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Aspasia e Frine: Vita di due cortigiane
Aspasia e Frine: Vita di due cortigiane
Aspasia e Frine: Vita di due cortigiane
E-book133 pagine1 ora

Aspasia e Frine: Vita di due cortigiane

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Info su questo ebook

Feconda poetessa e scrittrice, Berthe-Corinne Le Barillier, che adottò il nom de plume di Jean Bertheroy, narra in questa breve opera la storia di due famose etère che vissero nei secoli più belli della storia greca, quando quell’antica civiltà raggiunse l’apice della produzione artistica e letteraria.
Amante di Pericle una e dell’oratore Iperide l’altra, brillarono per intelligenza e spregiudicatezza e furono protagoniste degli unici procedimenti giudiziari nei confronti di donne greche di cui ci è giunta testimonianza.
Incarnando quella spinta eversiva propria della loro libertà sessuale, le due donne furono indubbiamente di grande attrattiva per l’autrice che agli inizi del secolo aveva preso a cuore la lotta per i diritti femminili.
Le due biografie, entrambe di dieci capitoli, rispecchiano il poco che si sa di Aspasia e Frine. La Le Barillier ha cercato di raffigurarle con accenti molto personali, talvolta “caricando” qualche elemento biografico con eccessivo soggettivismo spiritualista, che trovava la sua giustificazione nei primi movimenti di liberazione femminili. Ed è proprio questa caratteristica che rende piacevolmente interessante e curiosa la sua prosa.
LinguaItaliano
Data di uscita28 giu 2017
ISBN9788876926228
Aspasia e Frine: Vita di due cortigiane
Autore

Jean Bertheroy

Jean Bertheroy è lo pseudonimo maschile della scrittrice francese Berthe-Corinne Le Barillier (1868-1927). Celebre al suo tempo anche per l’impegno a favore delle donne, fu insignita della Légion d’honneur. Dapprima poetessa si dedicò in seguito ai romanzi storici, in particolare all’antichità romana, e quindi a quelli moderni.

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    Anteprima del libro

    Aspasia e Frine - Jean Bertheroy

    Nota del Curatore

    Le due biografie delle celebri etère greche, entrambe di dieci capitoli, rispecchiano quel poco che si sa di loro. Di certo l’autrice ha cercato di raffigurarle con accenti molto personali, talvolta «caricando» qualche elemento biografico con eccessivo soggettivismo spiritualista, che trovava la sua giustificazione nei primi movimenti di liberazione femminili. Tuttavia in ciò ha un illustre precedente, Platone, che nel dialogo Menesseno riportava per intero un’orazione di Aspasia, orazione che per il suo contenuto – una commemorazione funebre e patriottica – era quantomai lontana da ogni riferimento al mondo dell’eterismo e della sessualità. Non abbiamo ritenuto di riportarla in questa traduzione, sia perché il dialogo platonico è a disposizione di chiunque se lo volesse procurare sia perché è del tutto estraneo alla biografia vera e propria di Aspasia, pur venendo ritenuto dalla critica autentico. Si noti inoltre che la seconda biografia viene intitolata non semplicemente «Frine», come la precedente è intitolata «Aspasia», ma «Frine l’etèra Frine l’etèra». Sembra che l’autrice abbia voluto mettere a confronto le due donne, sottolineando come Aspasia fu il modello spirituale e intellettuale che formò uomini come Pericle e Socrate, mentre Frine fu soltanto un’ammirata figura di donna che seppe trarre partito da una condizione sociale particolarmente umiliante ma non volle o non poté svolgere un ruolo intellettuale pari a quello svolto da Aspasia. Sarà forse per questi accenti più mondani che la seconda biografia potrà apparire più interessante della prima.

    L’edizione originale di questo libro era corredata da 200 «disegni archeologici», in bianco e nero, eseguiti come riproduzioni di originali figure fittili greche a soggetto erotico, da Notor, pseudonimo del visconte Marie Alexandre Gabriel de Roton (1865-1964), che si era specializzato in questo genere, scrivendo anche il libro Les femmes dans l’antiquité grecque. Nel 1900 aveva illustrato con altri 300 disegni l’opera di Pierre Louÿs, Les Chansons de Bilitis. Si tratta di disegni facilmente reperibili nelle loro raffigurazioni greche originali, e a colori, che oggi non riscuoterebbero di certo quell’interesse che ebbero all’epoca della loro pubblicazione, così povera di informazioni «multimediali» e che fecero scrivere all’editore in una nota che erano «di interesse e valore del tutto eccezionali».

