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Luciano Ligabue. Restart
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E-book308 pagine4 ore

Luciano Ligabue. Restart

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Questo libro racconta una storia, e una carriera, che nell’arco di trent’anni ha raccolto consensi, riconoscimenti, premi e gratificazioni che hanno davvero pochi eguali nel nostro Paese. Soprattutto perché conquistati in ambiti diversi tra loro: non solo in quello musicale, ma anche in campo cinematografico, letterario, sociale, umano. Stiamo parlando di Luciano Ligabue, il rocker di Correggio che ha ridefinito il significato di fare musica in Italia. Una biografia artistica che ne ripercorre il cammino,sempre sulla sua strada, facendone emergere i lati personali meno conosciuti: le radici nella provincia emiliana, il rapporto di dedizione totale verso il suo pubblico, la grande passione per il cinema, l’impegno civile verso cui non si è mai tirato indietro, le emozioni che solo suonare sopra un palco, davanti alla sua gente, riesce a procurargli. Un viaggio nel mondo intimo e nella musica del Liga, per esaminarne valori, messaggi e traiettorie stilistiche.
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita12 mag 2020
ISBN9788836160341
Luciano Ligabue. Restart

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    Anteprima del libro

    Luciano Ligabue. Restart - Patrizia De Rossi

    Re Start

    Questo libro è dedicato a Luciana (la mia adorata mamma),

    che nelle lunghe notti passate a scrivere mi avrebbe detto:

    «Patrì, ma ancora non hai finito?»

    Introduzione

    L’ennesimo libro su Ligabue?

    L’ennesimo libro su Ligabue? L’ennesimo libro su Ligabue… L’ennesimo libro su Ligabue!

    Sì, è quello che mi sono sentita dire e ripetere nei mesi che hanno preceduto l’uscita di Re Start, con tutte le varie intonazioni del caso: sorpresa, noia, scetticismo. Ma questo NON è l’ennesimo libro su Ligabue, perché racconta trent’anni di vita italiana, di musica, di rock. E, ovviamente, trent’anni di Ligabue.

    Se apriamo il portale dell’Enciclopedia Italiana Treccani, massima istituzione della cultura italiana, troviamo:

    Ligabùe, Luciano. Cantautore italiano (Correggio, 1960). Dopo alcuni suoi brani incisi da altri interpreti, nel 1990 riscuote un immediato successo col primo album Ligabue. Il suo linguaggio musicale contiene elementi fortemente innovativi rispetto alla tradizione della canzone d’autore italiana, con sonorità spesso vicine al rock. Tra i suoi album successivi si ricordano: Lambrusco, coltelli, rose e pop corn (1991), Sopravvissuti e sopravviventi (1993), A che ora è la fine del mondo (1994), Buon compleanno Elvis (1995), Su e giù dal palco (1997), Il mio nome è mai più (in collaborazione con Jovanotti e Piero Pelù, 1999), Miss Mondo (1999), Fuori come va? (2002), Nome e cognome (2005), Arrivederci, mostro! (2010), i tre cd live dal titolo Campovolo 2.011 (2011), che danno nome anche al film-concerto diretto da Marco Salom nello stesso anno sotto il titolo Ligabue Campovolo – Il film 3D, Mondovisione (2013), il cofanetto cd+dvd live Giro del mondo (2015), contenente venti brani tra cui quattro inediti, Made in Italy (2016) e Start (2019). Ligabue è inoltre autore della raccolta di racconti Fuori e dentro il borgo (1997), dalla quale è tratto il film Radiofreccia (1998) per la regia dello stesso Ligabue, che ha scritto e diretto anche Da zero a dieci (2002); tra i suoi lavori letterari vanno citati La neve se ne frega (2004), il volume di poesie Lettere d’amore nel frigo (2006) e le raccolte di racconti Il rumore dei baci a vuoto (2012) e Scusate il disordine (2016). Nel 2018 il cantautore è tornato alla regia cinematografica con la pellicola Made in Italy.

