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El Azote
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E-book104 pagine1 ora

El Azote

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Horror - romanzo breve (61 pagine) - Il cacciatore di vampiri è tornato.


El Azote è un vecchio cacciatore di vampiri che batte la Route 66 in cerca di prede. Le sue armi sono una frusta e una 44 magnum. Un giorno incontra un ragazzino che lo aiuterà a trovare il covo dei vampiri. Ma le creature sono tante… e loro solo in due.


Luca Franceschini, classe 1980 è laureato in filosofia. Ha pubblicato diversi fumetti, tra cui Lucky Town, Lunar Lex, Nyx, Jinn, CatStar, Calypso. Per Bugs Comic ha pubblicato la storia La cantina di Max (contenuta su Mostri vo. 4) e IGP (contenuta su Alieni vol. 3). Con Nicola Pesce ha pubblicato nel 2019 Il vampiro, adattamento a fumetti del racconto di John W. Polidori con i disegni di Gabriel Negri, e L’uomo lupo, adattamento a fumetti con i disegni di Sergio Vanello.

Per Delos Digital ha pubblicato i racconti: Alternative Birth Experiment (2016 – collana Futuro Presente, 3), L’orologio a pendolo (2017 – Horror Story, 19), Cinquecento Anime (2019 – Horror Story, 32), Conflitto di Sistema (2019 – Futuro Presente, 28), Quinto Piano (2022 – Inmsmouth, 63), Sesso civile (2022 – Futuro Presente, 51)

LinguaItaliano
Data di uscita23 mag 2023
ISBN9788825424690
El Azote

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    Anteprima del libro

    El Azote - Luca Franceschini

    Prologo

    La Corvette del 1975 sulla Route 66

    Anthony spingeva con forza sull’acceleratore. La Highway scorreva sotto le gomme consumate.

    Non andava da nessuna parte, voleva solo scappare. Provava a sfogarsi sbattendo la mano sul cruscotto fino a farsi male, ma la rabbia non scemava.

    Il sole stava tramontando, si era lasciato Albuquerque alle spalle da più di un’ora.

    Non ricordava nemmeno se aveva preso verso Santa Fe o verso l’Arizona… si ripromise di dare un’occhiata ai prossimi cartelli per orientarsi, ma non era così importante, voleva solo sentire il rumore del motore che tuonava.

    Aprì il finestrino per fare entrare l’aria calda che si stava già stemperando preannunciando la frescura notturna.

    Per fortuna non aveva dimenticato le sigarette. Non volle faticare a cercarsi l’accendino in tasca e schiacciò l’accendisigari della macchina. Non li facevano più sulle macchine di oggi, ma questa era vintage. Non l’aveva ancora mai usato, chissà se andava…

    Le case erano sparite, c’erano solo polvere e deserto. Pensò che avrebbe potuto dormire in un motel. Non voleva tornare a casa. Non l’avrebbe data vinta a suo fratello. Piuttosto avrebbe guidato tutta la notte.

    Il telefono era sul sedile del passeggero. Spento. Lo mise nel portaoggetti che richiuse con un colpo secco.

    La radio, bassa e di sottofondo, con un pezzo country che non conosceva, singhiozzò. Spense anche quella. Niente musica.

    Ricordava di avere nel portafoglio qualche centinaio di dollari. Sufficienti per qualche giorno di stacco totale. Dopo di che… non lo sapeva. Era meglio se non ci pensava, per ora, al dopo.

    Non dormiva da… quanto? Era stanco, ma la rabbia gli aveva spazzato via qualsivoglia torpore.

    Aveva superato da pochi minuti un cartello con l’indicazione per Bluewater quando vide qualcosa in lontananza, su un lato della strada.

    Rallentò, dando respiro ai 350 cavalli nel cofano.

    Era una persona a piedi. Una donna sui tacchi alti.

    Si voltò verso di lui e lo seguì con lo sguardo mentre accostava. Una volta fermo lo raggiunse e si affacciò al finestrino del passeggero. Capelli biondi ondulati, carnagione bianco pallido, occhi scuri. Lineamenti che mescolavano discendenze nativo–americane ed europee, forse italiane. Non doveva avere nemmeno vent’anni.

    Si osservarono per alcuni secondi senza dire nulla.

    – Ti sei perso e hai bisogno di informazioni o cercavi compagnia? – esordì.

