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Quando morirà il silenzio
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E-book571 pagine7 ore

Quando morirà il silenzio

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Info su questo ebook

Manuel, cresciuto in una famiglia numerosa del Sud, è un bambino vivace, dotato di un’intelligenza pronta e immediata. Allevato al rispetto dei valori della giustizia e dell’integrità morale, la sua natura sognatrice è dominata da un’irresponsabilità che a volte diventa aleatoria. Ma a causa della morte prematura del padre si trova improvvisamente rivestito di un ruolo a lui completamente estraneo. Investito di una responsabilità, che a tutti gli effetti non può avere data la sua giovine età, si rifugia nella vaghezza del sogno, nel tentativo di sfuggire alle afflizioni che inaspettate irrompono nella sua vita smorzandone gli ardori e l’innocenza. L’affluire costante e continuo dei ricordi d’infanzia genera in lui un silenzio interiore, un rifugio nel quale vagheggiare la speranza di un futuro gioioso. Il suo silenzio urla l’impellente desiderio d’amore, un desiderio imbrigliato nell’incomunicabilità, inappagato, vittima di quella ritrosìa e di quei tabù tipici del momento culturale dell’epoca e della rigida educazione religiosa. 
Quando morirà il silenzio di Michele Ingenito è un grido silente e disperato tra i meandri della psiche nel quale l’eterna lotta quotidiana tra il Bene e il Male emerge in tutta la sua potenza: soggiogato, infine, dal martellante desiderio dell’Avere, dal Male. 
Nel romanzo, tramite l’incessante movimento letterario, i pensieri del protagonista giungono a una tensione estrema e il lirismo dei toni drammatici conduce la narrazione al parossismo e ne disvela la raffinatezza e la ricercatezza del lessico.

Michele Ingenito allievo e assistente incaricato di Fernando Ferrara presso l’Università di Napoli “L’Orientale”, Lettore di Lingua italiana nell’Università di Sheffield (UK) e Professore e Direttore dell’Istituto di Lingue dell’Università degli Studi di Salerno. Ha collaborato con Mondadori e pubblicato libri e studi critici negli ambiti storico-letterario, della linguistica e della narrativa con prestigiose case editrici italiane quali Bulzoni, Carocci, ESI, Sperling&Kupfer. Ha ricevuto il “Premio Speciale della Giuria” per la sezione della saggistica e della critica letteraria e no-fiction nella XXIX edizione del Premio Internazionale Satira Politica “Fondazione Città di Forte dei Marmi”.
 
LinguaItaliano
Data di uscita30 nov 2022
ISBN9788830673137
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    Anteprima del libro

    Quando morirà il silenzio - Michele Ingenito

    Prefazione di Enza Ricciardi

    Il silenzio racconta la sua storia. Ma nel darle voce si dissolve. E a poco a poco muore.

    Quando morirà il silenzio edito dal Gruppo Editoriale Albatros (2022), è un ampio movimento narrativo che, tramite la potenza rigenerativa di un flusso liberante di ricordi, scardina l’ostinata immobilità di decenni imprigionati nell’incomunicabilità e nella rigida legge dell’apparenza. Alla luce della verità.

    Una voce – nata dalla forza misteriosa dell’amore e della resurrezione – attraversa coraggiosamente il silenzio impietrito del dolore. E lo fa parlare. Lo fa rivivere. Lo rinnova e lo trasforma.

    È un confronto a muso duro con il Bene e il Male, l’ultimo romanzo di Michele Ingenito. Bene e Male profondamente incisi nel destino di quattro generazioni familiari, in un indefinito e vago, ma non indistinto, paese del Sud. Al centro Manuel. Il suo mondo, le sue relazioni, le sue convinzioni, le sue ferite. La sua memoria. Non la memoria frantumata e frammentata dei romanzi psicanalitici del primo Novecento, identificata e compiaciuta nella sua malattia. Ma una memoria che si innalza e si ricompone in una dimensione più alta, libera e piena di respiro, faticosamente raggiunta, ma finalmente conquistata. Sono entrato nella sede del mio stesso animo, – confessa s. Agostino – posta nella mia memoria, poiché l’animo ricorda anche se stesso, ma tu non eri neppure là [...] poiché tu sei il Signore Dio dell’animo, e tutte queste cose mutano, tu invece resti immutabile sopra ogni cosa. Immutabile ma non immobile. L’Amore che attraversa la storia e tutte le storie è la Parola che suggerisce a Manuel i passi per entrare nel silenzio e, dando voce a ciò che è muto, farlo rinascere in un canto di resurrezione.

