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Riflessioni di un pianistavvocato
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E-book180 pagine1 ora

Riflessioni di un pianistavvocato

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Info su questo ebook

Questa raccolta contiene le riflessioni che l’avv. Pasquale D'Aiuto ha pubblicato, per qualche anno, a partire da marzo 2020, sul proprio blog "Spara ppe’ coglie! (sennò, desisti)”. C’è spazio, naturalmente, per considerazioni suggerite dall’esplosione della pandemia di covid-19 e dal relativo lock-down – con gli effetti che tutti conosciamo, anche sul lavoro libero-professionale.
I brani hanno trovato pubblicazione nel tempo – in rete, sui social, su periodici (anche cartacei) – via via che sono stati pensati e scritti; qui, sono proposti secondo la suddivisione originaria del sito-web, dalla data più lontana fino alla più recente.
“Spara ppe’ coglie” significa “Colpisci per fare centro”. In realtà, il senso è più profondo, più filosofico, più… cilentano, forse! Vuol dire che tentare senza costrutto non serve a niente. Ma anche che non devi bruciarti, che devi affermare ciò che sai davvero e devi fare quel che sai fare. E, se non sai farlo, devi impararlo.
Inoltre, che devi saper scegliere anche i destinatari dei tuoi strali ed adottare argomentazioni adeguate per sostenere le tue tesi.
Significa, soprattutto, che non devi perdere tempo in vagheggiamenti.
Buona lettura!
LinguaItaliano
Data di uscita10 nov 2022
ISBN9791222022543
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    Anteprima del libro

    Riflessioni di un pianistavvocato - Pasquale D'Aiuto

    Riflessioni di un pianistavvocato

    Presentazione di Bianca Fasano

    Il tempo scorre e i cambiamenti sociali sollecitano riflessioni nella mente attiva di un uomo che, ambivalentemente, ha vissuto la propria crescita lungo l’arco di infinite giornate, tra lo studio del pianoforte – per perfezionarsi e vivere la magia di immergersi in un mondo destinato a pochi – e l’impegno metodico del Liceo Classico, dapprima (tra filosofia, greco e latino) e della facoltà di Giurisprudenza, poi. Scegliere una strada che ci privi di una parte di noi stessi non parrebbe possibile; una persona, a volte, deve farlo. Ma lo fa mai per davvero?

    Qual è il legato degli anni dedicati allo studio del pianoforte, quando lo abbandoni per proseguire una professione differente? Beh, intanto non lo abbandoni mai per davvero; comunque, più di qualcuno potrebbe rassegnarsi all’ipotesi che… resti soltanto il ricordo. Tuttavia, un articolo del New York Times del 2013, a firma Joanne Lipman, dal titolo " Is music the key to success?", fa sospettare che non sia così. L’autore, in sunto, sostiene che suonare il pianoforte aiuti ad avere successo nella vita, qualsiasi sia la scelta lavorativa concreta.

    Insomma: imparando a suonare il pianoforte migliori anche altre abilità, che ti aiutano ad avere successo in ambiti come l'università o la professione. In effetti, diversi studi hanno messo in correlazione l'apprendimento della musica con l'aumento delle probabilità di riuscita anche in altri campi della vita.

    Ma come, esattamente, la musica concorrerebbe al successo di chi la pratichi? Si tratta di sei abilità, che vengono incoraggiate ed allenate mentre ci si esercita al pianoforte.

    Prima di tutto, la musica aumenta la concentrazione. Difatti, osservando un musicista mentre suona, ci si rende conto che occorre egli si applichi su note, ritmo, timbro, velocità, dinamica, simmetria, equilibrio e tante altre cose, mentre osserva attentamente lo spartito o riporta alla mente un pezzo che ha già appreso a memoria.

    Già: la memoria. L’artista sembra tutto preso dalla gioia del suono ma, intanto, la sua tensione è al massimo grado. Mentre impara e suona un brano, le aree del cervello che vengono stimolate crescono, diventando più attive. Soprattutto le aree responsabili della memorizzazione delle informazioni acustiche sono più sviluppate nei musicisti che nei non-musicisti. Ma anche quelle di memorizzazione in senso più ampio, sulle materie di una qualsiasi disciplina. La risonanza magnetica dimostra che, ogni volta un musicista suoni il suo strumento, nel cervello si accendono una dozzina di aree cerebrali. In pratica, suonare sembrerebbe l'unica attività che riesca a mettere in funzione tutte le aree del cervello contemporaneamente.

