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Profili di tutela dei consumatori: Albergo – Condhotel – Bed and Breakfast – Ristoranti – Social Eating e Home Restaurant – Garanzie nella vendita di beni e servizi on line
Profili di tutela dei consumatori: Albergo – Condhotel – Bed and Breakfast – Ristoranti – Social Eating e Home Restaurant – Garanzie nella vendita di beni e servizi on line
Profili di tutela dei consumatori: Albergo – Condhotel – Bed and Breakfast – Ristoranti – Social Eating e Home Restaurant – Garanzie nella vendita di beni e servizi on line
E-book315 pagine3 ore

Profili di tutela dei consumatori: Albergo – Condhotel – Bed and Breakfast – Ristoranti – Social Eating e Home Restaurant – Garanzie nella vendita di beni e servizi on line

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Il volume affronta dapprima alcuni servizi di "ospitalità", come l'albergo, il Condhotel, il Bed and breakfast, l'Home sharing, il Social eating (Home restaurant), delineandone le regole – spesso derivanti dalla giurisprudenza – per gli operatori e gli ambiti di tutela dei consumatori.

La trattazione prosegue con la ristorazione (somministrazione al pubblico di alimenti e bevande) rispetto alla quale stanno emergendo particolari dinamiche tra colui che offre il servizio e coloro che intendono usufruirne. In particolare, la dimensione "social" si affianca a quella "personale" con interessanti varianti delle situazioni, come le recensioni "malevoli" e la tutela dell'attività "creativa" dello chef o del ristoratore.

Il volume si chiude con la trattazione della nuova disciplina sulle garanzie nella vendita di beni di consumo che è stata ampliata anche alle ipotesi in cui i beni mobili comprendano contenuti o servizi digitali incorporati o "interconnessi" con detti beni, ovvero la fornitura riguardi unicamente a contenuti e servizi digitali.
LinguaItaliano
Data di uscita28 giu 2023
ISBN9791221468571
Profili di tutela dei consumatori: Albergo – Condhotel – Bed and Breakfast – Ristoranti – Social Eating e Home Restaurant – Garanzie nella vendita di beni e servizi on line

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    Profili di tutela dei consumatori - Enzo Maria Tripodi

    Capitolo I

    La tutela dei consumatori in alcuni peculiari servizi

    di residenza turistica ed ospitalità (*)

    SOMMARIO: 1. Premessa – 2. L’albergo diffuso – 3. Il Condhotel - 3.1. Finalità – 3.2. La disciplina legislativa dei Condhotel: il decreto Sbocca Italia – 3.3. Il ricorso alla Consulta da parte delle province autonome – 3.4. Il d.P.C.M. 22 gennaio 2018, n. 13: questioni generali – 3.5. Segue: la rimozione del vincolo di destinazione e l’attuazione compiuta della disciplina – 3.6. Segue: l’adeguamento da parte delle Regioni – 3.7. Alcuni profili tutelari – 4. Bed and breakfast – 4.1. Introduzione – 4.2. I servizi minimi – 4.3. Le principali differenze regionali – 4.4. Ulteriori obblighi – 4.5. Altre questioni – 4.6. Segue: equiparazione agli alberghi per l’applicazione della TARI/TARSU – 4.7. Segue: la somministrazione di alimenti e bevande agli ospiti – 4.8. Segue: attività di bed and breakfast nei condomini – 4.9. Profili tutelari – 5. Home sharing – 6. Social eating e Home restaurant – 6.1. Premessa – 6.2. Prime indicazioni disciplinari – 6.3. I tentativi di una disciplina del fenomeno – 6.4. La somministrazione di alimenti e bevande.

    1. Premessa

    Il presente capitolo affronta, partendo necessariamente dagli snodi di diritto amministrativo, la disciplina di alcune figure che intrecciano gli aspetti di ospitalità – più o meno transitoria – con altri servizi, quali la prima colazione, ovvero la ristorazione tout court.

