Abruzzo: dalla prima alla seconda modernità
Di Federico Zia
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Abruzzo - Federico Zia
Note
Introduzione
Come rilevato da Confindustria Abruzzo, il sistema produttivo abruzzese, e con esso l'intero sistema socioeconomico della regione, continua a presentare caratteri di estrema fragilità in un ambiente politico, economico, finanziario, infrastrutturale e di cultura imprenditoriale ancora lontano dalle realtà più sviluppate ed economicamente più mature del centro-nord e dell'Europa. Tale fragilità si inserisce su di un tessuto industriale composto per la grandissima parte di piccole e medie imprese, che costituiscono di fatto l'imprenditoria locale.
Il sistema industriale abruzzese sviluppatosi a macchia di leopardo
sul territorio determinando zone di maggiore vivacità imprenditoriale sulla costa contrapposte a zone di mancato sviluppo e arretratezza all’interno, è caratterizzato da debolezze strutturali quali:
la mancanza di proprie strategie commerciali come dimostra la forte dipendenza per le lavorazioni su commessa;
la difficoltà di accesso al credito determinata da arretratezze del sistema creditizio regionale e dalla conseguente impossibilità pratica di attivare strumenti di finanza innovativi a livello locale;
la scarsa propensione ad introdurre costantemente ed in tempi utili innovazioni tecnologiche, acuita da oggettive difficoltà connesse alla mancanza di centri di ricerca collegati all'impresa da una parte, e da una modesta cultura imprenditoriale e manageriale dall'altra.
svantaggio competitivo determinato da carenze infrastrutturali, gestione e cultura amministrativa inadeguate, lentezza della macchina amministrativa locale rispetto alle esigenze del mondo produttivo secondo i modelli di efficienza e speditezza richiesti dall’attuale scenario competitivo.
All’insieme dei problemi segnalati da Confindustria vanno aggiunti anche quelli causati dal devastante sisma del 6 aprile 2009. Tale situazione si inserisce in una fase storica di transizione particolarmente delicata caratterizzata dal passaggio dalla cosiddetta prima modernità
, epoca della sicurezza, alla seconda modernità
, epoca delle insicurezze, che abbraccia l’intero pianeta e determinata dalla politica economica neoliberista basata sul libero mercato e causa della brasilianizzazione dell’occidente
, cioè l’irruzione della flessibilità, della precarietà, dell’insicurezza, che caratterizzano le forme lavorative del Sud del mondo.
Capitolo I: Il contesto abruzzese
Da lungo tempo c’è la sensazione comune che il lavoro in Abruzzo è in serio pericolo, un’ emergenza che riguarda due concetti fondamentali che rappresentano la trave portante della vita di ogni essere umano, la qualità
e la sicurezza
nel lavoro, aspetti che abbracciano la sfera delle condizioni di vita di ogni lavoratore e con lui della sua famiglia e comunità.
In particolare negli ultimi anni l’Abruzzo ha attraversato una grave crisi occupazionale che ha riguardato tutte le province, con le situazioni più difficili nella provincia di Chieti e nella provincia di L’Aquila. In Abruzzo diminuisce la ricchezza prodotta, diminuisce il reddito delle persone, diminuiscono gli investimenti, vanno in crisi le grandi aziende, cala l’esportazione dei prodotti abruzzesi, si allarga il lavoro sommerso.
L’ Abruzzo sta progressivamente indebolendosi economicamente rispetto al resto del Paese. Negli ultimi anni a causa della competitività nazionale ed internazionale, del progresso tecnologico, delle trasformazioni avvenute nel mondo della produzione e del consumo, della globalizzazione e variabilità dei mercati, dell’incapacità del Governo Regionale di impostare un rapporto con i grandi gruppi pubblici e privati, in terminidi politica industriale, sociale ed economica, la sicurezza nel lavoro in Abruzzo, come del resto in Italia,risulta seriamente minacciata, mentre secondo il parere di molti studiosi, la qualità nel lavoro è migliorata nella sua dimensione oggettiva.