    Non capita proprio a tutti, soprattutto se non si è un letterato, uno scienziato, un premio Nobel o un premio Oscar, di diventare una voce dell’Enciclopedia Italiana Treccani. Non è affatto facile, eppure a Luciano Ligabue, di professione artista, è accaduto. E se ti accade di essere inserito nella prestigiosa istituzione culturale italiana, è evidente che non sei proprio uno qualsiasi.

    Sono tante le persone che non apprezzano la musica e il personaggio di Ligabue, altrettante quelle che disconoscono le sue qualità artistiche. Ligabue – il musicista – è una celebrità che come tutti gli uomini di successo suscita non poche invidie. Ormai ci ha fatto l’abitudine, alle critiche; alle cattiverie (sempre gratuite) un po’ meno.

    In questa sede, però, non ci interessano né critiche né cattiverie, quanto raccontare una storia, e una carriera, che nell’arco di trent’anni ha raccolto consensi, riconoscimenti, premi e gratificazioni che hanno davvero pochi eguali nel nostro Paese.

    Soprattutto perché conquistati in ambiti diversi tra loro: non solo in quello musicale, ma anche in campo cinematografico, letterario, universitario.

    1960

    Se la storia di Ligabue comincia nel 1990, quella di Luciano, invece, ha il suo punto di inizio trent’anni prima.

    Quando nasce, il 13 marzo 1960, l’Italia è un paese in pieno fermento. Luciano viene al mondo in una piccola città della provincia emiliana, Correggio, dove si lavora tanto, si fanno poche chiacchiere e non si perde tempo. Trascorso il decennio postbellico, l’Italia è un Paese che vuole guardare al futuro, una nazione che si è ormai buttata alle spalle il periodo più buio e difficile della sua storia, un Paese che, dopo essersi rimboccato le maniche, sta finalmente rinascendo.

    Il 1960 è l’anno delle Olimpiadi di Roma, della Palma d’Oro a La dolce vita di Federico Fellini, del benessere che comincia a diffondersi, della Zebra a pois di Mina, dell’Estate da odiare di Bruno Martino e de Il cielo in una stanza di Gino Paoli. È anche l’anno di Canzonissima dell’orchestra del maestro Bruno Canfora, di Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti e de L’Avventura di Michelangelo Antonioni. Nel 1960 nasce – professionalmente parlando – la più grande attrice italiana di tutti i tempi, Monica Vitti, musa ispiratrice e compagna di vita (all’epoca) di Michelangelo Antonioni. È sempre nel 1960 che Elvis torna dal servizio militare e nel nostro Paese esce il suo 45 giri Are You Lonesome Tonight?

    L’Italia è un paese dove la Democrazia Cristiana ha la maggioranza ma comincia a strizzare l’occhio a sinistra, dove il Pil aumenta dell’8,3 per cento, dove nascono e prosperano le fabbriche, dove le campagne si svuotano e le città si riempiono, soprattutto quelle industriali. È un Paese in cui la gente ha più soldi in tasca e può finalmente spenderli per svagarsi, divertirsi e sognare in grande.

    In questo contesto generale, Luciano quando nasce ancora non sa – ovviamente – che diventerà di lì a trent’anni il cittadino correggese più famoso d’Italia, insieme a un altro artista, Pier Vittorio Tondelli, scrittore scomparso prematuramente nel 1991. Sono loro due, oggi, a rendere la cittadina reggiana famosa in tutta Italia: della pazza omicida degli anni Quaranta, Leonarda Cianciulli, detta la Saponificatrice, non si ricorda più nessuno, del celebre pittore cinquecentesco locale Antonio Allegri, chiamato per l’appunto il Correggio, solo gli appassionati di arte.

