Lo sfruttamento dei rider del food delivery: Caporalato, lavoro straniero e piattaforme digitali
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Anteprima del libro
Lo sfruttamento dei rider del food delivery - M. Davide Sartori
M. Davide Sartori
LO SFRUTTAMENTO
DEI RIDER DEL FOOD DELIVERY
Caporalato, lavoro straniero e piattaforme digitali
Elison Publishing
Photo by Henrique Hanemann on Unsplash.com
© 2022 Elison Publishing
Tutti i diritti sono riservati
www.elisonpublishing.com
ISBN 9788869633119
A Mariagiovanna,
per cui ancora non trovo parole…
Indice
Introduzione
Capitolo I
I nuovi caporalati
: la trasversalità di un fenomeno criminale
Capitolo II
Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro: inquadramento giuridico
Capitolo III
Il lavoro dei rider: tra autonomia e subordinazione
Capitolo IV
Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro in danno dei rider del food delivery
Capitolo V
Sfruttamento, rider stranieri e piattaforme digitali
Capitolo VI
La condizione degli stranieri extracomunitari nel mercato del lavoro italiano
Conclusioni
Bibliografia
Sitografia
L’Autore
Notes
Prefazione
Il volume che ora viene a luce affronta una questione di notevole attualità, ovvero lo sfruttamento lavorativo dei rider che operano per mezzo delle piattaforme digitali.
Trattasi di un fenomeno in preoccupante crescita ed è merito dell’Autore aver compreso l’importanza di approfondire i profili comuni fra il caporalato agricolo e quello legato all’utilizzo delle piattaforme digitale. In particolare, l’Autore è stato capace di guardare oltre la superficie dei fenomeni per indagare quali siano i fattori istituzionali che favoriscono lo sfruttamento lavorativo degli immigrati e delle immigrate extraUE in Italia.
Infatti, sebbene l’Autore non ignori l’importanza della repressione penale del grave sfruttamento lavorativo, egli approfondisce anche le contraddizioni insite nel complessivo apparato normativo che regola il fenomeno concernente l’accesso al territorio italiano per lavorare. Così facendo, l’Autore ne svela le conseguenze sul regolare funzionamento del mercato del lavoro. Conseguenze che – è sempre bene ricordare – interessano tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici, siano essi nativi o stranieri. Non è un caso che, come è noto, la Costituzione italiana riconosca una soggettività specifica al lavoratore affermando che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni
.
In effetti, è merito di Sartori l’aver sottolineato come sia assolutamente insufficiente l’apparato giuridico vigente e, allo stesso tempo, l’importanza di dialogare – e quindi, valorizzare – la giurisprudenza che si sta occupando di questo delicato problema.
Monica McBritton
Prof.ssa Associata di Diritto del Lavoro
Università del Salento
Introduzione
Pensare che il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento lavorativo riguardi solo il settore agricolo e le zone rurali del nostro Paese è un errore. Un errore che potrebbe essere fatale se si guarda alla recente e significativa diffusione di tale fenomeno in altri settori di attività (ad es. nel settore domestico, manifatturiero, terziario etc.) ed in contesti non più solo periferici, ma anche urbani.
Proprio alla diffusione di caporalato e sfruttamento al di fuori dei settori più tradizionali
è dedicato il primo capitolo del presente lavoro, dove si porrà l’accento, in particolare, sulla preoccupante avanzata del fenomeno nel settore terziario e su come, ciononostante, gli interventi istituzionali di contrasto continuino a focalizzarsi sul solo settore agricolo.
È proprio nel settore dei servizi (il terziario) che si colloca il caso dell’intermediazione illecita e dello sfruttamento del lavoro in danno dei rider, soprattutto stranieri, del food delivery: si tratta dei c.d. ciclofattorini impiegati nella consegna di cibo a domicilio per il tramite di piattaforme digitali nelle principali città italiane.
Proprio attorno alla vicenda del caporalato sui rider si svilupperà il presente lavoro. Per farlo, nel secondo capitolo, si illustrerà la normativa vigente in materia di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603 bis c.p.) e di impiego di lavoratori stranieri irregolari (art. 22, d.lgs. n. 286/1998).
Successivamente, nel terzo capitolo, si affronterà il tema della difficile qualificazione giuridica del rapporto di lavoro del rider (in bilico tra autonomia e subordinazione), analizzando le più importanti pronunce giurisprudenziali a riguardo ed evidenziando le principali criticità del recente intervento normativo in materia (l. n. 128/2019).
Alla ricostruzione e all’analisi delle pronunce del Tribunale di Milano (ad oggi le uniche) in materia di sfruttamento del lavoro ed intermediazione illecita in danno dei rider è poi interamente dedicato il quarto capitolo.