    E non basta. Chi ha studiato pianoforte per molti anni, tanto da conseguire il diploma finale (che oggi è parificato ad una laurea), specialmente sotto l’egida di valenti maestri (il nostro ha avuto, tra gli altri, quale docente il M° Davide Costagliola, concertista internazionale), sa bene che apprendere nuovi pezzi al pianoforte richiede tempo e fatica. Occorrono settimane, mesi prima di riuscire a memorizzare un brano e riuscirlo a suonare fluentemente: per riuscirci, specialmente se intanto fai anche la maturità, alleni la pazienza e aumenti la perseveranza. Abilità che ti accompagneranno nella vita.

    Inoltre, suonare offre grandi soddisfazioni, se l’esercizio è intenso e costante ma pretende disciplina. Il Maestro ti imporrà esercizio, esercizio, esercizio: il musicista fa l’abitudine a tenere a bada se stesso, indirizzandosi verso il modo migliore di spendere le proprie ventiquattro ore. E anche questo farà parte del quotidiano: ecco che, così, colui che studia pianoforte non sarà mai qualcuno che butta via il suo tempo. La sua regola? Organizzare, gestire in modo efficiente per poter passare almeno un paio d’ore per una sessione al pianoforte, qualunque cosa accada.

    Concludo dicendo che suonare il pianoforte migliora le capacità di ascolto. In conseguenza, anche quella di interazione con le persone – cosa che risulta indispensabile, ad esempio, nella professione di avvocato.

    Chi studia le emozioni sa bene che queste non vengono trasmesse solo per mezzo delle espressioni facciali ma anche dal linguaggio del corpo, dal tono della voce, dalla velocità del discorso e dalla… musicalità. Ecco perché le persone che suonano uno strumento sanno ascoltare meglio e si inseriscono in modo vivace e attivo nella società: ne percepiscono gli squilibri, ne patiscono, più di altri, i cambiamenti, gli scompensi, le trasformazioni.

    A giusta ragione, dunque, non deve stupirci che un pianistavvocato senta la necessità di esporre, anche per iscritto, le sue valutazioni, le riflessioni, le suggestioni di cambiamento, tentando così, in modo attivo e creativo, di condurre alla società in cui vive qualche stimolo positivo. Non ci sorprenderà che denunci i motivi per cui, a volte, recepisce la nostra società come illogica, complessa, dissonante, musicalmente sgradevole, quando la moltitudine delle voci possa non rivelarsi… una piacevole polifonia!

    Bianca Fasano

    Biografia dell'autore

    Pasquale D’Aiuto, classe 1979, cilentano (ma campano apolide per vocazione evidente); musicista, padre, coniuge, sportivo da poltrona con il sangue azzurro. Ah, pure avvocato. Maestro di solfeggio a tredici anni, di pianoforte a ventuno (con lode) presso il Conservatorio di Salerno; laureato in Giurisprudenza, sempre a Salerno, nel 2003 (con lode). Ma serviranno tutte ‘ste lodi nella vita?

    Fiero della maturità classica al Liceo Parmenide, in Vallo della Lucania (SA); orgoglioso partecipante al Certamen ciceronianium arpinas nel 1997, dove ha vinto. Però la moglie, non il concorso: lì non si è proprio classificato. La sua gioia (ed il suo cruccio) più grande: insegnare musica ai figli.

    Vive tra il Cilento, Salerno ed il napoletano, trovandosi bene ovunque. Il suo motto preferito: Temi il cretino più che il nemico!.

    NON È UN DISVALORE

    Ovvero; dell'efficienza, dell'otium e della lentezza. Quattro aprile ventiventi.

    Tempo di Covid.

    Nel cortile della mia abitazione urbana, l’aria è tersa. Respirabile, luminosa. E non è perché è primavera – tra l’altro, freddissima. Resto in casa, non si esce senza ragione. La corte interna, con le sue piante che sentono la nuova stagione, è appagante. Il motivo è semplice: lo smog si è drasticamente ridotto.

    Ho trascorso, ultimamente, molto più tempo con i miei figli. Pappa e ciccia: sei e quattro anni, si divertono, si picchiano, non si annoiano mai, sono amici. Insegno loro pianoforte. Io stesso ho ripreso a suonare. Ho raccolto le idee e scritto un articolo su quanto avevo dentro da anni. Ho (video) telefonato a cari che non sentivo da tanto. Ho chiacchierato con gli amici, ho scoperto lati caratteriali sconosciuti di persone che non consideravo poi così interessanti. Sto riprendendo a lavorare, sfruttando le potenzialità di cui dispongo. Studio, approfondisco.

