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E-book240 pagine3 ore

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Info su questo ebook

Ispirato a "Boccaccio - L'enigma della Centesima Novella" di Patrizia De Santis, questa avventura epica segue Stephanie nella ricerca disperata per suo marito, uomo enigmatico che subito dopo il matrimonio è scomparso. Ciò che scopre mette gradualmente in dubbio ogni sua credenza e, sicuramente, anche la vostra.
LinguaItaliano
Data di uscita30 nov 2016
ISBN9788822872203
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    Anteprima del libro

    432 - Robert Steiner

    Tutto è energia e questo è tutto quello che esiste. Sintonizzati alla frequenza della realtà che desideri e non potrai fare a meno di ottenere quella realtà. Non c'è altra via. Questa non è Filosofia, questa è Fisica.

    Albert Einstein

    1

    Un giorno tornerò, pensai.

    La sedia scricchiolava sotto i miei piedi mentre con passo incerto vi salivo. Gli occhi annebbiati dalle lacrime m’impedivano di discernere l’alba pallida che, timida, s’affacciava alla mia finestra. Avrei sofferto? Avrei ripercorso gli episodi più rilevanti della mia vita? Renzo avrebbe pianto per me? L’avrei visto dopo il fattaccio o mi sarei semplicemente dissolta nel nulla? Una miriade di domande si rincorrevano nella mia mente, mentre con mano tremante stringevo la cinta al collo.

    Un breve sguardo intorno alla stanza sarebbe stato l’ultimo gesto terreno che avrei fatto. Che modo misero per andarsene, pensai, e mi sono persino dimenticata di rifare il letto. Che cosa penseranno di me? È incredibile il tipo di pensieri che vengono in momenti come questi. Stavo per uccidermi e pensavo al letto sfatto.

    Poi mi balenò in mente di non aver nemmeno scritto una lettera d’addio. Sì ma, addio a chi? A Renzo che mi aveva rinchiusa in questa gabbia d’oro? La mia dipartita sarebbe sicuramente stata per lui solo un sollievo. A mio fratello allora? Lucas sapeva benissimo che non stavo attraversando un bel periodo, per cui non avrei potuto che scrivergli un secco ‘addio’. Raccontargli una storia assurda come questa via e-mail era impensabile. Capirà e basta, pensai.

    E con modo risoluto, feci un passo avanti.

    La cinta era già tesa e la discesa dalla sedia cambiò di poco la distanza che mi separava dal pavimento. Ricordo l’improvviso aumento di tensione intorno alla trachea, la morsa alla giugulare, la faccia che diventava paonazza e l’incapacità ad inalare. L’istinto di sopravvivenza mi spingeva disperatamente ad afferrare la cinta e a tirarmi su, ma resistetti. Sarebbe stato da idioti spingermi fin qui per poi abbandonare l’impresa a pochi centimetri dal traguardo. Quanto ci vorrà?, pensai.

    La risposta arrivò da uno scricchiolio improvviso sopra la mia testa, poi un rumore sordo e un tonfo rovinoso, il mio, sul pavimento. L’ultima cosa che ricordo fu la sensazione tranquillizzante di una calda luce che m’avvolgeva.

    Sono morta, pensai. Poi nulla.

    Quando aprii gli occhi, mi ritrovai stesa a terra, ricoperta di calcinacci. Sono un fantasma?, pensai guardandomi la mano imbiancata, che ricordava vagamente quella di Casper.

    Una fitta al collo mi riportò alla realtà. Ero ancora stordita, ma lucida abbastanza da capire quanto la malasorte si fosse accanita su di me, impedendomi persino di togliermi la vita. Ero forse destinata a un lungo e straziante ergastolo? Alzai lo sguardo e vidi la trave di legno spezzata e alcuni pezzi di soffitto mancanti. Caspita, pensai, se mi avessero colpito, sarei morta!. Mi soffermai un attimo a riflettere su quanto quest’ultima frase fosse da tipica bionda, quale ero, e mi misi a ridere come un’idiota mentre mi sfilavo la cinta dal collo.

