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E-book374 pagine5 ore

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Info su questo ebook

1784.

Quando Matthew Bolton accetta la generosa offerta di Lord Hope di ricoprire l’incarico di insegnante di scherma durante il Grand Tour del libertino figlio minore Alexander, è preparato al peggio: affrontare la sua fobia di navi e onde, sopportare l’eccentricità di un damerino viziato, sudare per tollerarne i capricci e insegnargli l’arte della spada.
Quello per cui non è assolutamente preparato è il fascino abbagliante di Alex.
In ogni città che visitano, Matthew scopre che i suoi gusti sono più variegati di quanto avesse mai immaginato. Alexander ricambia questo interesse, e le notti con lui sono eccitanti ma spesso confuse e piene di piccoli incidenti. I sentimenti che prova sono difficili da accettare, ma troppo potenti per ignorarli.
Ma mentre il lungo viaggio volge al termine, un’ombra oscura la felicità della coppia: un matrimonio combinato per ripulire il nome degli Hope dopo gli scandali causati da Alexander.
Sotto il sole di Napoli, Matthew si trova sull’orlo di un precipizio. Come può salvare Alexander da una vita di infelicità, e quale futuro può esserci per loro due?
Per fortuna l’astuzia di una coppia di zie sarcastiche e intraprendenti offre loro una soluzione.
LinguaItaliano
Data di uscita10 nov 2022
ISBN9791220704441
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    Anteprima del libro

    WanderLust - Ester Manzini

    1

    Nulla, nella munifica offerta di lord Hope, avrebbe potuto preparare Matthew Bolton a ciò che lo aspettava. Il suo segreto desiderio di potersi ritirare in pace dopo una breve e sfortunata carriera militare si schiantò contro la prospettiva del viaggio in programma.

    I moli di Dover erano il solito caos di persone urlanti, gabbiani urlanti, merci (quelle perlomeno erano silenziose), e l’onnipresente fetore di catrame e alghe che proveniva dalle acque scure. Mentre avanzava tra la folla con gli occhi strizzati contro il luminoso sole primaverile, Matthew si sforzò di tenere lo sguardo fisso sui propri stivali.

    Con un grugnito si passò la mano lungo la mascella. Nell’incontrare una chiazza malamente rasata sulla guancia sinistra si imbronciò. Ottimo, proprio quello di cui aveva bisogno: un altro dettaglio che contribuiva a dargli l’aspetto di uno straccione e di un imbroglione. Il tricorno che portava in testa faceva quel che poteva per gettare un’ombra sul suo viso e renderlo presentabile, ma per quanto Matthew si ostinasse a sollevare il colletto della casacca blu scuro, l’ombra di barba mal fatta era inequivocabile.

    Sospirò e calciò un ciottolo, graffiando la punta lucidata di fresco degli stivali di seconda mano.

    Un impostore. In realtà non lo si poteva certo accusare di aver mai finto di essere qualcosa di diverso da ciò che era, con lord Hope o chiunque altro: un veterano della Guerra Americana, e per giunta un pessimo veterano. Eppure qui, in mezzo al crogiuolo colorato di vite che affollavano il porto, si sentiva più un manovale in abiti rispettabili che l’impiegato di un nobiluomo qual era.

    Uno spintone al fianco lo strappò dai suoi pensieri. Un urto, un’imprecazione, e una voce rude si levò da qualche parte vicino alla sua spalla.

    «Ehi! Guarda dove metti i piedi!»

    Matthew voltò il capo. Alla sua sinistra notò uno scaricatore dal fisico tozzo, con unti capelli neri che si diradavano su un cranio abbronzato. L’impatto aveva lasciato lo sconosciuto un po’ incerto sui piedi, probabilmente anche a causa dell’odore di alcol da due soldi che lo circondava; Matt si limitò a toccare la tesa del cappello e a scostarlo all’indietro.

    «Vi chiedo scusa,» brontolò. L’altro uomo studiò il suo viso, con particolare attenzione per il lato sinistro, e la rabbia che lo stava gonfiando come un rospo bellicoso si afflosciò. Sputò, arricciò il naso, e sventolò la mano verso Matt, tirandogli una gomitata mentre lo superava.