    Dai frenetici calci al pallone ai sorprendenti successi accademici il desiderio di una bellezza pura e libera si intreccia nell’esistenza del protagonista con una meno limpida aspirazione al riscatto da un destino di dolore e di ingiustizia. Riscatto e resurrezione sono forse i nomi che implicitamente lo sguardo lucido e leale della memoria attribuisce al Male e al Bene. L’uno destinato a isterilirsi nel possesso, l’altra a vivere per sempre nell’amore. Nell’intreccio sapiente la voce narrante, che fa parlare i silenzi del passato con la parola scavata a fatica nel presente, ha già in sé i bagliori della rinascita verso cui tutta la vicenda è costantemente in tensione: Nell’intimità il silenzio si impossessò di lui, da quel giorno e per sempre; fin quando, almeno, la vita non gli avesse concesso un diverso giorno e, chissà, nuove prospettive, nuovi entusiasmi, nuovi amori. Tensione dolorosa e feconda, parola che agisce e trasforma non senza ferire, ma lacerando la coriacea scorza del silenzio. Nella storia, la società, la comunità, la famiglia. Nella profonda e intima coscienza dell’Io. A tutti i livelli l’ansia ossessiva del riscatto immobilizza e imprigiona. E mette a tacere la vita. Ricostruire. Negli anni successivi al dopoguerra, quando la fame era ancora di moda nelle piccole realtà del Sud, ricostruire diventa spesso sinonimo di calpestare, soffocare nella disperazione chi alla vita era riuscito a cantare il suo inno di audacia e onesta intraprendenza. Il seme del Male sboccia nel silenzio. E la recente follia collettiva della storia genera frutti di un male individuale e maligno, ordito nel silenzio oscuro del crimine. Che lascia Manuel senza fiato. E senza voce. Con le mani e gli occhi sporchi della cenere dell’azienda paterna dissolta nel fuoco della malvagità. Si avvia così un lungo, lunghissimo ciclo di dolore e di privazioni, che solo il volto altro e diverso dell’umano – generoso, buono e cristiano – avrebbe protetto, curato, difeso. E, nella ricostruzione, sanato. Nel tempo, attraverso il tempo, ben oltre il tempo. Dove ricostruire significa risorgere. Nel tempo. Nella realtà socio-culturale della contestazione giovanile, dove il silenzio, mascherato dagli strepiti di una superficiale aspirazione alla giustizia sociale e alla liberazione dei valori, agisce indisturbato seminando nuove contraddizioni e disuguaglianze. Che la memoria del vecchio Manuel – con la sua voce liberante – svela impietosa: Era uno dei pensieri che lo faceva soffrire di più. Soprattutto il ricordo di certi esami collettivi nell’accademia della rivoluzione culturale, che consacrarono, osannandole, la stupidità e l’ignoranza. Attraverso il tempo. Ripercorso dalla memoria che perdona. E come una ventata di vita restituisce esistenza e colore anche agli errori. Perché tutto copre. Tutto scusa. Tutto sopporta. Restituendo alla storia decenni di amore imprigionato dal dolore, dal buio muto e impietrito del male. Amore dovuto, ma non donato, con i suoi frutti sterili di rancore.

    Così, nel sereno distendersi del monologo interiore, circostanze e personaggi vengono spinti nella luce dei ricordi, in una visione intima e soggettiva della realtà che li illumina e li innalza a valori universali. Neppure la narrazione si sdegna del male o si adira, solo a tratti sussulta e freme nei periodi spezzati del dolore, ma poi torna a dilatarsi nelle vaste perifrasi della comprensione e della riconciliazione.

    Decenni di amore ferito e risanato. La nonnina dolce e silenziosa dagli occhi verdi, che, d’improvviso, non aveva più amato il mare, perché dal mare pretendeva la restituzione del figlio mai più tornato dalla guerra; la madre, nella compulsa austerità del suo carattere mossa da un amore profondo ma irrigidito dal vuoto di un’assenza crudele e dal ruolo, rigorosamente assunto, di vedova fedele, totalmente sacrificata a soddisfare le infinite esigenze dei figli; la grande nave dei fratelli e delle sorelle, piccoli naufraghi salvati dalle acque burrascose dell’abbandono e della povertà, ma risucchiati dai gorghi torbidi del possesso, dell’apparenza, del rancore e dell’ingratitudine; Manuel, il fratello maggiore, costretto dalla coercitiva forza del buon esempio ad inerpicarsi giorno dopo giorno sulla scala della vita, dalla cui cima continuava a scrutare verso il basso volgendo lo sguardo verso i piccoli inermi. Dall’alto verso il basso, per sollevarli, ma senza incontrarli mai.

    Se non oltre il tempo. In una dimensione altra del racconto e della vita. Dove si incontrano tre resurrezioni. Dove non ci sono più scale da salire né navi da riportare a galla. Solo la morte, la vita. E il perdono. La morte splendente di purezza della zia Maria Maddalena. La vita ardente di coraggio del capitano-pilota divenuto soldato di Dio. E tra questi due testimoni della resurrezione, Manuel. Con i frammenti della sua esistenza tra le mani e il cuore pronto a sciogliere il silenzio in un’assoluzione generale che ridona la vita e risana decenni di amore ferito.

    Se vuoi proprio saperlo, Manuel, il silenzio, il silenzio morirà... quando Tu Risorgerai!.

    Da un’articolo dell’Autrice

    per L’Osservatore Romano

    "Tutti i grandi sono stati piccoli,

    ma pochi di essi se ne ricordano".

    (Antoine de Saint-Exupéry)

    "In questo silenzio che si sta creando dentro di me, mi è venuta la voglia, non di capire ... ma di intuire cosa possa essere l’eternità!".

    (Andrea Camilleri, Fanpage, 2018)

    Sinossi articolata dell’opera

    quando morirà il silenzio

    di Michele Ingenito

    Manuel è tormentato dal suo passato, tra ricordi felici e dolorosi, che risalgono alla prima infanzia nell’immediato dopoguerra e via via lungo l’intero arco della vita. Cresciuto in un piccolo paese del Sud, in una famiglia numerosa con altri sei fratelli, è diventato adulto precocemente a seguito della morte prematura del padre: sopportando, per questo, come l’intera famiglia, molte privazioni a causa delle improvvise difficoltà soprattutto economiche rispetto alla diversa e privilegiata condizione precedente. E tutto ciò nonostante gli sforzi sovrumani della madre e della zia in particolare, donne infaticabili e di assoluto rigore morale, votate all’estremo sacrificio nella loro missione di fede e di amore per la tutela, la formazione e la crescita della giovanissima ed orfana prole. 

    Educata alla maniera antica, infatti, la piccola progenie si avvia lentamente, ma costruttivamente, verso la rinascita individuale e familiare; tra tantissime rinunce, incluse le pur innocue libertà giovanili e di costume eccessivamente represse nell’ambito della popolare contestazione socio-culturale esplosa in quasi tutti i Paesi del mondo negli anni a cavallo del 1968.

