi sembrò che fosse passato pochissimo tempo.

    «Va tutto bene?», mi chiese Harriet.

    Le risposi di sì.

    «Prendo questo treno ogni primo martedì del mese», mi disse. «In caso avessi bisogno di fare due chiacchiere con un’amica».

    «Sono sicura che mi farò un sacco di amici», le risposi, e Harriet mi rivolse uno sguardo eloquente.

    «A Londra ci si può sentire molto soli».

    Si alzò e si chinò in avanti per guardarsi al piccolo specchio sopra di me e darsi una sistemata. Mi alzai anch’io e mi lanciai una rapida occhiata: a causa delle lunghe passeggiate senza parasole avevo un’abbronzatura fuori moda e i miei capelli erano di uno spento biondo cenere. Pensai a Edward per la centesima volta.

    «Stai attenta ai borseggiatori e agli stranieri», mi disse Harriet. «Hai un altro po’ di gin?»

    «Temo di no».

    Stava arrivando un facchino e lei tirò giù la tendina.

    «Hai mai baciato qualcuno?», mi chiese.

    «No», le risposi.

    Harriet si chinò verso di me. Profumava di lavanda.

    Chiusi gli occhi.

    «Adesso sì», disse. La tendina si aprì di scatto, il facchino aprì la portiera e noi scendemmo sulla banchina. Harriet mi fece l’occhiolino. «Abbi cura di te», mi disse, confondendosi tra la folla.

    3

    Il maiale e il profumo

    Uscii dalla stazione attraverso l’enorme arco d’ingresso che dava sul lato nord e rimasi in attesa.

    Intorno a me regnava il caos più totale, ma ciò che mi sconvolse davvero furono gli odori. Fumo, escrementi di cavallo e sudore creavano un miscuglio olfattivo davvero nauseabondo. Centinaia di carrozze e carrozzine, di tutte le fogge e le dimensioni, lottavano con vetture di servizio, corriere e carrelli per le consegne per farsi strada in Euston Road, e tra di esse si destreggiavano innumerevoli pedoni in abiti eleganti o coperti di stracci che si chiamavano l’un l’altro, sovrastando le urla dei venditori di strada.

    Una ragazzina lercia con indosso un vestito nero tutto spiegazzato se ne stava in piedi contro una colonna, guardandosi intorno come se aspettasse qualcuno.

    «Sei Molly?», le chiesi.

    «Fottiti», disse lei, e se ne andò via incespicando.

    «Deduco di no», le gridai dietro.

    Aspettai ancora alcuni minuti e mi guardai in giro. C’era un maiale legato a un idrante e un ragazzo vestito da marinaio che cercava di cavalcarlo. Gli edifici erano sudici e coperti da una patina grigia, poiché l’aria stessa era sporca. Riuscivo a sentirla appiccicosa sulla pelle.

    Una ragazza tozza con un vestito nero da cameriera e un grembiule bianco stirato di fresco mi venne incontro a passo spedito e interpellò due giovani signore prima di me.

    «La signorina Middleton?»

    «Sì».

    Aveva una massa di capelli rossicci tenuti su da una cuffietta inamidata, il naso a patata, le lentiggini e un colorito roseo. «Sono Molly. La cameriera del signor Grice. Mi dispiace molto di avervi fatto aspettare, ma eravamo alle prese con una duchessa morta, molto più problematica da defunta che da viva. Posso prendere la vostra borsa? Seguitemi, prego».

    Quando attraversammo l’arco, sentii uno stridio e un grido e mi voltai per vedere cosa era successo: il ragazzo era caduto e il maiale gli stava sopra.

    «Non c’è da preoccuparsi», disse Molly. «È solo un maiale».

    Ci incamminammo, seguite da una dozzina di bambini cenciosi.

    «Via!», li scacciò Molly, ma quelli mi si radunarono intorno implorandomi di dar loro qualche spicciolo, finché non mi rimase in tasca nemmeno un penny.

    «State attenta a dove mettete i piedi», disse la cameriera. «I cavalli riescono a trasformare il fieno in qualcosa di davvero disgustoso. Avete i cavalli in campagna?»

    «Certo».

    «Qui a Londra ce ne sono tantissimi. E mordono».

    Attraversammo la strada e Molly si fece largo tra un gruppo di operai che portavano dei berretti di panno e se ne stavano in piedi fuori da una birreria.

    «State attenta ai borseggiatori», mi disse voltandosi appena, «ladruncoli, marinai e stranieri. Quei…».

    Ci fu un ululato acuto e mi girai a guardare. Un uomo con un soprabito di pelle di foca incombeva su una donna tutta tremante, le bloccava le braccia e la percuoteva con un lungo bastone.

    «Smettetela», gridai.

    Lui si voltò a fissarmi. «Perché mai?», mi rispose sputacchiandomi in faccia la sua saliva rancida.

    «Perché ve lo diciamo noi», gli risposi.

    «No, io non dico proprio niente», sbottò Molly, facendo un passo indietro.

    «Non io e questa ragazza», intervenni. «Io e M. Parquet».

    Lui si diede un’occhiata intorno. «Non vedo nessuno straniero nei paraggi». Mi agitò il bastone sotto il naso.

    «Monsieur Parquet è colui che ha inventato il profumo sintetico meglio noto come Fougère, felce», gli risposi. «Probabilmente non ne avete mai sentito parlare». Mi asciugai la guancia con un fazzoletto. «Tuttavia, io ne porto sempre una boccetta con me, quindi, se volete scusarmi un momento…». Mi misi a rovistare nella valigia. «Ecco».

    L’uomo fissò la mia boccetta e scoppiò a ridere, beffardo.

    «Ma che diavolo…».

    «Per favore, non ricorrete al turpiloquio», gli dissi e gli schizzai due gocce di profumo negli occhi.

    «Ma cosa…». L’uomo lasciò cadere il bastone per portarsi le mani al volto.

    La donna divincolò le braccia e fece un ampio sorriso. «Ora sì che profuma». Balzò via e se ne andò zoppicando.

    «Ci vediamo dopo con te», le gridò lui dietro, strofinandosi con forza gli occhi. «E con voi», aggiunse, mentre noi correvamo via.

    «Permettetemi di darvi un consiglio», mi disse Molly. «Io non mi immischierei negli affari tra un uomo e una donna».

    «Avresti preferito che gli permettessi di continuare a picchiarla?».

    Molly fece una smorfia. «Chi dice che non se lo meritasse? Gli uomini sono molto più ragionevoli delle donne. Magari lei lo ha preso in giro o chissà cosa».

