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Mai un momento di quiete!
Mai un momento di quiete!
Mai un momento di quiete!
E-book223 pagine3 ore

Mai un momento di quiete!

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Info su questo ebook

Mai un momento di quiete! (Never a Dull Moment) è un romanzo thriller del 1942 dello scrittore britannico Peter Cheyney e rappresenta l’ottava storia in cui è protagonista il detective federale Lemmy Caution.

Peter Cheyney (Londra, 22 febbraio 1896 – Londra, 26 giugno 1951), è stato uno scrittore inglese di romanzi gialli. Ebbe la sua massima notorietà fra il 1936 ed il 1951, anno della morte. È ricordato, tra l'altro, per avere creato il personaggio dell'agente federale statunitense Lemuel H. Caution, Lemmy per gli amici. Alcuni dei romanzi con protagonista Lemmy Caution sono stati adattati in film. Altro personaggio creato dalla penna di Cheyney è il detective privato Slim Callaghan.
LinguaItaliano
EditorePasserino
Data di uscita5 nov 2022
ISBN9791222020563
Mai un momento di quiete!

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    Anteprima del libro

    Mai un momento di quiete! - Peter Cheyney

    PERSONAGGI PRINCIPALI

    LEMMY CAUTION, agente federale

    MAXIE SCHRIBNER, avventuriero

    TAMARA PHELPS, gangster in gonnella

    RUDY ZIMMAN, capo-banda

    WINDEMERE NIKOLLS, investigatore privato

    JULIA WAYLES, una donna irreperibile

    LORELLA OWEN, una donna ambigua

    I. BELLA SERATA

    Mai un momento di quiete!

    A chi lo dite! Voi, forse, siete di quei tali che conducono una vita regolare e sanno sempre quello che faranno domani. Be’, vorrei essere cosí. Per quanto mi riguarda, la vita è cosí bislacca che, alle volte, non so nemmeno quel che ho fatto ieri.

    Che tipo, eh?

    È probabile, brava gente, che abbiate sentito parlare di me. Sono Lemuel H. Caution... Lemmy, per voi... e porto una tessera dell’Ufficio Federale Investigativo, nonché un fardello della malora pieno di guai. Ho passato la maggior parte della mia vita dando la caccia ad assassini, ladri, truffatori, rapinatori, falsari, contrabbandieri, spacciatori di stupefacenti, specialisti in tratta delle bianche, biscazzieri e loro aiutanti in gonnella. Ho dato la caccia a bricconi d’ogni sorta che hanno commesso ogni sorta di reati dentro e fuori del territorio degli Stati Uniti. Ho dato la caccia a tipi grassi e a tipi magri, a tipi che liquidano le loro divergenze a colpi di rivoltella e a tipi che, per uscir da un imbroglio, contano soltanto sulla loro parlantina.

    Ho dato pure la caccia a una quantità di donne, per un motivo o per l’altro. Principalmente, per un motivo... ma non è quello che pensate voi, signori. No, no... le donne alle quali do la caccia, di solito, sono delle dolci creature tanto raccomandabili che se mai si incrapricciassero di voi, vi conviene buttarvi a capofitto dalla finestra. Ho dato la caccia a varie donne anche per altri motivi... per motivi vecchi quanto il mondo. Ma, credetemi, è piú facile, alle volte, acciuffare una perfida bionda di Oklahoma, che ha infranto tutte le leggi possibili e immaginabili, che non collaudare una tecnica nuova con certi angioletti che sono tanto casti da abbassare la tendina sulla finestra del bagno quando sospettano che qualche furbacchione stia guardando dal buco della serratura.

    Ora, mi trovo presso un cancelletto e guardo un campo di golf. Se vi può interessare, vi dirò che siamo nel luglio del 1941 in un paese chiamato Betchworth, nel Surrey, Inghilterra; bel posticino, meglio di qualunque altro, se si è nello stato d’animo in cui sono io.

    Alle undici di sera, ci si vede ancora, grazie alla stagione estiva. Il panorama è incantevole. C’è nell’aria un dolce profumo di erba, di fieno e cosí via. Ci sono praterie vellutate, un viale di tigli, colline verdeggianti e tutto quel che potete desiderare, se siete i tipi che apprezzano questo genere di cose. Io le apprezzerei molto di piú se fossi un pittore di paesaggi, ma siccome sono soltanto un agente dell’Ufficio Federale Investigativo affetto da un sacco di preconcetti riguardo alle donne, da una grande mancanza di spirito e da una vescica al tallone sinistro, i panorami mi lasciano freddo.

    Spingo il cancello, ma non si apre, il che non è molto strano quando si tien conto che le cose non vanno mai come voglio io. Ma siccome non mi lascio fermare dagli ostacoli, appoggio una mano sopra il cancelletto, faccio un bel volteggio, mi impiglio con una scarpa in una radice, dall’altra parte, e mordo una grossa zolla di terra britannica. Dopo aver emesso varie espressioni allegre e colorite, mi spolvero alla meglio e prendo il sentiero che conduce, attraverso un prato, verso il viale dei tigli.

