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Mozart - La Vita - Le Opere
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E-book456 pagine7 ore

Mozart - La Vita - Le Opere

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Tanto fu detto e scritto su Wolfango Amedeo Mozart che occorreva una scelta rigorosa, un esame attento e severo di ciò che può essere più attendibile e caratteristico per non cadere in particolari inutili, incerti e risaputi. Vedere, per quanto è possibile, il vero volto di questo genio — spesso inconcepibile — attraverso lettere, storia del tempo e dichiarazioni di contemporanei, volle un lavoro accurato, pieno d'esitazione, spesso trepido. I suoi stessi contemporanei non lo compresero per intero.

Soprattutto dolorosa fu l'insufficiente stima di cui fu circondato sebbene egli avesse, in ogni momento della vita, consigli e parole per tutti. Nell'immediata vicinanza fu troppo grande, forse, il distacco fra il suo mondo esteriore e l'interiore, tra la vita intorno a lui e l'intimità sua artisticamente immensa.

Qualcuno disse: Davide e Golia.

Potremmo dire la sua una personalità più difficile assai di quella di Beethoven, che, blocco d'un unico contenuto, lasciò — sebbene laconico all'eccesso, — frasi che poterono essere di guida a chi lo studiò con amore. Mozart ha mille lati troppo spesso in contrasto con la vita quotidiana; vita molteplice, terrestre e celeste; alte idealità e aspirazioni complesse con concezioni di pensiero e di fede fra il bisogno d'infinita tenerezza e necessità inarticolate più per eccessiva sensibilità, forse, che per esuberante temperamento. Contrasti ancora fra l'ambiente dove fu costretto a vivere e a cui dovette obbedire con la pieghevolezza, l'arrendevolezza mite e compiacente di un'infantile confidenza e un confidente abbandono. Incoscientemente. Ingenuamente. Nell'età matura avrebbe acquistato forza ed energia per una più decisiva lotta e indipendenza; ma la morte lo colse sul limitare della virilità. Beethoven nella forza dei suoi trent'anni entrò a Vienna e s'impose alla società, alla moda, al tempo. Mozart chinò il capo, e scese nel sepolcro.

Vi scendeva col cuore rassegnato e aperto — sebbene dolorante — alla fiducia in Dio, alla fede d'una vita Al di là di cui già pensava giovinetto quando veniva per la prima volta in Italia.

Ora, dopo la morte la gloria. E anche l'amore, che fu la prima cosa, — forse l'unica — ch'egli chiese al mondo.

Nella musica, attraverso il sordo istinto d'inquietudine e di fervore umano; egli creò col controllo della ragione anche là dove le produzioni si possono chiamare aristocratiche o galanti; ed anche in quelle eminentemente drammatiche. Non per controllo a freddo della ragione, ma per l'innato bisogno di temperanza e verecondia, di misura e straordinario senso estetico, ispirazione d'una bellezza e d'una armonia che furono il sostegno primo d'ogni sua creazione, sdegnando egli tutto ciò che poteva essere passionalità disordinata e violenta.

Per quanto questa figura ci sembri popolare per gli innumerevoli aneddoti e racconti e particolari detti a sazietà con maggiore o minore riserva e rispetto del vero, essa ci sfugge per il mistero che avvolse il suo de stino. Anche nelle sue creazioni, dove si mantenne sempre sul punto di una sobrietà e riservatezza naturali, non si rivela per intero.

Dedicare ora uno studio più attento, più vasto e desiderabilmente completo alle sue opere e alla sua personalità, uno studio soprattutto più amoroso per questa figura che aprì l'anima all'affetto come all'unico bisogno dell'esistenza, sarà il mezzo per avvicinarsi ad essa e comprendere, fin dove lo potranno le nostre forze, la sua immensa musicalità, la estensione e la profondità del suo mondo drammatico.

Allora alla sua musica, divenutaci familiare per consuetudine e orecchio intento che abbia radice nel cuore, ci sentiremo trasportare in un'atmosfera d'eterna giovinezza e d'eterno sorriso, anche attraverso il pianto più accorato. Beethoven ci trascina spesso nel turbine della sua possente passione. Mozart, tra la profondità delle tempeste umane ci sorride, ci prende per mano e ci fa risalire dov'è chiarità di cielo e giovinezza senza tramonto.
LinguaItaliano
Data di uscita14 lug 2017
ISBN9788892675506
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    Anteprima del libro

    Mozart - La Vita - Le Opere - A. Albertini

    INDICE

    INDICE

    AL LETTORE

    CAPITOLO I

    CAPITOLO II

    CAPITOLO III

    CAPITOLO IV

    CAPITOLO V

    CAPITOLO VI

    CAPITOLO VII

    CAPITOLO VIII

    CAPITOLO IX

    CAPITOLO X

    CAPITOLO XI

    CAPITOLO XII

    CAPITOLO XIII

    CAPITOLO XIV

    CAPITOLO XV

    CAPITOLO XVI

    CAPITOLO XVII

    CAPITOLO XVIII

    ILLUSTRAZIONI

    Mozart

    LA VITA - LE OPERE

    A. Albertini

    Fratelli Bocca – Editori – Prima edizione digitale 2017 a cura di David De Angelis

    AL LETTORE

    Tanto fu detto e scritto su Wolfango Amedeo Mozart che occorreva una scelta rigorosa, un esame attento e severo di ciò che può essere più attendibile e caratteristico per non caderein particolari inutili, incerti e risaputi. Vedere, per quanto è possibile, il vero volto di questo genio —spesso inconcepibile — attraverso lettere, storia del tempo e dichiarazioni di contemporanei, volle un lavoro accurato, pieno d'esitazione, spesso trepido. I suoi stessi contemporanei nonlocompresero per intero.