    Matthew si fermò, si prese la base del naso tra pollice e indice e respirò a fondo. No, non stava funzionando: l’odore del mare era ovunque, e tenere gli occhi chiusi non lo aiutava a rilassarsi. Al contrario, portava con sé ricordi sgradevoli. Con un sospiro voltò le spalle alla foresta di alberi e vele arrotolate e si concentrò sulla città che si estendeva fino all’orizzonte in una landa di grigio e nebbia.

    Si sentì meglio, nonostante i gabbiani che continuavano a bisticciare tra il sartiame dietro di lui.

    Buon Dio, quanto odiava quelle bestiacce.

    Le lancette dell’orologio sulla parete del deposito doganale, un edificio squadrato dello stesso legno scuro e rovinato dalla salsedine che caratterizzava il resto dei moli e abbastanza grande da emergere dal caos, formavano un angolo retto.

    Le nove. Non era in ritardo, ma nemmeno molto in anticipo.

    Si tolse il cappello dalla testa e si passò una mano sui capelli rasati a pochi millimetri dal capo. I limiti fisici imposti dalla sua condizione non gli impedirono di notare come i passeggeri si fermassero per scrutarlo. In un oceano di chiome incipriate e acconciate con nastri colorati, con l’occasionale parrucca torreggiante a emergere dalla folla, i neri capelli corti di Matt spiccavano come… be’, come un ex soldato dal volto sfregiato nei suoi abiti migliori in mezzo a una folla di ricchi clienti paganti. Il che era del tutto appropriato.

    Le vecchie abitudini erano dure a morire. Matt era abbastanza convinto che il figlio di lord Hope non fosse il tipo cui interessasse molto delle acconciature dei propri sottoposti, a patto che questi fossero puliti e decenti. Se Lord George Hope, quarto Baronetto di Kirkliston, aveva a stento inarcato un sopracciglio di fronte all’aspetto di Matthew, il suo figlio minore era probabilmente fatto della stessa pasta.

    O così sperava.

    Provò a fare un respiro profondo, ma la salsedine glielo strozzò in gola, facendolo ringhiare. Ebbene, ormai non poteva tirarsi indietro: i suoi pochi averi erano già stati caricati a bordo, oppure riposti al sicuro in uno dei magazzini in attesa di essere imbarcati. Era fatta.

    Si rimise il cappello in testa e si voltò per studiare i numeri dipinti sulle assi del pontile. La vernice bianca aveva quasi preso il colore delle deiezioni dei gabbiani che ricoprivano i moli. 18, lesse: altri due prima di arrivare a destinazione.

    Più si avvicinava alla meta, più i passanti si facevano eleganti e vistosi. Notò un numero crescente di parasole e cappelli coperti di piume variopinte, sete e broccati del tutto inadatti a una traversata, gioielli e guance rosee per il trucco e non solo per l’aria fresca. L’intensità dei profumi non contribuiva a coprire la puzza del porto; se possibile, riusciva a peggiorarla.

    Quando raggiunse il punto di incontro prestabilito era, in effetti, ancora un po’ presto, ed era solo. Con gli occhi bassi fissò il 20 di fronte ai propri piedi, pienamente consapevole di ciò che si trovava oltre di esso: le assi, meravigliosamente solide sebbene un po’ oscillanti per le onde, che si interrompevano per lasciare spazio alle acque scure e schiumose, di un verde opaco picchiettato di piume zuppe e rifiuti galleggianti; e su quella superficie infida…

    Rimandare era inutile. Con i denti stretti e i pugni ancor più serrati, avvolti intorno all’elsa della spada che gli pendeva al fianco, Matthew guardò in su.

    E, proprio come si era aspettato, la nausea gli fece formicolare la mandibola.

    La Lady Godiva era una cosuccia da poco se paragonata agli immensi galeoni che rollavano sul ventre tondeggiante al capo opposto del pontile: tre alberi e una prua riccamente decorata, e sul ponte una dozzina di marinai, tutti abbastanza puliti e ragionevolmente privi di scorbuto.