    Voi non ci crederete, ma io dovrei essere in vacanza. Viceversa, mi è arrivata fra capo e collo una matassa da dipanare.

    Qui attorno, l’aria sa di buono. Durante la giornata ha fatto un gran caldo, ma adesso c’è una brezzolina dolce. Quando arrivo in cima alla salita, vedo quel che c’è dall’altra parte del viale dei tigli. Cerco una casa, ma non riesco a vederla, scommetto che qualcuno l’ha spostata per farmi dispetto. Mi appoggio a un albero e accendo una sigaretta. Ve l’ho già detto altre volte, brava gente, io sono un tipo poetico. Ho passato buona parte della mia vita cercando la bellezza, e se mi chiedete che specie di bellezza, vi rispondo: quella che, di solito, termina a una estremità con una chioma (che può essere di vari colori) e all’altra con due tacchi alla francese, alti dieci centimetri. Ciò che sta in mezzo a queste due cose rappresenta il mio unico svago da anni e anni; ecco perché sono un filosofo e ho una certa tendenza a sgattaiolar via quando vedo una bionda che si avanza con mossa strategica. Mi sono spiegato?

    Tutto ciò non significa che io non apprezzi la bellezza di un campo da golf inglese. Forse il gioco del golf (è un gioco fesso, ma se cominciate a giocarlo non la smettete piú) è una delle cose che consentono agli abitanti di quest’isola di cantare sereni e imperterriti mentre gli aerei nemici gettano bombe sulla cupola della Cattedrale di San Paolo. In ogni modo, chi ha detto che l’atmosfera plasma i caratteri, sapeva il fatto suo.

    Vedo due tipi che si avanzano sul sentiero. Devono appartenere alla categoria degli entusiasti del golf. Uno di essi porta una divisa militare e ha la borsa delle mazze da golf a tracolla. L’altro trasporta i medesimi strumenti di tortura, ma è un borghese calvo, con una camiciola blu. Penso che mi convenga assumere informazioni.

    Aspetto che mi arrivino vicini, poi mi rivolgo al militare. – Scusate, mi sapreste indicare per caso dove abita il signor Schribner.., il signor Max Schribner? Mi hanno detto che ha una casa da queste parti.

    Il militare riflette, poi dice di sí, che forse me lo sa indicare. Schribner dev’essere quel tale che abita nella casetta bianca dall’altra parte della strada, oltre il quattordicesimo prato del campo da golf, a circa un chilometro di distanza in linea d’aria. Mi indica approssimativamente la direzione, poi i due se ne vanno.

    Cammino per un tratto, mi siedo su di un tronco d’albero tagliato, accendo un’altra sigaretta e mi domando che cosa dirò a Schribner, ammesso che lo trovi. Questa è una di quelle imprese nelle quali io non so niente e devo andare a tastoni, tirando a indovinare.

    Me ne sto là seduto, ma mi accorgo che non riesco a concentrarmi sul problema all’ordine del giorno. Penso invece a una donnina che ho conosciuto a Omaha circa diciotto mesi fa. Quella donnina era un raro esemplare. Aveva tutto. Aveva tanto, che quel che le mancava avreste potuto mettervelo in un occhio e non accorgervene.

    Che donna! Era bionda di capelli, appassionata di temperamento e aveva una mente a binario unico... una di quelle donne pronte a concedervi quello che volete, sempre che loro non desiderino qualcos’altro. Mi ricordo d’essermi trovato su di una veranda con quella cara creatura, in una serata come questa. Mi sembra ancora di sentirla mentre diceva: «Lemmy, tu sarai sempre dentro nei guai fino al collo, e se non ci fossi, ti sentiresti cosí infelice da buttarti dalla finestra. Se mai ti venisse il mal di cuore, non te la prendere... tanto è probabile che tu finisca ancora giovane con la gola tagliata... e scommetterei qualunque cosa che sarà una donna a sgozzarti.»

    Dal che voialtri concluderete che io, con le donne, sono in gamba. Be’, forse lo sono e forse non lo sono. Quando si tratta di impantanarsi, siamo tutti in gamba, ma la vera abilità è quella di uscire dal pantano.

    Tutto considerato, è inutile che io arzigogoli su quel che dirò a Schribner, prima ancora di averlo visto. Getto via il mozzicone della sigaretta, mi alzo e mi incammino verso il quattordicesimo prato. Questo è in cima a una collinetta; quando ci arrivo, vedo sul pendio verso la valletta una bella casina bianca col tetto rosso. Faccio un profondo sospiro; per lo meno, ho trovato la tana.