    Nello sforzo immane di quella rinascita per una formazione sana ed illibata, si stagliano superbamente figure stoiche. Oltre a quelle della madre ("Nessuna donna è un miracolo, tranne la madre!) e della zia (Una vita spesa in nome dell’amore..., della fede..., della carità), infatti, dello zio (Vieni, piccolo!" – gli disse con tono armonioso lo zio Paolo..., prendendo in consegna i destini di ciascuno di loro) e della nonna (Abbracciando, allora, il nipotino non meno adorato, vide reincarnarsi in lui... il figlio perduto in quel mare impietoso e crudele che, ancora una volta, l’aveva ingannata e tradita"), lungo il corso di una nuova vita caratterizzata via via nel tempo da tre fasi: l’età dell’essere, l’età del divenire, l’età dell’avere. Tutte rigorosamente rivissute dal Manuel ormai adulto, attraverso i ricordi: i ricordi della memoria, analizzati alla luce dell’eterno conflitto tra Bene e Male. Nella speranza, alla distanza fugata, di una catarsi piegatasi, purtroppo, dolorosamente, alla fine di quel grande viaggio lungo i binari inflessibili dei valori, ai piedi dell’Avere e, perciò, del Male. 

    Per le vicende imprevedibili della vita, da cui molti componenti si lasciano ingenuamente soggiogare, il richiamo finanche ossessivo del giovane ai valori della famiglia e dell’unione all’insegna dell’educazione ricevuta non sortiscono, infatti, gli effetti desiderati. E ciò nonostante il buon esempio da lui costantemente fornito in qualità di primogenito di fatto, nei sofferti anni di una crescita responsabile e della conseguente maturazione del proprio e degli altrui caratteri e personalità. Per crollare, alla fine, e miseramente, ai piedi dell’interesse per la materia da parte di chi, lungo la scala della vita, si inerpicherà via via insieme agli altri, senza mai volgere il capo solidale verso il basso, ma, diversamente da lui, sempre verso l’alto: metafora eloquente di un percorso egoistico e individuale diverso dal proprio. Permeando, così, la sua vita da adulto nell’insuperabile scacco esistenziale di chi si trova nella condizione di volere urlare e di non avere più voce. Un viaggio profondissimo nell’io, dunque, attraverso la consegna del silenzio (che è "silenzio dell’animo"), di cui la coscienza e i suoi flussi diventano testimoni nel loro ruolo di suggeritori muti e permanenti di quell’intimo e solitario cammino interiore del protagonista. 

    Non resta che una quarta ed ultima fase di quell’infinito, sofferto viaggio esistenziale: l’età del signore Per un’invocazione finale alla memoria di figure benedette, icone di un amore superiore, che va ben oltre le vicende in sé della storia narrata. Perché, agli occhi del lettore, quelle figure possano identificarsi in tutte quelle di cui hanno bisogno il racconto, il romanzo di genere e, quindi, di formazione, la letteratura più in generale e, cioè, l’umanità, attraverso una superiore visione e rappresentazione artistica del mondo e dei suoi affanni. Laddove, infatti, il lettore riuscirà ad identificarsi in quei personaggi intimamente vissuti come modello dell’esistente, la missione del narratore potrà dirsi compiuta e lui stesso defilarsi nel silenzio discreto che l’accompagna. 

    Nel caso specifico, il monologo interiore la fa da protagonista, nel ricordo dei grandi autori e interpreti soprattutto europei della letteratura di fine Ottocento e primo Novecento, in particolare di quelli del romanzo psicologico e, ancor più, psicoanalitico. Per quanto, ancorché fortissime le analogie con quei generi letterari, la storia di Manuel assuma contorni volutamente diversi sul piano strutturale, nel momento in cui la sua vita così come rivissuta non si dissocia del tutto dalla realtà del proprio tempo.

    Per tale motivo, la diversa struttura narrativa, ancorché breve e per inserti (e, a tale uopo caratterizzati in tondo), viene ad interfacciarsi soprattutto nel finale, con il corpo principale della narrazione (tutta prevalentemente in corsivo), attraverso un percorso parallelo che associa il passato al presente, i ricordi della memoria alla realtà del quotidiano; per una scelta mirata a rallentare strategicamente la tensione di una storia in costante, graduale pressione emotiva di Manuel dall’inizio alla fine.

    L’aspetto fortemente allusivo di quei ricordi, alimentati da una metafora suadente e progressiva nell’analisi interiore di un viaggio della vita percorso e ripercorso attraverso il silenzio, diventa, quindi, grazie anche all’uso intenso delle perifrasi, una libertà precisa dell’autore, che opta a favore del consolidamento dei grandi valori esistenziali rappresentati, più che ricostruzione analitica in sé degli avvenimenti storicamente richiamati, ancorché frutti di pura fantasia. Per un viaggio della memoria ininterrotto e silenzioso, intimo e profondo perché eterno: che, se per Manuel si trasformerà in una resa alla vita, alla propria vita, non di certo lo sarà dinanzi ai suoi valori, ai valori del Bene, ai valori supremi dell’Amore:

    (Manuel): ...quanti sono i silenzi?....

    (Il giovin soldato di Dio): "Tanti! Ma uno solo è eterno.

    Quello che (ci) vive dentro e che, per questo, non morirà mai!".

    Il romanzo presenta una scansione molto ben definita. Dieci parti suddivise tematicamente (gioia, incoscienza, passione e morte, disperazione, speranza, sacrificio, rinascita, amore, punizione e cielo, peccato e resurrezione), di cui le prime nove suddivise in dieci brevi capitoli, e l’ultima in sei capitoli altrettanto brevi.

    A Laura e all’eroismo silente delle donne

    "Il silenzio è una vittoria su se stessi,

    una conquista sul mondo!".

    (Anonimo)

    PREMESSA

    In narrazione il problema non è tanto descrivere le emozioni, i sentimenti, le passioni, i dolori, le gioie o le tragedie dell’animo umano; ma entrare in loro, viverli e riviverli ripercorrendo il tempo che fu, nella calma e nella meditazione. Per poi riversare su di loro l’inchiostro indelebile della memoria attraverso la scrittura.

    Solo così nascerà il romanzo, o libro della vita che dir si voglia.

    L’età dell’essere

    "La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda

    e come la si ricorda per raccontarla".

     (Gabriel García Márquez)

    parte prima

    gioia

    "I bambini sono come i marinai:

    dovunque si posano i loro occhi, è l’immenso".