    Girammo a sinistra su Gower Street e, man mano che procedevamo, il marasma, sebbene ancora considerevole, cominciò a diminuire. «Un’altra cosa», disse Molly. «Non riferirò l’accaduto al signor Grice. Non gli piacciono le signore che si mettono in mostra».

    Ci passò accanto un carretto che trasportava dell’acqua.

    «Perché questa strada è pavimentata di legno?», chiesi.

    «Per attutire il rumore degli zoccoli dei cavalli», mi spiegò lei, «così i malati possono riposare e i moribondi andare incontro al loro destino in pace. C’è l’ospedale universitario qui. Il signor Grice mi ha spiegato tutto. È un uomo intelligente e molto gentile, e badate che non è stato lui a chiedermi di dirvelo».

    Al numero 125 si trovava un’alta villetta a schiera in stile georgiano, intonacata di bianco al pianterreno e con i mattoni rossi a vista in quelli superiori; aveva un balcone dalla ringhiera di ferro al primo piano ed era separata dal marciapiede da un fossato e da un’inferriata. Salimmo quattro gradini e ci ritrovammo davanti la porta d’ingresso nera.

    Molly tirò fuori una chiave attaccata a un cordoncino che portava appeso al collo e mi fece entrare in un corridoio lungo e stretto. «Un momento, per favore», disse, e s’infilò nella prima porta alla sua destra per annunciarmi.

    «Era ora», esclamò una voce maschile. «La mia tazza di tè è in ritardo di quarantadue minuti e mezzo». Detto questo, il proprietario di quella voce uscì dalla stanza e mi tese la mano.

    4

    Gli ascoltatori

    Sidney Grice non era affatto come me l’ero aspettato. Sebbene stesse con la schiena dritta, non superava il mio metro e sessanta scarso ed era di corporatura esile. Aveva i capelli neri, folti e pettinati all’indietro, e la fronte alta. Il naso era lungo e sottile e c’era qualcosa di quasi effeminato nel suo aspetto, con quelle labbra a cuore, il colorito pallido, la pelle liscia e la fossetta nel mento dalle fattezze delicate.

    «Signorina Middleton», mi salutò in modo educato ma non espansivo. Aveva la mano piccola con dita affusolate e magre, ma strinse la mia con forza. «Come siete diversa dalla vostra cara mamma». La sua voce era bassa, eppure scandiva bene le parole.

    Nonostante avesse gli occhi di un vitreo azzurro chiaro, il suo sguardo era diretto, e ciglia così lunghe e curvate all’insù potevo solo sognarmele.

    «La conoscevate?»

    «Ne ho avuto l’onore», mi rispose lui. «È un peccato che voi invece non abbiate potuto. Non avete bagagli?»

    «Solo questo borsone. Gli scatoloni verranno spediti direttamente qui».

    «Prenderemo subito il tè, Molly. Venite, signorina Middleton. Permettetemi di mostrarvi la vostra nuova casa».

    Lo seguii oltre la porta aperta ed entrammo in un ampio soggiorno. Dritto davanti a noi, ai due lati di un camino, c’erano altrettante poltrone in pelle dall’alto schienale. Sulla destra si trovava un basso tavolino da tè di mogano circondato da sei sedie. In fondo alla stanza, due ampie finestre, protette da una grata di legno, davano sulla strada.

    «La grata serve a proteggermi dai cecchini», mi spiegò.

    «Vi hanno mai sparato?»

    «Molte volte». Si toccò la spalla sinistra. «Ma solo una sono riusciti a colpirmi. Preferisco quando non fanno centro».

    Risi e Sidney Grice mi rivolse uno sguardo triste.

    «Non è uno scherzo», mi fece. «Abbassatevi!». Detto questo, si gettò istantaneamente a terra e io mi inginocchiai in fretta accanto a lui. «Davvero pessima», osservò. «Se ci fosse un’emergenza, dovrete essere molto più rapida».

    «Ma se portaste anche voi un bustino… Oh!». Alzai lo sguardo verso la finestra, al colmo dell’orrore. «State attento!». Sidney Grice si buttò di nuovo a terra, mentre io mi alzavo. «Fastidioso, eh?», gli dissi. «Non mi sembra il caso di continuare questo gioco».

    Sidney Grice si spazzolò i vestiti. «È un gioco che un giorno potrebbe salvarvi la vita».

    «Preferirei morire con un pizzico di buonsenso», replicai.

    Lui si portò la mano all’occhio destro.

    Alle nostre spalle c’era una biblioteca cui si accedeva tramite una porta a quattro ante che in quel momento era aperta, rendendo le due stanze un unico ambiente. Gli scaffali erano zeppi di libri e giornali. Su una parete c’era una fila di stipi in legno di quercia, ognuno dei quali con quattro cassetti.

    «Queste due stanze sono il mio studio, il cuore e la mente di tutta la casa».

    «Possedete un archivio davvero ricco», osservai.

    «Sto compilando un catalogo di tutti i crimini commessi nel Paese in questo secolo», mi disse. «Una fatica degna di Ercole, ma sono convinto che sia tempo ben speso. È provato che i malfattori reiterano i loro stessi misfatti e quelli dei loro colleghi. Quindi sto creando un sistema di riferimenti incrociati che permetta di risalire in fretta alla soluzione di un delitto, rintracciandone il metodo e l’autore. È forse alcol quello che percepisco nel vostro alito?». Mi guardò sospettoso.

    «Mi sentivo un po’ debole quando sono scesa dal treno, ma un pastore di passaggio è stato così gentile da offrirmi un goccio del suo brandy da quella che credo fosse una fiaschetta, e mi sono ripresa».

    «È gin», puntualizzò Sidney Grice.

    «Oh, davvero? Non saprei dire quale sia la differenza».

    Lui socchiuse gli occhi e tornò nell’ingresso.

    «Di sicuro però ogni tanto viene commesso un crimine nuovo», dissi, ma Sidney Grice sbuffò.

    «La mente criminale è perversa e contorta, ma quasi del tutto priva di immaginazione», ribatté, mentre Molly ci raggiungeva, agitata.

    «Oh, signore». Era diventata tutta rossa. «Siamo a un passo dal disastro. Abbiamo quasi finito il tè del pomeriggio, ne resta giusto qualche foglia. Però ne abbiamo ancora un po’ di quello della mattina e in abbondanza di quello serale».