    Nonostante le premesse incoraggianti, lo stomaco di Matthew si contorse. La passerella sembrava così bassa, così pericolosamente vicina all’acqua, anche se sapeva che Dover era un porto tranquillo e riparato dalle tempeste. Il viaggio che lo attendeva, poi, non era nulla in confronto a ciò che aveva passato. Questo non impedì al sudore di coprirgli la fronte e la nuca. Ricordava molto bene come un attimo prima il cielo fosse stato una distesa sconfinata di blu e nuvole bianche, e come in un batter d’occhio fosse diventato nero e violaceo come un livido, per poi squarciarsi in un delirio di pioggia e tuoni e vento… quel vento maledetto che aveva stracciato le vele e rovesciato in acqua quasi tutti i membri dell’equipaggio. Mentre respirava affannosamente dal naso, ricordò anche loro. Tutti loro: O’Malley e Connor e Rutherford e…

    «Lady Godiva. Un nome pomposo per un vascello di così scarso interesse, a mio non così modesto parere. Personalmente, la chiamo compensazione.» Una voce femminile si levò da qualche parte alle sue spalle, e Matthew accolse con gioia la distrazione.

    Si strappò il cappello dalla testa e fece un educato passo di lato per far spazio alla nuova arrivata. Una donna avvolta in velluto verde scuro, con i capelli neri appena striati di grigio alle tempie, stava fissando la Lady Godiva arricciando il lungo naso. Tamburellò a terra il parasole che utilizzava come frivolo bastone da passeggio e si voltò verso Matt con un sogghigno. Gli occhi nocciola erano increspati agli angoli, e linee sottili le incorniciavano la bocca. «Non poteva che essere così, visto che il capitano è un uomo.»

    «Io… ehm… sì,» le rispose. Si torse tra le mani il cuoio del tricorno e si agitò un po’ sui talloni, ma sempre mantenendo una distanza rispettabile dalla sconosciuta.

    «E pensare che il suo unico compito è trasportare passeggeri benestanti fino a Calais… Mi domando cosa ci sia di così eccitante al riguardo.» Si fece rotolare il manico del parasole tra le mani, quindi ne colpì la punta con un calcetto e se lo gettò sulla spalla. «Certo, voi avete fatto viaggi ben più emozionanti, signor Bolton.»

    Matt quasi fece cadere il cappello e si accigliò. Si chinò appena per scrutare meglio la donna: sebbene ci fosse un qualcosa di familiare nei lineamenti affilati e nel sorriso sprezzante, non riusciva a ricordare dove l’avesse vista.

    «Temo che mi cogliate in fallo, mia cara signora, poiché non so con chi ho il piacere di conversare.»

    «No, vero? Non mi stupisce. Eri un bambino l’ultima volta che ti ho visto,» disse, passando con scioltezza a un tono più colloquiale. «Io, invece, non ero certo affascinante e raffinata come sono ora.» Gli fece l’occhiolino e si avvicinò di un passo. «Mio fratello mi ha parlato di te e delle tue disavventure attraverso l’Atlantico. Povero George, è stato così preciso nel suo resoconto che ho percepito un pizzico di invidia…»

    «Vostro fratello… lady Hope! Vi prego, perdonate questo povero soldato e la sua pessima memoria!» Matt si inchinò rigidamente, ma prima di aver concluso il gesto un colpetto sulla caviglia gli fece alzare lo sguardo.

    «Chiamami pure miss Diana, Matthew. Tanto per cominciare, passeremo molto tempo assieme; e in secondo luogo, a voler essere precisi dovrebbe essere ‘signora Fitzalan’. Ma dovranno aspettare che io sia morta prima che mi abbassi a prendere il cognome del mio ancor più morto marito…»

    «Non credo che lord Hope approverebbe che io…»

    «Ti direi quanto poco mi importa dell’opinione di mio fratello, ragazzo mio, ma non vorrei metterti in difficoltà. Adesso sono troppo vecchia per darvi peso, mentre quando mi ha fatto sposare quel vecchio rinsecchito ero troppo giovane per rendermi conto di cosa stesse succedendo. Ora ho il doppio dell’età che avevo all’epoca, e sto molto meglio senza quei due.» Sorrise di nuovo, e per un istante un lampo di denti candidi apparve tra le labbra sottili. «Sei a disagio, caro Matthew?»