    Sono state omesse anche le note storiche dell’Autrice a fine lavoro, in quanto obsolete.

    Aspasia

    1

    Le due sole cose certe che si sanno di Aspasia è che nacque a Mileto e poi si trasferì ad Atene, dove divenne amante di Pericle. Tutto ciò che si è scritto su di lei al di là di questi dati certi è contraddittorio, incerto. Pochi sono, infatti, i personaggi che hanno dato adito a un così gran numero di ipotesi menzognere e assurde. Xavier de Maistre, nel suo Viaggio attorno alla mia camera, le dedica una pagina dove le parole sono altrettanti errori. Balzac, in uno dei suoi romanzi, la abbassa al rango delle più volgari cortigiane. Fortunatamente siamo in possesso di ricerche più serie e meno fantasiose. In un breve studio apparso vent’anni fa nella Revue bleue, Henry Houssaye fa esattamente il punto della situazione: «Aspasia ci viene incontro, ce la immaginiamo, con tratti incerti. Se si vogliono identificare le sue sembianze per farla passare dal sogno alla realtà, essa si scolora, si cancella, sparisce. Un ritratto mendace nasconde l’ideale visione. Come personaggio storico, Aspasia fugge l’analisi e svia le ricerche; rimane nel vago, e lì dobbiamo lasciarvela, poiché solo così possiamo riconoscerla. Qualsiasi studio su Aspasia, in cui si vorrà ripercorrerne l’esistenza in maniera particolareggiata, definirne la natura, esporne le idee filosofiche e morali, sarebbe fatalmente contrario alla realtà».

    Sembra quindi inutile spingersi oltre, eppure si è tentato... si vorrebbe cogliere un po’ di questa sfuggente verità, di quel sorriso nascosto dietro la caligine oscura dei secoli: Aspasia fu saggia o folle, discreta o intrigante, disinteressata o avida? Fu, come ce la addita Ateneo, una semplice ruffiana¹, prima, durante e dopo il suo legame con Pericle? O divenne, come lascia supporre Plutarco, la sposa legittima del suo celebre amante? Quale fu il suo vero ruolo nei fasti di Atene, a metà di quel quinto secolo bello come un’aurora e glorioso come una primavera? Fu il buono o il cattivo genio della città protetta, sulla cima della nuova Acropoli, della fiera Pallade dalla lancia d’oro? Enigma sottile! Se quegli occhi si degnassero di aprirsi, se quel sorriso si sciogliesse, tutta la storia di questo periodo della vita di un popolo assumerebbe un diverso significato. Quindi si cerca, ci si sforza, s’interrogano i vecchi testi, ci s’inginocchia al cospetto di mute lapidi marmoree.

    Sarà il divino Platone a darci i maggiori ragguagli; per quanto lo si sia accusato di ironia e paradosso, solo lui appare fededegno, quando, nel Menesseno, ci mostra Aspasia in mezzo ai grandi uomini del suo tempo, mentre insegna l’eloquenza a Pericle e la retorica a Socrate. Questo assicura subito che non è così difficile parlare bene; cosa di cui Menesseno si meraviglia, poiché l’arte della parola è sempre stata agli occhi degli Ateniesi l’arte per eccellenza, la più complessa e raffinata di tutte.

    Ecco come prosegue il dialogo:

    MENESSENO

    Ma davvero tu, o Socrate, non lo ritieni una cosa difficile?

    SOCRATE

    No, per Zeus!

    MENESSENO

    Ti crederesti dunque in grado di parlare, se fosse necessario, e se il Consiglio te lo chiedesse?

    SOCRATE

    Non mi par strano, Menesseno, che io sia capace di farlo, avendo avuto una gran brava maestra di retorica, che ha formato molti eccellenti oratori, uno soprattutto che si distingue tra tutti i Greci, Pericle, figlio di Santippe.

    MENESSENO

    Chi è costei?... Ma che lo domando a fare? È Aspasia!

    SOCRATE

    Sì, Menesseno, lei e Konnos, figlio di Metrobo, ecco i miei due maestri, uno per la musica, l’altro per la retorica. Non deve dunque sorprendere che un uomo istruito da tali maestri abbia dell’eloquenza. Tuttavia chiunque altro la cui educazione fosse meno accurata, che avesse magari appreso la musica da Lampros e la retorica da Antifonte di Ramnusio, sarebbe ugualmente capace di raccogliere il consenso degli uditori parlando bene degli Ateniesi ad Atene.