    Ho dormito – anche troppo (e qui, per un’associazione di idee, mi rendo conto che avrei bisogno di un barbiere più che di capelli, il che è tutto dire). Ho cominciato a fare ginnastica in casa grazie ad una app gratuita, che m’invita a pubblicare i miei risultati su Facebook (ma io non lo farò nemmeno sotto tortura). I miei figli saltellano con me e mi perculano che è un piacere. Ho visto film che mi aspettavano da tempo. Ho mangiato tanto, con calma, con i miei, specie a pranzo quando non accadeva mai o quasi mai, prima.

    Il mio aspirapolvere ora ha un nome, gliel’ho dovuto assegnare perché se passi tanto tempo con qualcosa ti ci affezioni (con la lavastoviglie già ero in confidenza, ci capiamo naturalmente, lei ed io). Scherzo. Mi mancano il mio studio legale nei pressi del Liceo Tasso, il caffè con i Colleghi, Salerno, l’impegno quotidiano, il sentirmi utile, mangiare la pizza, sfottere mia suocera, camminare, il profumo del mare. Vorrei riabbracciare i miei cari e soprattutto mia nipote. Vorrei andare ad Acquavella con la mia famiglia.

    Mi manca sentirmi libero perché non sono libero, non siamo liberi. La mascherina mi costringe a mettere le lenti a contatto perché gli occhiali si appannano e questo alimenta la mia naturale goffezza. Non sono mai stato così tanto tempo in casa, se non quando preparavo il diploma di pianoforte. Allora mi abbrutivo, oggi un po’ meno perché, dopo i quaranta, bisogna darsi un limite – capelli a parte, naturalmente.

    La novità è che ho del tempo. Per me, slegato da un obiettivo utilitaristico. Quindi, non sono produttivo, nel senso che questa civiltà sempre di corsa ha attribuito a tale termine. Non sono utile, nel modo che la società che abbiamo costruito sembra pretendere da ciascuno di noi, a pena della nostra irrilevanza. Non sono più dinamico.

    Quindi, penso e scrivo. Quanto tempo abbiamo, come intendiamo utilizzarlo? Quanto, di ciò che facciamo ogni giorno senza pensarci troppo, ha davvero senso? Quanta parte delle nostre azioni può essere sostituita con altro di più appagante, di più umano? Cosa perdiamo, se cambiamo abitudini?

    Ad esempio: la mattina prendiamo l’auto e ci rechiamo da qualche parte. In studio, in ufficio. Spesso – e ora non venitemi a dire che ci sono attività che non possono farsi in remoto, lo so – per compiere azioni che potremmo, grazie alla tecnologia, soddisfare persino da casa. Penso alle udienze, che potrebbero, il più delle volte, essere tenute in modo virtuale – gli adempimenti di cancelleria, in buona parte, già lo sono. Penso addirittura agli appuntamenti, mutuabili con la corrispondenza scritta e/o delle conferenze telefoniche.

    Andiamo oltre la quarantena, pensiamo al domani che replicherà (?) il recentissimo passato: svegliarsi presto, vestirsi di tutto punto, viaggiare, presentarsi al pubblico, sfidare la giornata lontano dal tepore delle proprie mura, incontrare la gente, sorridere: invitante, lo adoro. Perdere ore di sonno, non fare colazione con i propri figli, rischiare un incidente, beccarsi il traffico, buttare tempo in fila, attendere il proprio turno in un’aula affollata, pranzare fuori o in studio in modo frugale, non poter andare a prendere i bimbi a scuola, scrivere nel pomeriggio atti e diffide gravate dalla stanchezza delle ore mattutine: evitabile.

    Eppure, sono facce della stessa medaglia. Il rapporto quotidiano e diretto con le persone, in qualsiasi ambito extra familiare, così come lo intendiamo comunemente è (anzi, sarebbe) produttivo ed efficiente; rappresenterebbe, inoltre, la misura della nostra socialità. Ma il suo prezzo è la rinuncia alla quiete (specie familiare) ed alla riflessione. In realtà, io credo che tale prezzo consista, soprattutto, nell’immotivata abdicazione ad un diverso modo di essere efficienti ed attivi. Diverso ma non peggiore, anzi.

    Il costo del

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