    Quantomeno, l’incontro con lady Diana, o la signora Fitzalan, o quale che fosse il nome con cui voleva essere chiamata, era riuscito a soppiantare l’ansia di Matthew con la confusione. Era già un piccolo miglioramento.

    «Un po’, mia signora. Non mi aspettavo di… no, anzi, sapevo che sareste stata un membro del gruppo, ma vi trovo molto meglio di quanto pensassi, per…»

    «… per una donna della mia età? Oh, per cortesia, non ho ancora compiuto trentotto anni, e ti stai rendendo ridicolo. Certo, conosco più di una signora che troverebbe il rossore sulle tue guance piuttosto affascinante.» Ridacchiò e fece roteare il parasole con il rischio di abbattere un passeggero lì accanto. «Non solo loro, a ben vedere.»

    Matt sbuffò dal naso, si rimise in testa il tricorno e strattonò il pizzo dozzinale che gli chiudeva il collo della camicia.

    «Ora sono davvero a disagio, mia signora, e…»

    «Diana.»

    «Diana, d’accordo. Ma vostro fratello non approverebbe un simile…»

    Diana Hope puntò il parasole (agli occhi di Matthew un’arma fatta e finita) contro il suo petto e lo pungolò.

    «Smettila di trascinare il mio caro, amorevole, oh, così adorabile fratello in questa conversazione. Ho capito, è il tuo datore di lavoro, e ti ha fatto un favore offrendoti questa opportunità, ma è su al nord, nelle Highlands. Sii felice che abbiamo l’interezza delle verdi terre di Sua Maestà a dividerci da lui.»

    Matt barcollò indietro e si massaggiò il petto, ora ufficialmente senza parole. Vero, erano passati vent’anni da quando l’aveva vista l’ultima volta, e allora Diana era poco più che un’adolescente ben poco interessata al marmocchio di sei anni figlio del giardiniere di famiglia.

    Ora si era fatta adulta, più snella e ben più sfacciata di qualsiasi altra nobildonna Matt avesse mai incontrato.

    «Quindi? Hai intenzione di restare lì ancora a lungo? Chiudi la bocca, tesoro, o ci entreranno le mosche.»

    «Sì. Certo. E, di grazia, come vi aspettate che mi comporti in questa situazione? L’etichetta non è molto specifica al riguardo.»

    «Stai andando benissimo, Matt, non crucciarti. Ora, tornando alla nostra missione…» Pescò un orologio tondo dal taschino, cosa che stupì ulteriormente Matt: non era frequente che una donna portasse con sé un simile oggetto. Con una strizzata d’occhio al quadrante scosse la testa. «Ah, siamo troppo poco in anticipo per sfuggire alla venuta di Martin Beaumont.»

    Matthew si morse l’interno della guancia e la scrutò con più attenzione, ora che non lo stava guardando. Non era una ragazzina, ma era vivace e giovanile; era abbigliata in modo confacente al suo ruolo e alla situazione, a parte qualche dettaglio fuori posto: il modo in cui portava il parasole, l’orologio da taschino, e poi il tono di voce, la linea dritta delle spalle…tutto rendeva Diana Hope l’esemplare perfetto di donna unica e probabilmente snervante. Pur con un decennio di esperienza nel campo delle relazioni con il gentil sesso, questa rappresentante rimaneva un mistero per Matt.

    Diana non aggiunse altro, ancora concentrata sull’orologio, e alla fine fu Matthew a rompere l’indugio.

    «Comunque lo so chi è il signor Beaumont,» borbottò premendosi il cappello più a fondo sulla testa.