    MENESSENO

    Ma, infine, cosa diresti se dovessi parlare?

    SOCRATE

    Di mio, probabilmente niente; ma proprio ieri ho sentito un discorso funebre di Aspasia su questi stessi guerrieri. Lei aveva saputo, come te, che erano gli Ateniesi a dover scegliere l’oratore, e ci espose quel che sarebbe stato opportuno dire; un po’ improvvisava, un po’ ripeteva a memoria e cuciva insieme qualche pezzo del discorso funebre che recitò altre volte Pericle, e di cui credo fosse l’autrice.

    MENESSENO

    Ti ricordi questo discorso di Aspasia?

    SOCRATE

    Sarebbe un bel guaio se non lo ricordassi; l’ho imparato da lei e poco mancò che non venissi punito per non aver ricordato tutto a dovere...

    MENESSENO

    Perché non me lo ripeti?

    SOCRATE

    Non vorrei che la maestra me ne volesse nel vedere il suo discorso pubblicato.

    MENESSENO

    Assolutamente, o Socrate, parla pure, per me sarà un gran piacere sentir ripetere il discorso di Aspasia o di chiunque altro, basta che tu parli.

    SOCRATE

    Non vorrei che tu ti facessi beffe di me nel vedermi vecchio come sono occuparmi di queste sciocchezze.

    MENESSENO

    Ma niente affatto! Comincia, quindi.

    SOCRATE

    Vedo che bisogna accontentarti e se anche mi chiedessi di spogliarmi e di danzare, farei fatica a rifiutare, dato che siamo soli, qui. Ascolta dunque. Ecco quello che disse Aspasia, cominciando dai morti stessi...

    Socrate recita così il lungo discorso attribuito alla cortigiana. Si tratta dell’orazione funebre degli Ateniesi morti a Lachoeum per la Repubblica; un’orazione così bella che gli arconti decisero che sarebbe stata ripetuta ogni anno. Un alito sublime la attraversa tutta; una saggia moderazione vi tempera l’entusiasmo guerriero; vi son dati i più nobili consigli per i cittadini, e si tratta veramente di ben altro che un semplice esercizio di retorica. Quando Socrate ebbe finito, Menesseno, che aveva ascoltato senza interrompere, esplose:

    «Per Zeus! Socrate, Aspasia è davvero fortunata, in quanto donna, a saper comporre simili discorsi!».

    Socrate rispose che conosceva ancora un gran numero di eccellenti discorsi che la Milesia aveva composto su soggetti politici, promettendogli che un giorno glieli avrebbe fatti ascoltare.

    Ecco dunque, secondo la stessa testimonianza di Platone, Aspasia coinvolta di punto in bianco al centro dell’intensa vita ateniese. È qui che bisogna cercarla se si vuol sperare di capire qualcosa del suo carattere e della sua mentalità. A dire il vero, già lo studio dell’ambiente cittadino può aiutare a capire questa donna così famosa eppure così ignorata. Questo è il caso in cui si applica al meglio il metodo di Taine. Studiare Aspasia significherà dunque studiare la società ateniese del quinto secolo; significherà interrogare Pericle, Anassagora, Fidia, Socrate, Alcibiade, tutti quelli che hanno avuto contiguità col suo pensiero, che hanno scambiato con essa le opinioni quotidiane. Un delizioso cammeo antico, conservato nel Cabinet des Medailles, ci mostra Socrate condotto dalla musa Polimnia da Diotima, sua ispiratrice. È così che dobbia mo immaginarci Aspasia, in conversazione con i filosofi, quando non li colmava di più intimi piaceri. Cortigiana, lo fu di certo, ruffiana forse. Ma tutto porta a credere che dal giorno in cui divenne l’amante di Pericle gli fu strettamente fedele. Il poeta greco Ermesianatte racconta che Socrate si era innamorato di lei, e che, per consolarlo della sfortunata passione, lei gli dedicò dei versi incantevoli. Prendiamo la cosa per veramente accaduta. Spingiamoci pure a pensare che non fu davvero bella, poiché nessuna immagine, nessuna descrizione, nessuna autentica traccia ci è

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