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Creaturae
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E-book219 pagine2 ore

Creaturae

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Info su questo ebook

Una società distopica, un futuro non troppo lontano ma parecchio diverso da quello a cui siamo abituati dalla fantascienza. È qui che vive Ettore, un vecchio che si guadagna da vivere cantando storie. La sua vita tranquilla, non certo agiata, è scandita dal trascorrere di giorni sempre tutti uguali. 
Il menestrello non può certo immaginare che tutto sta per cambiare drasticamente, e grazie a un bambino…


Vito Mario Viceconti è nato a Sala Consilina, in provincia di Salerno, nel 1953.
Dell’infanzia a Sala Consilina ricorda con piacere il panorama mozzafiato del grande Vallo di Diano, che ammirava estasiato dalla finestra di casa
, le colline, gli ulivi centenari, la luce abbacinante per la latitudine, le lunghe corse in discesa che amava fare sul declivio dei monti che si elevano alle spalle del suo paese. Ha conservato dentro di sé le radici profonde e robuste della millenaria cultura meridionale di cui si sente orgoglioso.
Poco più che ventenne si è trasferito per lavoro al Nord, dove ha insegnato tecnologia per 42 anni in provincia di Verona.
Contemporaneamente ha sempre coltivato varie passioni: la pittura, la musica e la tecnologia. Ha dipinto per anni e fatto mostre, ha lavorato anche nel settore informatico.
L’attrazione per la scrittura ce l’ha da sempre, ma per molti anni ha scritto solo per sé. In concomitanza con la pensione, disponendo di maggior libertà e più tempo, ha dato spazio a questa sua inclinazione profonda. Da allora ha scritto varie cose: racconti brevi, un romanzo di fantascienza, due storie d’investigazione, un saggio, una commedia e infine Creaturae. La svolta, se così si può chiamare, è avvenuta nel 2019, quando un suo caro amico lo ha fortemente incoraggiato a pubblicare i suoi scritti.
La sua creatività ha fluttuato nel corso degli anni in diverse direzioni, ma lui stesso ritiene che la scrittura sia la sua forma espressiva più congeniale e più autentica, “la propria figlia illegittima, la più amata”, come l’ha definita in una delle sue opere.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2022
ISBN9788830672390
Creaturae

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    Anteprima del libro

    Creaturae - Vito Mario Viceconti

    Nuove Voci - Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Dedica

    Dedico questo libro a tutte le Creature dell’Universo, ma, con speciale affetto, a quelle persone che vorranno affrontare la fatica, spero ripagata, di leggerlo.

    Ringraziamenti

    Ringrazio mia moglie Paola, per l’amore e la pazienza costanti nei miei confronti e per i suoi consigli, mio figlio Nicolò, per la gioia che porta nella nostra famiglia, e il mio amico Nicola, uomo di cultura, acume e sensibilità grandi, senza il cui sostegno questo romanzo non avrebbe mai visto la luce.

    Presentazione

    La prima domanda che mi sono posto, dopo aver letto ‘Creaturae’ di Vito Mario Viceconti, è stata se mi è possibile inserire questo sorprendente racconto in un genere letterario che mi fosse noto. È evidente che non si tratta di un comune racconto e nemmeno di un romanzo, si tratta piuttosto di una visione, ne ha l’intensità emozionale, la ricchezza simbolica e un continuo passaggio dal mondo personale, dalla vita vissuta al mondo assoluto.

    Vi rintraccio modelli profetici, motivi apocalittici, nel senso dell’esatta etimologia di Apocalisse, cioè rivelazione, motivi religiosi nelle puntuali citazioni dei Vangeli, del Cantico delle Creature di Francesco, elementi di canzoniere come nella Vita Nova di Dante in cui si alternano narrazione e liriche o canzoni e una miriade di racconti intrecciati che ricordano le Mille e Una notte, con il loro labirinto di aneddoti e motivi. Ci troviamo in sostanza di fronte a una potente eruzione dell’inconscio, che scavalca le stesse intenzioni di chi scrive.

    Il riferimento alla ‘guerra stolida’ credo che non sia solo un riferimento alle due guerre mondiali e agli attuali disastri ambientali e alla minaccia della guerra atomica, mi sembra piuttosto riferirsi a un profondo periodo di conflitto interiore, che in qualche modo si è concluso e, non senza contrasti, conflitti e dubbi, sta dando il via a un nuovo mondo, a una nuova, vita, a una nuova epoca. Naturalmente si tratta di qualcosa di assolutamente personale, ma siccome l’individuo riassume l’intera umanità, potremmo anche dire che c’è qualcosa che riflette un cambiamento storico generale, qualcosa in fondo che riguarda ognuno di noi. In questo senso lo scritto è davvero profetico, anche senza averne l’espressa intenzione.

