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Gioco Senza Regole
Gioco Senza Regole
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E-book218 pagine2 ore

Gioco Senza Regole

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Info su questo ebook

Esistono due versioni di ogni storia. Questa è la mia...

Ho baciato più ragazze al liceo di quante mi preoccupi di ricordare. Eppure, l’unica che abbia mai davvero desiderato è innamorata del mio migliore amico. Vedere come lei fosse ossessionata da Tony è stata una tortura per anni.

Ma quest’estate lui si è fatto prendere da un’altra e mi ha chiesto di distrarre Lisa dal suo dolore. Eccome, se ci sto!

Prima la attiro subdolamente nella mia squadra, poi a una delle mie feste. Dice di me che sono un insopportabile playboy. Be’, non mi conosce ancora. Un po’ di allenamento di calcio corpo a corpo potrebbe farle cambiare opinione. Il bacio alla tequila però forse non è stata proprio un’idea brillante... Oppure sì?

La serie completa: SWEET KISSES
1. Gioca con me
2. Gioco senza regole
3. Una catastrofe al sapore di ciliegia
4. Una doppia tentazione
5. La dolce arte di sedurre Sue

LinguaItaliano
Data di uscita21 feb 2023
ISBN9798215955338
Gioco Senza Regole
Autore

Anna Katmore

“I’m writing stories because I can’t breathe without.”At six years old, Anna Katmore told everyone she wanted to be an author after she discovered her mother's typewriter on a rainy afternoon. She could just see herself typing away on that magical thing for the rest of her life.In 2012, she finished her first young adult romance “Play With Me” and decided to take the leap into self-publishing. When the book hit #1 on Amazon’s bestseller lists within the first week after publication, Anna knew it was the best decision she could have made.Today, she lives in an enchanted world of her own, where she combines storytelling with teaching, and she never tires of bringing a little bit of magic into the lives of her beloved readers, too.Anna’s favorite quote and something she lives by:If your dreams don't scare you, they aren't big enough.

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    Anteprima del libro

    Gioco Senza Regole - Anna Katmore

    La mia strage di ragazze al liceo l’avevo fatta, non era certo un segreto. Ma non ero mai stato innamorato, almeno di nessuna di quelle con cui ero stato.

    Ma con lei. Con lei era diverso. Scese dall’auto di Tony. Spostò i lunghi capelli castani sulla spalla e sistemò la maglietta rosa aderente che metteva bene in mostra tutto il repertorio. Il sole l’accecava, quindi strinse gli occhi in due fessure e gli angoli delle sue dolci labbra si sollevarono in un bellissimo sorriso. E, come ogni volta che il mio sguardo si posava su di lei, Lisa Matthews, sentii che qualcosa nel mio petto tornava al proprio posto.

    Non mi guardò. Non lo faceva mai. Perché avrebbe dovuto, poi? Aveva solo una cosa in testa, ed era il mio compagno di calcio: Tony Mitchell. Da quando conoscevo Tony, non lo avevo mai visto da solo. Lui e Lisa erano quelli che alcuni a scuola chiamavano gli m&m’s. Odiavo quel nomignolo. Odiavo quando si alzava sulle punte per gettargli le braccia al collo. Odiavo come…

    Cavolo! Ma stava per baciarlo? Il mio stomaco si strinse al punto che sentii il desiderio di strapparmelo via. Ma, cavolo, ero un uomo. Non potevo farmi vedere così nervoso. O così pensavo, mentre tenevo il mio sguardo fisso su di loro, incapace di distoglierlo.

    Non si erano mai baciati. Lisa era innamorata di Tony, e avrei scommesso la collezione di Need for Speed che anche lui, in segreto, la ricambiava. Ma non si erano mai baciati. E meno male, perché se lo avessero fatto sarei andato lì e avrei ridotto la faccia del mio compagno talmente male che nemmeno la sua famiglia lo avrebbe riconosciuto.

    «Dai, bello, rilassati. È solo un bacetto sulla guancia.»

    Mi voltai verso Justin, che si era avvicinato dandomi una pacca sulla spalla. Io invece avevo sospirato come facevo ogni volta che Lisa si avvicinava troppo a Tony.

    «Sì, meglio che sia solo quello. Non vorrei dover ammazzare un amico, oggi.» Sorrisi a Justin e ci salutammo con la stretta di mano che ci scambiavamo dai tempi delle elementari, quando eravamo i bambini più cool della Grover Beach High.

