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Il Colosso di corso Lodi: Mala & Fernet - Milano 1975
Il Colosso di corso Lodi: Mala & Fernet - Milano 1975
Il Colosso di corso Lodi: Mala & Fernet - Milano 1975
E-book237 pagine3 ore

Il Colosso di corso Lodi: Mala & Fernet - Milano 1975

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Info su questo ebook

Milano, marzo 1975. Al parco Lambro, in piena notte, un’automobile esplode. Al suo interno si trova Daniele Belotti. La vittima è il giovane rampollo di un ricco imprenditore lombardo. L’indagine viene affidata al commissario Benito Malaspina, detto il Mala, un uomo che ha conosciuto la paura e ora non ha più timore di averne. Sono anni di piombo, e le piste da seguire sono tante, troppe. Il commendator Belotti offre una taglia milionaria a chi gli consegnerà la testa dell’assassino del suo unico figlio. E qui cominciano i guai: il killer prosegue coi suoi inneschi dinamitardi ad uccidere giovani ragazzi, e non sono benestanti come il Belotti; il commissario capo Puglisi vuole risultati in tempi stretti; la stampa preme; il nuovo poliziotto che affianca il commissario Malaspina, Venditti, con quel suo fare rozzo, volgare, certo non lo aiuta; il miglior informatore del Mala, Dino Lazzati detto Fernet, cronista di nera degradato alla ‟posta del cuore”, in quella taglia intravede la possibilità di tornare in pista, approfittando dell’ingenuità di una giovane giornalista.
Riuscirà Malaspina a fermare uno spietato assassino che sembra avere in mente un preciso disegno omicida di cui non si intravedono i contorni?
Mala & Fernet si muovono in un cocktail pirotecnico di poliziottesco e commedia neorealista, un ritratto veritiero della Milano degli anni Settanta, delle sue strade, della sua gente, delle sue trame, di una città che ha imparato che finire significa semplicemente affacciarsi a un nuovo inizio!
LinguaItaliano
Data di uscita17 apr 2015
ISBN9788869430558
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    Anteprima del libro

    Il Colosso di corso Lodi - R. Besola

    Personaggi principali

    Benito Malaspina: commissario della squadra mobile di Milano

    Venditti: agente scelto di polizia, attendente di Malaspina

    Sassi: funzionario della polizia scientifica

    Puglisi: commissario capo della squadra mobile di Milano

    Dino Lazzati: detto Fernet ex giornalista di cronaca nera del Corriere della Sera, (ora dirottato alla Posta del cuore), scrittore a tempo perso, informatore amico di Malaspina

    Alberta Martini: agente letteraria di Dino Lazzati

    Doriana Verner: giovane reporter investigativa

    Commendator Belotti: imprenditore, fondatore della Belotti & Belotti Carni

    Ada Belotti: sua moglie

    Daniele Belotti: figlio sfaccendato della coppia

    Ruggero Colombo: nullafacente, amico di Daniele

    Corrado Poretti: proiezionista, amico di Daniele e Ruggero

    Ivano Rao: direttore del locale notturno La Tigre

    Milano, 1975

    Venerdì 14 marzo

    1. Le mani fredde

    Parco Lambro, poco prima di mezzanotte

    Hai le mani fredde.

    E allora?.

    Fai piano.

    Gianni ha ventidue anni. Rita venti. Si vedono da qualche mese, la loro giovane passione è passata indenne attraverso l’estate, le ferie, il mare. Si sono conosciuti all’Università Statale, in un’afosa mattinata di giugno, sotto al porticato del cortile quadrato, snervati e accaldati. Si diceva che il professore di Diritto agli esami fosse una vera serpe. E lo era stato, perché l’esame lo avevano passato, ma al prezzo di una sauna di sudore per la difficoltà e la tensione.

    Gianni vuole slacciarle il reggiseno e Rita, che vuole farselo slacciare, si è inarcata in avanti sul sedile della Golf. Fuori dall’abitacolo, incuranti, stanno l’aria fredda e il buio, mentre la nebbia bassa scivola tra gli alberi. Soltanto un lampione rilascia un chiarore ovattato, laggiù, sulla destra. Dietro la Golf, una manciata di metri appena, c’è la stretta strada male asfaltata, un uncinetto di pozzanghere ricamato dalla fitta pioggia del pomeriggio.