    (Christian Bobin)

    Capitolo 1

    L’infinito

    "Nella vita di ogni uomo esiste solo una donna assieme alla quale raggiungere l’unione perfetta e, nella vita di ogni donna, esiste un solo uomo assieme al quale essere completa. Quanti incontri saranno così, uno su diecimila, uno su un milione, su dieci milioni? Uno su dieci milioni, sì. Tutti gli altri sono aggiustamenti, simpatie epidermiche, transitorie, affinità fisiche o di carattere, convenzioni sociali".

    (Susanna Tamaro)

    In piedi, alla sinistra dell’altare, Manuel, il testimone prediletto dello sposo, appariva elegantissimo nel suo doppiopetto grigio-scuro. L’aveva ordinato da tempo a un noto sarto cittadino. Gli sguardi ammirati degli invitati confermarono la bontà della scelta, a dispetto della consistente spesa sostenuta. Del resto, era il fratello che si sposava. Un po’ il preferito per lui. Già, forse. Il paragone non gli piacque in realtà. Frutto dell’istinto più che della ragione. Ma non aveva tutti i torti. Lo credeva almeno. Nel mentre, distratto dall’attesa, pensava e ripensava ad altro. A quei momenti felici ormai lontani, che spesso lo riportavano soprattutto all’infanzia. E, quindi, alla gioia, alla sua intensità, a quella di un mondo spensierato racchiuso, purtroppo, in soli pochi anni, gli anni esclusivi della sua prima ed unica irripetibile verde età.

    Era una fredda, ma bella giornata di fine febbraio. Un’emozione profonda vibrava in lui, compiaciuto per il nuovo traguardo familiare conseguito da quel fratello molto amato. Non senza un velo di tristezza nel cuore, che lo ricondusse proprio in quel momento a quei tempi gioiosi e ormai lontani. Gli anni della sua fanciullezza.

    "Era un bambino bellissimo. Molto di più per quel peperoncino che gli bruciava dentro. Sua vittima preferita il pallone. Innamorato com’era di chi divorava i suoi tempi assoluti, imprigionandolo tra i propri spazi finiti, per lui infiniti. Consumando da mane a sera vere e proprie battaglie di felicità e di amore. Per quel benessere superiore che si chiamava libertà...!".

    Così cominciò a leggere nel suo passato, distraendosi, suo malgrado, rispetto alla cerimonia religiosa, in piedi e compassato, com’era, dinanzi all’altare

    Si guardò più volte intorno per sicurezza. Fortunatamente, nell’atmosfera raccolta e solenne della funzione che stava per cominciare, nessuno sembrò accorgersi di quel suo momento di intima estraneità e di personale e diversa concentrazione.

    "...Dai, corri!" – urlava nell’animo alla sfera. E giù un calcione da quelle gambette che volevano essere forti prima che storte, consapevoli di potere ingaggiare la loro sfida più ambita con l’oggetto tondeggiante e impavido. Mentre lei, la palla, correva, correva veloce, strepitando per un dolore che non poteva rivelare e che pure ne accelerava la corsa.

    "Mi fai male, monello!" – avrebbe voluto strillare la sfera, fuggendo e sperando, al tempo stesso, di nascondersi da quei mostri crudeli che istintivamente diventavano i suoi piedini implacabili e spietati...

    D’improvviso, il suono melodioso dell’organo lo riportò alla realtà del rito nuziale ormai imminente. La sposa si accingeva ad attraversare la grande volta che dominava l’ingresso della chiesa, illuminata dalla luce del giorno. 

    Tondina, ben contenuta e protetta dai lacci segreti e complici dell’abito nuziale assai stretti intorno alla vita, procedeva radiosa, accompagnandosi prudente, ma con passo risoluto, al braccio protettivo del padre dal sorriso affabile e visibilmente commosso. 

    Bello come il sole, intanto, lo sposo tenero e gentile sorrideva a tutti, compìto ai piedi dell’altare in attesa della sposa, tentando di incrociare a distanza lo sguardo di lei, lasciando in pari tempo di stucco e per l’ultima volta le giovani invitate inutilmente gelose, disincantate e, ormai, rassegnate.

    La sua scelta finale aveva ceduto, infatti, alla dolcezza di un sorriso che appariva inerme e inoffensivo, se non tenero, che, per tutto il tempo del corteggiamento, aveva prevalso dietro un volto simpatico e paffuto di ciliegia saporita e nera, con due occhi lievemente strabici, eppur egemoni e sagaci. Lo sposo si era, così, arreso facilmente alle malìe dell’amore, desideroso com’era di dolcezza e di felicità. 

    Lui, Manuel, l’avrebbe capito a distanza, lontano dal tempo migliore, nel triste e finale resoconto della vita. Quando gli anni si riappropriano della verità, che è esperienza; diventandone, così, padroni, e traducendone per questo la saggezza, che spesso è solo ed esclusivamente delusione e rimpianto.

    Ne avrebbe sofferto nel tempo, mentre Adolfo, invece, al momento, aveva troppa voglia di assaporare il frutto fino allora proibito e ora non più, per quel rispetto legittimo e rigoroso delle convenzioni religiose, sociali, morali e di costume di un’epoca e di un paese tanto gretti quanto incolti, nonostante le apparenze. Per le consuetudini di quel sociale ipocrita e bigotto del conformismo borghese e di facciata soprattutto locale, spesso non credibile nella forma, eppur veritiero nella sostanza. Chiuso com’era sempre stato nella mente, per altre regole ancora più legittime e inevase quali quelle prepotenti dell’amore. 

    Ma era giunta, ormai, l’ora più attesa. L’ora suprema che autorizzava l’antico amore: il suo, il loro amore. Gli sguardi, sia pure a distanza, rimasero incrociati e teneri, nella assoluta pudicizia della solennità del momento. 