    Comincio a scendere il pendio verso la casina bianca. Intanto, penso a una certa Julia Wayles e mi domando che tattica bisogna adottare con Schribner.

    Sarei curioso di sapere che tipo è Julia Wayles, come cammina e come si esprime, tutte cose che servono a determinare quel che ha fatto, quel che fa e quel che farà una donna, nella vita. Se io sapessi che tipo è Julia le cose sarebbero molto semplificate per me.

    La mia vecchia madre, sempre timorosa che io seguissi le orme del padre (il quale ha passato tutta la vita a dar l’assalto all’onore di qualche donna e ha scoperto, troppo tardi, che quando la donna si arrende la battaglia è appena incominciata), soleva mettermi in guardia dicendo che un giorno una donna mi avrebbe menato per il naso. Si sbagliava. Infatti, tutti i giorni della mia vita, piú o meno, sono stato menato per il naso da uno scelto assortimento di donnine che non sto ad elencarvi.

    Dall’età di diciassette anni (da quando, cioè, mi sono imbattuto in una rossa che aveva una figura da farvi restar tramortiti, gli occhi azzurri e una tecnica che avrebbe fatto impallidire Messalina) ho passato la vita a escogitare il modo di svignarmela dalle pieghe di qualche gonnella in cui mi ero impegolato. Sono fatto cosí. O sono troppo sensibile alla bellezza o appartengo a quella categoria di uomini che sono sempre assetati di novità. Oppure, forse, mi piace farmi un’istruzione. Non lo so.

    Quella rossa mi ha insegnato molte cose. L’ho conosciuta a una festa di beneficenza e, per dirvi la verità, nient’altro che la verità, ho perso la testa per lei a prima vista. Non scherzo. Aveva trentacinque anni, niente spigoli e tutte le curve necessarie. A sentire la sua voce, a guardarla negli occhi, ci si convinceva che Adamo aveva dimostrato d’essere un uomo soltanto quando aveva mangiato la foglia.

    Che donna, ragazzi! Apparteneva a una associazione benefica che faceva propaganda perché i giovanotti passassero le serate in casa. Per quanto mi riguarda, la propaganda ebbe un successone. Infatti, quella donna esercitò una tale influenza su di me, da farmi restare in casa abbondantemente. Per tre settimane non mi allontanai da lei e, quando misi il naso all’aperto, fu soltanto per andare dal farmacista a chiedere un rimedio per la stanchezza.

    Quando ritornai a casa mia, mamma Caution mi diede un’occhiata, poi scaraventò una lattina di pomodoro da un chilo contro la fotografia del vecchio genitore.

    Mia madre credeva nell’ereditarietà.

    Insomma, quella è stata la mia prima esperienza con le donne e da allora non mi sono mai voltato indietro se non per guardare qualche bambinella che si arrampicava su per una scala a pioli. Ora sapete la mia storia. Un giorno o l’altro raccontatemi la vostra.

    Apro il cancelletto del giardino e mi avvio per un sentiero. Si sta facendo buio, ma c’è una bella fetta di luna che spunta da una nuvola. Continuo a pensare a Julia e a domandarmi che tipo è. Dev’essere tutt’altro che trascurabile, altrimenti non mi troverei per causa sua a vagabondare per la campagna cercando di mettere le grinfie su questo sconosciuto Schribner, mentre potrei essere intento a fare una partita a dama con un tipino dalle chiome fulve che ho conosciuto ieri sera all’American Bar dell’albergo Savoy.

    Suono il campanello e aspetto. Dopo un minuto viene un uomo ad aprirmi la porta. È grande e grosso, col collo taurino e porta una camicia di seta che ha il colletto troppo piccolo per lui. È vestito bene e alle dita gli brillano due sassolini che devono costare una discreta cifra. Sorride come se ci fosse qualcosa che lo rallegra. Dice:

    — Posso esservi utile?

    Gli rispondo di sí, che mi chiamo Willik, Paul Willik, che cerco una giovane di nome Julia Wayles. Gli domando se conosce un certo signor Max Schribner.

    Dice altrocché! Dice che Max Schribner è proprio lui.

    Se ne sta là appoggiato allo stipite della porta, guardandomi, come un pachiderma umanitario, animato di ottime intenzioni. Ha una faccia da luna piena, una faccia grassa con la pelle che sembra di gomma. Le sue labbra sono carnose, ma hanno una bella forma... sembrano quasi labbra da donna, modellate ad arco di Cupido. Non so se rendo l’idea. Ha gli occhi di un color azzurro chiaro, e le sopracciglia bionde, cosí chiare da parer bianche. Nell’insieme, ha una faccia che non mi piace. Messo alla scelta, preferirei abbracciare la donna barbuta che guardare quella faccia.

