L’Avvoltoio: La nuova indagine del commissario Lombardo
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Info su questo ebook
In entrambi i casi, determinante è l’apporto di alcuni insospettabili medici che si prestano a tradire il giuramento d’Ippocrate per sete di denaro e per sotteso razzismo.
Un medical thriller che squarcia il silenzio su un mondo di omertà e speculazioni, tra politica, mafia, sanità e corruzione.
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Recensioni su L’Avvoltoio
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Anteprima del libro
L’Avvoltoio - Giuseppe Petrarca
Giuseppe Petrarca
L’Avvoltoio
La nuova indagine del commissario Lombardo
logofrontespizioDieci
La selezione di narrativa italiana di Homo Scrivens.
Dieci volumi ogni anno, con le prime 50 copie numerate a mano.
Homo Scrivens
Direttore di collana: Aldo Putignano
Editing: Raffaele Messina
Revisione bozze: Dontella De Tora
Copertina: Ugo Ciaccio
Autori: Giuseppe Petrarca
Titolo: L’Avvoltoio. La nuova indagine del commissario Lombardo
ISBN 9788832783094
I edizione Homo Scrivens, maggio 2018
I edizione ebook novembre 2022
©2016 Homo Scrivens s.r.l.
via Santa Maria della Libera, 42
80127 Napoli
www.homoscrivens.it
Riproduzione vietata ai sensi di legge
(art. 171 della legge 22 aprile del 1941, n. 633)
Se voi avete il diritto di dividere il mondo
in italiani e stranieri
allora io reclamo il diritto di dividere il mondo
in diseredati e oppressi da un lato,
privilegiati e oppressori dall’altro.
Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri.
(Lorenzo Milani)
PROLOGO
Il demone avanza come un vampiro assetato di sangue. Viene a cercarti il demone. Ha bisogno del tuo corpo impallidito dal gelo e dalla stanchezza.
Adesso non hai più paura. Sei indifeso, sfibrato, non hai la forza per scappare, ma non hai più paura. Sulla tua pelle di salsedine ci sono i segni di un lungo calvario, iniziato con la corsa per sfuggire agli uomini che hanno ucciso tua madre davanti a te. Quel giorno sei diventato grande. Da allora hai lottato contro ogni cosa, anche contro i giganti delle onde. Come Davide contro Golia. Giorni e giorni, stivato con gli altri, in balia di un mare sempre più impetuoso. Sfuggito per fatalità alla furia della burrasca, hai visto sparire i tuoi compagni, i tuoi amici, i tuoi cari, inghiottiti da gorghi assassini. E adesso non hai più paura.
Il desiderio di continuare a vivere ti ha risparmiato di finire in quella tomba liquida. Ora, però, la speranza si è affievolita. L’incubo è diventato tormento. I crampi alle gambe ti hanno immobilizzato. Sei legato a un lettino, ma sai bene di non essere in un ospedale. Vorresti ribellarti a chi ti ha strappato agli altri con la scusa di portarti in un nuovo centro di accoglienza. Sei stato rapito e sai che sta per accaderti qualcosa di tremendo. Respiri a fatica. Pensi che sarebbe stato meglio cedere alle onde del mare. Adesso saresti negli abissi, insieme ai tuoi familiari, addormentato per sempre.
Il demone ha mani terribili che aspettano di colpire. Mani che tagliano, strappando via i filamenti della carne indifesa. È un mostro insaziabile. Il terrore ha lasciato il posto alla rassegnazione, il pianto al torpore. Vuoi chiudere gli occhi stanchi, non guardare più quel dannato soffitto: è grigio, mette i brividi, crea contrasto con i colori accesi della tua terra. Nella mente i giochi custoditi nella vecchia cesta, la cucina a legna, il gatto dagli occhi verdi. Quanto ti mancano… In questa disperata solitudine hai solo voglia di piangere, di gridare aiuto, ma riesci a resistere. Cerchi di proteggerti nei ricordi di te bambino, quando, felice, correvi nei prati, con i tuoi capelli ramati mossi dal vento. Quando le urla intorno a te non erano disperazione e dolore, ma inno alla vita.
Cosa accade adesso? Avverti una strana sensazione di calore, non riesci a vedere chi è entrato nella stanza. Sarà il demone dalla lama affilatissima che vuole iniziare il suo valzer infernale sulla tua pelle? Continui a ripeterti che non hai paura, mentre il buio inizia ad avvolgerti. Tutto sembra rallentato, attutito. Ora vorresti soltanto dormire, in un sonno senza fine. Alzi una mano sporca del tuo sangue verso il camice bianco, e non per chiedere aiuto. Lo sfiori con il palmo aperto. La tua mano, la sua persecuzione. Per sempre.
Ora davvero non hai più paura.
I
Era tutto pronto. Il bambino disteso sul tavolaccio era stato sedato. L’aria, in quel seminterrato, era impregnata di un olezzo umido, misto all’odore del disinfettante.