    Il fato mi aveva risparmiato due volte nell’arco di pochi minuti, quindi mi voleva viva a tutti i costi. Che sfiga! Se la cosa non fosse stata altamente tragica, avrei continuato a ridere, ma la mia breve risata si tramutò in un pianto disperato.

    A fatica mi sollevai dal pavimento e m’avvicinai alla borsa. Presi il cellulare e chiamai Lucas.

    Pronto?

    Lu…, non avevo voce. La cinta aveva stretto troppo. A fatica riuscii a sussurrare il suo nome.

    Lucaaaas!

    Se avessi ricevuto io una telefonata simile, avrei pensato a un maniaco sessuale, ma lui incredibilmente mi riconobbe.

    Stephanie! Sei tu? Che ti è successo?

    Vieni, ti prego e attaccai.

    Che cosa avrebbe pensato di me? Lui, che aveva fatto della vita la sua ragione di vita, come avrebbe reagito nel vedere la sua sorellona sotto una nuova veste, quella dell’aspirante suicida?

    Avevo cresciuto io Lucas, poiché mio padre era sempre in viaggio fra un’ambasciata e l’altra e mia madre, dedita allo shopping compulsivo, approfittava dei continui spostamenti di mio padre per ampliare la sua conoscenza di boutique e atelier in tutto il mondo. Mi avevano cresciuta come una principessina: viziata e coccolata…dalla tata però! Di loro potevo solo dire che erano generosi, avendomi regalato una carta di credito Gold all’età di otto anni e il mio primo cellulare un anno dopo. Forse per loro l’affetto si limitava solo a quello e forse nella loro mente, si consideravano genitori modelli. Quando nacque mio fratello, scattò in me l'istinto materno che mia madre non aveva mai avuto nei miei confronti, e che certamente non avrebbe avuto nei suoi. Quindi, m’occupai io della sua educazione, tentando d’impartire in primis il buonsenso e poi il rispetto per i valori fondamentali della vita. Riuscii anche a fargli capire, ironia della sorte, il valore del denaro. Io, una bimba viziata di sei anni, che insegnava al proprio fratellino cosa volesse dire guadagnarsi il pane. Miracolosamente, il lato razionale e pratico del mio carattere di Toro ascendente Vergine, m’aveva donato un istinto da risparmiatrice. Lo spreco non faceva per me.

    Lucas era cresciuto pieno di senno, di consapevolezza del valore delle cose e con un’immensa sete di conoscenza. Fu proprio grazie ai soldi di famiglia che aveva viaggiato in lungo e largo studiando botanica, archeologia, antropologia, astronomia e astrologia. A soli ventisei anni, aveva già l’esperienza e le conoscenze d’un plurilaureato di sessanta. Fortunatamente, era riuscito a sua volta a trasmettere a me un’immensa voglia di sapere, portandomi a conseguire una duplice laurea in lettere e, successivamente, in storia dell’arte.

    Da quando ero rinchiusa qui, la mia unica consolazione erano i libri e passavo intere giornate a leggere, studiare e ricercare il passato di questa lugubre dimora, il Castello di Roccabianca, a pochi chilometri da Parma.

    La stanza in cui mi trovavo era chiamata la ‘Stanza di Griselda’, in quanto gli affreschi sulle pareti circostanti erano una raffigurazione della storia di Griselda, narrate nella centesima novella del Decameron.

    Nel racconto di Giovanni Boccaccio, una giovane stalliera viene presa come moglie da un ricco nobile, che per paura di avere di fronte a se una donna potenzialmente sbagliata per lui, decide di metterla alla prova, sottoponendola a tredici anni di umiliazioni e privazioni, non ultima, il farle credere di avere ucciso i due figli avuti con lei, poiché non accettati dalla gente, in quanto prole d’una donna di casta inferiore. All’apice di queste torture psicologiche, le impone persino di diventare domestica e predisporre il castello per il matrimonio che lui avrebbe celebrato con una nuova moglie, più giovane e bella. Per amore del marito, Griselda acconsente, per poi scoprire che la giovane donna altri non è che la propria figlia e che anche il figlio è vivo, entrambi cresciuti da un parente a Bologna. Solo allora il marito capisce il vero amore e la fedeltà di Griselda e l’accetta come moglie.