    Molte di queste figure sono state importate dalla realtà d’oltreoceano e, quindi, nel nostro sistema, presentano elementi di atipicità rispetto ai quali il Legislatore e la giurisprudenza cercano di individuare (non sempre con successo), le strade per assicurare un quadro, per quanto possibile, affidabile, soprattutto con l’occhio rivolto alla tutela dei contraenti più deboli, in particolare di coloro che usufruiscono dei relativi servizi.

    La trattazione è completata con quanto contenuto nel successivo capitolo, laddove le indicazioni sui contratti di albergo (anch’essi, a dispetto della risalenza storica, ancora in gran parte non tipizzati, se non socialmente), trovano applicazione ogni qualvolta ci si trovi di fronte a situazioni che prendono l’avvio da prestazioni relative all’ospitalità.

    2. L’albergo diffuso

    Secondo una definizione, l’albergo diffuso è «un’impresa ricettiva alberghiera situata in un unico centro abitato, formata da più stabili vicini fra loro, con gestione unitaria e in grado di fornire servizi di standard alberghiero a tutti gli ospiti»¹.

    Nato, in Italia, sul finire degli anni ‘70, questo modello di ricettività permette di offrire un servizio alberghiero completo, unendo potenzialità già presenti nel territorio, senza dover ricorrere alla creazione di una struttura apposita in un unico edificio.

    La rilevanza, nel nostro paese, deriva da una serie di fattori. Anzitutto i costi (e la convenienza economica), nonché le possibilità amministrative, di poter aprire grandi alberghi nei piccoli Comuni, ovvero nell’ambito dei centri storici (normalmente soggetti a norme di maggior tutela).

    In secondo luogo, l’albergo diffuso valorizza (e conserva) il patrimonio edilizio esistente mettendolo a fattor comune rispetto al territorio in cui si trova, contribuendo ad un efficace sfruttamento turistico dei luoghi e, quindi, alla lotta al progressivo spopolamento dei centri storici, specie nei piccoli Comuni.

    Infine, connesso alla tipica ospitalità italiana, contribuisce allo sviluppo turistico territoriale, anche in termini di sostenibilità ambientale, generando un effetto di filiera con le altre attività economiche (ristorazione, beni storici e architettonici, etc.).

    Secondo uno dei principali fautori di questo modello, i requisiti di un albergo diffuso sono i seguenti:

    a) gestione unitaria — Struttura ricettiva gestita in forma imprenditoriale nel centro storico;

    b) servizi alberghieri — Struttura ricettiva alberghiera gestita in forma professionale;

    c) unità abitative dislocate in più edifici separati e preesistenti — Centro storico abitato;

    d) servizi comuni — Presenza di locali adibiti a spazi comuni per gli ospiti (ricevimento, sale comuni, bar, punto ristoro);

    e) distanza ragionevole degli stabili — Massimo 200 metri tra le unità abitative e la struttura con i servizi di accoglienza (i servizi principali);

    f) presenza di una comunità viva — Comunità ospitante, integrazione nel territorio;

    g) presenza di un ambiente autentico — Integrazione con la realtà sociale e la cultura locale;

    h) riconoscibilità — Identità definita e uniforme della struttura; omogeneità dei servizi offerti;

    i) stile gestionale integrato nel territorio e nella sua cultura.

    L’art. 9, comma 6, del codice del turismo, definisce gli alberghi diffusi quali strutture ricettive caratterizzati dal fornire alloggi in stabili separati, vicini tra loro, ubicati per lo più in centri storici e, comunque, collocati a breve distanza da un edificio centrale nel quale sono offerti servizi di ricevimento, portineria e gli altri eventuali servizi accessori.

    Dalla definizione si evince che sono caratteristiche degli alberghi diffusi:

    a) la fornitura di alloggi (camere), in stabili separati;

    b) gli stabili sono collocati ad una breve distanza tra loro;

    c) gli stabili sono collegati ad un edificio centrale nel quale sono offerti servizi di ricevimento, portineria e gli altri eventuali servizi accessori;

    d) gli alberghi diffusi sono collocati, ma non è un elemento fondamentale, nell’ambito delle aree comunali classificate dalle norme urbanistiche come centri storici.