    Soprattutto dolorosafu l'insufficiente stima di cui fu circondato sebbene egli avesse, in ogni momento della vita, consigli e parole per tutti. Nell'immediata vicinanza fu troppo grande, forse, il distacco fra il suo mondo esteriore e l'interiore, tra la vita intorno a lui e l'intimità sua artisticamente immensa.

    Qualcuno disse: Davide e Golia.

    Potremmo dire la sua una personalità più difficile assai di quella di Beethoven, che, blocco d'un unico contenuto, lasciò — sebbene laconico all'eccesso, — frasi che poterono essere di guida a chi lo studiò con amore. Mozart ha mille lati troppo spesso in contrasto con la vita quotidiana;vita molteplice, terrestre e celeste; alte idealità e aspirazionicomplesse con concezioni di pensiero e di fede fra il bisogno d'infinita tenerezza e necessità inarticolate più per eccessiva sensibilità, forse, che per esuberante temperamento. Contrasti ancora fra l'ambiente dove fu costrettoa vivere e a cui dovette obbedire con la pieghevolezza, l'arrendevolezza mite e compiacente di un'infantile confidenza e un confidente abbandono. Incoscientemente. Ingenuamente. Nell'età matura avrebbe acquistatoforza ed energia per una più decisiva lotta e indipendenza; ma la morte lo colse sul limitare della virilità. Beethoven nella forza dei suoitrent’anni entrò a Viennae s'impose alla società, alla moda, al tempo. Mozart chinò il capo, e scese nel sepolcro.

    Vi scendeva col cuore rassegnato e aperto — sebbene dolorante — alla fiducia in Dio, alla fede d'una vita Al dilà di cui già pensava giovinetto quando veniva per la prima volta in Italia.

    Ora, dopo la morte la gloria. E anche l'amore, che fu la prima cosa, — forse l'unica — ch'egli chiese al mondo.

    Nella musica, attraverso il sordo istinto d'inquietudine e di fervore umano; egli creò col controllo della ragione anche là dove le produzioni si possono chiamare aristocratiche o galanti; ed anche in quelle eminentemente drammatiche. Non per controllo a freddo della ragione, ma per l'innato bisogno di temperanza e verecondia, di misura e straordinario senso estetico, ispirazione d'una bellezza e d'una armonia che furono il sostegno primo d'ogni sua creazione, sdegnando egli tutto ciòche poteva essere passionalità disordinata e violenta.

    Per quanto questa figura ci sembri popolare per gli innumerevoli aneddoti e racconti e particolari detti a sazietà conmaggiore o minore riserva e rispetto del vero, essa ci sfugge per il mistero che avvolse il suo de stino. Anche nelle sue creazioni, dove si mantenne sempre sul punto di una sobrietà e riservatezza naturali, non si rivela per intero.

    Dedicare ora uno studio più attento, più vasto e desiderabilmente completo alle sue opere e alla sua personalità, uno studio soprattutto più amoroso per questa figura che aprì l'anima all'affetto come all'unico bisogno dell'esistenza, sarà il mezzo per avvicinarsi ad essa e comprendere, fin dove lo potranno le nostre forze, la sua immensa musicalità, la estensione e la profondità del suo mondo drammatico.

    Allora alla sua musica, divenutaci familiare per consuetudine e orecchio intento che abbia radice nel cuore, ci sentiremo trasportare in un'atmosfera d'eterna giovinezza e d'eterno sorriso, anche attraverso il pianto più accorato. Beethoven ci trascina spesso nel turbine della sua possente passione.Mozart, tra la profondità delle tempeste umane ci sorride, ci prende per mano e ci fa risalire dov'è chiarità di cielo e giovinezza senza tramonto.

    CAPITOLO I.

    I Mòzart venivano in lontana origine dalla Svevia— scrive Maria Anna per una futura biografia del fratello. Ma già ai primi del secolo diciassettesimo li troviamo in Augusta, dove un antenato, Davide Mozart, era capomastro e cosi i suoi tre figli. Solo il più giovane, Francesco, fu legator di libri e suo figlio maggiore, Giovanni Giorgio, fu maestro legator di libri in Augusta. Sposato una seconda volta ebbe sei figli di cui due seguirono il mestiere del padre. Ma il maggiore, Giovanni Giorgio Leopoldo d'ingegno musicale noncomune, scoperto per la primavolta nella famiglia, fu messo dal padre, ad intercessione del padrino canonico von Grabhen, nel chiostro del Sacro Cuore e Sant'Ulrico, dove studiò il canto e l'organo, il violino e il pianoforte. Perl'ingegno svegliatissimo studiò anche giurisprudenza all'Università di Salisburgo; ma la passione predominante rimase la musica, chelo spinse ad abbandonare l'università e dedicarsi completamente a questo studio. Ancora il 1777 rammenterà al figlio Wolfango d'aver can tato e suonato l'organo con molta maestria.