    Dico:

    — Molto bene, signor Schribner. Adesso, sapete chi sono io, e io so chi siete voi. Chissà mai che non possiate dirmi qualcosa sul conto di quella Julia Wayles.

    Schribner dice:

    — Certo! Accomodatevi.

    Gira sui tacchi e s’incammina per un corridoio. Lo seguo. In fondo al corridoio, lui apre un uscio ed entriamo in una stanza. È una bella stanza, comoda, con le luci attenuate. In un angolo c’è una scrivania ingombra di carte.

    Mi sprofondo in un’ampia poltrona e Schribner mi offre una sigaretta.

    — Be’, adesso vediamo quello che posso fare per voi – dice. – Forse avrete la bontà di dirmi qualcosa sul vostro conto.

    Sorride benevolo, come il direttore della scuola che interroga il nuovo allievo. Gli rispondo:

    — Niente di piú facile, Schribner. Vi ho già detto che mi chiamo Willik. Sono agente dell’Ufficio Transatlantico di Polizia Privata. Ecco chi sono. Riguardo alla Wayles, non so niente. Ero in Inghilterra per un’altra faccenda e il padrone mi ha mandato un telegramma ordinandomi di mettermi alla ricerca di una certa Julia Wayles che dovrebbe essere venuta qui da New York, o da qualche altra parte dell’America, tre o quattro mesi fa. Il telegramma aggiungeva che se avessi preso contatto con un certo signor Schribner, abitante a Betchworth, lui, forse, avrebbe potuto aiutarmi.

    — Perché no? – dice Schribner. Si alza, si avvicina alla mensola del camino, apre una scatola e si concede un sigaro. Poi prosegue: – Veramente non credo di potervi dire molto sul conto della Wayles, e mi fa strano che sia saltato fuori il mio nome. Forse, quei signori del vostro ufficio hanno pensato bene di cercare me perché un tempo conoscevo una certa Julia Wayles, in America. Però, non capisco che cosa sarebbe venuta a fare in Inghilterra.

    — Che bellezza! – dico io. – Sicché, la conoscevate? Che donna è? Credete che sia il tipo da prendere il volo col primo bel giovane che le capita tra i piedi?

    Mi guarda meravigliato.

    — Ah, è cosí? Il vostro principale pensa che sia scappata con qualcuno?

    Mi stringo nelle spalle.

    — Se il mio principale sapesse quel che ha fatto la signorina Wayles, non mi chiederebbe di cercarla. Se avesse qualche informazione utile su quella donna, me l’avrebbe comunicata col suo telegramma. Ma voi, almeno, l’avete vista, la conoscete fisicamente. E il conoscere fisicamente una donna significa già saperla abbastanza lunga, non credete?

    Mi dice che forse ho ragione, ma che lui non ci ha mai pensato. O quest’uomo è un fesso di prim’ordine, oppure finge di esserlo.

    — Caro amico – gli faccio – mi pare che abbiate bisogno di una lezione di psicologia. È ovvio che se una donna ha un viso da far paura ai bambini è sempre meno pericolosa di un’altra che, quando passa per la strada, fa venire il torcicollo a tutti i giovanotti che la circondano. Ho ragione?

    Mi dice di sí, che ho ragione, e che, riflettendo bene, gli sembra che Julia Wayles appartenga alla seconda categoria. Parla in tono nostalgico e vi assicuro che quando questo tipo prende l’aria nostalgica fa pensare a un pachiderma moribondo.

    — Ora che ci penso – dice – Julia Wayles era una gran bella ragazza. Alta, snella, ma con certe curve! Bella carnagione, capelli castani, andatura aggraziata. E poi, era un tipo romantico. Non si sa mai: può darsi che abbia perso la testa per un uomo e che sia scappata con lui.

    — Già, già – brontolo. – E non sapete altro, sul suo conto?

    Schribner si stringe nelle spalle.

    — Non capisco perché sarebbe venuta in Europa, ma se è scappata con un uomo...

    Vedo la maniglia dell’uscio girare, poi il battente comincia ad aprirsi. Mi volto. Quando vedo l’uomo che entra, per poco non mi viene un colpo apoplettico. Apro la bocca e sto per dire qualcosa, ma il nuovo venuto mi precede. Dice:

    — Ciao, Maxie. Che cosa fa qui questo bastardo?

    Tiro il fiato e lo guardo. È un bel giovanotto alto, largo di spalle con la vita sottile. Ha le mani nelle tasche della giacca e la mano destra sembra assai voluminosa. In quella tasca deve avere la rivoltella.

    Maxie sembra sbalordito.

    — Scusa, ma forse ti sbagli. Questo è il signor Paul Willik dell’Ufficio Transatlantico di Polizia Privata. Sta cercando una ragazza che si chiama Julia Wayles. È venuto qui perché credeva che io ne sapessi qualcosa.

    L’altro sogghigna.

    — Lo dici a me? –

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