    L’albergo diffuso si differenzia tanto dagli alberghi propriamente detti, quanto dai villaggi-albergo. Gli alberghi normalmente operano in un unico stabile (pur potendo impiegare anche camere ubicate in uno o più stabili o in parti di stabile) mentre nei villaggi i più stabili fanno parte di uno stesso complesso e sono inseriti in area attrezzata per il soggiorno e lo svago della clientela.

    L’albergo diffuso, al contrario, non insiste in un’unica area organizzata ed è fisiologica (e non occasionale) la sua struttura basata su stabili separati tra loro.

    Molte Regioni — prima del riconoscimento generale contenuto nel codice — hanno disciplinato il fenomeno sulla base della possibilità offerta dalla legge n. 217/1983 che, all’art. 6, prevedeva che, in rapporto alle specifiche caratteristiche ed esigenze locali, le Regioni potessero disciplinare altre strutture destinate alla ricettività turistica, per introdurre nuove «tipologie» di imprese ospitali o, più semplicemente, individuando nuove «denominazioni» per le strutture ricettive alberghiere o extra alberghiere, da affiancare a quelle già previste dalla legge.

    In genere si fa riferimento — quale luogo di istituzione — all’ambito dei centri storici dei Comuni, con una distanza — tra i 200 e i 500 metri — degli stabili dall’edificio nel quale sono ubicati i servizi principali. Alcune discipline indicano il numero di stabili minimi, ovvero l’obbligo che i medesimi siano contraddistinti da una immagine comune.

    La natura giuridica prevalentemente riconosciuta è che l’albergo diffuso costituisce una ‘denominazione’ particolare di albergo (ossia una sua declinazione), non una tipologia autonoma. Ciò al fine di far trovare applicazione alle disposizioni in materia di alberghi ordinari senza dover predisporre un autonomo quadro disciplinare².

    La Regione Sardegna — la prima che ha legiferato in materia — ha distinto gli alberghi diffusi dai sistemi integrati di ospitalità costituiti da aggregazioni di operatori ospitali, organizzate mediante accordi di collaborazione tra soggetti diversi, siano essi o meno imprenditori, per l’esercizio dell’attività ricettiva in forma coordinata, senza gestione unitaria, al fine di fornire alloggio e altri servizi in più strutture ricettive, che interessano una parte rilevante di un centro abitato. Più di recente anche mediante il contratto di rete è possibile gestire un sistema integrato di ospitalità.

    Una più ampia dislocazione territoriale ha favorito l’emergere di nuove possibilità — non ancora compiutamente normate — relative al paese albergo ed al borgo (rurale) albergo.

    In entrambe le fattispecie, si tratta della valorizzazione di un paese (o di un borgo), in cui la rete di camere o di appartamenti, sono messe a disposizione dei turisti, grazie al servizio di booking centralizzato, senza la necessità di servizi alberghieri, di una gestione unitaria e di spazi comuni per gli ospiti. Non si tratta di un albergo, bensì di una rete ospitale che centralizza alcuni servizi, lasciando gli operatori indipendenti.

    Il Paese Albergo è definito come «rete di operatori ospitali costituita mediante accordi di collaborazione tra soggetti diversi, siano essi o meno imprenditori, per l’esercizio dell’attività ricettiva in forma coordinata, senza gestione unitaria, al fine di fornire alloggio e altri servizi in più strutture ricettive, che interessano una parte rilevante di un centro abitato, in possesso dei requisiti stabili con delibera della Giunta Regionale» ³.

    Da quanto detto, seppur l’ospitalità sia resa attraverso stabili separati esistenti, l’albergo diffuso è un albergo.

    L’attribuzione di natura alberghiera all’attività ricettiva esercitata nella forma dell’albergo diffuso implica che i locali adibiti al servizio di ospitalità facciano capo alla gestione unitaria dell’impresa.

    Ne consegue anche che, al pari della condizione ordinaria dei locali delle altre strutture ricettive alberghiere, anche quelli destinati all’accoglienza degli ospiti dell’albergo diffuso debbano avere destinazione d’uso alberghiera.