    Più tardi il Presidente del Capitolo, conte Giorvanni Battista Valsassina Thun e Taxis, lo prese al propri-oserviziocome musicus. Leopoldo dedicò al mecenate:Sei sonate per chiesa e camera a due e tre violini e basso. L'offerta dei lavori musicali è accompagnata da una dedicatoria cui si aggiunge in italiano:... e ad un tratto cavato dalle dure tenebre d'ogni mio bisogno e stradato ver l'orizzonte della mia fortuna.... Naturalmente dipendeva dalla cordialità, dalla finezza e anchedalla comprensione più o menointelligente del mecenate che il musicus potesse aver tempo di dedicarsi an che allo studio. Infatti il Principe Thun lasciava a Leo pollo le ore libere per il suo lavoro, specialmente per lo studio del violino e la composizione. Il 1741 compose la CantataCristo sepolto. Entrò poi secondo violino alla Corte dell'Arcivescovo Sigismondo von Schratten bach a Salisburgo, dove il 1763 fu nominato Vicecapell meister. Doveva insegnare il violino e anche il piano ai ragazzi che facevano partedell'orchestra formata di trenta giovani tra cui glia soloe quindici ragazzi per cori di chiesa.

    Il padre Leopoldo, uomo d'integro carattere e di gran de attività, prese sul serio e con coscienza il proprio lavoro; lo seguì con orgoglio e lo sostenne con onore per dar vivo impulso alla coltura musicale di Salisburgo Pubblicò il suo metodo:Scuola di violinoche di venne presto famosa e apprezzata non solo in Germania ma anche in Francia, in Olanda ed altri paesi. Lipsialo nominò membro della suaSocietà della scienza musicale. Col tempo preso sempre più dalle cure pel figlio Wolfango, si dedicò meno alle proprie composizioni. Spesso lasciò da parte gli studi per Seguire con la più attenta sollecitudine i giganteschi passi del suo bimbo che tenne assiduamente -al lavoro e presentò forse troppo presto al pubblica usando precocemente di quelle incalcolabili facoltà musicali.

    Fu fedele ai suoi principi e ai suoi doveri, e, più che mai alla sua religione: religione verso Dio e la famiglia. Nella lettera del 15 dicembre 1777 scrive fra altro alla moglie:Posso chiedere se Wolfango non ha dimenticato di confessarsi? Dio avanti tutto! Da Lui dobbiamo accettare la nostra felicità temporanea e pensa.re sempre all'eterna. I giovani non ascoltano con piacere queste cose, lo so; anch'io sono stato giovane, ma, ringraziando Iddio; fra tutte le scappatelle giovanili sempre mi ripresi, fuggii i pericoli della mia anima e tenni sempre dinanzi agli occhi Iddio, il mio onore e l'avvenire!. Seppe muoversi nel mondo trattando gli uomini con circospezione e cordialità riservata, ma con apparente benevolenza e molto tatto.

    Nella vita, durante alcuni anni assai movimentata, fu suo principio conoscere anzitutto gli uomini. Spesso dichiarava al figlio:La grande arte è di conoscere se stessi; e poi, figlio mie, fa come faccio io: impara a conoscere gli uomini a fondo.... In questo fu di esempio senza mai dimenticare la disciplina di se stesso.Quanto più grande è l'ingegno tanto maggiore è la responsabilità dinanzi a Dio ed agli uomini, e tanto più severo il dovere di sviluppare e darvalore al pegno a noi affidato.

    Va da sè che non poteva essere estranea una certaautocrazia e la disciplina anche verso i figli, che alcuni vollero definire pedanteria e anche caparbietà nel volerla spuntare ad ogni costo in talune circostanze. Ma chi potrebbe rimproverare a lui il desiderio vivissimo, a volte quasi febbrile, di trovare il mezzo di rendere il figlio indipendente dalservizioalla corte sotto l'Arcivescovo Colloredo, successore del buono e generoso Arcivescovo Sigismondo von Schrattenbach?

    Non sempre il suo gusto musicale s'accordò con quello del figlio sebbene questi sempre cercasse con deferenza il giudizio del padre. Ma a poco a poco Wolf2 ngo comprese come il padre fosse a volte circoscritto. Nondimeno affetto e rispetto per questo padre così grandioso e scevro da qualsiasi egoismo nella costante abnegazione per la famiglia, facevano dimenticare i tratti che meno s'accordavano con i suoi. Il figlio amò questo padre soprattutto ed ebbe per lui un culto d'infinita riconoscenza.

    Sappiamo di certo che a Wolfango riuscì sempre disgustosa la tendenza del padre a chiavarsi e inchinarsi all'Arcivescovo Colloredo, il padrone.

    Con gli anni quel servilismo paterno gli divenne insopportabile. In molte lettere il giovane pregava il padre di non umiliarsi troppo, specie dinanzi alleimposizioni del superbo Colloredo. Era già nel sangue del giovane il sentimento che faceva esclamare a Beethoven:Davanti a Dio non sono nulla, ma odio l'umiliazione dell'uomo di fronte all'uomo!.