    Justin Andrews non era un membro dei Bay Sharks, la squadra di calcio della scuola di cui io ero il capitano. Non gli era mai importato del calcio, ma era davvero un fenomeno con la bmx. Quello che sapeva fare era incredibile, ma solo per le persone che avevano un forte desiderio di morire. Saltare dai ponti con la bici o stare in equilibrio sui paletti delle staccionate gli procurava la sua buona dose di ossa rotte e occhi neri ogni fine settimana. Quel giorno era lì per vedere suo fratello, che aveva solo un anno meno di noi e giocava nella mia squadra.

    Justin fece un cenno con il mento alla mia sinistra. «Andrai a salutarla?»

    «Perché dovrei farlo? Non ci siamo mai nemmeno detti ciao

    «Amico, se in dieci anni non sono riusciti a mettersi insieme, probabilmente non lo faranno mai. È ora che si accorga che c’è un altro pesce nel mare.» Si grattò il mento. «Se non lo fai tu, allora ci provo io. Dopotutto, tu e quel Mitchell sarete via ad allenarvi per cinque settimane.»

    Gli misi un braccio intorno al collo, stringendo un po’ più del dovuto. Al punto che se fossi stato meno delicato, sarebbe diventato blu in meno di un minuto. «Tu provaci. Ma sappi che poi nemmeno l’fbi troverebbe il tuo corpo.»

    Mi colpì alle costole, così lo lasciai andare. Ridevamo così forte che alcuni ragazzi e i loro genitori si girarono verso di noi. Ma ce ne fregammo e continuammo a scherzare, fino a quando sentii una voce familiare chiamarmi.

    Era mia sorella che si avvicinava per stringermi in un abbraccio da cui era impossibile scappare. «Devo andare, Phil sta aspettando. Stai attento, fratellino.»

    «Certo.» Quando mi baciò sulla guancia, la allontanai con un gesto. Andava bene in casa o dovunque non mi conoscessero, ma davanti ai miei compagni di squadra era ridicolo. «Dai vai, Rach. E sta’ attenta a mamma e papà mentre non ci sono.»

    «Sono sicura che siano grandi abbastanza per badare a se stessi. Ma passerò per cena qualche volta se si sentono soli o se gli manca il loro bambinone.» Sorrise scompigliandomi i capelli e tornò al parcheggio vicino alla stazione.

    Alcuni dei ragazzi erano già saliti sul treno e salutavano dai finestrini. Mentre prendevo il borsone e mi avvicinavo all’allenatore, per puro caso, l’occhio mi ricadde sull’ultima cosa che avrei voluto vedere quella mattina: Mitchell e Lisa appiccicati l’uno all’altra, il corpo di Lisa perfettamente aderente a quello di Tony. Lui si abbassò quel tanto che bastava per arrivarle all’orecchio e le disse qualcosa che la fece arrossire.

    «E dai, sei patetico.» Justin mi diede una lieve spinta, e mi accorsi solo in quel momento che avevo smesso di camminare.

    Con i denti stretti e lo sguardo fisso sul pavimento davanti a me, passai davanti a Mitchell e alla ragazza che sognavo da quando ero in prima liceo.

    «Ehi, Hunter.»

    Sapevo di non dovermi fermare. L’avrei visto dopo poco sul treno. Ma la mia parte più debole si voltò proprio nel momento in cui Tony lasciava andare la mia ragazza. «Ciao, Mitchell» dissi. Non riuscii a controllarmi e il mio sguardo si posò immediatamente su Lisa, studiando ogni centimetro della pelle abbronzata che usciva dagli shorts scandalosamente corti. Le sorrisi. «E la groupie di Mitchell.»

    Non disse buongiorno o come va, e nemmeno va’ via e non parlarmi mai più, anche se quest’ultima frase sembrava scritta nei suoi occhi verdi, che, ogni volta che si posavano su di me, assumevano una tonalità cupa. Sapevo che non era la mia più grande fan. Non perché mi odiasse, ma principalmente perché le rubavo del tempo prezioso con Tony. Mitchell se l’era fatto scappare un giorno che lei si era infuriata con me per aver raddoppiato la durata dell’allenamento.

    «Ci vediamo, Mitchell» dissi mentre mi allontanavo.

    «Tienimi un posto vicino a te» rispose Tony.