    Lascia, faccio io.

    Rita si sgancia il reggiseno, lo butta sui sedili posteriori. Poi, invece di lasciarsi andare, si blocca.

    Gianni invece muove avidamente le mani sotto il pullover verde, sul seno caldo e nudo, la bacia sul collo.

    Perché non togli anche questo?, chiede sollevando un lembo della lana del pullover. Poi capisce che Rita è assolutamente immobile e sta facendo tutto da solo. Si sente un pirla e si ferma subito.

    Beh?.

    Rita ha gli occhi fissi oltre il vetro appannato del parabrezza.

    , dice indicando un’altra automobile, una ventina di metri più avanti, sulla sinistra.

    Gianni si solleva di malavoglia dai sedili anteriori che hanno reclinato, osserva i fanali posteriori di quella che gli sembra essere, nonostante la nebbia, una Bmw. Passa l’avambraccio sul vetro. Sì, è una Bmw. Bianca.

    E allora?.

    C’era già?.

    Ma che ne so? Che ti frega?.

    Non mi piace.

    Guarda che quelli sono venuti qui a fare quello che facciamo noi.

    M’è sembrato di vedere una luce.

    Dove?.

    Dentro. Come un lampo, non so.

    Staranno fumando, no? Che male c’è a fumare?.

    Rita decide che è una buona risposta, il bagliore che ha visto è la fiamma dell’accendino. Richiude gli occhi. Bacia e si lascia baciare, accarezza e si lascia accarezzare. Riapre gli occhi dopo un minuto e si blocca nuovamente. Ferma le mani, ritrae subito la lingua infilata nella bocca di Gianni, che invece ha gli occhi ancora chiusi e un poco ansima, e per la seconda volta sta facendo la figura del pirla, con la lingua messa così, solitaria, sospesa nell’aria gelida.

    La rinfodera, apre gli occhi e la fissa. Ma cos’hai stasera? Le tue cose?.

    Sta scendendo qualcuno, dice Rita. Andiamo via.

    Perché?.

    Ho paura. Andiamocene.

    Ma piantala.

    Dico davvero.

    Un’ombra scura, imponente, si muove piano verso la Golf, poi si blocca, come se stesse pensando al da farsi. Gianni smette di respirare, Rita gli si stringe addosso, così com’è, arruffata, seminuda. Poi l’ombra scura cambia direzione e riprende a camminare verso la strada male asfaltata che sta alle spalle della Volkswagen. Rita prova a seguire quel colosso d’ombra attraverso lo specchietto retrovisore nell’abitacolo, ma il lunotto posteriore è madido di condensa, un muro grigio che nasconde ogni cosa. E così l’ombra se ne va, inghiottita dalla notte.

    Avranno litigato, dice Gianni.

    Un po’ gli è passata la poesia, accende l’autoradio e una sigaretta. Una musichetta da discoteca si diffonde nell’abitacolo. Ha capito che stasera è una sera storta e va così. Forse Rita vuole soltanto parlare. Sono fatte così le ragazze, non dicono Voglio soltanto parlare, ti ci fanno arrivare per esclusione, magari dopo ore in cui hai provato a fare tutt’altro.

    Era un uomo?.

    Cioè?.

    Quello che è sceso.

    E certo, non hai visto quant’era grosso?.

    Quello alla guida mi sembra un altro uomo. Voglio dire….

    Gianni la guarda e sorride, sbuffa fuori il fumo della sigaretta.

    E se anche fosse? Non hai mai visto due ziette che si fanno le coccole?.

    Scemo. E perché sta da solo fermo a quel modo?.

    Vedrai che l’altro torna. È andato a cambiare l’acqua al merlo.

    Ti dico che c’è qualcosa che non va. Andiamocene.

    E va bene, dice Gianni. Si è stufato di tutte queste storie.