    Sulla musica lasciata da Leopoldo i giudizi sono vari. Riguardo la musica di chiesa sappiamo che quella pel rito doveva subire spesso alterazioni e ritocchi, secondo le esigenze e il carattere del Principe. Ma doveva essere d'un certo valore se ancora più tardi il figlio gliscriveva:Ciò che noi vorremmo, carissima padre, sarebbe della sua musica sacra, della più buona,poichéabbiamo piacere d'aver ogni genere di musica, di musicisti antichi e moderni. Il padre rispondeva:... questa musica è sotto il tetto e ormai quasi tutta ròsa dai vermi.

    Nella musica strumentale e per piano ebbe maggiore libertà. Delle sonate giunte a noi talune hanno un certo humor, un addentellato nella tecnica con quelle del figlio; poche altre stanno. quasi alla pari con quelle di Scarlatti e lasciano sentire una certa influenza di Filippo Emanuele Bach. Lasciò un numero considerevole di Messe, canti sacri, litanie, sinfonie, divertimenti., andati in parte smarriti, in parte ridotti a frammenti o alterati.

    L'arte di Leopoldo si può chiamare dipassaggio,evi emerge più che altro lo stile antico. Nello studio musicale fu avveduto, ma geniale e seguì i principi di F. E. Bach per l'inappuntabilità dell'esecuzione.Bisogna suonare come se noi stessi fossimo commossi; oppure suonare con tale spigliatezza e facilità come se fossimo i compositori. E ancora diceva il buon Leopoldo:

    Bisogna trattare lo strumento come fosse una- voce checanta; la voce che canta dev'essere il punto di mira di tutti gli strumentisti,perchéci si deve avvicinare quanto più è possibile alla naturalezza".

    L'insegnamento del padre certo influenzò ed arricchì l'arte esecutiva del figlio anche riguardo allo studio del violino, a cui Leopoldo lo esortava. Nellascuola del violinooltre a sani principi e consigli vi è profonda esperienza. I contemporanei dicevano:Questa è anche una scuola di pensiero, di disciplina per lo scolaro cui raccomanda lo studio a memoria quando l'esecuzione dell'esercizio odella pagina musicale è inappuntabile. È una scuola che insegna a pensare musicalmente. E piccolo Wolfango ebbe certamente alleggerito e facilitato lo studio, e l'alta pura interpretazione del giovane dovette avere in buona parte origine da questa scuola che i critici del tempo seppero degnamente apprezzare:Il Maestro Mozart sa unire con bell'arte il profondo studioso all'artista studioso, e crea il musicus erudito n. Zelter, amico di Goethe, scrittore, critico di arte a Berlino scriveva:La scuola di violino di Leopoldo Mozart è un'opera che si userà finché il violino sarà il violino. Ed è scritta anche molto bene. In ottimo tedesco, con penetrazione e perspicacia. Ha fatto un'opera altamente meritoria. Gli esempi sono di ottima scelta e la loro applicazione non è affatto pedante. Veramente tende alla scuola di Tartini, ma lascia all'allievo maggiore libertà nel trattare l'arco".

    Da tutto ciò vediamo quale uomo d'ingegno e di carattere fosse Leopoldo e come dovesse soffrire tra le catene della piccola cortedi Salisburgo al tempo dell'Arcivescovo Colloredo, che non sapeva o non voleva apprezzare giustamente i suoi musici.

    In gioventù Leopoldo Mozart ebbe la buona ventura di sposare il 1747 una brava vivace innamoratissima giovane di 27 anni, Anna Maria Pertl di San Gilden, piccolo paesino a pochi chilometri da Salisburgo. I contemporanei dichiararono:La coppia Mozart è la più bella coppia di sposi che mai si sia veduta. La sposa aveva in più il merito d'essere ottimista quanto il marito era pessimista formando così un equilibrio che tornò a vantaggio della famiglia. Aveva tendenza allo scherzo, facilità a superare col- felice temperamento le difficoltà della vita e portar sempre una nota d'allegria e di serenità nella casa. Seppe comprendere il marito sopportando con amore la sua tendenza alla pedanteria nell'ordine e la disciplina, e dedicò la sua sana e avveduta intelligenza a rendere quanto più potè lieta la casa dei suoi cari.

    Di sette figliuoli due soltanto rimasero in vita: Maria Anna nata il 30 luglio 1751, e Wolfango.

    Mariannina, anch'essa di vero ingegno musicale, fu pianista di valore e figlia esemplare. Fra le brevi notizie lasciate per una futura biografia del fratello dice fra altro: a In casa Mozart regnava lo spirito dell'ordine e della reciproca confidenza. Leopoldo Mozart a Musicuse pedagogo intelligente fu padre benevolo, ma severo, degno del grande figlio. Pochi artisti geniali possono chiamare vero padre il loro proprio padre che con amore e pronto sacrificio e con tale profonda coscienza dei propri doveri sa dedicarsi all'educazione dei figli. La madre Anna Maria corrispose al consorte nell'attività, la cura e l'amore. Con dolcezza e condiscendenza temperava la severità paterna. Ella lasciò ai figli il suo sano humor, a volte anche un po' ardito. Con giusta economia seppe mantenere alla casa un buon reddito sicuro anche se non ricco nella misura dello stipendio non troppo alto del marito.

    L'epistolario del padre e del figliuolo; le lettere degli amici e agli amici; le testimonianze di tanti contemporanei molto ci parlano di lui, della sua esistenza, dei suoi prodigi, di ciò che faceva, come studiava e come viveva; ma della sua vita intima nota a lui solo e dei suoi problemi, nulla sappiamo. Ci sono noti alcuni capisaldi della vita familiare, dei principi morali, dellareligione di cattolico fervente che lo illuminò e lo sostenne con fede inalterata tutta la vita. Accolse l'arte come dono di natura e lo tenne caro come tesoro completamente suo.