    Sidney Grice la guardò accigliato. «Allora vai immediatamente a comprarne dell’altro, e assicurati che lo pesino per bene», le disse. «Che ragazza stupida», aggiunse, non appena Molly uscì di corsa. «Quello», fece, puntando il dito oltre le scale, «è il regno della servitù. Rabbrividisco al solo pensiero di ciò che accade lì dentro».

    Al primo piano c’era un salotto che si affacciava sugli edifici di fronte, quelli dell’università. Sulla parte interna invece c’era un soggiorno con un montavivande in cui aleggiava un flebile odore di cavolo.

    «Dal momento che siamo soli, ne approfitto per dirvi una cosa che potreste trovare imbarazzante», fece Sidney Grice. «Indossate delle scarpe marroni».

    «Lo so».

    Lui trasalì. «Il marrone è il colore della campagna. In città si porta il nero».

    «Ma io sono partita dalla campagna stamattina», dissi. «In che momento avrei dovuto cambiarmele?».

    Sidney Grice si accigliò. «Vedo che avete dello spirito… una virtù moderna, ma non molto femminile. Per rispondere alla vostra domanda, credo che Kilburn sia l’estremo confine della civiltà. Non mi sono mai avventurato oltre». Annusò l’aria. «Sento puzza di fumo».

    Annusai anche io, ma sentii solo l’odore del suo sapone al catrame minerale.

    «Intendete metaforicamente?»

    «No, dico in senso letterale. Odio le metafore».

    «E le scarpe marroni. Forse la casa sta andando a fuoco?»

    «No, qui non c’è mai stato un incendio», mi rispose. «È fumo di tabacco. Confido nel fatto che non abbiate ceduto al vizio, signorina Middleton».

    «Il treno era così carico che sono stata costretta a viaggiare in uno scompartimento per fumatori».

    L’occhio destro di Sidney Grice scomparve, la palpebra collassò e si intravide una cavità rosso sangue. Io strillai e lui prese l’occhio e lo rimise al suo posto.

    «Dannazione». Calò giù la palpebra superiore. «Sono andato fino a Eger, in Boemia, per farmelo fare, soffiato a mano in base alle precise misurazioni del professor Goldman, eppure non va bene».

    «Come avete perso quello vero?»

    «Non l’ho tecnicamente perso». Si tirò indietro i capelli con un orgoglioso scatto del collo. «Il fatto che lo abbia perso implicherebbe un’incuria del tutto estranea alla mia natura. È stato un bandito prussiano a staccarmelo dall’orbita quando ho sventato il suo attentato alla vita dell’erede al trono. Il merito per l’impresa non mi è ancora stato pubblicamente riconosciuto. Adesso che il Kaiser Guglielmo II è salito al trono della Germania unita possiamo aspettarci un’era di pace in tutta Europa per almeno un centinaio d’anni».

    «Voi godete già di grande stima», gli dissi. «I miei amici vi paragonano spesso al detective nato dalla penna di Edgar Allan Poe, Auguste Dupin».

    Le labbra di Sidney Grice si incurvarono in un sorriso. «Splendido, mi avete appena messo a confronto con uno stupido personaggio di fantasia nato dalla penna di uno scribacchino pazzo e colonialista», osservò, «che, tra l’altro, avendo evidentemente letto delle mie imprese, ha fatto un goffo tentativo di emularle».

    Aveva un’andatura strana, inclinata a destra, notai, ma non sembrava avesse alcun problema a salire un’altra rampa di scale.

    Al secondo piano c’erano due stanze da letto: la sua era affacciata sul prospetto, mentre quella che avrebbe dovuto essere la mia dava su un muro di mattoni rossi dell’ospedale. Tra di esse c’era un’altra cameretta.

    «L’orgoglio della mia casa». Sidney Grice si fece da parte per mostrarmi il bagno. Le rifiniture erano in effetti molto belle, c’era una vasca di smalto bianco con piedi artigliati in ottone, un lavabo a colonna di porcellana bianca e un gabinetto in pendant con la cassetta di scarico in alto. «Abbiamo l’acqua corrente, fredda e calda, almeno finché Molly tiene i fornelli accesi».

    «Che lusso». Non gli dissi che trovavo riprovevole avere il gabinetto in casa. Se tutti gli appartamenti erano equipaggiati in quel modo, non c’era da meravigliarsi che a Londra imperversassero continue pestilenze.

    L’ultimo piano, mi spiegò, era una soffitta, in cui c’erano un ripostiglio e le stanze della servitù.

    «Quante persone avete a servizio?»

    «Solo Molly e una cuoca. La cuoca però non vive qui e si occupa solamente della cucina. Non credo di averla più incontrata da quando è stata così impertinente da darmi un biglietto d’auguri per Natale, due anni fa. C’è anche una sguattera che va e viene di tanto in tanto, mi hanno detto, ma né lei, né la cuoca suscitano il mio interesse». Fece una pausa. «Ovviamente Molly non ha ancora fatto ritorno. Credo che dovremmo rispondere al campanello da soli».

    «Io non ho sentito nessun campanello», osservai, e Sidney Grice fece schioccare la lingua.

    «Avete un udito più giovane e probabilmente più sensibile del mio. Sentite, ma non ascoltate. Dev’essere qualcuno che ha una certa fretta, a giudicare dal ritmo dello scampanellio. Restiamo un attimo in silenzio, poi mi direte cosa sentite».

    «Non dovremmo prima andare a vedere chi è?», gli chiesi.

    Sidney Grice scrollò le spalle. «I visitatori insistenti possono sempre aspettare. State in ascolto».

    Restammo in piedi insieme in corridoio e in lontananza udii il suono di un campanello, basso ma netto, che tintinnava a ripetizione.

    «Adesso lo sento».

    «Che altro?».

    Rimasi in ascolto. «Niente».

    «Non sentite il traffico fuori, lo sferragliare delle ruote, il rumore degli zoccoli sull’acciottolato, le grida dei venditori ambulanti e dei mendicanti per la strada, il frullo delle ali dei piccioni sul tetto, il vento che spinge verso ovest il fumo dei comignoli?».

    Mi concentrai. «Sento un po’ di baccano in lontananza», dissi. «E il campanello che suona sempre più insistentemente».

    «I campanelli sono oggetti inanimati e non possono essere insistenti, così come non possono formulare un teorema algebrico». Sidney Grice si soffermò a esaminarsi una piccola macchia d’inchiostro sul mignolo. «Tuttavia pare che il nostro visitatore lo sia».

    Cominciò a scendere le scale.