    Ciò consente di assicurare stabilità all’organizzazione imprenditoriale e di garantire che tutte le strutture, che siano a vario titolo nella disponibilità del gestore, rispondano ad identici requisiti qualitativi e siano connotate da una sostanziale uniformità nel servizio offerto, senza alterare le regole di concorrenza tra operatori ospitali e senza pregiudizio per l’affidamento degli utenti⁴.

    3. Il Condhotel

    3.1. Finalità

    Il settore immobiliare è stato tra quelli che hanno particolarmente risentito della crisi economica che ha investito il nostro paese nell’ultimo decennio. Altrove — soprattutto negli Stati Uniti — non mancano iniziative per rilanciare il settore: una di queste — ora importata anche alle nostre latitudini — sono i condo-hotel (o condhotel, crasi dei due termini condominium ed hotel)⁵.

    Si tratta della parziale riconversione in unità abitative private (in tutto o in parte), di stanze di alberghi che dispongono, al loro interno, di servizi autonomi (come la cucina e, spesso, anche l’accesso). In sostanza, il proprietario di un albergo, suddiviso in unità immobiliari, può deciderne di venderne una parte, che divengono abitazioni private.

    I vantaggi generali sono i seguenti: il venditore, da una parte riesce a reperire ulteriori risorse per migliorare le proprie strutture; l’acquirente, dal canto suo, può diventare proprietario di una stanza d’albergo (magari in una zona di pregio), senza dover sostenere i costi che comporterebbe l’acquisto di una casa.

    Esistono poi diverse soluzioni che configurano anche il valore di investimento dell’operazione: l’acquirente può usare in via esclusiva la sua stanza, ovvero affidarne la gestione all’albergatore (nei periodi in cui non la utilizza), concordando le modalità di suddivisione del ricavato.

    Alcune catene alberghiere internazionali (per es. la Marriott), da tempo hanno avviato programmi di valorizzazione, in questa direzione, delle loro strutture, così come la soluzione è presa in considerazione sin dalla progettazione di nuove strutture (possibilità — come si dirà — non consentita dalla nostra disciplina).

    3.2. La disciplina legislativa dei Condhotel: il decreto Sbocca Italia

    L’importazione, nel nostro ordinamento, dei condhotel ha avuto un primo tentativo, ad opera dell’art. 10, comma 5, del d.l. 31 maggio 2014, n. 83 (Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo), convertito, con modificazioni, dalla l. 29 luglio 2014, n. 106, con il quale era demandato a un decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, da adottare previa intesa in sede di Conferenza unificata, il compito di aggiornare gli standard minimi, uniformi in tutto il territorio nazionale, dei servizi e delle dotazioni per la classificazione delle strutture ricettive e delle imprese turistiche: ivi compresi, tra l’altro, i condhotel.

    La disposizione non ha avuto però attuazione.

    La cittadinanza giuridica si deve all’art. 31 del d.l. 12 settembre 2014, n. 133 (anche noto come decreto Sblocca Italia), come convertito dalla l. 11 novembre 2014, n. 164.

    L’art. 31 di detto decreto, rubricato Misure per la riqualificazione delle strutture alberghiere, premesso l’obiettivo di diversificare l’offerta turistica e favorire gli investimenti volti alla riqualificazione degli esercizi alberghieri esistenti, definisce i condhotel quali gli esercizi alberghieri aperti al pubblico, a gestione unitaria, composti da una o più unità immobiliari ubicate nello stesso comune o da parti di esse, che forniscono alloggio, servizi accessori ed eventualmente vitto, in camere destinate alla ricettività e, in forma integrata e complementare, in unità abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina, la cui superficie non può superare il quaranta per cento della superficie complessiva dei compendi immobiliari interessati (comma 1).

    Tale provvedimento si inserisce in un programma di politica economica di più ampio respiro, volto ad attuare una policy di sviluppo delle imprese turistico-ricettive in cui le opportunità di potenziamento del mercato alberghiero-immobiliare possano coordinarsi sia con le esigenze di tutela dell’assetto territoriale ed urbanistico, sia con quelle relative al recupero e alla valorizzazione del patrimonio esistente.