Le peculiarità delle pratiche di sfruttamento sviluppatesi nell’ambito della c.d. gig economy verranno analizzate nel quinto capitolo, ponendo l’accento sul riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro del rider operata dai giudici milanesi, necessaria ai fini dell’applicazione della fattispecie di cui all’art. 603 bis c.p. Quindi si tornerà sulla cruciale questione qualificatoria del rapporto di lavoro dei ciclofattorini e sul vivace dibattito dottrinale sviluppatosi sull’argomento, oltreché sulla più recente giurisprudenza in materia. Allo stesso tempo si cercherà di dimostrare come anche queste nuove forme di caporalato, germogliate nell’ambito del capitalismo digitale, condividano con le più tradizionali
elementi tipici del fenomeno, quali l’impiego di lavoratori stranieri in condizione di bisogno.
Infine, nel sesto capitolo, evidenziando le criticità del sistema italiano di ingresso e soggiorno per motivi di lavoro di stranieri extra-UE – si indagheranno le cause della precaria condizione giuridica che caratterizza larga parte della forza lavoro migrante, rendendola particolarmente vulnerabile e ricattabile, quindi più esposta a pratiche di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Capitolo I
I nuovi caporalati
: la trasversalità di un fenomeno criminale
SOMMARIO: 1. Il c.d. caporalato: definizione e caratteristiche di un fenomeno plurale. – 2. La diffusione di caporalato e sfruttamento lavorativo al di fuori dei settori tradizionali. – 3. L’avanzata di caporalato e sfruttamento lavorativo nel terziario. – 4. La focalizzazione degli interventi di contrasto nel solo settore agricolo.
1. Il c.d. caporalato: definizione e caratteristiche di un fenomeno plurale.
Con il termine caporalato
si intende comunemente un sistema informale di intermediazione di manodopera nel quale il mediatore (c.d. caporale) sottrae una quota del compenso del lavoratore che viene reclutato per svolgere la prestazione presso terzi in condizioni irrispettose della normativa sul lavoro¹.
Si tratta di una forma di sfruttamento lavorativo che interessa diversi settori produttivi (fra cui i trasporti, le costruzioni, la logistica e i servizi di cura), ma in modo particolare quelli che si prestano all’impiego di manodopera priva di specializzazione o ad attività stagionali; risulta storicamente diffuso, infatti, in settori produttivi quali l’agricoltura e (in misura minore) l’edilizia.
Questo sistema informale di reclutamento spesso determina il costituirsi di rapporti nell’ambito dei quali i lavoratori sono sottoposti a condizioni degradanti, in violazione della disciplina prevista per la loro tutela ed approfittando del loro stato di bisogno².
Frequentemente ‹‹in questo ambito si inseriscono pratiche, anche sofisticate, di sfruttamento della manodopera, spesso migrante, programmate e organizzate da imprenditori che agiscono in forma criminale. Queste ultime pratiche, spesso penalmente rilevanti, si fondano sull’adozione di condizioni economiche vessatorie ma anche di linguaggi e comportamenti che determinano dipendenze, a volte integrali, della manodopera anche in considerazione delle esigenze dei lavoratori di acquisire documenti e sbrigare pratiche amministrative indispensabili per la loro regolarità››³.
Non stupisce che oggi questo fenomeno riguardi in particolar modo i lavoratori stranieri: caratteristica fondamentale del caporalato
è che la sua opera di mediazione si concentra sulle fasce più deboli della forza lavoro⁴, cui appartiene larga parte della popolazione immigrata.
Difatti, come meglio si vedrà in seguito (v. cap. 6), la precarietà della condizione giuridica di molti lavoratori stranieri li rende particolarmente vulnerabili, esponendoli in misura maggiore a questa pratica di reclutamento informale. Basti pensare al migrante irregolare, senza permesso di soggiorno e quindi facilmente ricattabile, ma anche al migrante con permesso di soggiorno che – pur titolare di diritti – deve la propria regolarità ad un contratto di lavoro che non potrà permettersi di perdere⁵.
Il caporalato in agricoltura, come detto, era ed è a tutt’oggi quello quantitativamente più consistente⁶.
D’altra parte questo sistema d’intermediazione di lavoro risulta tanto più presente quanto maggiore è la distanza, geografica o linguistica, tra le aziende agricole e le persone in cerca di lavoro, o quanto più risultano complicati logistica ed organizzazione del lavoro e della manodopera (si pensi alla raccolta del pomodoro da industria)⁷.
In particolare nel contesto agricolo (soprattutto meridionale), il fenomeno del caporalato ha prodotto e continua molto spesso a produrre situazioni di segregazione sociale e razziale in contesti abitativi degradanti (ghetti) che, oltre ad essere sprovvisti dei servizi essenziali (acqua corrente, luce, servizi igienici, etc.), sono lontani da centri abitati, da sedi istituzionali, da sedi sindacali, da ospedali, etc.
Così il sistema del caporalato in agricoltura si è arricchito
, nel tempo, di una serie di attività ulteriori rispetto a quella classica
del reclutamento: si pensi al trasporto nei campi e in altri luoghi (stazioni, negozi, ospedali, etc.), al reperimento e alla gestione dell’alloggio, alla fornitura di cibo e acqua nel luogo di abitazione e nei campi, alla supervisione del lavoro e all’organizzazione dell’intera permanenza del bracciante sul luogo di lavoro⁸.