    La sposa, intanto, avanzava ancor più decisa, con passo fermo e sostenuto, nell’emozione vibrante alimentata dagli ospiti plaudenti, consapevole di una fertilità accesa che avrebbe presto donato, alla morte prima, purtroppo, splendide creature mute e silenziose, e, alla vita, poi, vivaci e teneri rampolli poco distanti tra loro.

    La cerimonia fu molto solenne, in tutte le sue fasi, e Manuel impeccabile nel proprio ruolo, specie durante lo scambio degli anelli. Così come in tutta la parte rimanente del rito. Un applauso scrosciante e caloroso sancì finalmente la conclusione dell’intera cerimonia. 

    All’esterno della chiesa un paesaggio luminoso ed infinito nella sua naturale bellezza attendeva paziente e generoso la giovane coppia. Appena fuori, gli sposi felici e profondamente commossi furono accolti da applausi fragorosi, tra mille confetti bianchi e fiori profumati lanciati su nel cielo. 

    Raccolta nel sorriso smagliante e di rito, abbagliata dalla luce di un giorno che fiondava su di lei i frutti di una corte lunga e paziente partita da lontano per poi sbocciare nel suo sogno più desiderato, la sposa, in particolare, dominava l’emozione tra gli abbracci infiniti di tutti gli invitati. 

    Manuel, dal canto suo, aveva onorato il sacro rito con la propria testimonianza di fede e di diritto a favore di Adolfo. Una incombenza in più per una felicità fraterna pienamente condivisa. Nessuna ossessione, nessuna riserva per il futuro dello sposo, che vedeva ormai tracciato il proprio cammino roseo e prosperoso. 

    Il germano aveva scelto bene, infatti, sciogliendo dopo lungo tentennare la riserva tra l’angelo e la rosa. A favore del fiore terreno, dunque, che, più di tutti, offriva particolari certezze alla propria unione. 

    Lei aveva sospeso, in verità, gli studi severi da tempo intrapresi. Ci avrebbe riprovato più volte, anche dopo il compimento felice di quella unica e irripetibile missione d’amore. Ma, intanto, sarebbe spettato a lui provvedere alle cose più concrete della vita in virtù degli impegni assunti dinanzi alla legge degli uomini e a quella del suo Dio.

    Nei tempi illimitati delle foto-ricordo che anticiparono i festeggiamenti finali, Manuel ne approfittò per concentrarsi di nuovo tra i propri pensieri. Felice di evocare con gioia quel mondo ormai lontano e mai perduto, così nitido e presente, attraverso il viaggio a ritroso nel tempo tra gli spazi infiniti della memoria. Quelli che avevano reso felici la sua infanzia, molto meno la sua giovinezza. 

    Tornò, per questo, con la mente, ai ricordi del passato, alle loro emozioni, appoggiandosi al muro esterno della chiesa, oltre il quale si estendeva una meravigliosa visione tra cielo e mare.

    Macinava chilometri al giorno, avanti e indietro. Che fosse nel soggiorno-pranzo, peraltro angusto, o, preferibilmente, appena fuori dalle pareti domestiche; lì, sul terreno non asfaltato riservato al traffico disordinato di auto e carretti, oppure, sul marciapiede dinanzi al negozio del padre, qualche chilometro distante. Lì, tra quegli spazi a lui riservati, come pensava, sempre pronto a rincorrere la sfera più pazza di lui. Tanti ne prendeva di calci, infatti, che sembrava avesse un’anima. Per impietosirlo, se non altro, dopo l’ennesima pedata che ne stracciava le vesti contro il solito, privilegiato, malcapitato muro sotto casa o del marciapiede.

    «Manuel, veniamo con te all’albergo?» – gli urlò d’improvviso Miriam, la piccola di famiglia, pur avendo da tempo superato la soglia della maturità, irruenta e generosa al tempo stesso, come affluente che mai si stanca di sversare le proprie acque nel fiume principale dallo stesso alimentato e, proprio per questo, soprannominata Maringa

    «Sì, certo!» – replicò lui, rinunciando di malavoglia all’incanto dei ricordi.

    «Dai, dai, fratellone, sei sempre lì a pensare!» – lo stuzzicò lei, più gioiosa del solito. – «Sono proprio felice per Adolfo, sai? Hai visto come era commosso! E quanto era bello? Anzi, quanto è bello?».

    «Già, hai ragione! Meglio così, per lui e per lei» – replicò Manuel, alquanto infastidito per l’interruzione inattesa dell’attimo. – «Erano felici. Felici e commossi, e si è visto durante tutto il rito!» – commentò alla buona, pur di dire qualcosa.

    «Sì, certo!» – replicò meno convinta la sorella. – «Soprattutto lei! ...E ci credo!!» – aggiunse, ricalcando le parole finali con una battuta non certo zuccherosa. 

    Manuel captò al volo le ragioni dell’amaro commento raccolto in quel sottile velo di gelosia fraterna, per un risentimento covato da tempo e mai svelato. La prese, perciò, sotto braccio e se la portò via, accogliendo l’invito a proseguire insieme fino all’albergo.

    Il ricevimento quasi sfarzoso, offerto come per tradizione dalla famiglia della sposa, inorgoglì un po’ tutti. A cominciare dagli stretti congiunti dello sposo. Le prime gioie affiorarono legittime sui volti di coloro, madre e zia materna su tutti, che avevano curato e protetto nel tempo una sfilza di rampolli come lui.

    Ora sarebbe toccato ai doveri della vita, al giovane Adolfo, quindi, che li abbracciava da solo, in relazione al nucleo familiare che si accingeva a creare. Con le risorse proprie, con l’entusiasmo della giovinezza, con la fiducia nell’avvenire. Fatto salvo per il blasone, che, almeno in quel caso, avrebbe garantito la sposa.

    Manuel, intanto, si lasciò sedurre dall’incanto dei giardini verso i quali si proiettava il grande salone del ricevimento. Si prese, perciò, la sua porzione di torta nuziale e si avviò all’esterno, per goderne insieme al sole ed alla luce. I ricordi riaffiorarono fluidi e nitidi e non c’era solo sofferenza in quel suo viaggio della memoria, che sempre più spesso faceva e rifaceva, alla continua ricerca dei particolari da rivivere con gioia e nostalgia immutate. 