L’intervento iniziò subito dopo aver illuminato alla meglio il rudimentale tavolo operatorio. Una strumentazione, che mostrava tutti i suoi anni, monitorava il corpo del bambino. L’Avvoltoio sapeva che bisognava tenerlo in vita: era necessario il prelievo dell’organo richiesto con estrema accuratezza. Il cliente, stavolta, era un personaggio molto potente, che aveva offerto una cifra cospicua pur di avere un rene giovane da fare impiantare al figlio afflitto da una fortissima insufficienza renale: una rara forma di nefrite per la quale non bastava più nemmeno la dialisi.
L’espianto sarebbe riuscito perfettamente, come tante altre volte. Di questo l’Avvoltoio era certo, così com’era sicuro che quel bimbo clandestino, arrivato in Sicilia insieme a migliaia di altri derelitti, non avrebbe più riaperto gli occhi. Il suo decesso era già stato deciso. Per l’Organizzazione e per l’Avvoltoio quei bambini invisibili, senza identità e senza genitori, erano facili prede da intrappolare nella rete e fare sparire per sempre, senza lasciare tracce.
Mentre armeggiava con il bisturi, lo sguardo dell’Avvoltoio si fermò sulle proprie mani, avvolte nei guanti sterili. Mani impeccabili, ferme, decise. Mai un’incertezza, mai una sbavatura, mai un ripensamento. Il suo compito era aiutare uomini ricchi e agiati, anche se a discapito di poveri disgraziati. Un dettaglio per lui marginale, un irrilevante effetto collaterale. La regia occulta e, al tempo stesso, inesorabile era condotta dall’Organizzazione transnazionale con la quale era entrato in affari da tempo. Tanta spregiudicatezza che, talvolta, appariva eccessiva persino a lui: Al diavolo ogni inutile morale!
si disse, convinto che comunque non ci sarebbe stato nessun futuro e nessuna prospettiva decente per quel piccolo immigrato arrivato da chissà quale parte del mondo, senza genitori e con una vita già segnata e straziata da mille sofferenze. Quel suo gesto irreparabile avrebbe cancellato un’esistenza a beneficio di un’altra, ridando una nuova speranza a chi aveva i mezzi per vivere la propria vita intensamente.
L’Avvoltoio aveva predisposto una serie di prelievi per verificare l’assenza di malattie infettive o di altre eventuali patologie legate al sistema immunitario. L’asportazione doveva essere eseguita senza interrompere la ventilazione, attraverso l’induzione di farmaci utili all’anestesia, prima della rimozione degli organi. Iniziò incidendo, mentre il cuore del bambino continuava a battere e il sangue a circolare. Il piccolo corpo anestetizzato era rilassato e tiepido, così le ali malefiche dell’Avvoltoio poterono dispiegarsi in vista dell’obiettivo finale. I suoi erano movimenti perfetti, le sue mani danzavano leggere sulla vittima sacrificale.
L’Avvoltoio era consapevole di essere arrivato a un punto estremo. Ormai non sarebbe tornato più indietro, rapito com’era dal suo delirio di onnipotenza. Fiero della propria maestria, operava con scioltezza e senza alcun timore fino all’estrema conseguenza. Un’immagine stridente: l’atto ferale contrapposto all’eleganza di un tocco meticoloso ed esperto.
Poi, un flash improvviso balenò nella mente dell’Avvoltoio. Tornò, con il pensiero, all’attimo prima di cominciare: quel momento che, senza una spiegazione razionale, lo aveva colpito. Ne ebbe paura. Non gli era mai capitato di avere neanche un solo ripensamento. Spietato fino a sentirsi disumano, non aveva calcolato quell’intralcio imprevisto. Quel bambino terrorizzato, con le lacrime agli occhi, lo aveva supplicato, in una lingua a lui sconosciuta ma comprensibile, di liberarlo e di non fargli del male. Le sue urla in quella stanza erano diventate onde sonore irritanti che rimbalzavano ancora da una parete all’altra come stilettate, dentro la sua mente. Avrebbe voluto schivarle in qualsiasi modo per non esserne più colpito. Chiedeva pietà quel bimbo condannato a finire i suoi giorni su quel tavolaccio. Chiedeva aiuto mentre continuava a fissarlo con la mano tesa sporca di sangue.
L’Organizzazione aveva, ancora una volta, curato nei minimi dettagli l’azione che per lui, l’Avvoltoio, era solo un’operazione di routine. Aveva sempre agito con estrema freddezza, distaccato, sereno. Eseguiva gli ordini senza mai voltarsi indietro, senza lasciarsi coinvolgere emotivamente. Adesso, però, come mai si trovava a fare i conti con uno strano turbamento che non poteva più allontanare?