    «Meglio. Martin odierà i tuoi capelli, ed è già abbastanza insopportabile di suo. Non mi stupisce che George ce l’abbia affibbiato per rovinarci il viaggio.» Chiuse l’orologio con uno scatto del polso e lo infilò nuovamente in tasca. «Matthew, quando sei con me, puoi rilassarti. Non sono mio fratello, nel bene e nel male, e non mi impressiono facilmente. Anzi, a dire la verità, mi piaci già.»

    «Mia signora, ammetterete che di solito le donne non sono così dirette nei loro approcci…»

    Diana scoppiò a ridere, sbattendo il piede sulle tavole di legno e attirando l’attenzione di un paio di passanti tutti in ghingheri. La nuca di Matt si fece più calda, e di certo non per il sole di inizio primavera.

    Sì, snervante era proprio la definizione più appropriata.

    «Pensi… pensi che… Oh, Matthew, te l’ho già detto: hai quel tipo di fascino rude che manderebbe in brodo di giuggiole alcune mie vecchie conoscenze, e sarebbe tutto un Oh, signor Bolton, com’è possibile che non siate ancora sposato? Vi prego, raccontateci ancora della vostra esperienza nell’esercito! Volete dell’altro tè?» Scosse la testa e si sistemò un ricciolo dietro l’orecchio. «Temo però che tu non sia proprio il mio tipo.»

    La confusione gli stava facendo girare la testa. La Lady Godiva incombeva ancora su di loro, ma Diana la eclissava.

    «Non posso affermare di sapere dove stia andando a parare questa conversazione, mia signora… Diana, d’accordo. Diana. Perché vi prendete gioco di me?»

    «Sto solo imparando a conoscerti, mio caro. Come ti ho anticipato, ci aspettano lunghi mesi di viaggio assieme, anche se immagino passerai gran parte del tempo con Alex.» Diede una pacca sul braccio di Matthew, che non si ritrasse.

    «Penso anche io. Non l’ho ancora incontrato.»

    «Comprensibile. Era un bambino malaticcio e passava poco tempo all’aperto, e non appena fu abbastanza grande fu spedito a studiare a Londra.» Le labbra sottili si tesero in un sorriso così dolce da illuminarle gli occhi. «È il mio nipote preferito, ovviamente.»

    «Ho conosciuto suo padre, ma abbiamo parlato solo di rado, e sono rimasto impressionato dal suo contegno nobile. Sono sicuro che Alexander mostrerà la stessa attitudine.»

    La risata di Diana degenerò in un breve grugnito, un suono così poco femminile che le sopracciglia di Matt gli schizzarono su per la fronte.

    «Oh sì! Certo che sì! Vedrai. A tal proposito, per quanto non sia stupita che non sia ancora qui con noi visto che so che tende a dormire fino a tardi, Teresa, la mia cameriera personale, e Martin dovrebbero averci già raggiunti.»

    Finalmente un argomento che gli avrebbe risparmiato ulteriore imbarazzo. Matt si lisciò la giacca sul petto e raddrizzò le spalle.

    «Se lo ritenete necessario, andrò a cercarli. Mi occorre solo una breve descrizione, e li troverò in un attimo.»

    «Santo Cielo, sei ancora più alto di quanto pensassi. Farai conquiste, sono pronta a scommetterci… ad ogni modo, apprezzo lo zelo. Sembri un bravo ragazzo, e… oh, eccoli!» I suoi occhi scivolarono via dal viso di Matt e si fissarono oltre la sua spalla. Matt si voltò, seguendo il suo sguardo, e individuò due figure ansimanti che si facevano spazio tra la folla.

    La coppia era sulla cinquantina, forse più vicina ai sessanta. L’uomo, che Matthew suppose essere Martin, aveva gli occhi stretti dietro un paio di occhiali tondi; a ogni passo sia la coda di capelli bianchi che la pappagorgia oscillavano. Le labbra erano strette in una linea sottile, che si tese ancor di più quando la sua compagna gli trotterellò a fianco per tenere il passo: una signora tracagnotta e con le guance rosse tonde come mele, i ricci fitti che si gonfiavano sotto alla cuffietta che le scivolava giù dalla testa.

