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La Metafisica del Reale - Epilogo a Pianeta d'Acqua
La Metafisica del Reale - Epilogo a Pianeta d'Acqua
La Metafisica del Reale - Epilogo a Pianeta d'Acqua
E-book152 pagine2 ore

La Metafisica del Reale - Epilogo a Pianeta d'Acqua

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Info su questo ebook

Metafisica del Reale – Epilogo a Pianeta d’Acqua è il terzo di tre romanzi ed è la storia raccontata nel diario trovato daGiulio durante il suo viaggio in “Pianeta d’Acqua – Parte Seconda”. Ercole è ricercato per aver attaccato briga con dei po-liziotti, nel tentativo di salvare un amico. Si trova costretto a fuggire dalla Terra su un pianeta di Classe C, assieme al suocompagno. Rubata una vedetta, scappano con una ragazza di nome Eleusina, anche lei ricercata e anarchica.Inizia così la loro vita in un nuovo mondo interamente da scoprire.
LinguaItaliano
Data di uscita5 apr 2019
ISBN9788867829347
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    Anteprima del libro

    La Metafisica del Reale - Epilogo a Pianeta d'Acqua - Sergio B.Cena

    La Metafisica del Reale

    Sergio B. Cena

    Epilogo a Pianeta d’Acqua

    La Metafisica del Reale - Epilogo a Pianeta d’Acqua

    Sergio Bruno Cena

    © Editrice GDS

    Via per Pozzo, 34

    20069 Vaprio D’Adda (MI)

    www.gdsedizioni.it

    Ogni riferimento dell’opera a cose, luoghi, persone

    e altro è da ritenersi del tutto casuale.

    Illustrazioni: Sergio Bruno Cena

    Tutti i diritti sono riservati.

    "Risolvere il racconto di un prodigio in un simbolismo

    mitico è un atteggiamento che sembra altamente scientifico e criticamente evoluto, invece è fondato su una premessa dogmatica, cioè sulla negazione aprioristica che il fatto si sia realmente compiuto."

    - Beonio Brocchieri

    "Un cronista falsifica sempre la cronaca che scrive, perché è sempre situato all’esterno della storia, anche quando è la sua."

    - Sergio B. Cena

    CAPITOLO I

    Un tempo le strade delle città erano rese insicure da una variegata corte di malfattori ma, a saperci fare, ci si poteva quasi sempre salvare e si arrivava indenni a destinazione. Tuttavia, poiché al mondo tutto cambia, sul filo dei governi, i malfattori ebbero la vita sempre più dura, la repressione sempre più violenta e, per legittima conseguenza, le tasse si erano fatte sempre più gravose. Nel tempo in cui incominciarono le mie peripezie, si metteva il naso fuori di casa solo quando era assolutamente necessario, poiché gli sbirri avevano finito, in fin dei conti, per rivelarsi più pericolosi e imprevedibili della canaglia che avrebbero dovuto reprimere.

    Certo, nel mio caso, non avevo molto da lamentarmi di come s’erano messe le cose, anzi mi sarebbe addirittura parso strano se avessi potuto vivere i miei giorni tranquilli, perché appartenere a un gruppo clandestino di anarchici attivisti, il cui scopo era di mettere in trappola eletti di ogni specie e tangheri della finanza, per rendere pubbliche le loro malversazioni e fare in modo che i tribunali si occupassero di loro, non era certo un modo per restare estranei agli interessi della sbirraglia, la quale, è vero, vede rosso quando ha a che fare con qualche povero delinquente, ma quando questo è qualcuno che ha riuscito ed è in colletto bianco, allora si sente investita dal sacro dovere di difenderlo a spada tratta. Ad ogni modo non me la cavavo poi così male, e magari avrei potuto continuare ad agire in barba ai lobo – così tra noi si usava chiamare i birri – se una sera non mi fosse caduto il mondo in testa.

    Me ne stavo tranquillamente stravaccato su una poltrona, succhiandomi un mezzo toscano con un libro in mano, quando il trillo del telefono mi fece aggrottare la fronte. Aggrottavo sempre la fronte quando squillava il telefono. Lo so, è strano, ma non ci posso fare niente, cosicché aggrottai la fronte e presi il telefono in mano. Appena riconobbi la voce del Rosso raggrottai la fronte e sbuffai fumo come un drago. Se c’era una cosa proibita, ma proprio una cosa da non fare, nemmeno se ti andava a fuoco la magione, quella era di far tra noi telefonate. Non era solo un’innocua paranoia pensare di avere il telefono sotto controllo perché, fosse stato il caso, i lobo con una sola intercettazione avrebbero preso due piccioni con una fava.