E’ da sottolineare, tra l’altro, che il passaggio dalle aree meridionali a quelle in transizione dei fondi strutturali dell’Unione Europea, con i suoi molteplici effetti (diminuzione delle risorse finanziarie, aumento del costo del lavoro, incertezze sul futuro) ha colpito il già fragile tessuto industriale abruzzese riflettendosi negativamente sul versante degli investimenti e dell’ occupazione, determinando fenomeni di delocalizzazione. Inoltre l’Abruzzo è inserito in un contesto nazionale che è in forte svantaggio competitivo (dotazioni infrastrutturali, efficienza della pubblica amministrazione, investimenti per ricerca e sviluppo, sistemi formativi, etc.) rispetto alle altre aree europee e internazionali più sviluppate. Basti pensare che l’Italia è il paese meno capace di attrarre investimenti esteri tra quelli europei .
Tornando alla situazione abruzzese bisogna considerare il fatto che la regione presenta anche dei potenziali punti di forza su cui intervenire in termini di valorizzazione:
un sistema regionale configurabile come regione-città per conformazione, distanze e basso numero di residenti, che dovrebbe facilitarne la gestione;
un sistema imprenditoriale di Piccole Imprese, con ampi margini di crescita;
un sistema di imprese del terziario avanzato in continua espansione;
una posizione geografica per certi versi vantaggiosa, collegamento Nord-Sud, sbocchi commerciali sui Balcani e sul Mediterraneo, la vicinanza a realtà metropolitane che possono trovare nella regione naturali sbocchi commerciali e turistici;
un patrimonio storico e naturale notevole per importanza e bellezza che evidenzia tutte le possibilità di un serio sviluppo del turismo.
Ciò che allo stato attuale dovrebbe essere tenuto maggiormente in considerazione è la vivibilità
del lavoro in Abruzzo, concetto che rimanda ad altri due concetti fondamentali, la qualità
e la sicurezza
nel lavoro, che determinano le giuste condizioni per reagire alla competitività perché da essi dipende la qualità del ciclo produttivo e quindi dei prodotti e dei servizi. Inoltre tali concetti regolano e qualificano le condizioni di vita di ogni lavoratore e in definitiva della sua comunità in generale e della sua famiglia in particolare.
1.1 La posizione del problema regionale
La regione Abruzzo è a serio rischio di deindustrializzazione, con tutti i settori produttivi che versano in gravi difficoltà, con un evidente squilibrio fra zona costiera e interno. Numerosi sono gli stati di crisi e le amministrazioni controllate di imprese, così come in aumento sono i ricorsi alla cassa integrazione e alla mobilità dei lavoratori.
Il declino riguarda tutte le province, a cominciare da quella dell’Aquila dove il polo elettronico è scomparso. Le aziende del settore che una volta erano presenti sul territorio e che davano occupazione a migliaia di persone stanno diventando un lontano ricordo. Le cause di tale deindustrializzazione possono essere ricercate in una malsana gestione politica,nella crisi internazionale e nella scarsissima innovazione tecnologica. Il panorama sconfortante include la Valle Peligna, industrialmente l’area più depressa per livello d’attività e con un elevato tasso di disoccupazione senza tralasciare i territori di Sulmona e Avezzano privi di prodotti e di mercati di riferimento. E’ necessario individuare le aree sottosviluppate nella provincia dell’Aquila e avviare al più presto un tavolo di concertazione per individuare gli indirizzi e i conseguenti progetti che possano essere sostenuti dall’Unione Europea.
Le cose non vanno meglio nella provincia di Pescara avvitata dentro un processo di recessione economica. A ciò si aggiunge l’aumento di precarizzazione selvaggia del lavoro. Di tale criticità, sono testimonianza le iscrizioni al collocamento, la debolezza della domanda da parte delle imprese, il tasso d’occupazione, la composizione della forza lavoro dipendente, con l’invecchiamento della popolazione lavorativa, il fortissimo incremento dei disoccupati di lunga durata. Allarmanti sono i dati sulla cassa integrazione, che registrano un’impennata nell’ultimo anno, mentre interi settori, quelli più deboli e marginali, rischiano di sparire dal mercato entro la stretta della globalizzazione.