    «Andate a vedere chi è alla porta», mi disse e si ritirò nel suo studio.

    La signora che mi ritrovai davanti sulla soglia era alta ed elegante, dai lineamenti delicati e il colorito bianco come il marmo, anche se aveva le guance lievemente arrossate, probabilmente perché era trafelata. Sulla quarantina, avrei detto, benestante ma non ricca, vestita di nero e con i capelli castano scuro ordinatamente raccolti sotto un semplice cappellino adornato da una veletta che le ricadeva sugli occhi.

    «È qui che vive il signor Grice?». Aveva il fiatone.

    «Sì».

    «Devo vedere il vostro padrone». Era evidentemente molto agitata.

    «Io non ho nessun padrone», le risposi, tuttavia la lasciai entrare.

    Sidney Grice stava facendo finta di sfogliare una rivista di geologia, ma si alzò dalla poltrona per fare accomodare l’ospite su quella di fronte al camino spento. Io rimasi in mezzo alla stanza, non sapendo se restare o andarmene.

    «Non sapete quanto sia felice di conoscervi». La donna si diede una sistemata. «Più di una volta ho sentito delle voci secondo cui sareste stato solo un personaggio di fantasia».

    Sidney Grice contrasse la guancia e si portò una mano all’occhio destro. «Tutta colpa di alcuni articoli orribili e approssimativi in merito alle mie indagini pubblicati sui periodici di bassa lega», disse. «Come potete vedere con i vostri stessi occhi, madame, sono qui davanti a voi, in carne e ossa».

    La signora si coprì con le mani bocca e naso. Portava un anello di rubini al dito medio della destra. «C’era così tanto sangue», disse.

    La guardai. Aveva gli occhi verdi sgranati dall’orrore. Poi osservai Sidney Grice e, nonostante sapessi che non era possibile, mi parve che i suoi brillassero entrambi.

    5

    Un orribile omicidio

    «È davvero orribile». La signora Dillinger trattenne il fiato. «La mia povera figlia». Deglutì. «È stata pugnalata… pugnalata a morte, e mio genero è stato arrestato per l’omicidio. Dovete aiutarmi, signor Grice».

    Sidney Grice sospirò. «Io non ho nessun obbligo, madame. Ma, dal momento che siete già qui e che io mi stavo annoiando, ditemi, come vi chiamate e chi sono le persone coinvolte in questa storia?»

    «Io sono Grace Dillinger».

    «Deduco che siate vedova».

    «Sì, mio marito è morto due mesi fa».

    «E vi ha lasciata incinta?»

    «Sì. Partorirò ad agosto».

    Sidney Grice fece un cenno con la mano. «Continuate».

    «Mio genero si chiama William Ashby. Sua moglie, mia figlia, si chiama…».

    «Si chiamava», la corresse il detective.

    «Si chiamava Sarah».

    Grice prese un piccolo taccuino rilegato in pelle marrone dal tavolino accanto a sé e appuntò quei dettagli con una matita d’argento. Nel frattempo la signora Dillinger tirò fuori dalla borsa una busta bianca e rettangolare. Notai che aveva le unghie tagliate corte e portava una grossa fede nuziale d’oro rosso a cui era intrecciato un sottile filo nero.

    «William vi ha scritto una lettera». Tese la busta e Sidney Grice la prese come se fosse stata sporca di sangue, l’aprì e ne tirò fuori un foglio di carta ripiegato due volte, che si lasciò cadere in grembo, degnandolo appena di uno sguardo.

    «Quali prove ci sono contro vostro genero?», chiese.

    «Nessuna». La signora Dillinger intrecciò le esili dita.

    «Allora non dovrebbe avere più paura di quanta non ne abbia io, visto che neanche contro di me ci sono prove».

    La signora Dillinger si stirò il bavero del cappotto. «Era in casa quando è successo», disse, «ma dormiva nella stanza accanto».

    «Ha il sonno molto pesante?»

    «No, anzi. Di solito si sveglia molto facilmente. È stato il rumore di una porta che si apriva e si chiudeva a disturbarlo».

    «Che porta?»

    «La porta esterna, quella del negozio. Ha un campanello in alto che risuona ogni volta che l’uscio viene aperto o chiuso».

    Si doveva essere spruzzata qualche goccia di un leggero profumo alla rosa di Damasco.

    Sidney Grice si mise a giocherellare con l’anello con il sigillo che portava al dito. «E questo campanello è sospeso sul cardine della porta o attaccato a una molla?».

    La signora Dillinger si toccò la fronte con i polpastrelli della mano destra e il rubino brillò. «Cosa?», disse. «Sospeso sul cardine, suppongo. Che importa?».

    Il mio tutore la osservò per un momento. «Un campanello sospeso al cardine suona due volte, mentre uno a molla produce un tintinnio ripetuto, in media da cinque a sette doppi scampanellii, a seconda della forza con cui la porta lo urta».

    La signora Dillinger si ricompose. «Capisco».

    «E vostro genero non ha sentito nient’altro prima del campanello?»

    «No».

    «Dove si trovava?»

    «Nella stanza sul retro. La cucina».

    I suoi stivali erano stati ben puliti e lucidati, ma si erano sporcati di fango fresco.

    «E vostra figlia?»

    «Nella stanza interna. Il salotto».

    «Queste due camere sono comunicanti?»

    «Sì».

    Portava degli abiti di buona fattura, ma vecchi. Erano stati riparati in più punti e ovviamente tinti per il recente lutto, anche se si poteva ancora intravedere l’originale disegno floreale.

    «E questo salotto ha altre vie d’accesso? Non so, una finestra forse, o un lucernario?»

    «No. Nessuna».

    Grice si protese verso di lei. «Quindi vostro genero, quello dal sonno leggero, stava sonnecchiando mentre a pochi metri la moglie veniva brutalmente accoltellata?».

    La signora Dillinger si alzò di scatto e si appoggiò alla mensola sopra il camino.

    «Signor Grice!», dissi, e feci un passo verso di lei, ma lui mi lasciò intendere con un cenno di rimanere indietro.

    «Sui vestiti di vostro genero c’erano macchie di sangue?»

    «Ne era coperto». La signora Dillinger chiuse gli occhi. «L’ha presa tra le braccia».

    Parlava così piano che quello che diceva si sentiva appena e aveva il fiato grosso.

    «E vostra figlia era già morta?»

    «Sì, credo di sì». Alzò d’un tratto la voce. «Non lo so».