    Poiché il minchione mi aveva chiamato per nome, non potevo fingere e dirgli di aver sbagliato numero, cosicché raccolte le mie doti di attore, mi rilassai e dissi con calma olimpica: Cosa ti succede vecchio mio, ti ha preso fuoco la casa per ricordarti del vecchio Ercole?

    Magari può sembrare strano, ma io mi chiamo proprio così, e in fondo Ercole è pur sempre un nome come un altro, vero?

    Non sai cosa mi capita, mi fa quello.

    Se lo sapessi non staresti a telefonarmi, dico io.

    Per qualche secondo il telefono restò muto, poi la voce del Rosso si fece risentire: Se prometti di non prendermi in giro te lo dico.

    Tante cerimonie dovevano ben voler dir qualcosa, ma cosa? Sospettando che il Rosso temesse di avere il telefono sotto controllo, la sua chiamata assumeva un sapore di S.O.S, anzi di specchietto per le allodole.

    Va bene, mi decido di dire. sapendo quanto sei scemo di cosa dovrei stupirmi?

    Qualcuno mi sta a culo da almeno tre giorni, dice il Rosso tutto d’un fiato.

    Uomo o femmina? chiedo io.

    Due uomini, dice lui.

    Un cornuto e il suo aiuto, sancisco io.

    Ma non me la faccio con donne sposate! afferma il Rosso. Poi, preso da un rimorso di coscienza precisa: Non in questo momento almeno.

    Mica avrai svaligiato una banca vero? dico, tanto per cercare di tener lontani i sospetti dei nostri sempre possibili intercettatori.

    Cos’è, ti sei bevuto il cervello? fa quello.

    Lo avevo ormai capito, quella telefonata era stata fatta per cercare di allontanare da sé i sospetti e la storia dei pedinatori non dovesse essere solo una frottola, allora mi decido a essere pungente: Ascolta Rosso, se qualcuno ti sta a culo mica è per farsi qualche passeggiata, allora pensaci bene, rifletti su cosa hai fatto ultimamente e vedrai che ti ricorderai di esserti messo in qualche imbroglio, magari con qualche mafiosetto da strapazzo.

    Ma allora sei proprio stronzo, strilla quello, tu pensi veramente che io potrei farmela con gente di quella specie?

    Era giunto il momento di infliggere il pungiglione. Senti bene, mica può essere la polizia a starti dietro. Primo, quelli sono dei professionisti e un macaco come te non si sarebbe mai accorto di essere filato. Secondo, se fosse veramente la pula a percorrere le tue orme, a quest’ora si sarebbero già accorti che sei solo un macaco e sarebbero già volati verso altri lidi...

    No, no, non può essere la polizia, mi interrompe il Rosso. Mica sarei qui a telefonarti se me ne fosse venuto il sospetto, e poi hanno certe facce... No, no, facce come quelle non devono esistere nella polizia.

    Il Rosso aveva capito essere venuto il momento di trasformarsi in vespa e di mettersi a pungere pure lui.

    È questo a farmi paura. La polizia può starmi dietro giorno e notte, al massimo possono farmi da scorta, ma proprio non riesco a capire a chi io possa interessare.

    Davvero non hai fatto nessuna fesseria? mi rassicuro io.

    Niente di niente, fa lui. La cosa più pericolosa che mi capita di fare è di comprare sigarette dal tabaccaio.

    Allora devono averti scambiato per qualcun altro, sancisco io.

    Davvero non so, fa lui con voce piatta, Però una cosa del genere potrebbe spiegare perché mi stanno a culo.

    Li hai ben visti in faccia? chiedo, sperando gli sia restato del pungiglione.

    Ascolta, stasera tornando a casa stavo proprio chiedendomi che faccia potessero avere quelli, allora mi sono inventato un modo per scoprirlo, sono passato davanti a casa mia e mi sono fermato dal giornalaio, il tempo di prendere un giornale al volo e ho fatto dietro front. Avessi visto la faccia di quelli! Li ho presi di sorpresa e ho avuto tutto il tempo di guardarli sul muso.

    E cos’hai visto? mi informo io.

    Beh, uno ha una faccia da boia da consolare, mentre il secondo deve essere della famiglia dei circocipeti...

