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Nerdy Little Secret: Edizione italiana
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Nerdy Little Secret: Edizione italiana
E-book250 pagine3 ore

Nerdy Little Secret: Edizione italiana

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Info su questo ebook

Vado a letto con il nerd.
Il bravo ragazzo.
Il fanatico della scienza che va in giro per il campus indossando le t-shirt con la tavola periodica sopra.

Questo è il mio piccolo sporco segreto, ma è cominciata parecchio prima che lui si trasferisse, senza saperlo, nello stesso college che frequento io. Ci siamo conosciuti al campeggio estivo dove ero stata assegnata per l’affidamento al lavoro, e la nostra tresca segreta è cominciata dietro la cabina delle canoe e dentro il refettorio buio parecchio dopo che i nostri rispettivi campeggiatori erano andati a dormire.
Quando Mick Barrett, il cui nome da rockstar è assolutamente una falsa pista, si iscrive alla Salem Walsh University, siamo entrambi scioccati di incontrarci all’improvviso.
E lui è… sorprendentemente freddo.
D’altronde l’avevo capito, non siamo fatti l’uno per l’altra. Lui vuole diventare il migliore dottore della nostra generazione, mentre io spero semplicemente di sopravvivere ai postumi della sbronza del sabato mattina.
 
Peccato che i nostri corpi, cuori compresi, stiano cominciando a pensarla diversamente.
Il ché mi porta a chiedermi: può il mio piccolo sporco segreto diventare il mio finale da favola?
LinguaItaliano
Data di uscita25 ago 2022
ISBN9791220703826
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    Anteprima del libro

    Nerdy Little Secret - Carrie Aarons

    1

    JOLIE

    Sento qualcuno imprecare in fondo al corridoio e mi sveglio con l’odore di capelli bruciati e della tequila della scorsa notte.

    «Bleah,» borbotto, la mia bocca sa di cenere e pessime decisioni.

    Mi alzo dal letto per ispezionare il casino e fare la stima dei danni. Beh, sono riuscita a infilarmi una specie di pigiama, anche se indosso la maglietta della mia squadra di calcio di terza media e la gonna fasciante che avevo al bar la scorsa notte. Sul comodino c’è un bicchiere d’acqua e una confezione mezza vuota di Advil, questo spiega perché, l’universo sia lodato, non ho nessun mal di testa stamattina. La mia stanza è il solito ammasso di abiti sparsi, libri abbandonati e un arredamento troppo sofisticato per lo schifo di residenza per studenti in cui vivo. L’ho detto a mia madre ma lei ha insistito per ordinare dei piumini da Parigi e una sedia da scrivania dalla Svezia, quindi eccoci qui.

    «Maddy, ti sei bruciata di nuovo?» urla Christine, una delle mie coinquiline, da un’altra stanza.

    «Questo maledetto arricciacapelli diventa troppo bollente e adesso sembra che abbia un succhiotto in fronte,» piagnucola in risposta Madison, la terza coinquilina.

    I miei piedi sembrano pesanti come mattoni mentre calpesto scarpe con tacchi alti e camicie di seta per arrivare fino alla porta della mia camera. «Mettici sopra del Neosporin, dovrebbe sparire nel giro di un’ora,» grido a mia volta.

    «Ah, guarda chi si è unito al mondo dei vivi. Non pensavo ti avremmo vista prima dell’una.» Christine mi sfreccia accanto, profuma di lavanda e ha in mano un pasticcino per la colazione.

    Quasi provo a dargli un morso prima che passi oltre. «Che diavolo è successo la notte scorsa?»

    «Troppa tequila e la decisione all’ultimo minuto di andarcene in un narghilè bar,» urla Maddy che adesso capisco essere in uno dei bagni.

    La cosa, in effetti, spiega il sapore di cenere in bocca. Il mio stomaco protesta mentre entro in cucina.

    Noi tre ci siamo incontrate al primo anno e siamo diventate subito migliori amiche. Madison è laureanda in musica, destinata alle sale concerto e alla fama. Suona l’arpa ed è così brava che fa commuovere. È anche la più gentile del gruppo, sempre a organizzare serate e a farci invitare alle feste e nei posti migliori. Poi c’è Christine, la scaltra donna d’affari. Giuro che un giorno staccherà la testa a morsi ai colleghi maschi come una mantide religiosa. È la più intelligente del gruppo, l’amica che usa il buon senso e si assicura che paghiamo la bolletta della TV in tempo o che non ci sfrattino.