    Sidney Grice scrisse qualcos’altro sul suo taccuino. Aveva una piccola cicatrice sull’orecchio destro, notai.

    «In quel momento in casa non c’era nessun altro?»

    «No. Nessuno».

    Sidney Grice si soffermò a guardarla. «Voi dov’eravate?», le chiese.

    «In chiesa».

    «Di lunedì sera?»

    «C’era un incontro della pia società per la conversione dei bambini pagani in Africa».

    «Non che ne manchino a Londra», osservò il detective. «Vostra figlia e vostro genero erano felicemente sposati?».

    La signora Dillinger scoppiò a piangere e Sidney Grice si tamburellò i denti con la matita. Erano bianchi e dritti.

    «Come potete farle questo?», gli chiesi.

    «Non è nulla in confronto a quello che le chiederanno la polizia e il pubblico ministero».

    «Io pensavo che voi foste dalla mia parte», disse la signora Dillinger.

    «Non capisco cosa possa avervi indotta ad arrivare a tale conclusione», ribatté Sidney Grice. «Non mi pare di aver espresso il mio sostegno alla vostra causa».

    La signora Dillinger lasciò la presa sulla mensola del camino e barcollò.

    Io mi tenni pronta nel caso crollasse.

    «Be’, allora devo andare a cercare qualcuno che lo sia».

    Sidney Grice scrollò le spalle, ma la donna rimase dov’era.

    «Vi ripeto la domanda», le disse lui. «Vostra figlia e vostro genero erano felici?»

    «Molto… si amavano moltissimo. Lui chiamava la mia Sarah la luce…», si fermò, incapace di proseguire.

    «Gradite un bicchiere d’acqua?», le chiesi, ma lei mormorò: «No, grazie».

    La presi per un braccio e la feci risedere, accomodandomi a mia volta su una delle sedie dallo schienale dritto.

    Sidney Grice batté i piedi e disse: «Avevano per caso problemi di natura finanziaria?»

    «Non più di chiunque altro. Guadagnavano abbastanza da tirare avanti». La signora Dillinger si schiarì la voce.

    «Guadagnavano?»

    «Anche Sarah lavorava in negozio».

    «Voi avete un lavoro?»

    «Do lezioni private di pianoforte e francese e qualche volta faccio la bambinaia».

    «Per soldi?»

    «Sì. Ho bisogno di più denaro da quando mio marito non c’è più».

    «Come è morto?».

    La signora Dillinger rabbrividì. «È stato ucciso sul ponte di Westminster da un malvivente che gli ha rubato l’orologio di suo padre. Tra l’altro, quell’orologio nemmeno funzionava. È per caso un elemento importante?».

    Sidney Grice strinse le labbra. «Ancora non lo so. Vostra figlia aveva un’assicurazione sulla vita?».

    La porta d’ingresso sbatté e si sentì il rumore di passi concitati nel corridoio.

    «Sì, ma credo con un premio molto basso, anche se non sono a conoscenza di tutti i dettagli». La signora Dillinger si irrigidì. «E comunque non vedo cosa c’entri».

    «Per la corte, c’entra sempre tutto. Quanti anni aveva…», Sidney consultò i suoi appunti, «…Sarah?»

    «Diciannove».

    «Era più piccola di me», osservai.

    Grice disse: «Per favore, non vi intromettete, signorina Middleton. Quanti anni ha vostro genero, signora Dillinger?»

    «Trentaquattro».

    L’orologio sulla mensola batté il quarto d’ora.

    «Una discreta differenza d’età». Il detective si appoggiò allo schienale. «Forse vostra figlia era stanca di stare con un uomo più grande».

    «Quindici anni non sono niente», fece la signora Dillinger. «E poi ve l’ho detto… si amavano».

    «Forse lui l’ha trovata con un altro uomo e, in uno scatto d’ira, l’ha uccisa».

    La donna raddrizzò la schiena. «Sarah era una ragazza fedele e rispettabile che non avrebbe mai tradito suo marito, e mio genero è un uomo gentile e premuroso. Non potrebbe mai essere stato tanto violento».

    «Dov’è adesso?». Sidney Grice fece uscire un altro po’ di mina dal portamine.

    «Lo stanno trattenendo alla stazione di polizia di Marylebone».

    «E qual è l’indirizzo del luogo del delitto?»

    «Mangle Street 13, Whitechapel».

    «Mangle Street», meditò il mio tutore. «Una strada con una bella storia. So di altri sei omicidi avvenuti nella stessa via. Il primo dovrebbe essere stato nel 1740, se non ricordo male, e il più recente mi pare sia stato quello di una certa Matilda Tassel e delle sue due figlie, uccise con un’accetta».

    «Che tragedia!», esclamai.

    «Vi ringrazio per la vostra acuta critica forense, signorina Middleton». Sidney Grice si grattò una guancia. «Forse è stato William a ucciderle».

    «O forse il loro assassino è la stessa persona che ha pugnalato Sarah».

    «Credo che il marito della signora Tassel sia morto di consunzione mentre era ancora in attesa del processo», disse Sidney Grice, «ma controllerò meglio nel mio archivio più tardi. Un’ultima cosa», stava ancora scrivendo, «i miei servizi sono molto costosi e le vostre disponibilità sono invece evidentemente limitate. Come pensate di potervi permettere di pagare il mio onorario?».

    La signora Dillinger prese un fazzolettino bordato di nero da una tasca del cappotto. «Ma di certo la vostra prima preoccupazione è che giustizia sia fatta».

    Il detective fece un sorriso tirato. «Potrebbe essere un bel passatempo, ma se girasse voce che sono disposto ad abbassare le mie esagerate tariffe per i poveretti che se lo meritano, mi ritroverei tutti i più sfacciati criminali di Londra seduti sulle scale d’ingresso».

    «Ma io non ho soldi».

    Il mio tutore inarcò il sopracciglio sinistro. «Allora come pensate di pagarmi per la mia consulenza?».

    La signora Dillinger rivolse uno sguardo vacuo prima a me, poi a lui. «Pensavo…».

    «Non me ne faccio niente dei vostri pensieri», la interruppe Sidney Grice. «Voglio il vostro denaro».

    Le si riempirono gli occhi di lacrime.

    «Non avete nemmeno un briciolo di umanità?», gli dissi io.

    «Non sono né stupido, né sentimentale, se è questo che intendete».

    La signora Dillinger si strofinò la fronte. «Pagherò qualsiasi cifra».