    Sulla volta del soffitto invece, un tempo vi erano delle tele raffiguranti enigmatici simboli astrologici, che però alla fine dell’800 erano state trasferite al Castello Sforzesco di Milano.

    Molti ricercatori avevano studiato sia le tele che gli affreschi senza però mai metterli in correlazione fra loro. Io invece ero convinta che vi fosse un nesso e durante i sei mesi di ‘reclusione’, mi ero documentata sulle tele che un tempo erano state affisse a quel soffitto, di cui poco prima volevo diventare un Arbre Magique.

    Visti i suoi continui viaggi all'estero, io e Lucas non ci sentivamo spesso, per cui sapevo che questa mia chiamata improvvisa l’avrebbe allarmato. Seppi da alcune recenti e-mail che era diventato un appassionato di sport estremi e si era specializzato in free climbing, tanto da guadagnarsi l’appellativo di Uomo Ragno della Madonnina, per le sue arrampicate lungo la fiancata del Duomo a Milano. Fortunatamente, sapevo che sarebbe venuto a trovare alcuni amici a pochi chilometri di distanza, e quindi adesso non ci avrebbe messo molto a raggiungermi.

    Intanto, la mia mente viaggiava e si soffermò su mio marito.

    Renzo. Come non odiare un uomo che dapprima professa il proprio amore, promettendoti una vita da principessa, per poi farti finire come Raperonzolo, rinchiusa senza alcun motivo in un castello, subito dopo le nozze? Un uomo ricco e di buona famiglia di discendenza nobile, Renzo bazzicava nel jet-set milanese. Lo conobbi ad una festa in onore del venticinquesimo anniversario del Principe Rodolfo d’Aragona.

    Avevo accompagnato Marta, una mia cara amica ex-modella, alla festa che si teneva al Castello Sforzesco di Milano. L’unico motivo che mi spinse ad accompagnarla fu perché ero curiosa di vedere tutta quella nobiltà sotto un unico tetto.

    Camminando lungo i corridoi vicini all’ingresso, riconobbi le tele quattrocentesche ospitate fino al 1896 al Castello di Roccabianca e ne rimasi affascinata. Marta però, i cui interessi erano molto più mondani e frivoli dei miei, mi trascinò via prima che potessi immergermi in un po’ di sana cultura.

    Di lì a poco, mi trovai circondata dalla Milano 'bene': conti, marchesi, principi e baronesse, tutta gente iper-vestita e ingioiellata, che incrociata per strada, avrebbe destato solo sbadigli. Molti di loro, si vedeva lontano un miglio, erano dei poveracci che, approfittando di un’eredità araldica, avevano acceso un mutuo per comprarsi vestiti e borse griffati, pur di apparire benestanti. Pochi di loro durante la serata avevano avuto il buonsenso di tenere chiusa la bocca per non rivelare il modestissimo livello d’istruzione, ma dopo il terzo Martini, quei pochi che si erano dapprima salvati, s’erano dati all’outing più osceno, facendo sfociare da quella leggera patina di signorilità d’inizio serata, fiumi in piena d’ignoranza.

    D’un tratto, come una carezza eterea, sentii uno sguardo posarmisi addosso. Mi voltai e vidi Renzo, appoggiato al bar, che mi fissava.

    Eccone un altro, pensai, ma curiosa di vedere cosa avrebbe fatto, non distolsi lo sguardo dal suo.

    Come in un film, s’alzò dallo sgabello, prese due drink e venne a sedersi al mio tavolo, ignorando completamente la mia amica, che vista la situazione, nonché la maleducazione di Renzo, s’alzò indispettita e mi fece cenno di che stronzo!. E mentre lei s’allontanava in cerca di qualcuno che le offrisse un drink, Renzo mi porgeva un Martini.

    Sono astemia, gli dissi.

    Se non bevi non ti diverti, rispose con un sorriso da toy boy.

    Non ero pronta a lasciarmi affascinare dal suo charme-in-prestito da nouveau riche e optai per il gioco duro.