    Gira la chiave nel blocchetto di accensione. Si allaccia i jeans e la cintura. Accende il riscaldamento e attende un minuto che i vetri si spannino. Rita si rimette il reggiseno, indossa il giaccone pesante sopra al pullover. Gianni abbassa il finestrino a metà, butta la cicca della sigaretta nell’erba bagnata. La brace si spegne subito. Questa sera Rita si è fissata con quella cavolo di Bmw bianca, chissà che le è preso. Gianni innesta la retromarcia. Magari la porta verso il centro e qualcosa da fare gli viene in mente. Oppure va a finire che questa sera se ne va a letto così, con tutti i suoi bollori addosso. La Golf sobbalza nell’erba, prima, e sullo sterrato, poi.

    Andiamo da un’altra parte se vuoi. Non a casa, dice lei.

    Se non hai voglia puoi dirlo.

    Forse sei tu che non hai voglia.

    Ma la loro discussione finisce qui, dietro a loro si accende un lampo improvviso. Un bagliore che squarcia la notte. E un infinitesimo di secondo dopo lo squasso dell’esplosione. La Bmw bianca si solleva di mezzo metro sull’erba bagnata. Ricade pesantemente, dilaniata e infuocata. L’onda d’urto scheggia il lunotto posteriore della Golf in un mosaico di frantumi. Gianni sbanda sulle pozzanghere, la ruota anteriore scivola nell’erba. Frena e si ferma. Trema. Adesso ha paura anche lui. Di ogni singola ombra che questa gelida notte getta loro intorno.

    Sabato 15 marzo

    2. Il commissario Malaspina

    Parco Lambro, dopo mezzanotte

    Sono quei due?, chiede Malaspina.

    Già, conferma l’uomo che gli sta appiccicato. È notte eppure indossa un paio di vistosi occhiali da sole dalle lenti a goccia e ambrate, di quelli modello aviatore.

    Sì, Venditti, ho capito, e poi?.

    Allora, inizia a dire l’agente scelto sollevando gli occhiali da sole sulla testa. Con una torcia a pile illumina alcuni fogli spiegazzati che tiene con la mano sinistra. Legge le generalità dei due ragazzi con un tono da romano purosangue trapiantato a Milano ma orgoglioso delle sue origini, dalle righe d’inchiostro pesca qua e là dettagli che gli sembrano importanti.

    Studenti. Università. Statale.

    Poi conclude come se dettasse un telegramma: Hanno chiamato da una cabina telefonica. Poco lontano. Vicino allo stradone. Ma che cazzo de stradone sarà? Boh, e che ne so io? Io so’ de Roma. E indica con un cenno del mento verso una direzione persa nel buio. Risolleva gli occhi dai fogli.

    Finito?, chiede Malaspina.

    Finito, commissa’. Ma se vuole posso improvvisa’ quarcosa d’altro. So’ forte, sa?.

    Sta zitto e portali qui.

    Avete droga? Siete anarchici, brigatisti o qualcosa del genere?.

    I due ragazzi si guardano spaventati, poi guardano il commissario Benito Malaspina.

    Mi interessa soltanto sapere se avete visto qualcosa, chiede ancora, per tranquillizzarli. Ha un’ironia schietta, qualche volta può sembrare cinismo.

    No, dice subito Gianni.

    , dice invece Rita.

    Sì o no?, chiede Malaspina.

    Quel Gianni su la Settimana Enigmistica, risponderebbe alla definizione dell’1 orizzontale: Tipo poco amichevole. Sei lettere. Ostile.

    Il commissario guarda la ragazza attraverso il fumo della sigaretta che s’è appena acceso.

    L’uomo, dice lei.

    Rita, è tardi. Dobbiamo andare, dice Gianni.

    Venditti, porta il giovane sulla volante, non vedi che trema per il freddo?.

    Andiamo, forza giovane, forza, dice Venditti afferrandolo per un gomito, camminando al suo fianco sulla terra molliccia e scura, le luci intermittenti blu delle sirene delle volanti e dei pompieri che forano la nebbia, gli scheletri degli alberi poco lontano.

    Quale uomo?, chiede Malaspina alla ragazza.

    Sulla macchina c’era un uomo. Poi è sceso e se n’è andato via.

    A piedi?.

    A piedi.

    Perché mi stai aiutando?.

    Rita lo guarda in silenzio.

    Allora? Perché?.

    Così.

    Così e basta?.

    Mio zio. È uno..., si ferma, come se improvvisamente si vergognasse. Un carabiniere. Ecco, uno di voi insomma dice velocemente.