    «Questa», Sidney Grice tenne il portamine in verticale, «è una Mordan Mechanical d’ultima generazione, placcata in argento e con le mie iniziali incise. È un regalo di uno dei molti clienti che mi sono riconoscenti e sarà costata circa ventiquattro ghinee. Non credo che voi possediate tanto denaro».

    La signora Dillinger ripiegò il fazzoletto e con un angolo si asciugò le lacrime. «Vi pagherà William. Ha un reddito dignitoso».

    «Che però, visto che è in carcere, al momento è pari a zero e, quando la condanna a morte verrà eseguita, si estinguerà», osservò Sidney Grice.

    La donna risprofondò sulla sedia. «Siete un mostro».

    «Ci teniamo entrambi a proteggere un uomo innocente», rispinse la mina all’interno del portamine, «tuttavia nel mio caso la posta in gioco e quindi la remunerazione sono più alte».

    «Ma io non ho nulla da darvi».

    Sidney Grice si strinse nelle spalle. «Allora neanche io posso darvi nulla, e vostro genero finirà quasi certamente impiccato». Chiuse di scatto il taccuino. «Vi auguro buona giornata, signora Dillinger. Vi arriverà il conto con la prossima corrispondenza».

    Entrò Molly, portando un vassoio smaltato di nero con il tè. «Devo portare un’altra tazza, signore?»

    «Non è necessario. La nostra ospite sta per lasciarci».

    La signora Dillinger si alzò di nuovo, stordita, pensando a come avrebbe potuto procurarsi il denaro necessario. Mi alzai anch’io per tentare di calmarla.

    «Accompagna alla porta la signora Dillinger, Molly».

    Per qualche strana ragione Molly si voltò verso di me. Io distolsi lo sguardo.

    «Da questa parte, prego, madame». Una ciocca di capelli le sfuggì dalla cuffietta e le finì penzolante sull’orecchio.

    «No», dissi io.

    Sidney Grice mi rivolse un’occhiata tagliente. «Cosa?»

    «Forse la signora Dillinger non ha soldi», dissi, «ma io ho ereditato un piccolo portafoglio azionario. Non so se seguite la Borsa».

    «Io non corro mai alcun rischio».

    «Ho un migliaio di azioni della compagnia mineraria Blue Lake, della Columbia britannica, che attualmente sono valutate due scellini e sei penny l’una. In totale, saranno centoventicinque sterline. Non so quali siano le vostre tariffe, ma potete prendere l’intero pacchetto, se acconsentite a occuparvi di questo caso».

    Il volto di Sidney Grice era privo di espressione. «Ci penserò». Lo disse con una tale disinvoltura che capii che gli avevo offerto molto più di quanto lui di solito chiedeva come onorario.

    Trassi un breve respiro. «C’è, tuttavia, una condizione».

    «Quale?»

    «Che io possa accompagnarvi durante le indagini». Persino mentre glielo proponevo, sapevo che mi avrebbe risposto che era fuori discussione. «Voglio verificare come vengono spesi i soldi di mio padre», aggiunsi. «E poi potrei esservi di qualche aiuto».

    Il detective fece un sorrisetto. «Non riesco a immaginare in quale modo, ma potrebbe essere divertente. Molto bene, signorina Middleton. Consideratemi al vostro servizio».

    6

    La bandiera verde

    Quando la signora Dillinger lasciò la biblioteca, Sidney Grice sorrise appena.

    «La vostra eredità svanirà in un soffio, se vi lasciate impietosire da tutti i disgraziati che vengono a bussare alla mia porta».

    Mi sforzai di mantenere la calma. «Ma voi non avete cuore? Il marito e la figlia di quella donna sono morti in modo orribile, suo genero rischia la forca e lei non ha altro che un bimbo in grembo, al quale probabilmente non sarà in grado di provvedere».

    «Se voleva l’elemosina, avrebbe dovuto andare al ricovero per i poveri». Tirò il taccuino sul tavolo. «O alla chiesa cristiana che dice di frequentare. E poi, come fate a essere sicura che quel tale non sia colpevole?».

    Mi sedetti di fronte al mio tutore e riflettei sulla sua domanda, senza tuttavia riuscire a fornirgli una risposta.

    «Ci sono diversi precedenti per delitti come questo», mi disse. «Il più recente è quello di Jonathon Carvil, l’accoltellatore di Sidmouth, come è stato ribattezzato in modo pittoresco dalla stampa di bassa lega. A un primo sguardo, i dettagli sono straordinariamente simili. Anche lui sosteneva di sonnecchiare nella stanza accanto mentre la moglie veniva macellata… e non per modo di dire. Il suo corpo venne sezionato e legato come se dovesse finire sullo spiedo. Le mani non furono mai trovate. Venne fuori che Carvil aveva intercettato un messaggio che la donna aveva scritto al suo amante, proprio quel giorno. Spero che non vi scandalizziate per così poco, signorina Middleton».

    «No, non credo proprio», gli risposi. «E, per favore, chiamatemi March».

    «Molto bene, March», disse lui. «Di solito sono un tipo informale, ma visto che siete sotto la mia custodia, non credo sia il caso che vi rivolgiate a me con il mio nome di battesimo».

    «Non me lo sarei mai sognato». Versai a entrambi il tè nelle tazze di un servizio dal disegno cinese.

    «Alt», urlò il mio tutore, quando sollevai il bricchetto del latte.

    «Che succede?»

    «Io non bevo secrezioni mammarie di bovini. Persino l’odore mi nausea».

    «La fate sembrare una cosa disgustosa».

    «È una cosa disgustosa. Soprattutto considerando che la mucca ha tutto quel latte da mungere perché il vitello le è stato strappato via per essere macellato. Se non fossi un ospite eccellente, il latte non lo terrei nemmeno in casa. Basta la parola a darmi il voltastomaco».

    Posai il bricchetto e gli chiesi: «Che fine ha fatto Carvil?»

    «Anche lui diceva di essere stato svegliato dal campanello della porta. La giuria non gli ha creduto».

    «Avete preso parte alle indagini?».

    Notai che non vi erano quadri alle pareti, né fotografie sul tavolo.

    «Carvil mi ha chiesto una consulenza». Annusò il tè con fare sospettoso. «Io gli avevo suggerito di scappare dal Paese, ma lui ha ignorato il mio consiglio e ne ha patito le conseguenze. Non mi è mai piaciuto perdere un cliente, ma quest’episodio mi ha insegnato una cosa molto importante: bisogna insistere sempre per essere pagati in anticipo». Fece una smorfia e tirò con uno strattone il cordoncino del campanello. Alla fine di esso pendeva un teschio d’avorio che ondeggiò quando lui lo lasciò andare. «Questo tè è freddo e cattivo».

