La vendetta della fenice
Di Luana Galli
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Anteprima del libro
La vendetta della fenice - Luana Galli
Prologo
E ra già arrivato il momento di andarsene. Per la maga era sempre stato così, all’improvviso si rendeva conto di non essere più al sicuro. Doveva cambiare assolutamente casa! Si guardò intorno, prima di uscire dal suo rifugio. Non stava lasciando il suo nascondiglio per davvero, eppure il suo cuore venne invaso da un sentimento di malinconia. Alzò il cappuccio del mantello sopra la testa e uscì. Il sole era tramontato ormai da un pezzo, intorno a lei le ombre della sera le facevano da scudo.
Respirò a pieni polmoni l’aria fresca e frizzante, prima di incamminarsi. Il parco era deserto, le sagome degli alberi e dei giochi per i bambini sembravano creature mostruose pronte ad aggredirla in qualsiasi momento. Uscita dal parco, poté godersi la quiete che c’era tutt’intorno. Passeggiò tranquilla per il paese addormentato e senza rendersene conto raggiunse la piazza principale al cui centro si trovava una fontana spaventosa. L’aveva vista innumerevoli volte ma, ogni volta, le metteva i brividi. La statua che sormontava la fontana raffigurava un cacciatore di maghi, che fiero e armato di balestra, premeva il piede destro sul petto di un mago senza vita. Meg si sedette su una panchina, proprio davanti alla terribile fontana. Abbassò il cappuccio rivelando i suoi ricci rossi da cui aveva preso il soprannome di Fenice, poi si lasciò andare alle lacrime.
Pianse per la statua del mago, visto che aveva commesso soltanto il crimine
di essere nato. E per questo veniva schiacciato e ucciso da un uomo che alla fine non era poi così tanto diverso da lui.
L’uomo, o meglio l’assassino, era Ferbius: il cacciatore di maghi che aveva ammazzato, torturato e imprigionato centinaia di maghi come lei. La statua era un omaggio al suo egregio lavoro. La comunità umana dominante, lo ringraziava per aver contribuito a liberare il mondo dalla piaga dei maghi. In lei la rabbia cominciò a crescere. I singhiozzi di dolore che iniziarono a scuoterla erano l’unica cosa che rompeva il silenzio sacro circostante. Ogni volta che guardava quella statua, sentiva sulle proprie spalle il dolore di quel mago e di tutti quelli uccisi nel corso dei secoli. La rabbia che portava dentro cominciava a essere impossibile da contenere. Si asciugò le lacrime e decise di lasciare un messaggio rivolto a quella cittadina che inconsapevolmente l’aveva ospitata.
Scattò in piedi, fiera come non mai e con un movimento delle mani, fece esplodere in mille pezzi la maledetta statua e la fontana sottostante. Le lacrime sparirono dai suoi occhi, mentre guardava con fierezza l’acqua zampillare senza controllo in tutte le direzioni e i pezzi di marmo sparsi per la piazza.
Il suo gesto aveva fatto abbastanza rumore da attirare l’attenzione e in men che non si dica alcune volanti dei Guardiani la raggiunsero a sirene spiegate. Lampeggianti e fari illuminarono meglio la scena, facendo crescere il suo orgoglio. I Guardiani, scesi dalle auto, restarono bloccati per qualche istante. Non potevano credere che l’antica maga più potente, pericolosa e ricercata del mondo fosse lì davanti a loro a portata di mano. Qualcuno si fece coraggio attirando l’attenzione di Meg.
«Fenice, arrenditi e non ti sarà fatto nulla di male.»
La voce era ferma, autoritaria e fece scoppiare Fenice in una sana risata.
«Se mi lasciate andare, non vi verrà fatto nulla di male.»
La proposta della maga rese tutti i presenti assai confusi e spaventati.
«Se non ti arrendi, saremo costretti ad aprire il fuoco.» Altre minacce arrivarono dalla stessa voce che però non era più tanto coraggiosa.
Meg sorrise felice dei fari puntati verso di lei. Quanto la divertiva quella situazione! Tutti tremavano alla sua vista. «Fate pure.»
Il suo invito venne accolto da un agente che prese prontamente la balestra e scoccò un dardo contro l’antica maga. Fenice non dovette neanche muoversi per bloccare l’avanzata del proiettile. Esso cadde a pochi passi da lei. «Dai, riprovate!» incitò Fenice. «Potete fare di meglio.»
La provocazione venne accolta di nuovo e vari colpi furono scoccati nella sua direzione.
Gli agenti scaricarono su di lei tutti i colpi posseduti. Con mosse teatrali, salti e piroette, Fenice impedì ai dardi di colpirla, facendoli cadere inermi intorno a lei.
Il gioco la fece annoiare in fretta, così decise di uscire di scena. Salutò educatamente i Guardiani e in un batter d’occhio sparì lasciando gli agenti soli a guardare un mucchietto di sassi.
Riapparve a pochi chilometri dal confine, ai margini di una strada che attraversava dei campi seminati da poco. Fenice sospirò tirandosi di nuovo il cappuccio sulla testa. Camminò per un po’ godendosi la serenità circostante.
La campagna, inghiottita dall’oscurità, la faceva sentire da sempre al sicuro.
Camminò per molto tempo, come in trance. La notte non accennava a lasciare il posto al giorno, i piedi le dolevano e intorno a lei il panorama restava identico. Il suono del silenzio, che l’aveva dolcemente accompagnata in quel cammino, si ruppe. A commettere quel sacrilegio fu il lontano suono di una sirena. Fenice non conosceva la sua destinazione, ma non voleva neanche rischiare di incontrare altri Guardiani. Nonostante la stanchezza, chiuse gli occhi e quando li riaprì era già lontana. Il teletrasporto era semplice per lei.
Apriva una porta sulla fuori dimensione, l’attraversava e per ritrovarsi un attimo dopo dove voleva.
Era stata costretta ad apprendere quest’abilità per sopravvivere. Scosse la testa per scacciare i brutti pensieri che puntualmente le bussavano alla mente.
Cercò di concentrarsi sul suo obiettivo successivo: c’era qualcosa in quella cittadina che desiderava ardentemente.
Visto che mancavano ancora un paio d’ore all’alba, decise di fermarsi a riposare. Si guardò intorno per decidere il punto migliore per far comparire il suo amato rifugio.
Intorno a lei non c’era nulla, fatta eccezione per una strada e la terra incontaminata.
Ciò che la circondava, soffocando tutto con la sua balsamica
presa, era la pace cosparsa di silenzio e speranza. Finalmente avrebbe potuto riposare un po’ tranquilla. Fece un ultimo sforzo e in un batter d’occhio la sua casetta fu davanti a lei sul ciglio della strada.
Senza indugiare oltre, varcò la soglia trovandosi nell’ambiente freddo ma familiare del suo amato