    «… e voi non mi avete neanche ascoltata! Ma perché mi do tanta pena? Me lo sarei dovuto aspettare da voi, vecchia tartaruga cocciuta!»

    «Miss Teresa, fatemi un favore e abbassate la voce. Ci guardano tutti.» La voce di Martin calzava con il suo aspetto severo, aspra e asciutta. L’uomo fissava davanti a sé con i pugni serrati e gli occhi che frugavano tra la folla, apparentemente ignaro di Diana e Matt.

    «Che guardino! Non sono certo io quella che ha smarrito il proprio protetto e adesso rischia di mancare l’appuntamento al…»

    Un gruppo di portuali passò tra la coppia e Matt, che inclinò il capo per sentire il resto del battibecco, ma senza successo.

    Diana si massaggiò le tempie.

    «E così Martin si è perso Alexander. Iniziamo bene.»

    «Perso? Ma… non è possibile, la nave salpa tra due ore!»

    «Non lo conosci. Alex, intendo. Quando lo avrai incontrato, capirai. Ecco, ora sorridi e cerca di sembrare convincente, o Martin non ti darà tregua.» Gli afferrò il gomito e se lo tirò accanto, il mento sollevato e un’espressione di attesa ottimista sul viso.

    Prigioniero della sua stretta, Matthew si irrigidì. I muscoli delle guance non collaborarono a dovere, e il suo sorriso probabilmente sembrava più una smorfia.

    Dio onnipotente, in cosa sono andato a cacciarmi?

    La processione di bauli, scatole e lavoratori frettolosi li superò, rivelando che Teresa si era fermata di fronte a Martin con i pugni sui fianchi tondi e il cappello di sbieco sull’orecchio.

    Martin scoprì i denti, ma nel momento in cui alzò lo sguardo riconobbe Diana. Il viso rugoso si tramutò in una maschera di compostezza, e persino la bocca severa si incurvò leggermente in su.

    «Preparati a morire di noia, o a essere rimproverato per un granello di polvere sugli stivali. O forse entrambe le cose,» sibilò Diana. Matt si morse la punta della lingua; giunse le mani davanti a sé e si sfregò con discrezione lo stivale contro il polpaccio.

    «Lady Diana!» chiamò Martin. Teresa sussultò, si voltò di scatto e il suo viso già acceso si illuminò ancor di più. Diede una manata al petto di Martin e marciò verso la sua padrona, indifferente a chiunque avesse la sfortuna di starle tra i piedi.

    «Mia signora! Vi prego, dite a Martin che è utile quanto il didietro di un asino zoppo!»

    Matthew si morse la lingua più forte e abbassò il capo. Aveva la gola piena di ilarità e, a giudicare dal tremito nella sua mano, anche Diana si stava sforzando di non scoppiare a ridere.

    «Teresa, mia cara, sarebbe molto ingiusto nei confronti di una povera bestia da soma che ha passato la sua esistenza piegata dal duro lavoro. Oh, l’asino, intendo,» spiegò, dando dei colpetti al braccio di Matt.

    «Non avevo dubbi,» le rispose lui sottovoce.

    «Martin sostiene che Alexander non si sia presentato all’orario stabilito. Non era nella sua stanza, e nemmeno le sue scarpe o il cappello, ma tutti i suoi bagagli erano chiusi.» Teresa lanciò un’occhiataccia a Martin e sbatté il piccolo piede per terra. «E qualcuno qui ha anche provato a incolpare me!»

    «Si sa che le donne possono distrarsi facilmente nelle situazioni caotiche, ma da voi mi sarei aspettato di più, Teresa! Perdonatemi, lady Diana, si è trattato di un inconveniente del tutto…»

    «A quanto pare anche gli uomini si lasciano distrarre quando devono affrontare una nuova sfida,» lo interruppe Diana. La sua voce era dura, sebbene nient’altro fosse mutato nel suo sorriso. «Martin, Alexander era una tua responsabilità, quindi ti pregherei di lasciare la mia cameriera fuori da questa storia.»