    Luciano è fatto della pasta della sua terra, l’Emilia, contadina per tradizione e laboriosa per vocazione. Cresce con la consapevolezza che per vivere bisogna sudare. La sua è una famiglia di operai, di lavoratori, di partigiani: suo nonno, Marcello, è stato un eroe della Resistenza e Luciano oggi lo ricorda così:

    Di mio nonno Marcello conservo un’immagine indelebile: sigaro in bocca e «l’Unità» sottobraccio. Era un comunista vero, non come si direbbe qui a Correggio, uno tanto per gradire. Quando è morto, nel 1972, io avevo dodici anni e sapevo ben poche cose di lui. Un giorno a scuola, in prima ragioneria, durante l’appello, il professore d’italiano, arrivato al mio nome, mi chiese: «Ligabue? Nipote di Marcello?». «Sì», feci io. «Lo sai chi era tuo nonno, vero? Una figura importante della Resistenza». Io feci cenno di sì, ma dentro di me annaspavo. Quella storia non la sapevo proprio, così decisi d’informarmi. Parlando con un po’ di gente della mia famiglia e con alcuni suoi amici che ancora erano vivi, ho scoperto che non era stato un partigiano di quelli che avevano imbracciato il fucile ma un vero resistente, pronto a farsi picchiare e torturare pur di non cedere, di non aderire alle idee dei fascisti. Quell’alto prezzo pagato senza clamore mi ha fatto meglio intendere la sua storia di uomo perbene, capace di un rigore morale che, nonostante i sei figli da mantenere, metteva in pratica in tutto. Compreso nel non voler mai rincarare la merce oltre il 15 per cento. Così, pur con un umile mestiere, vendeva le spagnolette e i rocchetti da ricamo, era diventato un punto di riferimento per la gente del paese, che nella sua bottega non andava solo a cercare aghi e fili, ma anche qualche gugliata di saggezza. E magari di buon umore. Perché quei ragazzi che allora, a diciassette anni, decidevano di rischiare la vita non lo facevano solo per alti ideali, ma per difendere la propria allegria dal nero che avanzava.

    Molti anni dopo il musicista scriverà un brano che pubblicherà ancora più tardi (nel 2015, nel live Giro del Mondo) intitolato I campi in aprile, che parla di un ragazzo che sacrifica la sua stessa vita per difendere la libertà di cui godiamo oggi. Luciano lo racconta così:

    Un giorno stavo passeggiando per Correggio e ho visto un cippo, uno di quei monumenti che ricordano chi si è sacrificato o che ha fatto qualcosa di grande per la Patria, con un nome che mi ha colpito molto: Luciano Tondelli. Tondelli è stato uno scrittore importante negli anni Ottanta, era anche lui di Correggio e anche per questo motivo è stato particolarmente importante per me. Ho notato subito questa strana coincidenza. Quindi mi soffermo un attimo lì e vedo di fianco la data di nascita e di morte. È morto a meno di vent’anni, a dieci giorni dalla Liberazione, il 15 aprile 1945. Mi è venuta voglia di scrivere una canzone che provasse a raccontare il suo punto di vista, quello di un ragazzo che fa una scelta chiara, che è quella di metterci tutto se stesso, anche la vita, pur di difendere la libertà di cui godiamo oggi.

    Non è difficile immaginare come Ligabue pensasse anche a suo nonno Marcello quando scrisse una canzone così carica di affetto e significato…

    Ma torniamo al tempo in cui era solo Luciano. Sarebbe stato, forse, un bambino tranquillissimo se non avesse avuto il cordone ombelicale impigliato intorno alla testa al momento della nascita – che lo fece diventare cianotico – e un’operazione alle tonsille che, a cinque anni, gli provocò una sorta di pericolosa emorragia. Inconvenienti che servirono fin da subito a imprimergli sulla pelle che la vita non è facile, e che lo temprarono alle difficoltà che avrebbe dovuto affrontare.

    Luciano, infatti, vive in una famiglia di lavoratori, gente comune, semplice, che ha sempre faticato per ottenere qualcosa, e che insegna al figlio, fin dai primi anni di vita, che la vita è fatta di lavoro, sudore, sacrifici. Gli viene trasmesso come nessuno ti regali niente e che tutto quello vuoi o vorresti occorre guadagnarselo, giorno dopo giorno.