    Mi volete bene?— chiedeva a chi lo avvicinava, mettendo quasi a posta della comprensione che gli ai volesse bene. A sei anni, stretto al collo dell'imperatrice Maria Teresa le chiedeva:Mi vuoi bene? Proprio bene?".

    Pareva dire: amatemi se mi volete comprendere.

    Amatemi se volete da me conforto e serenità.

    E a tutti si rivolgeva di primo impulso con il sorriso dei suoi grandi occhi limpidi e azzurri, con cordialità affettuosa credendo all'amore di tutti gli uomini. Quante volte leggeremo nelle sue lettere:... è un mio buon amico!e dovrà disingannarsi. Ed è questa meravigliosa naturale fiducia, è questo affettivo slancio dell'anima che preoccupava soprattutto il padre, costretto, forse suo malgrado, a diffidare degli uomini.

    Salisburgo, amena cittadina adagiata fra colli ridenti e severi lungo le rive della Salzach; la bellezza, la serenità, la grazia del paesaggio acquistano prestigio dalle architetture italiane aperte e vaste, le volte dei palazzi e le arcate delle chiese, le molte piccole case intime, che ricordano le modeste case dell'antica Milano, così cara al cuore del Porta e del De Marchi. Vi è una strana fusione di gioia di vivere e di solennità manifesta nei palazzi dei principi della chiesa, che qui dominarono. Quasi un idillio fra il sorriso tranquillo dei giardini settecenteschi, eleganti sullo sfondo lontano delle alte montagne che fanno corona. Da una parte i colli verdi emiti, dall'altra alture severe, la fortezza e il monte dei Cappuccini.

    Il giovane partecipava di quella natura sebbene non ne parli mai, sebbene sembri non accorgersi di tutto ciò che lo circonda. Qua e là qualche osservazione superficiale. Ma tutto acquista valore e movimento attraverso la sua musica. Tutto diverte il bimbo, tutto è canto per lui. Le sue prime brevicomposizioni non si possono paragonare alle brevi liriche spontanee d'un giovinetto poeta? Diciamo poesia in versi, mentre tutto è per il fanciullo poesia in musica.

    In una camera della modesta casa della Getreidegasse (sarebbe come il vicolo del grano), Wolfango aprì gli occhi alla luce. La sua nascita quasi costò la vita alla madre. Leopoldo, curvo su questo ultimo nato che la sua donna gli dava con tanta sofferenza, pensava con tremore se non gli verrebbe tolto come tanti altri prima di lui. Di sette figli due soli erano rimasti. Leopoldo ripeteva con pianto e con fervore: Signore! Sia fatta la Tua santa volontà!

    Le prime impressioni del bimbo furono la musicadel padre e della sorellina.E subitoil buon Leopoldo, appena scorse la tendenza musicale del piccino per l'attenzione che prestava già a tre anni alle esecuzioni del padre e agli studi della sorella, gli permise d'assistere alle lezioni di piano regolarmente impartite. Il piccino toccava con visibile piacere la tastiera; cercava le terze con intima soddisfazione e piccoli gridi di gioia. Scoperto nel bimbo una memoria musicale già a quel tempo fuori del comune, Leopoldo provò a suonare qualche piccola melodia che il bimbo fece comprendere di seguire con la voce. A poco a poco dopo i primi tentativi d'insegnamento, Wolfango cerca sul piano frasi udite o improvvisate da lui; vi dà carattere e varietà. Il padre trai3crive quelle prime manifestazioni: semplici menuetti, arie di menuetti, la forma preferita di quel tempo e che Mozart trattò con spiccata tendenza, con speciale amore. Possiamo dire che il menuetto subì un carattere particolare sotto la penna di Haydn, Mozart e Beethoven.

    Gli amici di casa partecipavano alla gioia trepida e allo stupore della famiglia. Tutti sono intorno a questo bimbo che non tarda a farsi chiamare: fenomeno, miracolo, prodigio!

    Eppure il piccolo Wolfango non smarriva, non alterava la propria natura infantile nonostante gli studi severi che il padre gli faceva seguire. Studiava, ma anche giocava con tutti gli -altri bimbi. Ogni sera prima d'andare a dormire cantava a due voci col padre melodie italiane che ricorderà più tardi nell'accorata nostalgia della sua casa, della famiglia e dei primi anni della vita libera. e felice. Baciava il padre sulla punta del naso e gli diceva che quando fosse vecchio lo avrebbe messo sotto una campana di vetro per difenderlo dall'aria.

    Deve aver sentito fin dai teneri anni la dolcezza d'affetto di quel padre, se purbimbo già pensava a difenderlo e tenerselo caro!

    Non era però d'umore sempre uguale il piccolo artista! Bimbo eccezionale ed eccessivo nelle sue manifestazioni, fu ben presto esposto a una vita che doveva aumentare e anche alterare la sensibilità, l'equilibrio di quelle forze non assestate; doveva infervorare la fantasia a detrimento della salute; eccitare la curiosità e l'eccitabilità per le sempre nuove impressioni.