Si fermò per un istante e, per la prima volta, riconobbe, sbigottito, una certa agitazione interiore. L’immagine di quel ragazzino non andava via dalla sua mente. Perché stava accadendo tutto questo? Al contrario delle altre volte, adesso non riusciva a concentrarsi sull’espianto del rene in modo risoluto. Nei suoi occhi era rimasta impressa la piccola mano che, in preda al panico, si era avvicinata al suo torace, lasciando sul camice un’impronta che ora sembrava un presagio di morte.
Per annullare ogni ulteriore remora, scatenò la sua rabbia su quel piccolo corpo. Operò con ferocia, accanendosi più del dovuto. Bisturi, forbici e pinze: ora usava quei ferri chirurgici senza la minima cautela per le conseguenze sul paziente; anzi, ora più che mai, aveva solo voglia di finire in fretta. Quel turbamento lo aveva trasfigurato. Non era più il professionista cinico e spietato come un’infernale macchina di morte. Ora si sentiva coinvolto in quello che stava facendo. Ne sentiva il peso e per contrastarlo andava trasformandosi in una belva inferocita che aveva paura più di sé stessa che di ogni altra cosa. Doveva finire il più velocemente possibile quel maledetto lavoro trascinando, senza alcun pentimento, quel bambino verso le tenebre.
Quando terminò, si sentì esausto e allo stesso tempo appagato. Avvertiva ancora energiche scariche di adrenalina: era tornato la bestia raccapricciante e impietosa di sempre, al servizio del Male. L’organo prelevato era pronto per essere spedito, con le dovute accortezze, a una clinica di Istanbul. L’Organizzazione avrebbe pensato a sbarazzarsi del corpo. L’orrore era compiuto.
Togliendosi con calma il camice e i guanti, salì una rampa di scale per raggiungere il piano superiore. Nel suo studio, si lasciò cadere, stremato, su una poltrona. Chiuse gli occhi per verificare che quell’immagine molesta fosse stata spazzata via. Fu sollevato: per un attimo pensò di aver rimosso tutto quell’orrore. Alzandosi, si diresse in bagno, si lavò accuratamente le mani e il viso. Rialzando la testa per potersi asciugare, fu colpito dalla sua immagine riflessa nello specchio. Immobile, fissò il suo sguardo attraversato da una strana sensazione. Quello che vedeva era un uomo non più giovane. I capelli erano ormai quasi tutti bianchi, gli occhi appesantiti da un fastidioso gonfiore delle palpebre e le rughe percorrevano, beffarde, la fronte e gli zigomi. Stava invecchiando e questa era l’unica cosa che gli dava davvero terrore.
Quando i fidati collaboratori, un anestesista e un uomo di origine turca che lavoravano per conto dell’Organizzazione, furono andati via, l’Avvoltoio uscì per riprendere l’auto parcheggiata nei dintorni della villetta. Il buio avvolgeva ogni cosa, le luci della città erano lontane. Respirò profondamente per immettere nei polmoni l’aria fresca della campagna. Nella sua lussuosa berlina riaccese il cellulare, controllò i messaggi e le chiamate per verificare se qualcuno lo avesse cercato. Si immise sulla strada provinciale, programmando mentalmente le cose che avrebbe dovuto fare l’indomani. Prima tra tutte, doveva recarsi in ospedale; aveva la responsabilità di dirigente medico che prevedeva compiti precisi, come quello di coordinare due riunioni a settimana con lo staff dei sanitari del suo reparto.
La strada, scarsamente illuminata in quel tratto, era un continuo zigzagare. Brevi rettilinei intervallati da una serie di curve che, nonostante la guida sicura, rappresentavano un pericolo. Conosceva bene quel percorso che portava in città. Poi, accadde l’imprevedibile, velocemente. Vide i fari abbaglianti di un’auto venirgli addosso. D’istinto cercò di frenare e di sterzare alla sua destra per evitare la collisione con quell’auto. Una manovra azzardata con la quale rischiava di sfondare il guardrail e di rovinare lungo la scarpata. Una manovra che fu costretto a compiere quando fu tanto vicino all’altra auto da riuscire a percepire i contorni del volto dell’uomo al volante: un ovale biancastro con due buchi neri al posto degli occhi; una faccia spettrale, come se alla guida di quel veicolo ci fosse uno spirito maligno o, forse, solo un disgraziato che aveva perso il controllo dell’auto, probabilmente per un malore. Non poteva spiegarsi altrimenti quel gesto folle.
E proprio in quegli istanti, quando l’impatto gli sembrò quasi inevitabile, accadde di nuovo! Sentì la mano del bambino sfiorargli il corpo, afferrandolo con forza inverosimile e trascinandolo in balia di un vortice incontrollabile. Per miracolo l’auto dello sconosciuto lambì soltanto la sua, senza conseguenze, e lui si ritrovò illeso nell’abitacolo con il motore acceso. Girò la chiave per spegnere l’auto, mentre prendeva a pugni il volante con tutta la forza