    E di questi insegnamenti Luciano fa tesoro. A scuola si prende un diploma da ragioniere perché «con quello si lavora subito», gioca a calcio nel pomeriggio e cresce col mito dell’America negli occhi e nelle orecchie. Poi c’è la musica, quella che ascolta dalle prime radio libere, e che comincerà di lì a poco a scrivere, e suonare, lui stesso.

    Luciano cambia lavoro continuamente, vorrebbe solo fare il dj radiofonico, ma deve guadagnarsi la pagnotta, deve portare i soldi a casa. La passione per la musica, però, comincia a farsi strada sempre più prepotente al punto da spingerlo a comporre le prime canzoni. Qualche anno prima, infatti, suo padre – forse intuendone il talento – gli regala una chitarra che Luciano impara a suonare sulle note dei cantautori italiani.

    Le prime composizioni, più che brani, sono tentativi acerbi e a tratti goffi di riprodurre quel che sente alla radio. Luciano è il primo che si rende conto che quelle prime note e parole tirate giù alla meno peggio non hanno la dignità di canzone e quindi le tiene per sé. In particolare c’è un pezzo, Cento lampioni, che Luciano ricorda come il primissimo della sua intera carriera: «Era un brano molto naïf, in cui raccontavo di una prostituta, una cosa abbastanza brutta. In realtà scrivevo canzoni ma non avevo il coraggio, poi, di farle ascoltare a nessuno». Però non demorde, continua ad ascoltare e fare musica, continua ad andare ai concerti. A Correggio, nonostante i ventimila residenti, passano i grandi del rock, da Bob Dylan a Patti Smith, da Jeff Buckley a Neil Young. Ogni tanto lavora come fonico o come promoter di artisti meno noti.

    L’unico che a un certo punto riesce ad ascoltare le canzoni di Luciano è Claudio Maioli, conosciuto in una delle tante radio libere di quegli anni, che grazie al suo «innato ottimismo e alla sua faccia tosta» (parole di Luciano) diventerà di lì a breve il suo manager.

    Un racconto lungo trent’anni

    Da quando Claudio Maioli si prende la briga di proporre Luciano come musicista per concerti e dischi, inizia ufficialmente la carriera di Ligabue. Ad oggi, appunto, trent’anni di carriera, trent’anni di musica, trent’anni di rock italiano.

    Luciano Ligabue è l’artista che più e meglio di ogni altro ha caratterizzato – e influenzato – musicalmente il periodo 1990-2020, e proprio per festeggiare al meglio questo importante traguardo ha lanciato una nuova sfida, quella di celebrare in un unico giorno, il 12 settembre 2020, i suoi tre decenni da cantante, autore, musicista, rockstar. Rocker, e artista, invece, lo è sempre stato, anche quando ancora non lo sapeva, anche quando la timidezza lo paralizzava.

    La storia del cantante Ligabue inizia nel 1987, quando fa il suo primo concerto ufficiale a Correggio, alle 16 di domenica 8 febbraio nella Sala Grande L. L. Radice di via Carlo V n. 4. La band di Luciano, in quella prima occasione, si chiama Orazero ed è composta da Paolo Signorelli (chitarra solista), Bruno Pederzoli (chitarra ritmica), Alberto Inovilli (batteria) e Roberto Bartolucci (basso).

    Al proprio fianco già c’è Claudio Maioli, suo amico storico, colui che per primo ne ha intuito il talento spingendolo a scrivere e a esibirsi sul palco, mettendo da parte remore e paure. E a giudicare da questi trent’anni, da come sono andati, dai successi ottenuti, dalle soddisfazioni avute, l’amico Claudio ci aveva visto davvero lungo (e giusto).

    Maioli è anche colui che per primo contatta Pierangelo Bertoli – cantautore impegnato di buon successo, che allora viveva a pochi chilometri dalla provincia reggiana, a Sassuolo – per fargli sentire alcune canzoni del giovane correggese. In risposta Bertoli sceglie un paio di canzoni (Sogni di rock’n’roll e Figlio d’un cane) e le inserisce in due suoi album: la prima in Tra me e me del 1988, la seconda in Sedia elettrica uscito l’anno successivo, entrambi prodotti da Angelo Carrara, che diventerà poi il produttore dei primi tre album di Ligabue.

