L'ultimo Pasolini: tra forma e realtà
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fossero rivelate non conformi al suo rigore etico, o non in linea con la
sua moralità, sempre pronto a ricominciare da capo per seguire nuovi
sentieri e percorrere strade differenti, mai scandaloso mai inquietante,
ma sempre pronto ad inquietare e scandalizzare, l’ultimo Pasolini è un
uomo triste, incupito, che osserva la vita con occhi smarriti, disilluso,
quasi impotente davanti alla catastrofe impellente, ma indomito.
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Anteprima del libro
L'ultimo Pasolini - Rosella Lisoni
INTRODUZIONE
In questo saggio vengono analizzate le ragioni che hanno indotto Pasolini ad abiurare dalla Trilogia della vita per approdare all’universo orrendo di Salò , primo lavoro filmico di quella Trilogia della morte
che il poeta avrebbe voluto rappresentare.
Il lavoro contiene l’analisi dei suoi Scritti Corsari, opera di fondamentale importanza nel panorama narrativo pasoliniano, che copre un arco temporale compreso tra il 1973 e il 1975 e accenna alla creazione del libro Petrolio, opera monumentale, un moderno Satyricon, pubblicato postumo.
Sempre pronto a mettersi in gioco, a rinnegare le sue tesi se esse si fossero rivelate non conformi al suo rigore etico, o non in linea con la sua moralità, sempre pronto a ricominciare da capo per seguire nuovi sentieri e percorrere strade differenti, mai scandaloso mai inquietante, ma sempre pronto ad inquietare e scandalizzare, l’ultimo Pasolini è un uomo triste, incupito, che osserva la vita con occhi smarriti, disilluso, quasi impotente davanti alla catastrofe impellente, ma indomito.
La sua esperienza personale gli aveva riservato grandi tristezze, l’adorato Ninetto Davoli aveva compiuto scelte personali che lo avevano condotto lontano da lui, l’amata madre era avanti negli anni e un senso profondo di solitudine invadeva Pasolini.
Anche in questa ultima fase della sua vita, il connubio tra biografia e produzione artistica è molto forte, il dolore provocato dalle sue ferite personali, dagli abbandoni subiti si riflette nella sua opera e si salda ad essa.
Salò rappresenta, con il senno di poi, il suo testamento morale, sebbene opera di un regista nel pieno del suo percorso creativo, grido disperato di un uomo che ha smarrito la speranza nella vita e nel valore salvifico della poesia, che vede all’orizzonte soltanto morte e degrado.
Salò sancisce la fine dell’utopia del sesso come forza trascinante, come fu ne La Trilogia della vita, per dar spazio all’idea del sesso legato al male, ad un l’eros che coincide con la brutalità e l’orrore del potere.
Senza spingersi verso allusioni profetiche che denotano in Salò la cronaca di una morte annunciata
, si cerca di scorgere nel film il non detto, ciò che le immagini trasmettono nella loro crudeltà, il vuoto, il silenzio che è lì a sancire tutte le verità che preferiscono non essere espresse, ma mostrate.
Il bianco come somma di tutti i colori, la fotografia senza tagli di luce, con una prevalenza di colori acidi, verdi, che contribuiscono a creare scenografie dai toni gelidi che rendono visivamente il nulla che trascina il mondo e l’intera umanità verso la morte, verso l’Inferno.
I corpi giovanili non più espressione di gioia, di vitalità, di forza, ma privati di ogni slancio vitale, incatenatati, legati al guinzaglio come cani, impotenti e asserviti alle crudeli leggi del potere.
L’ultimo lavoro cinematografico: Salò rappresenta una discesa all’Inferno, nel luogo più infido della terra, dove non esiste salvezza per nessuno, ma soltanto dolore e disperazione.
Di fondamentale importanza è risultato l’esame dell’opera di De Sade Les cent – vingt journées de Sodome, fonte letteraria alla quale Pasolini si è ispirato per la realizzazione del suo film.
CAPITOLO PRIMO. DALL’ABIURA DALLA TRILOGIA DELLA VITA ALL’UNIVERSO ORRENDO DI SALÒ.
"Piango un mondo morto. /Ma non
sono morto io che lo piango. / Se
vogliamo andare avanti, bisogna che
piangiamo/il tempo che non può
tornare, che diciamo di no/ a questa
realtà che ci ha chiusi nella sua
prigione/… Così non si può più
andare avanti. /Bisogna tornare
indietro e ricominciare tutto daccapo."
(La nuova gioventù)
Alla razionalità dell’universo borghese il Fiore delle mille e una notte sovrappone, rimuovendola, lo spazio–tempo dell’ eros, il recupero e il mito del corpo però nella distanza e con il timbro del sogno.
Il film, infatti, è un insieme di sogni che si dissolvono l’uno nell’altro; sogno e gioco si palesano come i soli strumenti di lettura e di orientamento labili e insidiosi. "Di qui quel senso di appagamento, di tranquilla contemplazione delle innumerevoli e cangianti manifestazioni dell’ eros […] domina una necessità che si incarna e modella provvisoriamente nei singoli, ma persiste e si rinnova, sempre uguale a se stessa, ben oltre la parzialità di questi […] un’aspirazione ad un impossibile stato di non responsabilità nella felicità e nel dolore, ma vanificata dalla stessa leggerezza di peso, dalla non revocabile intermittenza dei sogni" [1] .
Descrizione quindi, di un terzo mondo
di sogni, alla luce del quale anche la conclusione (‘Come potrei dimenticare quella notte? Il suo inizio fu amaro, ma come dolce