    Diversi sono i vantaggi che possono conseguire i soggetti coinvolti nella fattispecie in discorso. Invero, riconoscendo giuridicamente la possibilità di attribuire diritti reali (rectius diritto di proprietà) a terzi estranei alla struttura e alla gestione alberghiera, si vuole assecondare la richiesta — sempre più crescente in seno al c.d. turismo residenziale — di coloro che prediligono organizzarsi autonomamente gli spazi e i tempi dell’esperienza turistica, evitando i costi legati all’acquisto e alla gestione della proprietà di una seconda casa, senza però nel contempo rinunciare alla facoltà di godere, in via esclusiva, di un alloggio che, quando non utilizzato, può essere proficuamente riassegnato in gestione alla struttura alberghiera.

    Relativamente agli albergatori, viene loro attribuita la possibilità di procedere ad una riconversione parziale della struttura che consente di ridurne gli alti costi di manutenzione e di gestione, ponendosi con maggiore capacità attrattiva sul mercato.

    Oltre agli indubbi vantaggi economici che possono derivare dal ricorso alla figura del condhotel, deve altresì riconoscersi che attraverso l’art. 3 del d.l. n. 133/2014 il legislatore ha normativamente ed incontrovertibilmente riconosciuto che l’alienazione frazionata di immobili è compatibile con la destinazione turistico-ricettiva dell’edificio complessivamente considerato⁶.

    Per la definizione della disciplina sono poi previsti degli atti attuativi.

    A seguito della proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, con un apposito d.P.C.M. da adottare previa intesa tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, in sede di Conferenza Unificata:

    a) sono definite le condizioni di esercizio dei condhotel (art. 31, comma 1, d.l. n. 133/2014);

    b) sono stabiliti i criteri e le modalità per la rimozione del vincolo di destinazione alberghiera in caso di interventi edilizi sugli esercizi alberghieri esistenti e limitatamente alla realizzazione della quota delle unità abitative a destinazione residenziale (art. 31, comma 2, primo periodo, d.l. n. 133/2014. Il comma citato, al secondo periodo, prevede, inoltre, che In ogni caso, il vincolo di destinazione può essere rimosso, su richiesta del proprietario, solo previa restituzione di contributi e agevolazioni pubbliche eventualmente percepiti ove lo svincolo avvenga prima della scadenza del finanziamento agevolato).

    Il quadro generale è chiuso da una disposizione di raccordo che stabilisce il termine di adeguamento delle Regioni e delle province autonome, fissato in un anno dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del citato d.P.C.M. Restano inoltre applicabili, per quanto compatibili con l’art. 31 del d.l. n. 133/2014, le disposizioni del d.P.C.M. 13 settembre 2002, recante il recepimento dell’accordo fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome sui principi per l’armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico.

    3.3. Il ricorso alla Consulta da parte delle province autonome

    Il percorso del condhotels ha avuto una battuta d’arresto per il ricorso alla Corte costituzionale proposto dalle province autonome di Trento e di Bolzano.

    Secondo le ricorrenti, il d.P.C.M. previsto dall’art. 31 del d.l. n. 133/2014, al di là della concertazione (termine qui usato in senso a-tecnico) in sede di Conferenza unificata, finisce comunque per ledere le prerogative speciali delle due province derivanti dall’autonomia costituzionalmente garantita. Dette prerogative sono state espresse in una serie di discipline che finirebbero per essere compromesse dall’obbligo di adeguamento al d.P.C.M., in specie con riferimento al superamento del vincolo della destinazione d’uso dell’immobile.

    A nulla varrebbe un’approvazione del decreto in sede di Conferenza unificata che — dato il limitato peso delle due province — potrebbe essere approvato anche con il loro voto contrario. Qualora invece non fosse raggiunta alcuna intesa, lo stesso meccanismo legislativo della concertazione — che consente al Governo di emanare il provvedimento anche qualora non si raggiunga una intesa — imporrebbe un forzoso adeguamento delle province, mercé un atto di natura sostanzialmente regolamentare.