    Il legame tra Luciano e Pierangelo Bertoli diventa nel corso degli anni collaborazione professionale, scambio di stima reciproca e amicizia vera, che prosegue con la famiglia anche dopo la scomparsa del musicista. E il 18 ottobre 2019, quando Luciano ritira il premio intitolato all’amico e primo mentore della sua carriera, è una sorta di chiusura del cerchio, forse un riconoscimento a entrambi per il lavoro fatto insieme. Il Premio Pierangelo Bertoli, indetto dall’Associazione culturale Montecristo con la direzione artistica di Alberto Bertoli – figlio del cantautore sassolese e anche lui musicista – e Riccardo Benini, va ad artisti che abbiano inciso e pubblicato, nel corso della propria carriera, più di quindici album e che siano riusciti «ad arrivare al cuore della gente» non soltanto con le loro canzoni ma anche con il loro «impegno sociale» e il loro «non uniformarsi alle tendenze di pensiero e di moda attuali», esattamente come ha sempre fatto Pierangelo nel corso della sua vita.

    Nella serata di premiazione, svoltasi al teatro Storchi di Modena, Luciano sale sul palco con Alberto e insieme cantano Le cose cambiano, il pezzo scritto dal rocker reggiano negli anni precedenti e nato da un intreccio di emozioni e di incontri. In quell’occasione Ligabue ricorda così l’amico scomparso:

    Tanti, tanti, ma tanti anni fa, quando ancora scrivevo canzoni ma mi imbarazzava il fatto di farle sentire in giro, il mio manager Maioli prese la guida la telefonica di Modena e trovò il numero di Pierangelo Bertoli. Lo chiamò a casa e Pierangelo rispose di persona (altri tempi, altri uomini): «Se avete tempo venite a casa mia e mi fate sentire i pezzi». Fu la prima di tante sere passate in casa Bertoli. Io mi ritengo fortunato ad averlo conosciuto. Una lezione di forza, chiarezza di idee e coerenza, ed è stato per me decisivo da un punto di vista professionale.

    Una sera decise di incidere una mia canzone. È stata per me un’iniezione di fiducia molto importante, poi, addirittura, mi chiamò per registrare insieme a lui la parte finale, la coda della canzone. Fu la mia prima canzone registrata su un disco ufficiale! Abbiamo continuato a frequentarci, poi a un certo punto ci siamo lasciati per un po’. Un giorno scrissi una canzone che voleva essere il mio modo di rivederlo, e mi sarebbe piaciuto che la cantasse lui.

    Andai a Cervia, dove tutta la famiglia era in vacanza, e gli feci sentire il brano. Gli piacque molto, ma purtroppo non fece in tempo a poterla cantare. Così nel 2009 la incide e la pubblica Alberto, e oggi la cantiamo insieme, si chiama Le cose cambiano.

    Già nel 2012, in occasione del decimo anniversario della scomparsa di Pierangelo, Luciano dalle pagine del suo sito ufficiale lo aveva ricordato con queste parole:

    Incontrare Pierangelo voleva dire ogni volta assistere a una incredibile lezione di forza. Forza morale, intellettuale e, nonostante la sua disabilità, forza fisica. Tutto questo lo si poteva (e lo si può) sentire nella sua voce netta, decisa, potente, perentoria e consapevole. Nella seconda metà degli anni Ottanta, quando insieme al mio amico Maioli cercavo una strada per poter incidere dischi e fare concerti, trovammo il suo nome sull’elenco telefonico. Lo chiamammo per sentire se ci poteva aiutare e lui, con una disponibilità che ci sembrava impossibile, ci invitò a casa sua.