    Gli feci cenno affermativo senza nemmeno girarmi. «Contaci.» Se non ero in giro a fare casino con Justin, uscivo sempre con i ragazzi della squadra. Eravamo davvero uniti. Tipo più di una famiglia. Eppure, nessuno di loro sapeva della mia ossessione per la ragazza che aveva occhi solo per il mio miglior giocatore. Già, la vita spesso ti regala solo merda e l’unica cosa che puoi fare è accettarlo, magari con un bel sorriso.

    Salii gli ultimi due gradini della carrozza e mi girai a salutare Justin con il pugno. «Goditi il sole di Santa Monica» disse. «Pare che lì le ragazze siano fighe!»

    «Te lo farò sapere.» Chissà. Magari sarei riuscito a togliermi Lisa dalla testa giusto il tempo per potermi rilassare con un’altra ragazza. Cosa che non facevo ormai da mesi. Più questa pazzia andava avanti, più la mia reputazione era in pericolo. E purtroppo, avevo il presentimento che stava per peggiorare.

    Justin mi puntò il dito contro. «E bada a Nick. Se torna anche solo con un graffio, ti riterrò responsabile.»

    «Ok, va bene.» Entrambi sapevamo che il piccoletto… beh, diciamo che era incline agli infortuni. Non importava cosa sarebbe successo durante le cinque settimane di campo estivo, sarebbe sicuramente tornato con qualcosa di rotto. C’era solo da chiedersi cosa. Alcuni della squadra avevano anche organizzato un giro di scommesse. Io avevo puntato venti dollari su un qualsiasi dito della mano sinistra. Senza che Justin lo sapesse, ovviamente.

    Trovai Frederickson e Alex Winter in uno scompartimento da quattro posti proprio al centro del treno. Aspettammo Tony, dopodiché chiudemmo le porte scorrevoli e ci sistemammo per le tre ore di viaggio. C’erano patatine, qualche bibita e noi ragazzi. Decisi che quelle cinque settimane sarebbero state incredibili per tutti noi. Poi, però, buttai un occhio fuori dal finestrino e vidi Lisa ancora lì, ferma sul binario, con le braccia conserte e la faccia triste.

    Se fosse stata lì per me e non per Mitchell mi sarei sentito molto meglio.

    *

    I primi tre giorni di campo furono un inferno. Ci allenavamo duramente ogni giorno, e quando avevamo finito, avevamo le gambe a pezzi. La sera non ci restava altro che mangiare qualcosa e morire sui cuscini. Ma ci abituammo in fretta e, al quarto giorno, Mitchell, Winter, Frederickson e io decidemmo di lasciar perdere per un po’ le regole e di uscire a divertirci.

    A Santa Monica c’erano un bel po’ di posti dove gli studenti andavano per divertirsi. Non si vendeva alcol al The Teen Spirit, ma c’era sicuramente della buona musica e qualche bella distrazione. Non ci volle molto perché alcune ragazze si avvicinassero al nostro tavolo, come falene attratte dalla luce. Due di loro indossavano qualcosa di nero che si faticava a chiamare vestito. Le altre tre erano infilate in dei jeans attillatissimi e avevano dei top che lasciavano scoperto tutto l’addome.

    «Ciao ragazzi» disse una di loro, facendomi gli occhi dolci. Erano di un affascinante blu scuro. Poteva avere a malapena diciassette anni, un anno meno di me, forse era una matricola. «I bei ragazzi che vengono qui li conosciamo tutti. Siete dei turisti?»

    Ok, era coraggiosa. E non solo per il fatto che fosse venuta lì con dei tacchi che erano più lunghi del mio dito medio e che le davano evidenti problemi di deambulazione. Chissà se avrebbe detto la stessa cosa se fosse stata sola, senza il suo branco da leonessa a coprirle le spalle.

    «Giochiamo a calcio appena fuori città» le dissi. «Dovrete abituarvi a vederci qui, nelle prossime settimane.»

    Mi fece un sorriso di benvenuto e si spostò i capelli dietro all’orecchio, rivelando dei cerchi da piratessa al posto degli orecchini. «Vi dispiace se ci sediamo?»

    «Certo che no.» Presi una sedia dal tavolo vuoto dietro di me e la misi sul mio lato, così che lei potesse sedersi accanto a me. Non so perché. Forse perché nello sguardo di Frederickson si leggeva la speranza che ci stessero, o forse perché era una vecchia abitudine. Ma qualunque fosse il motivo, me ne pentii all’istante, non appena anche le altre ragazze si sedettero, e quella sottospecie di pirata mi si mise così vicina che le nostre gambe si toccavano sotto il tavolo.