    Portato, appena adolescente, a Corte dal Principe Arcivescovo nei giardini del palazzo Mirabell, idilliopieno di sogno e di magnificenza: ampie sale a stucchi dorati, amorini e fiori intrecciati sotto le volte dello scalone, egli guardava tutto con occhi stupiti ed accoglieva con manifestazioni di gioia tutte quelle cose belle.

    Fu fortuna per lui aver goduto sino ai quattordici anni la generosa e liberalebontà dell'Arcivescovo Schrattenbach, severo con sè, ma cordiale, benevolo e condiscendente coni sudditi.

    A lui era permesso ascoltare e suonare, essere in certo modo un piccolo padrone cui il buono Arcivescovo permetteva tutto ciò che potesse tornare di vantaggio al suo musicus e alla sua famiglia. E quanta fede rimasta fervida e indefettibile tutta la vita! Lo proverà con i fatti, e a volte, sebbene di rado, con le parole.

    Già da questo primo tempo si scoprivano i tratti che si svilupperanno e lo accompagneranno lungo gli anni avvenire: allegria a volte sfrenata che si manifestava con mosse e parole, anche ardite e non sempre castigate: lingua mordace che gli nuocerà nel commercio con gli uomini; eccessive espansioni ed elasticità di temperamento,' per cui passava all'improvviso dall'allegria più smodata a una tristezza chiusa, stabilendo quasi una lontananza, un'assenza fra lui e chi lo circondava.

    La madre era la buona ispiratrice per riaversi da casi spiacevoli e superarli con disinvoltura rendendo facile il ritorno alla gioia, e far dimenticare le ore perturbatrici.

    Il padre pretendeva uno studio regolare e serio. Non sappiamo che sarebbe avvenuto del figlio di tale eccezionale natura se l'avesse lasciato più libero o l'avesse educato con minore severità, e se non fosse stato sempre intorno a lui a guidarlo e a difenderlo.

    Un dono così anormale doveva esser coltivato, tenuto e diretto con vigile prudenza, con cura assidua e attenta. Tutta ciò che nell'animo del giovinetto si sviluppa bisogna incanalarlo come polla d'acqua sorgiva per raccoglierla in corso ordinato, che non si disperda.

    A cinque anni compone.

    Guarda curioso il padre se gli piacciono quelle piccole note: il padre tace; le lacrime gli irrigano il volto..

    Nonostante la commozione e l'ammirazione, il padre Leopoldo trovò certamente una giusta misura di severità e d'indulgenza e di tatto delicato se mai il ragazzo ebbe il pensiero di ribellarsi, e mai l'affetto subì l'alternativa che nei ragazzi non ancora assestati sorge contro chi li ama, è ;vero, ma li costringe all'obbedienza e alla disciplina. Quell'affetto paterno doveva esser ben noto al figlio se mai vennero meno il rispetto, l'ossequio, la comprensione di tutticiò che il padre gli dava, e la loro vita andò prendendo col tempo un simpatico carattere di cameratismo accompagnato da confidenza e illimitata fiducia.

    Il piccolo entra nel regno dellamusica come nel proprio regno.in casa sua. La musica è tutto per lui. Che valgono le parole? Non sono i suoni più espressividelle parole? Lasua anima di bimbo può dire tutto conla musica. Con la musica può dire quel che sente vagamente nell'anima: della luce, del vento, del gorgheggio degli uccelli, dei colori, e soprattutto dire quello che il cuore gli dice, tutte quelle ineffabili cose che stanno nel nostro segreto e sono vive e impazienti d'uscire. C'è il ritmo della vita ancora così semplice e serena; libera, senza pensieri; tenuta sicura fra le sbarre d'oro del papà amoroso; cullata dall'affetto incondizionato della mamma dolce e compiacente. Quei ritmi graziosi di danza, quei motivi se li trovava nell'orecchio e nel cuore lieti e lievi, pieni di sorrisoe così chiari in quell'alba sonora cui rispondono i primi passi della vita, le immagini della ricca fioritura gentile del rococò! Non sentiamo nelle prime sonate l'olezzo di quei giardini, il passo appena accennato dei piedini calzati di seta che danzavano con pace? Il mondo è tutto ridente e pacato; si parla a bassa voce; gesti accoglienti mentre tutti si muovono con grazia sullo sfondo armonioso dei tendaggi a ghirlande di rose e lucentezze d'oro, mitigate da veli tenui che ombreggiano le ampie finestre, onde il sole non sussulti fra quelle chiarità morbide.

    E lì corre, salta e si getta nelle braccia di questo e di quello il mistico uccellino con piccoli canti, con piccoli (voli e gridi argentini; poi con moti repentini, quasi sfrenati, girando su se stesso, cade stanco.

    La lama rode il fodero.

    E il bimbo muove intorno gli occhi e li richiude a raccogliere nel mistero dell'anima in boccio che non ha ancora vissuto nel mondo, sua già vive d'una vita sua, l'immagine di tutto ciò che vede, che gli tocca il pensiero, vaga lontano e si forma e si trasforma, si dissolve e ai ricompone in canti e in ritmi. Domani, come se tutto calasse per inaudito miracolo dal cielo, si fermerà sulla carta, nel fervore di quello spirito sempre in stato dicreazione, tutto ciò che andava fissando nella memoria potentemente tenace. Ben presto da questo gorgheggio di colori, di luce, di suoni usciranno, apparentemente estemporanei come canti d'una nidiata d'uccelli, le sonate del giovanissimo poeta. Copriranno per molti anni il fondo tragico della sua anima, che affiorerà a poco a poco dall'abisso dell'uomo appena in tempo per dar vita, sulle scene del mondo, ai fantasmi della sua demònica passione.