Ma il caporalato nel contesto agricolo è anche ‹‹parte di una rete criminale che si incrocia perfettamente con la filiera del cibo, dalla produzione al trasporto, alla distribuzione e alla vendita, con tutte le caratteristiche necessarie per attirare l’attenzione delle organizzazioni criminali››⁹.
Dunque non può certamente considerarsi un fenomeno estraneo agli interessi e alle attività della criminalità organizzata del settore; anzi si può ormai parlare di vera e propria connivenza del caporalato con le c.d. agro-mafie
¹⁰.
Tuttavia se è sul caporalato agricolo che, sino ad ora, si sono concentrate le più significative iniziative di contrasto (v.§4), continuano ad esistere manifestazioni del fenomeno non trascurabili anche in altri settori (v.§2).
Non si tratta, infatti, di un fenomeno omogeneo ma multiforme, che è stato capace di inquinare
i più svariati settori produttivi (dall’allevamento al manifatturiero), facendo – da ultimo – la sua comparsa in quello dei servizi (v.§3). Ed è proprio in quest’ambito che, ancora una volta, ha dato prova della sua grande capacità di adattamento: le recenti vicende giudiziarie del settore del food delivery dimostrano come il caporalato sia riuscito a trovare uno spazio d’azione anche nelle attività della c.d. gig economy, dando prova che il progresso tecnologico e l’impiego delle più avanzate tecnologie digitali non rappresentano un ostacolo alla sua diffusione (v. cap.4).
D’altronde il caporalato costituisce, ad ogni evidenza, un meccanismo di reperimento della manodopera che avvantaggia gli imprenditori, i quali possono così usufruire della prestazione lavorativa senza dover garantire il rispetto dei vincoli imposti dalla normativa e senza doverne sostenere i relativi costi. Ma, d’altra parte, la complessità anche sociale del fenomeno risiede nel fatto che questo sistema di reclutamento viene preferito
dagli stessi lavoratori coinvolti ai canali ufficiali di accesso al lavoro (considerati, per varie ragioni, inadeguati)¹¹.
È opinione diffusa e largamente condivisa che l’attuale versione dell’art. 603-bis del codice penale (come modificato dalla legge n.199/2016), abbia superato molte delle criticità della precedente normativa e costituisca oggi uno strumento repressivo del fenomeno molto più efficace rispetto al passato.
Pur rinviando al prosieguo della trattazione (v. cap. 2) per una dettagliata analisi giuridica della fattispecie, è utile preliminarmente ricordare che il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all’art. 603-bis c.p. punisce chi, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori:
recluta manodopera per destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento;
«utilizza, assume o impiega manodopera» sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento anche avvalendosi di attività di intermediazione.
La disposizione, inoltre, fornisce all’interprete degli importanti strumenti ermeneutici, individuando degli indici
dello sfruttamento, quali:
la reiterata corresponsione di retribuzioni palesemente difformi dalle previsioni dei contratti collettivi di lavoro o comunque sproporzionate rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
la reiterata violazione della normativa in materia di orario di lavoro, periodi di riposo, riposo settimanale, aspettativa obbligatoria e ferie;
violazioni delle norme in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro;
sottoposizione del lavoratore a degradanti condizioni di lavoro, alloggiative o di sorveglianza.
La nuova fattispecie di reato si mostra sicuramente capace di abbracciare un ampio spettro di condotte nelle quali può sostanziarsi il fenomeno criminale, tuttavia la decisa prevalenza del fenomeno in agricoltura (con le sue ricadute sull’intera filiera agroalimentare) e gli straordinari livelli di sfruttamento e di offesa della dignità umana che il caporalato ha fatto registrare in alcune aree rurali (in particolare del sud-Italia), hanno generato una focalizzazione degli interventi istituzionali di contrasto in questo settore tale che l’attuale modello di lotta al caporalato nel nostro Paese sembra costruito quasi esclusivamente intorno al caporalato agricolo (v.§4).
Resta però da chiedersi se la presenza del fenomeno in altri settori e la sua crescente diffusione in nuovi contesti lavorativi non esigano strategie d’intervento nuove ed a più ampio spettro, in grado di contrastare in maniera più efficace un ‹‹fenomeno sociale allarmante, idoneo ad esporre in pericolo non solo la dignità, l’incolumità personale e, nelle ipotesi più gravi, la vita dei lavoratori, vittime di sfruttamento, ma anche foriero di conseguenze pregiudizievoli sulla leale concorrenza del mercato, ‘macchiata’ da imprese che si avvalgono di manodopera impiegata in modo illegale al solo fine di massimizzare i profitti e abbattere i costi, oltreché causa di rilevanti danni alle casse dello Stato in termini di evasione contributiva››¹².
2. La diffusione di caporalato e