    Da bravi gentiluomini, pagammo un giro di drink e conversammo un po’. Ma a parte Frederickson, nessuno di noi sembrava impressionato. La ragazza accanto a me, che si era presentata come Sandy, ordinò dell’acqua e si avvicinò un po’ troppo per ringraziarmi. Guardandola in faccia, la sola cosa che mi venne in mente fu che avrei preferito una ragazza naturale, acqua e sapone, senza tutto quello stucco in faccia. Arretrai un po’ per allungare ulteriormente la distanza. Non solo sembrava una delle prime tele di prova di Picasso, ma forse si era svuotata addosso un intero flacone di profumo di sua madre, che mi dava fastidio al naso.

    Ero stato vicino a Lisa milioni di volte, e l’odore del suo shampoo e del sapone ai fiori non mi aveva mai infastidito.

    Mitchell non riusciva a scrollarsi di dosso una biondina che continuava a sorridergli in modo ammiccante. Sarebbe stato interessante capire se stesse cercando di evitarla perché pensava alla stessa ragazza a cui pensavo io. Passò un’ora, ma poi io e Tony ci guardammo come a dire: corri, corri come se non ci fosse un domani.

    Ci inventammo una scusa pietosa per scappare: se ci avessero beccati fuori a quell’ora ci avrebbero cacciati dal campo, cosa non del tutto falsa, ma di cui non ci fregava molto.

    «Tornerete nel weekend?» chiese Sandy mentre si arricciava i capelli attorno all’indice. Oddio, ma chi le aveva insegnato a flirtare? Sembrava che avesse preso appunti guardando la peggior commedia per ragazzine.

    Ok, forse non era così male, e magari qualche mese prima avrei ricambiato flirtando anche io. Ma non quella sera. «Forse sì. Ma ci saranno sicuramente anche le nostre ragazze, quindi non penso che ci siederemo allo stesso tavolo.»

    Questo la fece allontanare, e non mi sentivo affatto in colpa per aver detto quella cazzata. Chiamai Frederickson che ci stava provando con una che aveva i capelli rossi quanto i suoi. «Noi ce ne andiamo. Vieni?»

    Si morse il labbro, valutando le opzioni. Poi si staccò dalla ragazza che aveva chiamato Kelly e uscì con noi.

    «Mai stato così felice di scappare da un branco di ragazze» disse Mitchell mentre scavalcavamo la recinzione per tornare al campo.

    «Perché?» borbottò Frederickson. «Quelle lì ci stavano. Che problema hai? Non ti va di scopare?»

    Io e Tony gli tirammo uno schiaffo sul collo. «Non mi piace quando non accettano un no come risposta» dissi mentre tenevo aperta la porta del dormitorio per far entrare tutti. «E la mano di Sandy sui miei pantaloni di sicuro non si è mai sentita dire no

    Ci buttammo sui letti a castello e spegnemmo le luci.

    Il mattino seguente, mentre camminavo verso il campo, sapevo che quello sarebbe stato un gran giorno. Un gruppo di ragazze con le divise da calcio se ne stava seduto sul prato ad aspettarci. Era il primo anno che venivano anche le ragazze. L’amministrazione scolastica era stata accusata di non aver mai avuto una squadra femminile, così ne avevano mandato un gruppo per aggiustare le cose.

    All’inizio avevo pensato che fosse una buona idea. Ma quando il coach ci disse di formare delle squadre miste, diventai scettico. Non avevamo mai giocato con le ragazze, prima. Erano più fragili e non avrebbero dovuto trovarsi nello stesso campo di noi rozzi.

    «Ciao, Hunter» mi salutarono due ragazze della mia classe di chimica.

    «Ciao McNeal. Summers» salutai le due bionde. Da quello che avevo visto al campo nei primi tre giorni, Chloe Summers sembrava molto brava, e Brinna McNeal le stava sempre appiccicata, cascasse il mondo.

    Siccome ci tenevamo alla salute e alle ossa di tutti, io e i ragazzi decidemmo di tenere un ritmo tranquillo all’inizio della prima partita. Forse fu ingenuo da parte nostra, visto che prima della fine del primo tempo Chloe mi aveva già fatto tre falli. E non intendo dei falli leggeri, da donna. Per ben due volte mi era venuta contro a tutta velocità e l’ultima volta mi aveva colpito alla caviglia, facendomi volare per qualche metro prima di atterrare di pancia

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