    Ehi macaco, si dice Cercopitecidi, si dice. Lo vedi? Non possono essere della polizia, lo interrompo io. Quelli di cui mi hai fatto il ritratto son belle e bene dei tangheri di padre in figlio, ma tangheri da quattro soldi, di quelli usi a rapinare le vecchiette.

    Questo però non spiega perché mi vengan sempre dietro.

    Forse aspettano tu vada in banca a ritirare del liquido.

    Porca puttana! esclama quel guitto del Rosso, Ecco, ora la cosa si spiega.

    Si tace un secondo poi riprende: Però se sapessero che il mio conto è quasi in rosso...

    Mettiti un cartello al collo e vedrai, quelli cambieranno strada.

    Tu scherzi perché sono io ad averli alle calcagna, mica tu, eh!?

    Senti Rosso, dico io, sperando che quello afferri, continua a fare sempre la stessa strada e non ti infilare mai in qualche via deserta, prima o poi ti lasceranno stare.

    Va bene, fa lui, Però vorrei tanto fosse prima che non poi.

    Posato il telefono rifletto: il Rosso mi ha fatto quella telefonata con uno scopo ben preciso, certo per sviare dei sospetti accumulatisi sul suo conto, ma sicuro come l’oro voleva darmi a intendere anche qualcos’altro e quest’altro poteva solo essere una richiesta d’aiuto, una specie di : dammi una mano a levarmeli di torno. Conoscevo l’ora in cui tornava a casa dall’ufficio, cosicché riaprii il libro e mi dissi che l’indomani i due tangheri li avrei visti di persona.

    Se il Rosso si fosse rivelato bruciato, sarebbe stato un guaio. In informatica lui era un genio e rimpiazzarlo non sarebbe stata cosa semplice. Certo, doveva essersi subito accorto di essere pedinato e la telefonata doveva aver allontanato i sospetti, tanto più i due pedinatori andavano a vuoto da giorni, ma occorreva allontanare da lui ogni sospetto e, per farlo c’era solo un sistema: acchiappare i due volpini, strapazzarli un poco poi trascinarli alla prima stazione di polizia. Certo, lì arrivati, si sarebbe scoperto esser belle e bene dei lobo, ma noi mica eravamo tenuti a saperlo, anzi da ligi cittadini si era compiuto il nostro dovere, e nessun lobo avrebbe visto dei terribili anarchici in noi due, che si consegnava loro due presupposte parcelle della feccia della società.

    Con quell’idea in testa, la sera dopo lo attesi all’angolo di via sant’Anselmo, tenendo d’occhio il corso dal lato da dove doveva arrivare il Rosso. In effetti apparve puntuale alle otto e sei minuti. Mi lasciai riconoscere, poi mi eclissai nella via.

    Come mi raggiunse quello chiede: E adesso?

    Senza rispondere gli mostro la pallina di piombo che stringevo in pugno e lo spinsi dietro di me, appena in tempo per venirmi a trovare faccia a faccia con uno dei due passeggiatori e, prima ancora che quello si potesse rendere conto di non trovarsi di fronte a un semplice passante, gli mollai una sventola sul naso, precipitandolo al suolo, come se una botola si fosse aperta sotto i suoi piedi. E lì ebbi fortuna, una fortuna sfacciata, perché in quel preciso istante mi ritrovai di fronte l’altro insulso, il quale cercò di schivare il pugno subito messo in azione, col solo risultato di beccarselo su uno zigomo e di vedersi la capoccia proiettata contro il muro, la quale a sua volta gli diede un altro formidabile sganascione.

    Li hai proprio conciati per le feste! strillò spaventato il Rosso.

    E aveva ragione di essere spaventato, perché era presto capito, uno dei due doveva aver reso l’anima, mentre l’altro non contava di rimettersi in piedi tanto presto.

    In un certo senso pensai fosse proprio il nostro giorno fortunato perché la via era deserta, così lo presi per un braccio e filammo lungo il corso.

    Cosa facciamo ora, eh, me lo sai dire? protestava il Rosso.

    Io non cercai di fargli capire di non aver voluto produrre tanto macello, ma se avevo picchiato duro era solo per evitare di far trovare a quei due il tempo di dichiararsi per quel che erano. Invece dissi: Andiamo da Emilio. Lui vedrà bene cosa sia meglio fare.

    ***

    Emilio non aveva l’aria di volermi rimproverare. Guardava ora me ora il Rosso e si capiva che stava pensando, ma alla fine disse: "Hai fatto la cosa giusta. Questione

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