    Dopo alcuni mesi avrebbe registrato due mie canzoni in due suoi album (cosa che, si immaginerà, fu una enorme iniezione di fiducia sulla mia precaria autostima di allora) e mi avrebbe fatto conoscere il suo manager che, sempre dopo poco, sarebbe diventato anche il mio: il compianto Angelo Carrara. Sia a Pierangelo che ad Angelo devo tantissimo. Sono particolarmente contento, dunque, che in un concerto come quello fatto per aiutare la sua amatissima regione io e gli altri dodici cantanti di Italia Loves Emilia abbiamo potuto omaggiarlo e cercare di onorarne la memoria cantando tutti insieme la canzone che fra le sue, più di tutte, lo ha raccontato per come era fino in fondo: la bellissima A muso duro.

    Il debutto, tra una bionda e un mondiale

    Il primo omonimo album di Ligabue esce nel 1990. L’Italia è un paese ancora ebbro della Milano da bere, dell’edonismo reaganiano, dei favolosi anni Ottanta, quelli in cui girano tanti soldi, dove il must assoluto è divertirsi, sempre, ovunque, comunque.

    È un paese godereccio, dove vige un individualismo sfrenato che ha completamente e totalmente rimpiazzato l’impegno sociale collettivo, le lotte in piazza per i diritti dei tanti, preferendo concentrarsi esclusivamente sull’orticello dei singoli. L’importante è godersela, e fare soldi.

    L’Italia del 1990 è anche quella dei Mondiali di calcio, in cui gli Azzurri si classificano al terzo posto; quella che, in secondo grado, assolve tutti gli imputati della strage di Bologna del 2 agosto 1980.

    In questo quadro l’arrivo di Ligabue ha una forza dirompente. Il successo che Luciano riscuote fin dall’inizio è enorme. Il pubblico lo segue immediatamente, la critica lo sostiene. La forza di Luciano è soprattutto nei testi, nelle storie che racconta e che lo differenziano tanto da Vasco, troppo banale, quanto dai Litfiba, troppo cervellotici.

    Luciano è diretto, immediato, chiaro. Le storie che racconta sono quelle della provincia italiana in cui lui ha vissuto tutta la vita: sono le sue storie, quelle dei suoi amici e quelle che ha sentito raccontare al bar. Sono storie in cui tutti possono immedesimarsi e che fatalmente si sovrappongono, ricalcandone gli schemi, alle storie della provincia americana che ci hanno sempre affascinato. Anche dal punto di vista musicale, Ligabue guarda al mainstream rock made in Usa, piuttosto che al British rock a cui strizzano l’occhio sia il Blasco che i Litfiba.

    Oggi Luciano racconta cosi la nascita del suo primo album:

    Se c’è un Big Bang delle mie canzoni quello è Sogni di rock’n’roll, è il brano in cui per la prima volta ho iniziato a parlare delle cose, delle serate che vivevo io, che avevo visto vivere dai miei e con i miei amici. Poi sono venute le altre canzoni, compresa Certe notti che ha avuto per me un successo quasi inspiegabile, nel senso che io quelle cose là le avevo già raccontate altre volte, come ad esempio in Sogni di rock’n’roll.

    Il disco di esordio di Luciano è un album da buona la prima, come si dice in gergo cinematografico: ventuno giorni in studio per registrare undici brani che si incastrano perfettamente uno nell’altro. Un disco molto diretto, con suoni forti e determinati, che colpiscono immediatamente nel segno.

    In realtà la genesi dell’album è un po’ più articolata: il manager e produttore Angelo Carrara, dopo aver conosciuto Luciano attraverso Pierangelo Bertoli, gli consiglia di registrare un piccolo demo, quattro o cinque pezzi che possano far capire bene il suo genere e il suo stile. Aggiunge, però, che in quel momento non ha soldi (o, probabilmente, non vuole subito investirli) per produrre un suo disco. Luciano intanto, dopo quel primo concerto al Circolo Luigi Lombardo Radice di Correggio, dice all’amico Maioli di trovare quante più possibili occasioni per suonare. Maioli, conosciuto in una delle tante radio libere aperte e chiuse a Correggio in quegli anni, comincia a darsi da fare per realizzare insieme a Luciano quel «sogno di rock’n’roll». Ligabue in quel momento non ha una sua band: gli Orazero, con cui si è esibito fino a quel momento, hanno lasciato ogni

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