    Anthony si tolse la sigaretta, ancora spenta, dalle labbra.

    – Facevo solo un giro. Pensavo potessi aver bisogno di aiuto. Sei sola coi tacchi alti in mezzo al nulla. La notte è fredda…

    – Sei uno che va subito al sodo.

    – Volevo solo essere gentile.

    – Dove stai andando a fare un giro? E con una Corvette d’epoca!

    – Io…

    – Litigata?

    – Già.

    – Donna?

    – No, mio fratello… per una donna.

    – Questioni delicate.

    – Sali, ti porto fino al prossimo motel.

    – Camera doppia?

    – Vedremo.

    Entrò sinuosa. Aveva un top a fiori con le spalline fini, minigonna di pelle nera e una leggera camicetta rosa. Poche ore e sarebbe morta di freddo se non avesse trovato un riparo.

    Anthony non poté fare a meno di fissarle la circonferenza seno.

    Lei gli sorrise.

    – Vuoi parlarne?

    – Di cosa?

    – Di tuo fratello, di cosa è successo…

    – Di Percy? No, stanotte voglio solo dimenticare. A proposito, come ti chiami?

    – Sheryl.

    – Anthony.

    – Bene, Anthony. Ti ringrazio per avermi accolta.

    – È un piacere.

    – Non sai quanto.

    Lei si avvicinò. Gli mise una mano sui bottoni della camicia firmata, gli accarezzò il petto.

    La sua mano era fredda. Brivido di adrenalina.

    Era bella.

    Gli carezzò il viso. Voltandoglielo con dolcezza verso il suo.

    La notte era scesa. Lei era sexy. Anthony invece aveva la barba di tre giorni, i capelli sudati e i vestiti sporchi.

    Non erano ripartiti, ma non aveva nemmeno spento la macchina. Allungò una mano sulla coscia di lei. Fresca, soda. Le loro bocche distavano ormai pochi centimetri. Occhi neri penetranti e seducenti, felini. Odorava di deserto e di proibito.

    – Se vuoi dimenticare, posso darti una mano.

    Che stava facendo? Era il momento di un’avventura? Dopo quello che era successo?

    Per una volta… per una sera… In culo a Percy! E anche a quell’altra!

    Si lasciò andare. Iniziò a baciarle il collo.

    Le stava sbottonando la camicetta quando lei estrasse i canini.

    L’accendisigari scattò in fuori come un pistoncino difettoso e si ribaltò con la parte accesa verso l’alto, rossetto incandescente in attesa di soddisfazione. Il sangue di Anthony ci schizzò sopra con un fzzzzz.

    1

    La Mustang al Carpenter Motel

    Al banco del motel non c’era nessuno.

    La mattinata era già arida e secca. La piccola tettoia di legno dava ben poco riparo.

    Suonò il campanellino lucidissimo che trillò come un usignolo.

    Attese.

    Niente.

    Premé di nuovo.

    Niente.

    Lo suonò tre o quattro volte di fila, poi lo prese in mano e lo sbatté con violenza sul banco.

    Dopo tre colpi si sfaldò. Ne gettò i resti contro il casellario delle chiavi.

    Arrivò in fretta e furia il receptionist, che spuntò da una porticina.

    – Ma cosa…?

    L’uomo che aveva frantumato il campanello saltò il bancone e andò a prenderlo di peso, lo trascinò sul davanti, in mezzo alla stanza, e lo scaraventò a terra sopra un tappeto rosso a fantasie native americane nere di ispirazione un po’ Mescaleros e un po’ Chiricahua. Nemmeno troppo brutto alla fine. Una delle poche cose decenti di questo buco di culo di motel.

    L’ometto sembrava un trasandato portiere d’albergo di metropoli. Portava un asimmetrico papillon su un completo nero spiegazzato. La camicia bianca era sudicia e fuori dai pantaloni. Gli occhiali sgangherati, con una sola lente, appoggiati sul naso piccolo e adunco. Pelato sopra la testa, rasato a zero su nuca e tempie.

    L’uomo che l’aveva maltrattato lo guardava con sprezzo, in piedi. Aveva un lungo cappotto marrone e un cappello a tesa larga. Un cowboy fuori tempo massimo.

    – Allora, mezza larva… – esordì – dimmi intanto

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