    Il rimpianto era fine a se stesso, mentre la gioia dell’attimo, che quel matrimonio sanciva, l’esito buono di una giovinezza infelice e vuota. Per lui come per tutti gli altri sei lì presenti e vivi. Un altro fratello, l’ottavo, era morto anni prima, prematuramente, per una banale malattia non compresa e mal curata. Tragedia precoce come mai dovrebbero esserlo le vere tragedie.

    Non poté non trattenersi ancora sui suoi ricordi, tuttavia. L’allegria che si rincorreva tavolo dopo tavolo, le chiacchiere e i pettegolezzi di circostanza non lo attraevano affatto. Ne sentiva il tedio, ne respirava la vacuità, ne assaporava infastidito l’odore per un rito che sapeva di cerimoniale ricorrente e fatuo. Molto meglio per lui, quindi, il ritorno al passato. 

    "Le percezioni dell’animo non hanno tempo! – si diceva, nelle tante notti trascorse ad occhi chiusi nel silenzio dell’animo e della mente. – Perché durano all’infinito, raccolte, come sono, nel letargo della memoria. Quando ne assapori la virtù ispiratrice, quella dell’attimo, o degli attimi dell’esistente, e, per essi, dell’esistenza, ti si imprimeranno a vita nel cuore e nella mente; e, perciò, in quella stessa memoria. Memoria che, nel bene o nel male, si rafforza e si consolida nel corso degli anni, ancor più se vittima delle oppressioni della vita, di quelle insopprimibili vicissitudini del quotidiano, che si moltiplicano nel tempo a venire. E che, proprio per questo – continuava a ripetersi – non scompaiono, né giammai scompariranno. Affiorando, di tanto in tanto, tra ricordi sia pure scomposti, ma rielaborati dal bisogno di una tutela egoistica che salvaguardi il proprio esclusivo, personale benessere: quello di una memoria forzatamente buona. Per una festa della menzogna interdetta all’abito diverso ed incontaminato della verità".

    Riaprì improvvisamente gli occhi. ...Quei ricordi! Come erano vivi e solenni, ora, quei ricordi, man mano che il tempo passava! Come diventava inattaccabile e struggente la bellezza di momenti che avevano reso straordinarie la virtù e la generosità di un bambino dal fare e dall’agire così egoistico. In apparenza, almeno, perché egoismo della felicità infantile, che, di per sé, rifiuta il calcolo, mirando esclusivamente e per istinto al proprio infinito benessere interiore e al relativo appagamento. 

    Tornò, quindi, a loro, senza affanno; come il salmone che, fedele alla natura, risale la corrente per deporre le uova, incurante dei pericoli di una fine annunciata. In pochi attimi anche per Manuel il passato divenne il suo presente e i ricordi si ridestarono ancora una volta in tutta la loro solennità. 

    "Senza amore, – si disse – la lacerazione interiore dell’uomo succube di se stesso, delle proprie sofferenze e dei propri dolori, che non giustificano comunque l’alterazione della verità attraverso comportamenti dannosi per la propria autostima e per il benessere altrui, lastricherà il sentiero della vita di buche profonde e irreparabili. Aprendo la via all’odio proprio e altrui, fino alla fine dei giorni: dei propri giorni, di quelli di tutti gli altri".

    In quel caso, tuttavia, i ricordi erano buoni e genuini, legati soprattutto al tempo spensierato della vita e della prima giovinezza. E quelli dell’antico amico generavano costantemente in lui benessere e gioia, anche a distanza di anni, soprattutto di un tempo così lontano, eppure così straordinariamente intenso e vicino. Perché animati e ravvivati dalla cornice dell’amore, di quell’amore ingenuo e partecipe che, nonostante gli egoismi dell’istinto e non della ragione, lo avevano legato profondamente a Filippo. Per la generosità di quel suo compagno, per il suo altruismo, per la sua incapacità di negarsi all’amico prepotente; ma, come lui, vivace e leale, e non meno solidale.

    Ancora una volta fu la piccola sbarazzina di casa a riportarlo alla realtà.

    «Ma che fai? Pensi sempre? Qui tutti si divertono e tu ti nascondi e pensi?» – gli disse, scuotendolo vigorosamente per un braccio. – «Ma a cosa, a chi?» – insistette la monella di famiglia. – «Al fratellino perduto?» – soggiunse con quel pizzico d’ironia, che era quasi sarcasmo. – «Dai, torna dentro dove tutti ti aspettano!». 

    Una bugia forzata travestita da lusinga colse impreparato il legittimo germano. Che si lasciò prendere mansueto per mano, facendosi trascinare fin dentro il salone del ricevimento, sempre più animato dalle mille voci confuse e allegre degli ospiti. 

    La cerimonia nuziale si arricchì dei convenevoli di rito fino alla fine. Una giornata meravigliosa, di cui Donna Maria Luisa sarebbe andata fiera per tutta la vita. Sacrifici immensi, rinunce e privazioni assumevano ora le sembianze dei sorrisi distribuiti candidamente ai tanti invitati che l’abbracciavano e la baciavano. 

    Suo figlio aveva fatto un bel colpo, non tanto per il buon partito in sé; ma perché in esso si identificavano gli stessi valori da sempre condivisi per reciproca frequentazione familiare, in ragione dell’etica e della religione comuni. Anche se, una certa soggezione, sia pure ammantata dalle forme, la faceva da padrona in nome del complesso di inferiorità sociale che, di fatto, sembrava soltanto economica. 

    Appoggiata al braccio del figlio maggiore, di cui andava assai fiera, la madre dirottava su di lui i complimenti degli ospiti, ribadendo in ogni occasione ciò che per lei era un’ovvia verità. 