E’ in difficoltà anche la provincia di Teramo, che ha una struttura economica diversa dalle altre province. Il tessuto imprenditoriale è formato da piccole e medie aziende la cui la vivacità imprenditoriale è sempre forte, come si evince dal saldo positivo tra nascite e cessazioni di aziende. In passato, il sistema s’identificava con l’impresa manifatturiera, soprattutto con il tessile e l’alimentare. Oggi si tende a diversificare tra l’economia della costa, caratterizzata dal turismo, e la zona interna, dove le difficoltà sono maggiori. Un volano di sviluppo è costituito dal Parco nazionale Gran Sasso–Monti della Laga, sotto forma di valorizzazione dell’ambiente, con la nascita di attività artigianali e aziende agrituristiche. Anche qui però mancano investimenti in ricerca e innovazione, formazione d’impresa e servizi avanzati. Nella provincia il declino è evidente nel tessile, concentrato nella Val Vibrata e nell’alimentare.
Uno scenario generale di crisi, che non risparmia le tre aree industriali della provincia di Chieti, Val di Sangro, Valle del Trigno e Val Pescara dove, stando ai dati delle ispezioni, cresce a dismisura il lavoro nero. La crisi vera e propria interessa la terza area, dove i vari settori industriali scontano pesanti ridimensionamenti. Dal tessile all’elettronica alla gomma.
E’ evidente in Abruzzo il fallimento della Strategia di Lisbona (rafforzare l'occupazione, la riforma economica e la coesione sociale nel quadro di un'economia fondata sulla conoscenza), ora sostituita dalla Strategia Europa 2020. La linea d'azione della Strategia di Lisbona si articolava attorno a tre assi principali, che consistevano nel:
preparare l'avvento di una società e di un'economia fondate sulla conoscenza;
preparare tale società e tale economia mediante politiche che rispondano meglio alle necessità della società dell'informazione, della ricerca e dello sviluppo, nonché mediante l'accelerazione delle riforme strutturali per rafforzare la competitività e l'innovazione e mediante il completamento del mercato interno;
modernizzare il modello sociale europeo investendo nelle risorse umane e lottando contro l'esclusione sociale mantenendo le condizioni di un'evoluzione sana dell'economia e le prospettive di crescita favorevoli grazie ad un opportuno dosaggio delle politiche macroeconomiche.
L’ Abruzzo è una regione inserita nel ciclo congiunturale nazionale e mondiale e ha risentito negativamente della congiuntura, fatica ad agganciarsi alla ripresa. Ha avuto uno dei maggiori incrementi nel settore del lavoro temporaneo e nonostante l’aumento di flessibilità la crisi permane, il mercato del lavoro non è più in grado di sostenere l’occupazione. Il mercato del lavoro non cresce perché non cresce il Pil e il Pil non cresce perché non ci sono nuovi investimenti e a ciò si aggiunge l’incremento della concorrenza dei Paesi emergenti. Bisogna concentrarsi sulle competenze, sulle produzioni, sui distretti locali di sviluppo, abbandonando le dispute campanilistiche. Confindustria Abruzzo, che non nega la difficile situazione attraversata dalla regione, ritiene che occorre guardare al futuro con occhi postindustriali
, puntando alla competitività e all’innovazione.
Quel che deve preoccupare non è l’oscillazione del tasso di disoccupazione, ma il progressivo peggioramento che si rileva nella qualità del lavoro abruzzese, da cui dipende la qualità dei prodotti e dei servizi e quindi la capacità competitiva.