    «E credete che il caso degli Ashby seguirà lo stesso corso?»

    «Quasi certamente». Sidney Grice mi tirò la lettera. «Datele uno sguardo».

    Sulla busta c’era una scritta a matita, tutta vergata in uno sgraziato maiuscolo.

    Signor Detective Grise

    La grafia della lettera era simile, le parole inclinate a destra.

    Caro signor Grise,

    per favore mi aiuti sono innociante

    con la massima sinceritudine

    William Ashby.

    Molly entrò e lui le disse: «Riempimi la bottiglia, Molly. Quando suoneranno alla porta, andrò io stesso».

    «Sì, signore». Molly uscì.

    «Che idea vi siete fatta?», mi chiese quindi Sidney Grice.

    «L’ha scritta qualcuno che non ha studiato».

    «Questo mi sembra ovvio. Ma perché?»

    «Per chiedere il vostro aiuto», risposi.

    Sidney Grice fece una smorfia. «Non credo proprio», disse. «Perché mandarmi quegli scarabocchi da mezzo analfabeta tramite una donna attraente e di buon eloquio che patrocini la sua causa?»

    «Mi pare che vi siate fatto un’ottima opinione di lei», osservai.

    Sidney Grice si toccò l’orecchio. «Una delle donne più intelligenti in cui mi sia mai imbattuto», replicò.

    Finii il mio tè e gli chiesi: «E allora quale altra ragione ritenete che abbia avuto quell’uomo per scrivervi?».

    Sidney Grice si mise un dito sull’occhio. «Non lo so ancora». Spinse l’occhio in direzione del naso. «Ma sono intimamente convinto che la soluzione del problema risieda proprio in questa lettera». Si alzò. «Comunque, abbiamo già perso abbastanza tempo. Devo issare la bandiera».

    Uscimmo in corridoio, dove attaccato al muro c’era una specie di piccolo volante d’ottone che Sidney Grice ruotò in senso antiorario, facendogli fare circa una mezza dozzina di giri.

    «Serve ad alzare una bandiera verde all’esterno», mi spiegò. «I vetturini della zona sanno che verranno ben ricompensati se accorreranno al segnale».

    Molly ci corse incontro con una bottiglia marrone che lui le tolse di mano senza proferire parola e fece scivolare in una borsa a tracolla di pelle tutta graffiata, poggiata sul tavolino. Poi, da un appendiabiti sul muro di fronte, prese un cappotto dal grande colletto e dagli ampi risvolti.

    «Dove stiamo andando?», gli chiesi.

    Sidney Grice si fermò, un braccio ancora infilato a metà nella manica. «Stiamo?»

    «Avete dimenticato la condizione che ho posto?»

    «Io non dimentico mai nulla», mi rispose, finendo di infilarsi il cappotto, «tantomeno le condizioni, e vi permetterò di prendere parte a tutti gli interrogatori che condurrò per questo caso. Adesso, però, sto andando alla camera mortuaria e non credo sia il posto adatto in cui intrattenersi per una giovane signora come voi».

    «Io non ho chiesto di essere intrattenuta», gli dissi, «e, se non mi porterete con voi, il nostro accordo potrà considerarsi concluso».

    Sidney Grice scelse un bastone in ebano con il pomello d’argento da un antico portaombrelli in quercia. «Sareste così cattiva da deludere la signora Dillinger solo perché non l’avete avuta vinta?». Calzò un cappello di morbido feltro a tesa larga.

    «La rottura del contratto non sarebbe da imputare a me».

    Il campanello suonò. «Non è un posto che si addice alla sensibilità femminile», ripeté.

    Girò la maniglia in senso orario e si mise in spalla la tracolla.

    «Sarò anche femminile», replicai, «ma nessuno mi ha mai accusato di essere sensibile. Non mi lasciate altra scelta, dovrò ritirare la mia offerta».

    Grice si accigliò e aprì la porta a un vetturino. «Sto arrivando». Si girò di nuovo verso di me. «Non intendo farmi tiranneggiare, specialmente da una ragazza». Arraffò un paio di guanti di pelle. «Fa molto freddo nelle camere mortuarie. Avrete bisogno del cappotto».

    7

    La carrozza

    Durante il viaggio in carrozza, mi fornì delle spiegazioni.

    «Le prove si deteriorano», disse, «ma a velocità molto diverse. Le piramidi costruite dagli egizi, ad esempio, sono ancora là anche dopo migliaia di anni, ma se una farfalla si posa sul davanzale, le tracce della sua presenza spariranno al primo soffio di vento».

    «A meno che qualcuno non riesca a fotografarla», replicai, e il mio tutore fece schioccare la lingua in segno di disapprovazione.

    La vettura girò barcollante intorno a un mucchio di legna e Sidney Grice proseguì: «Ci sono principalmente tre posti in cui possiamo trovare delle prove, in questo caso. Prima di tutto sulla vittima, o meglio, sul suo corpo. E questo deve essere il nostro primo campo d’indagine, perché i cadaveri e gli indizi che nascondono si deteriorano in fretta. In secondo luogo, sulla scena del crimine. Più a lungo un indizio vi rimane, più probabilità ci sono che esso venga deliberatamente o accidentalmente distrutto o rimosso. Infine, sullo stesso sospettato. Possiamo occuparci di lui per ultimo, perché sappiamo che tanto non andrà da nessuna parte. Questo potrebbe significare che avrà più tempo per ritoccare la sua versione dei fatti. Tuttavia, almeno stando alla mia esperienza, più tempo un criminale trascorre sotto la custodia della polizia, più i nervi gli si logorano, confondendolo o persino inducendolo a confessare. Una volta che avremo identificato ed esaminato queste tre voci – la vittima, il luogo del delitto e l’assassino – sarà solo questione di metterle in relazione tra loro. A quel punto potremo tornarcene a casa, prenderci una bella tazza di tè e goderci l’impiccagione». Sidney Grice prese la bottiglia dalla borsa, la stappò e bevve un sorso. «La bottiglia mantieni-calore Grice», mi disse. «È stata realizzata in base alle mie istruzioni da un laboratorio di vetro soffiato sull’isola di Murano».

    Prendemmo una buca e io sbattei la testa contro il finestrino. «A che serve?»