    Il padre resta perplesso. Come credere a tale fenomeno? A lui, proprio a lui un tale dono? Che volevaIddio? Come tenere e guidare quel sacro pegno che gli veniva affidato? Una missione dunque? Fin dove arriverà quel figlio? È una pianta di serra, e come coltivarla, e come farla crescere senza alterarne e forzarne la potenza?

    Quando il bimbo e la figliola furono pronti, Wolfango di sei e Maria Anna di undici anni, s'iniziano i viaggi. Brevi in principio, ma tosto, preso coraggio e fatti più sicuri, penseranno a più lontanipaesi. Quanto mondo vedranno quei piccini e quante impressioni coglieranno, Mariannina con calma e senza grandi rispondenze d'arte e di vita, ma il piccino?...

    La madre segue in silenzio, beata se i suoi figli sono allegri e si divertono, ma impressionata alle fatiche cui saranno sottoposti, specialmente il bimbo. Nello stesso tempo rassegnata però al volere del consorte: ciò che egli vuole lo vuole pel bene di loro tutti; così bisogna_ seguirlo e accettare. È tanto buoni), sa ciò che è bene.; è intelligente e conosce la vita. Affidiamoci a lui; ci condurrà in porto sicuro.

    Con questa disposizione d'animo la buona donna è d'aiuto e di sostegno in quella prima difficile impresa. Ma nel suo cuore, nel suo cuore di mamma desiderava, tacita, non un enfant prodige! Le sarebbe bastato un bravo figliuolo sano e intelligente come qualunque altro, e come tutta la buona gente comune rimanersene nella sua casa piena di pace e d'armonia! Che mancava loro? Si volevano bene, e Salisburgo è tanto carina!

    Wolfango ha dunque sei anni. Troviamo al suo attivo già alcuni menuetti e viene a contatto col teatro•. Canta a una rappresentazione scolastica del maestro Eberlin. Studia non soltanto il piano e il violino, ma anche l'aritmetica, e allora carte, pareti, tavoli tutto si ricopre di numeri. La madre naturalmente interviene: il .figliuolo risponde con sgambetti, risate, smorfie d'ogni genere davanti la condiscendente autorità materna, che il piccolo non teme, nè prende sul serio.

    Già a questo tempo osservandolo possiamo scoprire i segni delle future manifestazioni: la freschezza del sorriso, le risate spontanee, gl'impeti d'entusiasmo, le espressioni affettive, le intolleranze acute quasi morbose, le serietà quasi di tristezza improvvisa e balenii d'una futura passione ancora ignota e tanto, tanto lontana!

    Immaginiamo la festa del ragazzo all'annuncio del primo viaggio da Salisburgo a Monaco, e quale proporzione prendeva nella sua fantasia!

    Giungono a Monaco il carnevale 1762. La Nannerl e Wolfango sono pronti a mostrarsi e farsi udire. Era un primo saggio. Ma per il padre un primoassaggiodei progetti forse non ancora ben definiti. E neppure un passo indifferente era per il brav’uomo così ponderato. Sì, soltanto una gita; ma per lui anche una prima prova di fronte a progetti molto più grandiosi. E forse trepidava all'idea di affrontare il pubblico con i suoi piccini! Non gli balenò il pensiero che coglieva ancora in erba il grano che prometteva una messe tanto ricca?

    La famiglia arriva a Monaco: i genitori animati da belle speranze pensano che potranno dare maggiore istruzione ai figli; potranno portarli in ambienti di più vasta coltura.

    I due fanciulli suonano davanti al Principe Elettore ed hanno un successo lusinghiero. Restano tre settimane. M triannina, con la sua diligenza, nota le impressioni su Nymphenburg vicino a Monaco, sui palazzi della bellacittà. Wolfango non dice nulla: guarda e canta, il sorriso sulle labbra, e quando la gioia trabocca getta le braccia al collo al papà e alla mamma e si muove e trema, non sa star fermo; par che un ritmo interiore lo ten. ga sempre in movimento. Batte ora una manina, ora un piedino secondo il ritmo che lui solo sa intendere e ascoltare.

    Presto cadranno sulla carta nuove piccole melodie di cui lui stesso non saprà rendersi conto.

    A questa prima prova presero forma idee più grandi, progetti di più largo respiro. Lo stesso anno si spingono fino a Vienna. Vi arrivano il settembre e vi restano sino al gennaio del 1763. Nelle lettere agli amici Leopoldo racconta i miracoli del bimbetto, i concerti di tutti e due, e l'accoglienza della casa reale, l'orgoglio e la soddisfazione sua di far conoscere quali figli Iddio gli aveva concesso.