    Non lo dici mai a nessuno, vero Rita? A nessuno dei tuoi amici.

    Lei resta zitta, abbassa gli occhi sulla punta degli stivaletti in pelle, la punta bagnata dall’erba.

    Fai bene a non dirlo, sai? Di questi tempi nessuno ci capisce a noialtri. Ti sta simpatico?.

    Chi?.

    Tuo zio.

    Un po’, dice lei risollevando gli occhi.

    Eravate qui tu e il tuo ragazzo e poi? E per un attimo, in quell’incoraggiarla, Malaspina sembra essere quasi simpatico. Ma non è simpatico, è soltanto un poliziotto. Qualcuno in Questura l’ha persino soprannominato Serpico, per questi suoi capelli lunghi, le basette irsute, i dolcevita, tutta colpa del lavoro alla sezione politica dell’anno scorso. Un anno d’inferno, in borghese, a pedinare chissà chi. E adesso che dall’inferno è risalito al purgatorio non ci ha fatto ancora l’abitudine e i capelli e le basette li tiene ancora com’erano, si veste ancora come un sovversivo.

    La ragazza guarda da un’altra parte ma non verso la carcassa fumante della Bmw che i Vigili del Fuoco hanno appena finito di innaffiare d’acqua. C’è un cattivo odore, aspro e pesante, un odore che fa lacrimare gli occhi e gratta la gola.

    La macchina era già qui quando siete arrivati?.

    Credo di sì. Cioè. Non l’ho sentita. Sì, doveva essere già qui.

    Non l’hai notata subito?.

    La ragazza fa segno di no con la testa.

    Allora quest’uomo che è sceso lo hai visto in faccia? Camminava normalmente?.

    Non l’ho visto in faccia. Era troppo buio. Però camminava piano. Per un attimo s’è fermato a guardare verso di noi. Sembrava alto. E grosso.

    Grosso? Quanto grosso?.

    Non lo so. Grosso. Alto. Così, dice sollevando un braccio ben oltre il suo metro e sessantacinque centimetri.

    E l’altro? Quello che è rimasto dentro? Gridava? Si dimenava?.

    Era immobile. Sembrava…, si ferma a pensare, …morto. Mi ha fatto paura.

    Ti viene in mente altro?.

    No. Cioè. Sì.

    Malaspina le fa segno con la mano che regge la sigaretta di andare avanti a parlare, disegna due piccoli cerchi nel freddo.

    Prima di scendere, dice Rita, si interrompe ancora brevemente, cerca le parole adatte a dire quel che vuol dire, cioè l’uomo è sceso, ma un po’ prima ho visto come una luce.

    Come un piccolo lampo?.

    Una specie.

    Hai sentito qualche tipo di rumore? Uno sparo?.

    No, nessuno. Solo la luce.

    Poi quello se n’è sceso e tu e il tuo amico avete pensato a due checche....

    Due zie. Sì, Gianni ha pensato così. E che la luce fosse quella di un accendino.

    E tu?.

    Che era strano che non si muovesse. Né lui né la macchina. Avevo paura.

    Altro?.

    Fa segno di no con la testa. È ancora una bambina, dopotutto.

    Puoi andare. Tutti e due. Andate a casa a dormire. Avete già lasciato i numeri di telefono al collega?.

    La ragazza annuisce.

    Buonanotte, le dice.

    Grazie, risponde lei.

    Allora Sassi, tu sei la scientifica e io sono un veggente.

    Sassi, basso e calvo, stretto nel suo loden verde si mette a guardarlo con la faccia che è un punto interrogativo con un paio di occhiali incollati al naso.

    Ti dico cosa penso, tu fai tutte le tue ricerche e vedi se le cose stanno in questo modo. La Bmw bianca arriva qui. Periferia, alberi, nebbia, il fiume Lambro laggiù in fondo. Ci vengono le coppiette ad appartarsi.

    A scopa’ .

    Grazie Venditti.

    Prego commissa’.

    Posso andare avanti?.

    E certo, io me ne sto pure zitto ma quello fanno. Capace che ce sta er solito conflitto tra le du’ mani.

    Cosa stai dicendo Venditti? Non ti capisco.