    Ne risulterebbe, conseguentemente, violato il D.Lgs. n. 266/1992 (recante Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), secondo il quale l’adeguamento riguarda gli atti legislativi dello Stato.

    Infine, l’adeguamento sarebbe contrario all’art. 117, comma 6, Cost., che esclude ogni competenza regolamentare dello Stato nelle materie oggetto di competenze legislative regionali (anche a statuto ordinario), ossia la materia del turismo.

    La Corte costituzionale con la sentenza 14 gennaio 2016, n. 1, ha ritenuto inammissibili o non fondate le questioni di legittimità costituzionale promosse dalle due province autonome.

    La norma impugnata — a detta della Corte — nell’introdurre una tipologia innovativa di esercizi alberghieri (come i condhotel), pur se si riferisce alla materia del «turismo e industria alberghiera», di competenza delle Regioni e delle Province autonome, presenta profili che ineriscono le materie dell’urbanistica e del «governo del territorio», nonché con l’«ordinamento civile».

    Peraltro, anche nella materia del turismo — la quale pure rientra nella competenza residuale delle Regioni ordinarie e in quella primaria delle Province autonome — lo Stato può attrarre a sé funzioni amministrative, nonché regolarne con proprie leggi l’esercizio, qualora ciò sia necessario per rimediare alla frammentazione dell’offerta turistica e realizzare un’attività promozionale unitaria, a condizione che tale chiamata in sussidiarietà sia proporzionata allo scopo e che, inoltre, sia previsto il coinvolgimento delle Regioni, nei confronti delle quali lo Stato deve serbare un atteggiamento di leale collaborazione.

    Due decisioni in questa linea di pensiero sono le seguenti.

    La prima. «È costituzionalmente illegittimo l’art. 2, comma 194, della l. 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui stabilisce che i regolamenti da esso previsti siano adottati sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, invece che d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

    Tale norma prevede che, per sostenere lo sviluppo del settore mediante la promozione di economie di scala ed il contenimento dei costi di gestione delle imprese ivi operanti, siano definite, con uno o più regolamenti da adottare ai sensi dell’art. 17, comma 2, della l. 23 agosto 1988, n. 400, sentita la Conferenza Stato-Regioni, le procedure acceleratorie e di semplificazione volte a favorire l’aumento dei flussi turistici e la nascita di nuove imprese del settore, nel rispetto delle competenze regionali.

    La disposizione, rientrando nella materia del turismo, appartiene alla competenza legislativa residuale delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., ma l’esigenza di un esercizio unitario a livello statale di determinate funzioni amministrative, abilita lo Stato a disciplinare siffatto esercizio per legge, in quanto i princìpi di sussidiarietà e di adeguatezza possono giustificare una deroga al normale riparto di competenze contenuto nel Titolo V della Parte II della Costituzione, a condizione che la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, assistita da ragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità e rispettosa del principio di leale collaborazione con le Regioni.

    L’esigenza dell’esercizio unificato è giustificata, nella specie, dato che per realizzare economie di scala ed un contenimento dei costi di gestione delle imprese operanti nel settore, è necessaria la predisposizione di una disciplina, uniforme su tutto il territorio nazionale, di procedure acceleratorie e di semplificazione, diretta a ridurre gli adempimenti a carico delle imprese operanti nel settore e la durata dei procedimenti, nonché a consentire un miglior coordinamento dell’attività delle varie autorità pubbliche interessate. Ma poiché tale disciplina regolamentare è destinata ad incidere in maniera significativa sulle competenze delle Regioni in materia di turismo (in particolare introducendo procedure e termini che dovranno essere osservati anche dalle strutture amministrative regionali), la norma impugnata deve prevedere l’incisivo strumento di leale collaborazione con le Regioni rappresentato dall’intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

    La disposizione censurata, quindi, laddove stabilisce che i regolamenti siano emanati "sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,

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