    Crescendo, Manuel ne aveva ereditato i problemi, le conseguenze di un dramma più grande di lei e di tutti loro, le successive responsabilità decisionali dinanzi alle emergenze di un quotidiano moltiplicatesi per anni, ordinarie o straordinarie che fossero. Se li era assunti un po’ tutti, pur di sollevare la madre dall’eccesso inevitabile di pesi e sovrappesi impostile un dì, d’improvviso, dalla vita. 

    Il matrimonio del giorno, il quarto, ormai, preceduto da tanti altri succedutisi con inattesa rapidità, completava quasi del tutto un quadro familiare e domestico recuperato alla speranza, alla luminosità e alla gioia, dopo il grigiore di lunghi decenni di rigore e di onesta rettitudine, mai violati dalle tentazioni di una società ringalluzzita dai trionfi del benessere della nuova modernità.

    Manuel, intanto, si ritrasse dal braccio materno, fuggendo come sempre da quelle parole osannanti virtù mirabili e familiari, cioè filiali. Reazione dell’orgoglio, la sua, nella incapacità di interpretare quello diverso e positivo di chi, a propria volta, ne vantava il diritto e la legittimità. 

    Benché inattesi, i sani conflitti generazionali vivevano di quei momenti intensi. Ma non per questo allentavano il rapporto d’amore con chi li sentiva e così li esprimeva:

    «Mamma, vado un po’ dagli sposi prima che si preparino per la partenza!».

    «Forse partiranno domani. Ma vai, figlio mio!» – aggiunse lei dolcemente. – «Fai bene, stai un po’ con loro!».

    Una bella pacca sulla spalla di Adolfo sancì la gioia di Manuel per il fratello. Non meno caloroso fu il leggero pizzicotto sulla guancia paffuta della neo cognata. Per un sorriso a metà strada tra la gioia e la stanchezza.  Quando, qualche ora dopo, Manuel si infilò sotto le lenzuola, non poté non condividere l’emozione generale della famiglia, l’ennesima di un cammino ormai in discesa. Ripercorrendo a modo proprio le tappe di un viaggio della memoria spesso ripreso ed interrotto, ma sempre lì presente nel cuore e nella mente. 

    Tornò all’inizio, ai tempi della gioia e dell’incoscienza, della sana allegria del corpo e dell’anima, agli anni della irresponsabilità tinta di felicità di cui non doveva rendere conto a nessuno, tranne che alla volontà di godere a senso unico e, perciò, indiscussa. La notte era lunga, il tempo per tornare altrettanto. Cioè il tempo di Filippo e delle loro scampagnate racchiuse in un fazzoletto di terra arida e polverosa, rianimata solo dal pallone. 

    Abbracciò il cuscino distendendosi a pancia in giù. Nel panno morbido l’antico amico, l’antico succube delle sue volontà, delle sue irruenze, delle sue prepotenze. L’età si riappropriò del medesimo colore di quel tempo ormai lontano, di nuovo verde, verde, sempre più verde. Manuel accarezzò la felicità di quei ricordi, chiudendo gli occhi e riaprendoli lontano. Là dove il suo lungo viaggio della memoria era da tempo iniziato. 

    Per un attimo, solo per un attimo, tornò al presente. Il suo pensiero augurale volò ad Adolfo. Che, di certo, conciliava in quello stesso momento, forse, la meritata pausa tra i petali di rosa ormai legittimi, distaccandone alcuni, preservandone altri. Ne godette d’istinto, felice del nuovo e promettente capitolo di vita aperto da quel germano preferito. 

    Poi riprese la via dei ricordi, dei ricordi del passato, degli anni in cui si adagiava su Filippo. Per stimolarne la innata disponibilità a non dirgli mai di no in nome di quella odiosa prerogativa umana dell’egoismo a tutti i costi mirato al dominio della scena; di un egoismo che, assaporandola prima, approfitta, poi, della bontà dell’altro. Fino ad abusarne oltre i limiti del lecito. Da piccoli così come, ancor più, da grandi. 

    Certo, sembrava difficile conciliare amor di sé e bontà, si diceva. Il bambino ch’era in lui appariva di per sé generoso. Eppure, in quel rapporto d’amicizia, lasciava prevalere l’utile, il profitto, le due dimensioni irritanti cui l’uomo si abbandona nell’inevitabile rapporto di forza che, volta per volta, lo contrappone al proprio simile. Quello di speculare ripetutamente sulla diversa, altrui generosità.

    L’in/consapevole tendenza, insomma, di imporre il proprio ego sull’altro, accondiscendente ed incapace di opporre resistenza. Per molti aspetti, forse, una apparente forma di amore all’incontrario, che non vedeva violenza nelle speculazioni a danno altrui. Anzi, quasi una maniera tutta particolare per farlo divertire grazie a corse faticose ed impensate. Un intreccio vorticoso di sensazioni interiori contrastanti tra di loro, da cui la verde età razionalmente non si dissocia, nell’esuberanza legittima delle proprie passioni e del loro diritto a prevalere tra i piccoli uomini di ieri e di sempre.

    Il sonno faceva fatica ad imporsi. O, forse, il desiderio di rievocare vinceva ancora una volta la sua sfida con il passato. Manuel voleva viaggiare, doveva viaggiare. La memoria aveva aperto i suoi confini, dilatato gli spazi dei ricordi. Non gli restava che rivivere quanto prima, e con gioia, il tempo andato.

    L’indomani, mancava poco all’alba ormai, si svegliò più intontito del solito. Ancora una volta fece breccia in lui la felicità del giorno prima, condivisa, del resto, con tutto ciò che restava del nucleo familiare: la madre, la zia, nessun altro. Anche Maringa, infatti, se n’era andata per riprendere il suo lavoro lontano. Non senza rimpianti, ora che si sentiva ancora più sola. 

    Fu solo un flash, interrotto dal suono del campanello. Erano gli sposi, in procinto di iniziare la loro luna di miele. Prima di partire, passarono da casa per salutare la madre e la zia. Era quasi mezzogiorno, i fornelli già fumavano. L’invito a pranzo un atto dovuto. Non accolto per comprensibili ragioni. Di lì a poco si sarebbero imbarcati sul battello per la vicina isola dalla grotta incantata. Un paio di notti, poi il volo per una meta a tutti ignota e lontana.