    Destra e sinistra, dico. Neri e rossi. Proprio l’altro giorno ne hanno quasi ammazzato uno qua vicino, a colpi de chiave inglese sur cranio. Magari questa è ‘na vendetta per quel fatto lì. Certe cose se sa come iniziano e non se sa come vanno a fini’..

    Venditti perché non te ne vai alla Cia?.

    Ci ho pensato, ma me piace troppo lo stivale.

    Malaspina decide di ignorarlo, va avanti a parlare a Sassi.

    Dicevo. A bordo della Bmw bianca ci sono due uomini. Il passeggero fredda il guidatore. Gli spara a bruciapelo. Alla testa. Probabilmente con la canna silenziata. Confermi?.

    Sassi annuisce con un cenno del sigaro. Un buco nel cranio del corpo dilaniato lo hanno trovato, perché l’esplosione ha eiettato il corpo fuori dall’abitacolo, attraverso il parabrezza, ancora un paio di metri e finiva dritto in mezzo agli alberi.

    Mette la bomba, l’innesco è collegato a un timer. La domanda qual è?.

    Che tipo di bomba è?.

    Bravo, Sassi. Ma questo me lo devi dire tu. Se no le tasse i cittadini che le pagano a fare? E mi devi dire anche chi è quello che è andato arrosto.

    Documenti addosso non ne aveva. Però c’è la targa. Quel che rimane.

    Domattina alle nove voglio un rapporto dettagliato. A chi è intestata l’auto e tutto quanto, intesi? Venditti, dove diavolo sei finito?.

    Sto qua commissa’.

    Prendi la macchina e andiamocene da questo schifo di fango. Non hai sonno?.

    Mica tanto. Ma nun ce sta un chiosco da ’ste parti?.

    Per fare che?.

    Ma che ne so? Un panino, ‘na bira….

    Beh, io ho sonno, andiamo.

    Malaspina lo supera.

    Ve l’ho già detto che ve viene l’ulcera a vivere a ‘sto modo brutto?, grida Venditti, ancora fermo, alle spalle del commissario.

    Ce l’ho già.

    Ecco, lo vede? Er Venditti qui presente ce lo sa come vanno a fini’ ’ste cose….

    Muoviti!.

    3. Dino Lazzati detto Fernet

    Bar Lafus, piazzale Selinunte, tardo pomeriggio.

    Gli occhiali a raggi X non funzionano.

    E questa è la cosa che più lo scoccia, stasera. È tutto il giorno che ciondola in giro per la città, con questi occhiali acquistati per posta compilando una cartolina ritagliata da una rivista. Li ha attesi per settimane e ora non funzionano. Va sempre così, per lui. Ogni volta che acquista qualcosa di tecnologico, non va mai liscia. Deve sempre portare tutto indietro a cambiare. Ora è una rottura di scatole, però: di sicuro glieli dovranno rispedire in America, e chissà quanto altro dovrà aspettare. D’altra parte, anche avere degli occhiali a raggi X che non funzionano, è inutile. E in Italia, di certo, nessuno sarà in grado di ripararli.

    La seconda cosa che gli scoccia, stasera, è che la dottoressa Alberta Martini tarda a telefonare. Sono le dieci di sera passate, e lui lo vede, il muso della Olga, ingrugnito dietro il bancone. Quella vuole andare a casa, e dimenticare fino a domattina di avere trascorso la propria vita a guardare le spalle dei perdigiorno che giocano a flipper e si ingozzano di Cordiali e bianchini spruzzati Campari, servendo ogni tanto qualche caffè. La Olga lo fissa con odio: ma Dino Lazzati, detto Fernet, le sorride, perché sa che se lei è ancora lì è perché alla fin della fiera gli vuol bene. Ogni tanto la Olga chiede ad alta voce a suo marito Luigi che ore siano, ma si risponde da sola e il Luigi solleva le spalle continuando a sfogliare la Gazzetta dello Sport che impugna da stamattina. Chissà cosa è in grado di leggerci dentro, si chiede Fernet. Chissà cosa vedono quegli occhi che non ricorda se hanno mai avuto una voce.

    Fernet giocherella col bicchiere d’amaro che tiene tra le dita, alle ventidue e

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