    «Ma io…»

    «E ora calmati. Abbiamo ancora molto tempo prima della partenza, e non dubito che la Lady Godiva ci aspetterà prima di levare l’ancora, visto quanto ha pagato mio fratello.»

    «Perdonate la mia impazienza, lady Diana. Sono sicuro che Alexander stia gironzolando per i moli e che si presenterà all’imbarco per tempo. Del resto è un giovane responsabile,» disse Martin, lisciandosi i capelli diradati. Diana sollevò un sopracciglio ma non intervenne. «Mi auguro che il mio atteggiamento, o quello di Teresa, non vi abbiano indotta a preoccuparvi eccessivamente. Lo stesso vale per la vostra nuova conoscenza qui presente.»

    L’improvviso cambio di argomento sembrò far abbassare la temperatura dell’aria. All’improvviso Martin non sembrò così affannato, il suo sguardo non più fisso su Diana. Stava analizzando Matthew.

    «Non mi preoccupo così facilmente, Martin, e lo sai benissimo. Posso presentarti il signor Matthew Bolton?»

    Lo spinse gentilmente avanti e il suo braccio gli scivolò dal gomito. Gli occhi di Martin scattarono verso il suo viso. Matthew percepì dubbio e sfiducia mentre l’uomo lo studiava attento. Le domande silenziose che gli si agitavano in testa erano chiare come il giorno.

    Matthew tenne la testa alta e la schiena ben dritta in un ricordo anche troppo vivido dei suoi giorni sul campo di battaglia. Si trattenne dallo scattare sull’attenti e portò le mani dietro di sé; nel far ciò mosse le code della sua giacca, rivelando la spada che gli pendeva dalla cintura.

    «Non ho ancora avuto il piacere, signor Beaumont,» disse.

    Martin annuì.

    «Oh, quindi voi siete il maestro di scherma, vero? Piacere di incontrarvi. Un veterano, mi dicono?»

    «Capitano Matthew Bolton. Trentaduesimo Reggimento.»

    «Congedato nel 1782 a causa di un incidente, se ricordo correttamente.» Lo sguardo si spostò verso l’occhio sinistro di Matt.

    «Una scheggia. Ero primo fuciliere del reggimento, ma in seguito sono stato… riassegnato.»

    «Ah, sì. Immagino che il vostro… ehm, impedimento sia stato dannoso per la vostra mira.»

    Matt strinse i denti, e la cicatrice che gli scorreva dal sopracciglio alla guancia pizzicò.

    «Purtroppo sì.»

    «Perdonatemi se risulterò indelicato, poiché non è certo mia intenzione, ma…»

    «Quando dice così, è perché ha intenzione di essere indelicato. E maleducato. E spesso un asino,» mormorò Teresa. Diana le posò una mano sulla spalla, ma l’espressione aggressiva che le scese sul volto non sembrava rivolta alla cameriera.

    Martin le guardò male entrambe.

    «… ma spero che lord Hope abbia accuratamente considerato le vostre capacità, e non solo la situazione in cui vi siete trovato e la familiarità con vostro padre, quando vi ha offerto il ruolo.»

    «Martin, Matthew è perfetto per la posizione. È un soldato, e dovresti portare rispetto per l’impegno che ha prestato verso la Corona!»

    «Signor Beaumont, lasciate che vi rassicuri: ho perso la vista dall’occhio sinistro, ma questo non ha danneggiato le mie doti di spadaccino.» Parole calme, sommesse nel ronzio del porto. Sotto la superficie, Matthew stava sudando e gli tremavano le mani. «Tuttavia capisco la vostra preoccupazione. Sarò lieto di darvi una dimostrazione, se lo ritenete opportuno.» Mosse il palmo lungo il fianco e avvolse le dita sull’impugnatura elaborata della spada. Il lato più meschino del suo animo ridacchiò segretamente quando Martin si ritrasse.