    Non ho bisogno di bere per divertirmi. È la vita ad inebriarmi. Chi cerca sballo altrove vuol dire che non ha una vita.

    Touché!, disse versando per terra entrambi i drink. Questo vuol dire che ho sbagliato tutto. Insegnami come si fa.

    Come si fa cosa?

    A sballarsi con la vita.

    Gli risi in faccia. Un ricco playboy, probabile nobile, e ‘gran viveur’ come te viene a chiedere a me, umile essere mortale, come ci si sballa?

    Una raffica di mitra e le conseguenti urla di panico interruppero indelebilmente quel magico momento di sfida pseudo-intellettuale.

    Svelta, abbassati! Renzo mi spinse sotto al tavolo.

    Da sotto la lunga tovaglia, intorno a noi s’intravedevano gambe impazzite che correvano in tutte le direzioni. Un’altra raffica destò altre urla femminili. Come di consueto, in momenti di grande tensione, il mio lato cinico e pragmatico s’impose e mi fece riflettere su una cosa astrusa: ma in circostanze estreme, le donne, urlando, cosa pensano di risolvere? Talvolta mi vergognavo d’appartenere a quel sesso facilmente stereotipabile. Sentii la mano di Renzo afferrarmi il polso e tirarmi su.

    Vedi quella colonna? Vai!

    Sgattaiolammo in quella direzione e poi, facendoci scudo coi tavoli rovesciati e con le folte piante che arredavano la sala, riuscimmo a dirigerci verso la porta della cucina e ad entrarvi, senza farci notare. Mentre entravamo, sentii alle spalle un'ennesima raffica di mitra e udii la voce inconfondibile di Marta che gridava. Mi voltai in tempo per vederla crollare a terra, crivellata da un proiettile.

    Nooo!, il mio grido istintivo venne soffocato dalla mano di Renzo, che mi tappò la bocca e mi trascinò in cucina.

    Ero sconvolta e terrorizzata. Avevo appena assistito alla morte della mia migliore amica. Avrei voluto soccorrerla, ma la presa di Renzo era come una morsa sul mio polso. La cucina era deserta e chiunque fossero i malviventi che stavano creando il panico in sala, non avevano complici li dentro. Renzo mi condusse verso la porta posteriore ed uscimmo in un piccolo cortile retrostante, che attraversato, ci spalancò la porte della salvezza. E proprio mentre uscivano in strada correndo, sentivamo dall’altro lato del castello le sirene della polizia, altri spari e urla. Continuammo a correre, mentre mitra e sirene sparivano in lontananza. Quando finalmente ci sentimmo al sicuro, ci ritrovammo nel bel mezzo di Parco Sempione. Appena ci fermammo, scoppiai in un pianto disperato fra le sue braccia.

    Hanno ucciso Marta!, dissi fra un singhiozzo affannato e l’altro, non appena riuscii a riprendermi un attimo.

    Ormai non c’è più nulla da fare.

    Chi erano?

    Terroristi o rapinatori, non so. Lì dentro s’aggiravano diverse personalità e parecchi milioni. Comunque grazie.

    Di cosa?

    Adesso ho capito come si fa a sballarsi con la vita.

    T’assicuro che di questo sballo avrei fatto volentieri a meno anch’io.

    Fu lì che mi prese fra le braccia e mi baciò. Mi sentii come una principessa salvata dal suo eroe, che poi la conduce al castello incantato dove avverrà la scena di sesso, che di solito nelle favole viene censurata.

    Io invece, la vidi.

    Il mattino seguente mi svegliai nella stanza d’albergo, dove ci eravamo rifugiati, per trovare sul suo cuscino una rosa rossa e il vassoio della colazione. Pensai ad un ennesimo ‘sedotta e abbandonata’ della mia vita, ma il rumore della doccia mi smentì. Sollevata dalla sua presenza, m’appoggiai allo schienale del letto e iniziai a sorseggiare il caffè, quando lo vidi uscire. Potei finalmente ammirare tutta la sua bellezza virile. Un fisico atletico e scolpito da anni di minuzioso allenamento, i suoi occhi azzurri e profondi, i suoi capelli corti e ora arruffati dal lavaggio. Sebbene ci avessi trascorso l'intera nottata a fare le cose più impensabili e acrobatiche, solo ora mi rendevo conto di quanto fosse bello e affascinante. Senza dire una parola, s’avvicinò e si sedette al mio fianco, con un asciugamano ancora fra le mani e un altro stretto intorno alla vita.