    «Be’, tiene il tè in caldo, cosicché io possa berlo bollente per oltre tre ore». Ne prese un sorso. «In pratica, sono due bottiglie una dentro l’altra e nell’intercapedine tra le due c’è lana d’agnello che, come saprete, è perfetta per evitare la dispersione del calore. Ecco perché la usiamo per vestiti e coperte». Diede un’altra sorsata e rimise il tappo, premendolo bene con il pollice. «Un giorno, mi concentrerò solo sulla realizzazione della mia invenzione e mi ritirerò nella mia tenuta nel Dorset, dove scriverò le mie memorie e mi dedicherò alle trivellazioni petrolifere e all’apicoltura».

    Il cavallo inciampò e la carrozza traballò.

    «Avrei una miglioria da suggerirvi». Mi tenni alla maniglia. «Potreste progettare una tazza da mettere sopra la bottiglia, magari incastrandola».

    «E quale beneficio ne trarrei?»

    «Be’, così potreste offrire un goccio anche ai vostri accompagnatori», gli risposi.

    Sidney Grice considerò la questione, poi scosse il capo. «Renderei solo la produzione del manufatto più difficile e dispendiosa. Tra l’altro, io non viaggio mai con qualcuno a cui potrei voler offrire il mio tè. Ce ne sarebbe di meno per me, che senso avrebbe?»

    «Sarebbe un gesto gentile», gli dissi.

    Il mio tutore alzò gli occhi al cielo. «I poveri, mi è stato detto, sono gentili gli uni con gli altri, ma solo perché non hanno niente da perdere», obiettò. «I ricchi non possono permetterselo. Che idea vi siete fatta della signora Dillinger?». Ripose la bottiglia.

    «Mi è sembrata una donna molto a modo», gli risposi.

    «Ma cosa avete notato in lei?».

    Lasciai andare la maniglia. «Deve essere stata ricca, e poi è caduta in disgrazia, ma non è in una condizione disperata».

    «E come siete giunta a questa conclusione?».

    Un uomo in groppa a un cavallo grigio pomellato ci superò e mi mandò un bacio.

    «Indossava un vestito di buona qualità, ma non ha potuto permettersi di acquistare degli abiti nuovi per il lutto, così ha tinto quelli che aveva e vi ha fatto qualche piccola riparazione. Portava anche un anello di rubino che dev’essere stato di gran valore, e non è stata ancora costretta a venderlo. Voi cosa avete notato?»

    «Tutte queste cose», mi rispose Sidney Grice, «più gli occhi verdi più belli che abbia mai visto. Non mi stupirebbe se avesse anche lei del sangue aristocratico nelle vene».

    «Anche lei? In che senso?»

    «Anche lei, come me», rispose lui. «Charles Le Grice era al fianco di Guglielmo il Conquistatore durante la battaglia di Hastings e sarebbe diventato signore di tutta la Northumbria, se non avesse litigato con il re in merito a chi avesse scagliato la freccia che aveva ucciso un cervo a Colchester».

    «Non riesco proprio a immaginare un Grice che litiga con qualcuno», osservai, e il mio tutore mi lanciò un’occhiata.

    Un monello di strada si mise a correre a fianco della carrozza e saltò sul predellino.

    «Vi avanza un soldino, signore?».

    Il mio tutore lo colpì sulle dita con il bastone e il ragazzo cadde giù.

    «Come mai avete deciso di diventare un detective privato?», gli chiesi, mentre giravamo intorno a un banchetto di frutta.

    «Detective personale», mi corresse Sidney Grice. «Le stanze da letto sono private, io sono un detective personale».

    «Quando avete avuto il vostro primo caso?»

    «Quando andavo ancora a scuola», mi rispose. «Fui in grado di provare che lo studente che aveva vinto il premio di latino aveva barato ed era stato aiutato dal direttore del convitto, con il quale intratteneva una relazione che potrei definire solo come inappropriata».

    «Che nobile gesto».

    Stavamo procedendo a ritmo sostenuto lungo una strada dritta e lo scalpiccio degli zoccoli sull’acciottolato riecheggiava tra gli alti palazzi che si ergevano sul ciglio della via.

    «E redditizio», aggiunse Sidney Grice. «Il padre del ragazzo che ottenne meritatamente il premio mi diede due scellini. Fu allora che compresi che avrei potuto sfruttare la mia naturale arguzia, il mio acume, il mio eccezionale spirito d’osservazione e la mia prodigiosa intelligenza per dare la caccia ai criminali e trarne un profitto economico».

    La vettura rallentò.

    «Deve essere molto soddisfacente sapere che giustizia è stata fatta», osservai.

    Sidney Grice sbuffò. «Dà molta più soddisfazione vedere che la gente viene punita, ma mi piace accertarmi che siano le persone giuste a pagare il fio. Naturalmente, più si sale sulla scala sociale, più il compito diventa importante. Ci si può permettere di sbagliare se la persona in questione è un’incallita prostituta, ma bisogna essere davvero sicuri prima di impiccare un vescovo».

    Svoltammo su un vicolo angusto e ci fermammo. C’era spazio a sufficienza solo per sgusciare fuori dalla carrozza e strisciare lungo i fianchi di un alto edificio.

    «Aspettateci qui», fece Sidney Grice, ma il vetturino scosse il capo.

    «Non ci penso proprio», gracchiò. «Mi viene la pelle d’oca, diamine, e il cavallo mi si spaventa, e una bestia spaventata non è più utile delle pulci morte di un mendicante cieco. Sono lì, alla fine del vicolo».

    «State attenta al canale di scolo», mi disse Sidney Grice, quando ci ritrovammo davanti alla carrozza. «E al cavallo. I cavalli mordono».

    Bussò a una semplice porta nera. La bestia, riluttante, stava tornando sui propri passi.

    «Ai cavalli piace vedere dove stanno andando», osservò Sidney Grice.

    «Ne abbiamo anche in campagna», gli risposi.

    «Certo», ribatté lui, «ma questi sono cavalli londinesi». Lasciò cadere il battente e l’uscio si schiuse appena. «Buon pomeriggio, Parker».

    «Signor Grice». Ad aprirci la porta fu un ometto con un camice da laboratorio tutto macchiato. «Prego», disse, però appena facemmo un passo avanti ci fermò. «Ma che storia è questa? Lo sapete che alle signore non è consentito l’accesso qui».

    Sidney Grice si girò verso di me. «Vi avevo avvertita, signorina Middleton. Fareste meglio ad andare ad aspettarmi in carrozza».

    Mi infilai una mano in tasca e ne

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