    «Il Cielo non voglia! Mi fido del giudizio del mio signore, e vi prego di non causare una scenata. Sono certo che farete un ottimo lavoro.» Martin prese un fazzoletto dal taschino del farsetto e si tamponò la fronte. «Avrei voluto che incontraste Alexander prima di imbarcarci, almeno avrebbe avuto qualcuno che badasse a lui mentre gironzolava per il porto…»

    «Già, c’è anche quella parte,» disse Teresa, guardando Diana. «Sono abbastanza sicura che Alexander sia in giro per taverne. Ho sentito che le sguattere dell’ostello parlavano di qualcuno che ricordava tanto il giovane lord Hope…»

    «Assurdo,» ribatté Martin. «Stiamo parlando di un elegante gentiluomo, non di chissà qualche popolano festaiolo che…»

    «Martin, smettila. Tu conosci Alex, io conosco Alex, tutti e pure le loro madri conoscono Alex, e spesso nel senso biblico del termine.» Diana aprì il parasole e batté il piede a terra. «Hai fatto il tuo dovere e hai difeso la reputazione degli Hope, quindi adesso possiamo finirla con questa pantomima.»

    Martin avvampò a un tenue color mattone, ma Diana lo ignorò. Prese sottobraccio Teresa e si voltò verso le fila di edifici del porto.

    «Ora, mia cara, è tempo che andiamo a cercare il mio adorato nipotino. Suppongo che non dovremo fare altro che chiedere a qualcuno dei gentili signori che lavorano qui intorno per…»

    «Assolutamente no!» Martin si parò di fronte alle due donne. «Da sole, in questa topaia? Cosa direbbe il vostro povero marito, lady Diana?»

    «Spero nulla, visto che è morto da tredici anni, e la sua voce querula non mi manca affatto.»

    «Non posso permetterlo!»

    «Allora dovrai andarci tu, Martin. Ho sentito che la fauna in questo genere di ambiente è particolarmente sensibile al nervosismo degli uomini benestanti che potrebbero facilmente cadere preda di malintenzionati.» Mentre il doppio mento di Martin diventava più rosso a ogni parola, Matthew iniziò a capire le intenzioni di Diana. «A meno che non vogliate mettere alla prova mister Bolton.»

    «Io… intendete… mandarlo a…»

    «Sarebbe un onore,» disse Matt, intromettendosi in quella scenetta. «Sono certo che Sir Alexander non si trovi nei guai, ma sarò felice di trovarlo e ricordargli l’orario della partenza.»

    «Ah, sì. Grazie, sarebbe la soluzione migliore.» Martin si asciugò di nuovo la fronte. Gli occhietti guizzarono da Diana a Matt, quindi alle navi alle loro spalle e di nuovo a Matt. «Vi prego, affrettatevi. Non posso tollerare di pensare cosa direbbe lord Hope se il suo ultimogenito gli ricomparisse sulla soglia con tanto anticipo rispetto alla tabella di marcia.»

    Senza attendere ulteriori istruzioni, Matthew si sistemò il tricorno in testa e si inchinò alle signore. Teresa ridacchiò, ma Diana era seria, o almeno lo era la sua voce, perché gli occhi scintillavano più che mai.

    «Buona fortuna, Bolton. Spero tu non sia il tipo che si formalizza facilmente.»

    Matthew soppresse un sorrisetto e si strizzò in mezzo alla folla. Formalizzarsi? Lui? Si era arruolato a diciotto anni, ed era stato tra i più giovani dei soldati spediti alle Colonie. Aveva visto di peggio rispetto a qualsiasi cosa Dover potesse riservargli.

    Questa volta ignorò le buone maniere e urtò svariate spalle mentre avanzava verso gli edifici. Nel far ciò si finse sordo alle varie imprecazioni e minacce, ma per lo più ricevette solo brontolii e occhiatacce. Non aveva tempo da perdere con simili sciocchezze, e sapeva che in zona c’erano almeno tre taverne; di queste, la più vicina era L’Amo e l’Aringa. Che incidentalmente era anche la più sporca e quella con la peggior reputazione. Nessun nobile discendente di un’antica famiglia avrebbe sprecato il proprio tempo in un simile postaccio. Di certo non il figlio di lord Hope.

    Eppure, mentre rallentava il passo nei pressi dell’Amo e l’Aringa

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