    I vari nomi del protagonista ci danno delle informazioni molto utili e precise sulla genesi dell’opera. Ettore rappresenta l’uomo vecchio, l’eroe buono e positivo, ma destinato a soccombere, un’idea decisamente pessimista. Naturalmente non è il nome dell’autore, ma del protagonista, ma è perfetto nell’esprimere la storia passata dello scrittore e i suoi ideali originari. Fa venire in mente il Leopardi che scrive ‘qua l’armi, procomberò sol io’.

    Andiamo molto meglio con Lupus. Il lupo è uno straordinario animale, dalle molteplici sfaccettature, capace di vivere da solo e in branco, un animale fiero. Non è un caso che rappresenti il ‘totem’ degli antichi romani. L’autore qui è riuscito ad abbandonarsi alla sua identità naturale, ha recuperato i geni della sua terra. Questa nuova identità naturalmente lo porta a un confronto con tutti i problemi del nostro immediato passato, del presente e del futuro. Senza questa potente identificazione e riconoscimento del valore dell’istinto naturale, l’autore non potrebbe affrontare l’inferno delle varie situazioni, impensabili, grottesche, misteriose, inquietanti.

    La narrazione offre drammaticamente l’immagine di tutti i conflitti dell’uomo moderno tra la tradizione e le minacce di una scienza che rischia di prendergli la mano. Attraverso fitte vicende e conflitti egli comunque riesce ad arrivare alla fine della sua rielaborazione interiore che costituisce la risposta, salvare l’Anima, la ‘Rosa’.

    Anche qui un eco volontario o più probabilmente involontario di antichi motivi ermetici e alchimistici, la ‘Rosacroce’, cioè la liberazione dell’Anima attraverso il cruciale percorso interiore.

    Laetitia è ancora un riferimento a Francesco, come il titolo stesso ‘creaturae’. Laetitia è un’antica parola latina, che letteralmente significa ‘il benessere portato da abbondanti raccolti’. In Francesco, nei suoi scritti, nei Fioretti è un termine particolare, usato singolarmente da lui, allude alla gioia, alla felicità, ma con una connotazione di calma, di sobrietà, di silenzio.

     Detto questo non è strano che il personaggio che ne porta il nome, la piccola Laetitia, abbia questo significato salvifico. La Rosa è la pienezza della vita, i suoi frutti, i suoi fiori, ma solo Laetitia può operare questa restituzione, perché Letizia è qualcosa di più della gioia, è la fiducia che nasce da una consapevolezza profonda, che scavalca lo scandalo del disordine e del male. Il discorso sulla perfetta Letizia nel capitolo 8 dei Fioretti ne è la più intensa espressione.

    Nicola Settembrino

    Lupus

    "Laudato sie, mi’ Signore,

    cum tucte le tue creature,

    spetialmente messor lo frate sole,

    lo qual è iorno, et allumini noi per lui.

    Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione."

    (dal Canticum Creaturarum di San Francesco D’Assisi)

    La Guerra Stolida era finita da poco tempo.

    Tutte le guerre sono stupide, ma quest’ultima forse lo era stata più di ogni altra, perché era scoppiata all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, senza che nessuno l’avesse prevista o se l’aspettasse e perché i potenti della Terra avevano spergiurato fino al giorno prima che mai sarebbe accaduta.

    Probabilmente lo pensavano davvero, perché una guerra a quei tempi non poteva che essere enormemente distruttiva, capace di mietere milioni di vittime, e si riteneva, evidentemente a torto, che nessuno si sarebbe assunto la vergognosa responsabilità di scatenarla.

    Da tutto ciò nacque la definizione quanto mai azzeccata di ‘Stolida’, affibbiatale come un marchio di infamia che tenesse perennemente vivo il ricordo del suo prevalente carattere di stupidità.

    Ettore fu svegliato dal solito vociare del solito corteo di uno sparuto gruppo di Dissidenti.

    Si alzò controvoglia, brontolando, e si recò sul bordo della strada, fermandosi dietro un masso, per stabilire un confine tra sé e gli urlanti.

    Nascondersi dietro i massi gli dava un senso di precaria sicurezza, perché questi erano sicuramente adatti a proteggerlo dai proiettili e dalle frecce dei Cecchini ma non certo dalle cattive intenzioni di un Attaccabrighe di passaggio.