La qualità si può misurare, a livello europeo, con l’indice di Lisbona. Questo indice misura la dinamicità del sistema economico e la sua capacità di valorizzare al meglio la risorsa umana. L’ indice migliora a livello europeo e si mantiene stabile in Italia. In Abruzzo, invece, si registra un netto peggioramento. L’indice di Lisbona peggiora per diversi motivi:
Diminuiscono gli occupati;
Diminuisce la forza lavoro ed in misura consistente: ciò significa che l’Abruzzo è una regione sempre più anziana
, dove i giovani sono pochi ed hanno poche opportunità di lavoro;
Aumenta inoltre il lavoro nero, precario ed irregolare, fatto dimostrato da indagini sul campo e dalla contemporanea diminuzione sia degli occupati che delle persone in cerca di occupazione.
Da questo scenario occorrerebbe trarre le giuste indicazioni di politica economica. Dovrebbe essere data maggiore incisività alle politiche della formazione, troppo centrate sugli individui e poco sullo sviluppo dei sistemi locali e sulle problematiche di competitività delle imprese. Politiche formative specifiche dovrebbero riguardare le aree dove sono presenti situazioni di particolare crisi e diffusi fenomeni di deindustrializzazione. Occorre quindi potenziare la qualità delle risorse umane e gli investimenti in ricerca. Questi sono interventi capaci di accelerare la ripresa del sistema e di produrre una migliore occupazione.
Nella qualità delle condizioni di lavoro rientra ovviamente anche la sicurezza sul lavoro. L’ Abruzzo presenta valori più alti rispetto alla media nazionale, sia per quel che riguarda l’infortunio semplice, sia per l’infortunio che ha causato postumi permanenti, sia per i casi mortali. E’ in aumento anche il numero delle malattie professionali denunciate, soprattutto nel settore industriale. Gli incidenti avvengono con maggiore frequenza, rispettivamente, nel settore delle costruzioni, nell’industria metalmeccanica, nel commercio, nei trasporti e nell’attività sanitaria. In agricoltura da vari anni si sta registrando una diminuzione nel numero degli incidenti. Rendere il lavoro sicuro è un dovere che deve mettere in comune l’azione del governo, delle istituzioni, regionali e locali, delle forze sociali. Tutti i soggetti pubblici e privati che intervengono nei processi di prevenzione e di vigilanza dovranno adoperarsi per ridurre sempre più il fenomeno, operando con concrete proposte specialmente sul terreno della formazione e dell’informazione.
Un altro fenomeno che dovrebbe essere tenuto maggiormente in considerazione nella regione è il lavoro irregolare.Tutti questi fattori di criticità che caratterizzano la realtà abruzzese si riflettono ovviamente sulle condizioni di vita dei cittadini. Pescara è la provincia abruzzese più ricca, seguita da Teramo, Chieti e L’Aquila. Quindi le condizioni di vita degli abruzzesi rimangono complessivamente basse, tutti i valori sono al di sotto della media nazionale. Gli intenti della Regione Abruzzo per reagire a questo scenario generale di crisi erano già stati rivelati nel 2000 in una comunicazione del Presidente Regionale al Consiglio Regionale ove testualmente si legge:
"…la VII Legislatura dovrà essere ricordata come quella del cambiamento, delle riforme, del dinamismo….E’ necessario accompagnare l’Abruzzo nella fase del mercato globale ove conta la competitività, l’iniziativa, la flessibilità mentale, l’umiltà di ascoltare i nostri Amministrati….il mio Governo opererà nella fase compiuta della Società dell’informazione e si mobiliterà per allargare la base occupazionale, svecchiando metodologie di intervento e aderendo appieno agli strumenti offerti dalla tecnologia e promuovendo una formazione superiore e permanente….occorre dare una spallata ai problemi che impediscono all’Abruzzo di colmare quel divario che rende tutti i nostri indicatori non competitivi con le aree più avanzate del nostro Paese. Dobbiamo mettere la società produttiva nella condizione di operare in un contesto territoriale che diventi un luogo omogeneo, all’interno del quale i livelli di infrastrutturazione materiale ed immateriale siano di supporto all’ingegno e all’impegno dei lavoratori e degli imprenditori abruzzesi….inoltre sarà utile il confronto con le organizzazioni sindacali e professionali….amministrerò l’Abruzzo rispondendo alle esigenze primarie