    Era d’uso non rivelare quale. Nessuno, quindi, osò chiederlo. Un aperitivo ben freddo riscaldò l’ambiente, mentre il sole in picchiata perforava, attraverso i vetri, i volti distesi e felici di sposi e congiunti. Su quello di Adolfo l’ampio sorriso ne traduceva la bontà, su quello della sposa la missione compiuta. 

    Il tempo scivolò via presto, nel ricordo del giorno prima, della cerimonia nuziale, del ricevimento che aveva allietato il grande giorno. Poi i saluti finali, gli ultimi abbracci, le lacrime di felicità delle due donne e madri. Manuel li accompagnò in strada, fino all’auto parcheggiata non lontano.

    Sguardi invidiosi di popolani in apparenza distratti furono ricambiati da sorrisi vistosi che volevano essere scherno. Per quella lotta quotidiana tra bene e male attraverso le loro molteplici, diverse identità. 

    Lui aveva cominciato a capirlo a pochi anni soltanto di distanza dalla disgrazia paterna. Rilanciando, però, a sua volta, la sfida, man mano che prendeva sempre di più in mano le redini della pesante imbarcazione lasciatagli in eredità da un diverso destino. 

    Avevano percorso un lungo tratto insieme i due fratelli. Tanti anni sospesi tra un’infanzia strappata alla gioia e la formazione severa basata essenzialmente sui valori della fede, della famiglia, della tradizione, dell’amore fraterno, del sacrificio e del dovere.

    Ora, anche per Adolfo, come per altri prima di lui, era giunto il momento della migliore forma di separazione. Uno dei primi e fondamentali traguardi della vita. Creare una famiglia, discostandosi dalla propria senza traumi e senza rimpianti.

    Capitolo 2

    Filippo, i ricordi

    "Le domande veramente serie sono solo quelle che possono essere formulate da un bambino. Sono domande per le quali non esiste risposta".

    (Milan Kundera)

    Trascorsero gli anni. Adolfo tirava avanti dritto nel suo lavoro. Ma a fatica, nonostante il sostegno a più livelli di Manuel. Quanto alla sposa, aveva ripreso i suoi studi di scienza. Ma il tentativo ancora una volta fallì. Ne prese atto rassegnata, ora che l’alibi antico e fragile non aveva più motivo di esistere, nel ruolo di certo più responsabile che le aveva attribuito il destino. 

    Per Manuel, intanto, solo il passato faceva scemare i rimorsi, le fatiche, le rabbie per un mondo difforme al quale non era abituato, al quale faceva sempre più fatica ad abituarsi. Il suo unico rifugio continuava ad essere quel passato in cui rinchiudersi per tempi infiniti. Felice di riviverne la purezza, la gioia, l’amore incontaminato per tutto ciò che per lui aveva significato spensieratezza, allegria, libertà, solidarietà, soprattutto umana e familiare. 

    La memoria lo riportò per l’ennesima volta indietro nel tempo, per una nuova sosta dinanzi all’uscio di una casa povera e dignitosa insieme. 

    Era un giorno di sole timido e discreto. La primavera alternava la sua presenza tra freschezza e calura, indecisa sul da farsi. Giugno sarebbe stato presto alle porte, per fortuna, e non avrebbe esitato a smorzare gli affanni di chi preferiva anteporgli i ricordi dell’inverno. 

    Manuel sorrise a quel pensiero, lasciandosi andare, come il solito, a quelli antichi. 

    Filippo era il suo amico prediletto. Di bassa statura, aveva un corpo vagamente tozzo e i capelli a spazzola, rigidi come fili di setola. Due grandi occhi neri, buoni e generosi, esprimeva nell’animo il meglio dei figli di quella terra; di cuore, fino in fondo al proprio essere. Docile e mansueto soprattutto, finanche arrendevole dinanzi all’irruenza spumeggiante di un amico come Manuel, di cui sposava intimamente l’alter ego. Identificandosi in lui e accettando, per questo, le sue piccole, infantili prepotenze, frutto, più che altro, dell’istinto, e dell’impeto.  Raccogliere il pallone, ad esempio, quando, per dovuta disobbedienza rispetto alle reali intenzioni di una pressione rivelatasi eccessiva e involontaria subita dall’amico focoso, la sfera varcava rassegnata i limiti del campo, fino ad adagiarsi stancamente ai piedi della parete dei muri delle case adiacenti.

    «Ma come cavolo tiri? Vuoi essere più preciso? Non vedi dove va la palla?» – gli urlò un giorno il poveretto più spazientito del solito, in quel dialetto tipico, stretto e, a tratti, incomprensibile della sua regione. Che, nondimeno, non rinunciava mai a rincorrerla quella maledetta sfera, quasi fosse per lui l’atto conseguente di un gioco delle parti, di cui nessuno, però, aveva titolo a rivendicare ruolo e primato.

    «Dai, Filippo, corri tu che sei più veloce di me!» – lo pungolava a sua volta Manuel, stimolandone per questo l’orgoglio di un primato, quello della velocità, che lui fingeva di non possedere.

    Era una sensazione di benessere, che ripagava quel ragazzino di periferia di tutti i complessi d’inferiorità sociale nutriti nei confronti dell’amico guascone. Azzerando, per questo, le ragioni del rimprovero, a fronte di tanto riconoscimento e umiltà.

    "E certo che sono più veloce! – pensava – Quindi, devo valere di più, più di lui. ...Di lui che mi è socialmente superiore! Il che vuol dire che valgo anch’io qualcosa! Anzi, più di qualcosa se me lo dice lui, lui stesso! Almeno in questo, allora, gli sono superiore!".

    Più che sufficiente perché Filippo andasse su e giù con maggiore entusiasmo, svolgendo con amore il ruolo di raccattapalle. Superando nell’intimo il complesso dello sfruttamento subìto dall’amico. Che, dal canto suo, traeva

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