    I ragazzi sono pronti per entrare nelle grandi sale. La Nannerl vestita come una damina, corsetto chiuso alla vita, ampia sottana con ricami, collana e orecchini come una grande signora nei suoi dodici anni non ancora varcati. E Wolferl, come lo chiamavano con diminutivo, calze di seta bianca, calzoncini di velluto arancione, giacchettin.a di velluto lilla attillata alle spalle e alla vita, e ampia sui fianchi; jabot ricco di ricami, trine al collo e ai polsi. Il ritratto al Mozarteum di Salisburgo ce lo mostra in quei giorni grassoccio, tondo in viso, capelli biondi ricciuti stretti da un largo nastro. Il bimbo andrà presto in scena a Corte. Con qual trepida gioia per il padre e l'anima timida della madre! Ma pare che il bimbo non sene curi; per lui tutto è soltanto divertimento, un giuoco. Vedrà un nuovo paese, tanta gente nuova e anche l'imperatrice! E tutto finisce lì!

    Il 18 settembre i Mozart lasciano Salisburgo. Nella carrozza postale hanno ancheuna piccola tastieraperchéi ragazzi possano tenersi in esercizio. Leopoldo scrive un diario e nelle lettere all'amico Hagenauer nota tutte le vicende sino ai più piccoli particolari.

    A Passau sono ricevuti dal Vescbvo che li accoglie alcuni giorni in casa sua e fa suonare il bimbo e gli regala, dono munifico, un ducato! A Liuiz dà un concerto, e qui ha la prima indisposizione: un forte raffreddore. Poi a piccole tappe s'avvicinano a Vienna. Suona l'organo nel chiostro di diversi paesi facendo stupire tuttiperchénon l'aveva mai imparato. I monaci salgono suI coro per vedere questofenomeno.

    Il 6 ottobre entrano a Vienna, la città imperiale.

    Wolfango si trova con la sorella nelle sale dei grandi palazzi. Che spettacolo! Che grandi sale luminose! Come la gente è buona e gentile, pensa il bimbo e come mi sta a sentire! Ma, aspettate aspettate, vi farò sentire altre cose; le hoinventateproprio poco fa; mi sono venute in mente così, senza ch'io nemmeno ci pensassi! Sentirete com'è grazioso questo menuetto; io non l'ho scritto; lo scriverà Al papà.

    Ed esegue a memoria anche sonate d'antichi musicisti. Cose piuttosto semplici; ma è tanto piccino anche lui!

    E ride della gente che lo sta a sentire e lo guarda così sorpresa!

    Tutte le case dell'aristocrazia aprono la porta a quegli artisti. Tutti vanno a gara a invitarli. Molti doni: tabacchiere dorò; anelli; orologi, tanti orologi, da farne una raccolta!

    Naturalmente il ‹maggior interesse è per il ragazzetto. Così piccino e già così famoso, Lode a Dio di tanto dono!

    Tutti accarezzano quel fantoccione così carino, così elegante, cosi bravo. E anche la bella Nannerl già così posata e brava pianista; proprio una damina a corte, disinvolta e fine!

    Wolfango guarda tutti con gli occhi maliziosetti, birichino, scherzoso, infantile. Ma se lo seggono al piano, ecco, si fa serio, compunto; è raccolto, non scherza più, nessuno gli può parlare! Vediamolo nel ritratto con quei piedini che non toccanoterra. Poi scende dallo scannetto, salta allegro, getta le braccia al collo dell'imperatrice Maria Teresa che lo tiene sulle ginocchia: cc Mi vuoi bene? — le dice — proprio tanto bene?".

    Corre per quelle sale; sdrucciola, cade; Maria Antonietta, di pochi anni più di lui, accorre e lo solleva. Lui la guarda:perchései tanto gentile, quando sarò grande ti sposerò!.

    E Leopoldo scrive a Salisburgo:"I signori qui c'invitano_molti giorni avanti per user sicuri di averci. Tutte le signore sono innamorate del mio bambino. Non ho veduto ancor nessuno che non dica: è incredibile!

    A Vienna, la bella città imperiale, si dirigevano gli sguardi di tutta l'Europa ! La grande città aveva raggiunto sotto Maria Teresa un progresso di coltura non ancora toccato prima. La vite intellettuale aveva sollevato anche la vita sociale; tutti quei popoli disversi sotto lo scettro della intelligente sovrana formavano un organismo compatto ed elevato che si mantenne sino agli ultimi giorni del suo regno.

    L'epoca di Carlo VI e di Maria Teresa, — dice uno storico — voleva dire plasticamente la fioritura del barocco nobile, caldo di vita sincera.

    Nelle famiglie fervida vita intellettuale: concerti privati, rappresentazioni, mascherate, commedie musicalia soggetti tedeschi, francesi, italiani. La casa imperiale partecipava di questa vita artistica: Maria Teresa stessa,' allieva del grande Hasse, cantava con bella voce; le figlie suonavano il piano, e il figlio, il futuro imperatore Giuseppe II, suonava con molta abilità il violoncello.

    E come si coltivava la famiglia imperiale, così si coltivavano tutte le famiglie specialmente dell'aristocrazia.

    Non deve far meraviglia dunque se Maria Teresa fu presa di tanto interesse per i ragazzi Mozart; se andava a gara a invitarli a Corte e far loro gran festa. Non potremo dire se l'entusiasmo fosse soltanto per ilfenomenodel momento o per un futuro genio, che prometteva di far onore al paese. Certo è ch'ella rimase stupita alle esecuzioni del bimbo; ma più tardi non ebbe parole lusinghiere quando si trattò di dare una posizione stabile algiovinetto allora di quattordici anni. Ma anche non

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