    Sono uno sciocco, disse, abbiamo vissuto assieme un misto tra un romanzo di Agatha Christie e il Kamasutra di Vatsayana e ancora non so il tuo nome.

    Quando si vive la vita intensamente, a volte queste cose sfuggono. Io sono Stephanie Onofri.

    Stephanie. Come Stephanie di Monacò, ironizzò.

    No. Stephanie, come Stephanie di Piazzale Loretò (misi l’accento sulla ‘o’ per prenderlo in giro), poi Amsterdàm, Cape Town, Caracàs, Pechinò, Ottawà e New York. Mio padre faceva il diplomaticò.

    Allora signorina ‘Stephanie di mondò’ (mi restituì la battuta), io sono il Principe Renzo Saint-Severin di Parmà.

    Un principe?

    Così dicono i miei avi. Purtroppo, il mio cavallo bianco è ancora parcheggiato nel cortile del Castello Sforzesco e probabilmente rimarrà sotto sequestro per un pò.

    Si è saputo chi erano quei tizi ieri sera?

    Ladri d’arte. A quanto pare sono riusciti a portare via qualche dipinto.

    Cosa??? Se volevano i dipinti perché non fare il furto di notte quando non c’era nessuno?

    I giornali stamattina parlano di diciassette morti e una trentina di feriti.

    E Marta?

    Marta Cellucci?

    Si è lei!

    La tua amica è nella lista dei feriti. Sono stati portati al San Paolo.

    Oh, grazie a Dio! E viva. Dobbiamo andarci.

    Lo faremo. Più tardi però.

    Non dovremmo intanto fare una denuncia o qualcosa del genere?

    Sono certo che ce ne saranno già abbastanza in corso.

    Volli sdrammatizzare. Cena con delitto…vero. Niente male come prima serata assieme!

    S’avvicinò, fissandomi a lungo. Per un attimo, provai lo stesso sfarfallio che avevo provato il giorno della mia laurea in lettere.

    E non voglio che sia l’ultima, Stephanie di mondò. Mi vuoi sposare?

    Quelle parole pazze, assurde, precoci, azzardate e fatidiche echeggiavano ancora nella mia testa, quando sentii Lucas picchiare forte contro la porta, ridestandomi dal mio torpore post-traumatico.

    La testa mi faceva male e il mondo mi girava intorno vorticosamente. A fatica trascinai il corpo indolenzito verso la porta e girai la chiave. Lui irruppe, allarmato.

    Steph, stai bene? Che cos…? Alzò lo sguardo e vide la trave del soffitto spezzata. Stephanie….

    S’inginocchiò e mi prese fra le braccia. Io scoppiai a piangere, sfogando per i successivi dieci minuti tutta la tensione accumulata in sei mesi d’isolamento.

    Quando mi ripresi, gli raccontai di quel matrimonio fatto privatamente e frettolosamente in Municipio, poi del viaggio che Renzo dovette fare subito dopo, dal quale tornò inspiegabilmente cambiato e infine, di quel giorno in cui m’impose di restare nel castello, poiché era vitale che ripartisse immediatamente ed io rimanessi qui, per il mio bene. Sia la sua destinazione, che il motivo del mio isolamento rimasero un segreto e mentre si susseguivano i giorni, settimane e mesi del suo silenzio, così cresceva la mia angoscia e disperazione fra le mura silenti di questa prigione.

    Tante, troppe domande senza una risposta, ma un odio crescente verso colui che aveva forse visto in me una nuova Griselda.

    2

    Quindi è sparito?, disse Lucas mentre mi versava un thè.

    Da sei mesi.

    Hai provato a chiamarlo? SMS, Skype, WhatsApp, Facebook?

    Il cellulare è perennemente spento e tutti gli altri…niente.

    "Magari è

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