    Si toccò la tasca dei pantaloni per assicurarsi che il coltello aperto e pronto all’uso fosse al suo posto. Portava sempre in tasca con sé un coltello.

    Sapeva che non lo rendeva invulnerabile ma gli dava la sensazione che con il suo aiuto avrebbe potuto vendere cara la sua vecchia pellaccia.

    Conosceva bene i Dissidenti. Erano i più sbandati tra gli Sbandati.

    Qualche volta si era soffermato ad ascoltare le loro strampalate ragioni, esposte tra urla e schizzi di saliva nauseabonda, e la cosa che lo aveva colpito di più era che sostenevano tesi contrapposte ma marciavano uniti nello stesso corteo di non più di quindici o venti persone.

    Terrappiattisti e Terracurvisti, Negazionisti e Credenti, che però avevano un cemento che li univa indissolubilmente: il complottismo, la convinzione granitica che da qualche parte, nel mondo, un gruppo di Cospirazionisti potenti tramasse contro di loro e passasse tutto il proprio tempo a ordire tranelli e trappole per eliminarli.

    Un gruppetto formato da tre giovani in divisa grigio-scura, che portavano dei labari con indecifrabili figure ed avevano le gambe infilate in lunghi stivali neri, si unì con passo svelto al corteo.

    Dal gruppetto si staccò un giovane biondo, bello e muscoloso, che si avvicinò ad un altro giovane che era nel gruppo, anch’egli bello e biondo, e lo spinse con forza facendolo cadere per terra.

    Ettore pensò che i due si conoscessero e che la poderosa spinta fosse stata fatta per scherzo dal primo.

    Il caduto si alzò ma appena fu in piedi il biondo in divisa gli sferrò un pugno che lo fece di nuovo cadere per terra.

    Il ragazzo colpito, col volto sanguinante, si alzò barcollando ma un nuovo pugno lo centrò al volto, scaraventandolo nuovamente tra i detriti della strada polverosa.

    No, non erano amici. Le cose si mettevano male.

    Ettore si allontanò dalla scena e tornò nella sua stanza al primo piano del palazzo diroccato, non si sa se dal bombardamento dell’ultima guerra o dal terremoto che seguì a distanza di pochi mesi.

    Si infilò nel sacco a pelo untuoso e sporco per proteggersi dal freddo, che trasformava in denso vapore l’aria umida che gli usciva dal naso, e si godette la vista che la parete sventrata di fronte gli offriva sul grande fiume, il quale, avvolto nella nebbia mattutina, scorreva sonnacchioso tra le ampie anse che esso stesso aveva disegnato e scavato nel tempo.

    Gli tornarono in mente, per un attimo, i suoi genitori. Soprattutto suo padre, che riponeva grandi speranze, presto deluse, in un suo splendente futuro.

    Suo padre era un idealista incallito. Vaneggiava di una società perfetta e giusta e imprecava contro quelli che ne impedivano la realizzazione, mai chiedendosi se il suo sogno ad occhi aperti avesse un qualche straccio di possibilità di realizzarsi e, a riprova che il tiranno che proiettava all’esterno albergava invece comodamente dentro di lui, gli aveva imposto il nome di Ettore, che Ettore detestava.

    Il motivo di quella scelta era, ovviamente, che Ettore era il prototipo dell’eroe classico: valoroso e pieno di coraggio, sempre in prima fila a difendere il suo popolo, forte e invincibile, almeno fino a che non trova un Achille incazzato che lo fa fuori.

    Questo non era tempo di eroi e portare il nome di un eroe gli dava fastidio. Inoltre, non faceva che alimentare il rancore che covava verso suo padre, oramai morto e sepolto da decenni.

    Chiuse gli occhi e gli apparve, puntuale, la visione che gli faceva compagnia da un po’ di tempo, all’inizio inquietante, poi sempre più familiare, anche se incomprensibile.

    Un uomo nudo fumava una sigaretta sul greto di un fiume di lava, che scorreva veloce e scoppiettante, poi, gettava il mozzicone, si tuffava nella lava e cominciava a nuotare tranquillamente, senza che quella lo scalfisse, come se avesse una pellicola invisibile, ma impenetrabile e resistente, che lo proteggeva dal calore.

    Dopo alcune bracciate usciva dal fiume e si allontanava disinvolto. Il fatto che l’uomo non fosse bagnato e non dovesse asciugarsi faceva morire dal ridere Ettore, infatti scoppiò a ridere fragorosamente.

    Quella visione gli procurava una sensazione di gradevole tepore nel

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