    E poi ci sono io, la colla che ci tiene insieme. Non direi che sono intelligente o talentuosa, a meno che il talento non riguardi il baciare o i vestiti. Se avete bisogno di aiuto nel settore bellezza, sono la ragazza che fa per voi, motivo per il quale mi sto laureando in economia, con una specializzazione in branding aziendale. Se potessi entrare in un’azienda cosmetica, produrre i miei prodotti o lanciare sul mercato i loro, sarebbe fantastico. Se devo lavorare, tanto vale fare qualcosa che mi piace.

    Sono anche quella folle, l’amica che costringe tutte a correre rischi così che i nostri ricordi di questo periodo non solo siano luminosi, ma brillino di luce propria.

    Tra noi però, sono anche la più incosciente, la più irresponsabile. Motivo per il quale le mie migliori amiche sono già in piedi e pronte per il primo giorno di corsi del terzo anno, mentre io sto ancora tentando di farmi passare la sbornia.

    La nostra cucina è sorprendentemente pulita, cosa che devo attribuire a Christine. Quando è ubriaca si mette sempre a pulire e per me va benissimo. Se vivessi da sola in questa villetta da un solo piano con tre camere da letto, avrei già bruciato mezza casa secoli fa cercando di preparare dei nachos alle due del mattino.

    «Non rubare i miei Frosted Flakes!» mi rimprovera Madison, ancora in bagno.

    Rimetto la scatola a posto, maledicendola silenziosamente, e prendo gli Special K alla fragola. Peccato che non siano altrettanto dolci, ho bisogno di un po’ di zuccheri per affrontare questo brutto risveglio.

    «A che ora hai le lezioni?» chiedo io, cercando fare una stima di quanto debba essere creativa con la mia giornata.

    «Ne ho una alle nove, una alle undici e una alle due del pomeriggio, quindi starò al campus per la maggior parte della giornata,» risponde Christine dalla stanza in fondo alla casa.

    «Io ho quasi le stesse lezioni, in più devo andare in palestra dopo. Qualcuno vuole venire a pilates con me?» chiede Maddy speranzosa.

    Christine e io emettiamo dei versi evasivi, che poi è il modo in cui normalmente vanno le nostre conversazioni. Maddy chiede, noi rifiutiamo.

    «E tu invece?» continua Christine, riferendosi al calendario delle mie lezioni.

    Ho riflettuto per tutta l’estate su quanto avrei dovuto nascondergli. Pensavo sarebbe stato facile, ma adesso che ci sono, non sono molto sicura di come fare. Staranno al campus tutta la giornata e, anche se nuotiamo in un mare di studenti, c’è ancora la possibilità che mi chiedano dove ho passato le mie giornate.

    Casa nostra si trova a due minuti di distanza dalla Salem Walsh University nella Carolina del Nord. È una strada fiancheggiata da altre case studentesche, ognuna a malapena resa vivibile dal proprietario per poi venire sfasciata e affittata di nuovo ai festaioli del college dell’anno successivo.

    Avevo scelto Salem molto prima che mi diplomassi al liceo. In pratica ancora prima di essere promossa al secondo anno e per parecchie ragioni. Uno, è l’alma mater dei miei genitori. Due, questa università è una delle migliori dello Stato, per non parlare del Paese. E tre, è a venticinque minuti dalla spiaggia.

    I palazzi della Salem Wash University sono coperti di edera rampicante e l’università ha un cortile soleggiato come uno di quei college pittoreschi dei film, però con un’atmosfera da città di mare.

    Dopo le lezioni, spesso gli studenti vanno alla spiaggia per surfare, studiare sulla sabbia, o giocare un po’ a pallavolo prima che i bar aprano per la serata.

    Per questo semestre, però, non sarò tra loro.

    Come farò a nascondere una cosa del genere alle mie migliori amiche? A chiunque? Se mi chiedessero in che edificio si tengono le mie lezioni dei prossimi mesi, o volessero che ci vedessimo per pranzo?

    Mi sono cacciata in un mare di guai, incosciente come sono. Ma ho scontato metà della pena. Quest’estate al campeggio ho estinto metà della condanna. Adesso devo solo superare questo semestre, poi mi aspetterà un fantastico ultimo anno.

    Devo solo capire come evitare di far scoprire alle mie coinquiline e a chiunque altro io conosca che sto andando al college statale.

    2

    MICK

    Giro su me stesso, sentendomi come un ragazzino che ha appena avuto in regalo l’edizione completa dell’Enciclopedia Britannica la mattina di Natale.

    Questo campus è molto più bello che in foto e, se l’aspetto esteriore ne rispecchia l’essenza, adorerò stare qui. Ci sono un prato lussureggiante, edifici in mattoni rossi e lampioni su cui sono segnate tutte le classi di laureati dal 1915 in poi. Gli edifici che ospitano i dormitori hanno la mascotte della scuola, un giaguaro, appeso alla finestra, e gli studenti punteggiano ogni parte del cortile interno con libri colorati, laptop e coperte.

    E questo è solo ciò che ho visto finora. Ho studiato attentamente ogni catalogo dei corsi della Salem Walsh University per mesi e, quando è arrivato il momento di mettere insieme il programma, ho aggiunto anche i crediti più difficili dell’offerta formativa.

    La maggior parte dei ragazzi qui probabilmente non avrebbe fatto lo stesso sovraccaricando il programma di lezioni con più crediti di quelli permessi, ma io ho ottenuto un’autorizzazione speciale. Non solo sono uno studente appena trasferito, ma sto provando a laurearmi entro il prossimo autunno, con un semestre estivo extra. Considerate le mie particolari circostanze personali e il percorso che voglio intraprendere nella mia carriera, l’amministrazione della Salem Walsh è stata d’accordo nel farmi fare ciò che volevo.

    Vedete, è stato imbarazzante e problematico dire alla gente dove sarei andato al college durante l’ultimo anno di liceo. Con il mio punteggio e il voto al test di ammissione, sarei potuto entrare in qualunque università della Ivy League. Sfortunatamente, quando sei il figlio di un padre disabile e di una madre che fa tre lavori per pagare le bollette, semplicemente non è nelle tue possibilità.

    Così, ho frequentato i primi due anni all’università statale poco distante da casa mia, il Community College, per avere la possibilità di occuparmi di mio padre mentre mia madre lavorava e assicurava un tetto sulle nostre teste. Sei anni fa, hanno diagnosticato a mio padre la SLA, dopo che le funzioni manuali hanno cominciato a ridursi. Apprenderlo è stato un trauma per tutti noi, dopotutto, mio padre era il tipo di persona che correva le maratone. Era sano, in forma. Non era il tipo a cui capita una malattia che ti cambia la vita.

    Sei anni dopo è inchiodato a una sedia a rotelle e biascica così tanto quando parla che la maggior parte del tempo sceglie di non parlare affatto. Era vitale che io stessi a casa quei due anni, per dargli da mangiare, cambiarlo, aiutarlo con le sue medicine e praticamente fargli da badante a tempo pieno.

    Poi finalmente, dopo tre anni di attesa, richieste scritte e suppliche rivolte alle persone giuste, hanno approvato l’assistenza domiciliare a tempo pieno.

    Questo significa che posso frequentare un college vero. All’università statale avevo già superato la maggior parte dei corsi richiesti grazie ai miei crediti AP, i crediti per il college guadagnati ancora prima di cominciarlo. Mi ha dato un vantaggio e mi ha permesso di frequentare i corsi di secondo anno mentre ero matricola, poi ho continuato su quella strada. Adesso, come studente al primo semestre alla Salem, potrò frequentare le lezioni dell’ultimo anno mentre sono iscritto al terzo, continuare i corsi durante l’estate e laurearmi a settembre.

    Quindi, se tutto va bene, essere iscritto alla scuola di Medicina entro dicembre. Avevo un piano, uno che aveva preso forma il giorno in cui a mio padre era stata diagnosticata la sua malattia, e non avrei rallentato per niente al mondo.

    Attraverso il campus e scorgo l’edificio che sto cercando. Monmouth Hall, il mio dormitorio.

    Ci sono tre rampe di scala e sei porte prima che possa bussare al posto che chiamerò casa per i prossimi nove mesi.

    «È aperto!» urla qualcuno, poi sento un mucchio di borbottii.

    Spingo la porta, con una certa esitazione, e con mia sorpresa non vengo colpito dal fetore di marijuana. Esalo un sospiro di sollievo e apro di più l’ingresso per rivelare una stanza comune. C’è un ragazzo, seduto su una poltrona da gamer, che mi ignora completamente in favore delle sue cuffie mentre urla a qualcuno sullo schermo. Guardo il gioco, vedo che è impegnato con Call of Duty, quindi poso delicatamente i miei bagagli sul pavimento.

    «Ehi, sono Mick Barrett, il tuo nuovo coinquilino?» Suona come una domanda, ma vabbè.

    Il tizio, smilzo con una barba bruna sotto il mento e la testa rasata, mi rivolge uno sguardo e poi preme furiosamente il comando di controllo, sparando proiettili sul televisore.

    Un’altra persona esce da quello che sembra un piccolo cucinino.

    «Ehi, chi è questo?» chiede un ragazzo basso e tarchiato che indossa una maglietta con la scritta Baciami, sono irlandese a quello seduto nella poltrona da gamer.

    Allungo la mano, «Mick Barrett, il tuo nuovo coinquilino.»

    «Il tuo nome è Mick Barrett? Non ti si addice per niente.» Scuote la testa e non mi stringe la mano.

    Me lo sono sentito dire spesso nella mia vita e non dissento.

    «Mio padre era un fan del rock e, dato che il nostro cognome è Barrett, non poteva andare meglio di così. Hai presente Syd Barrett dei Pink Floyd? È tipo uno dei suoi eroi. E poi era anche un grande fan di Mick Fleetwood e di Mick Jagger, così ha convinto mia madre a chiamarmi Mick. Che ne potevano sapere che avrebbero avuto il figlio nerd meno rockettaro nella storia dell’umanità.»

    Il ragazzo sul pavimento mette in paura il gioco. «Bello, mi piacciono i Pink Floyd. Io sono Martin, quello è Rodney e Paul sta dormendo da qualche parte. O forse è in biblioteca, non me lo ricordo.»

    Annuisco. «Piacere di conoscervi ragazzi. Non avevo capito che questa fosse una suite.»

    «Sì, abbiamo tutti la nostra stanza, anche se i letti sono scomodi da morire. Abbiamo una tabella con i turni delle pulizie, qualcuno pulisce il bagno o la cucina tutte le settimane perché non sono uno che sopporta lo sporco. Spero ti vada bene,» dice Martin.

    «Per me va bene, preferisco che le cose siano pulite.» Ringrazio la mia buona stella per aver beccato dei coinquilini decenti.

    Beh, chi lo sa se sono decenti, ma almeno non lasceranno i peli della barba nel lavandino del bagno o latte rancido nel frigorifero. Con qualunque altra cosa, probabilmente posso convivere.

    «Voi ragazzi siete del secondo anno?» chiedo, sapendo che probabilmente sono uno dei più vecchi tra quelli che risiedono nei dormitori.

    Rodney annuisce. «Sì, stiamo cercando una casa fuori dal campus per il prossimo anno, la madre di questo qui non ce lo ha lasciato fare quest’anno.»

    Dà un pugno sul braccio a Martin e l’amico fa una smorfia. «Comunque, significa che mangiamo ancora nella mensa.»

    «Tu sei del terzo anno? Uno studente trasferito, giusto? Penso di avere perso il pezzo di carta che ci hanno dato su di te.» Rodney scrolla le spalle.

    Annuisco. «Sì, terzo anno, ma sto cercando di laurearmi in anticipo. Vi dispiace farmi vedere la mia stanza così disfo i bagagli?»

    Per essere due ragazzi che conosco a stento, sembrano molto gentili. Gli piacciono i video games, cosa che posso condividere, e le magliette con frasi spiritose, quindi penso che andremo d’accordo. Mi mostrano la camera, in fondo alla suite. È piccola, c’è solo un letto singolo, una scrivania e un cassettone, ma andrà bene. È la prima libertà che mi godo lontano dai miei genitori in quasi ventun anni, quindi è più che sufficiente.

    Dopo aver riposto la maggior parte dei vestiti nei cassetti ed essermi rifatto il letto, sento lo stomaco brontolare.

    Vado nel soggiorno dove incontro quello che immagino essere Paul, il mio terzo coinquilino.

    «Dov’è che posso farmi un buon sandwich?» chiedo.

    «Possiamo andare al Pub. Costa un po’, ma è meglio della mensa. Dovresti farti un buon pasto prima di passare a quella merda che servono nella caffetteria.» Paul prende le chiavi di casa.

    Li seguo, eccitato all’idea di fare un giro nel nuovo college con un gruppo di semi-amici.

    3

    JOLIE

    La borsa continua a dondolare e a colpirmi bruscamente sul fianco mentre mi dirigo spedita verso il Pub, all’interno del campus della Salem.

    Suppongo sia la punizione per il mio comportamento avventato. Ogni azione ha una reazione, o una conseguenza in questo caso, e la mia è il dover portare in giro una gigantesca borsa piena di libri mentre faccio la spola da un campus all’altro. Sono passati tre giorni e non mi sono ancora abituata alla mia nuova routine.

    Il Pub è più figo della mensa e si mangia anche meglio, quindi Christine, Maddy e io di solito ci incontriamo qui per pranzo. Si chiama Pub perché una volta, prima che il campus lo vietasse, ci si poteva comprare alcool. Adesso è solo un posto a metà fra una sala di ricreazione e studio con uno spazio per mangiare dove gli studenti occupano i tavoli per ore e ore, e un’insalata costa dieci dollari.

    Quando entro, godendomi l’aria fresca del condizionatore che mi colpisce la faccia, mi ritrovo in mezzo a centinaia di ragazzi che parlano e mangiano. La stanza è affollata, come c’era da aspettarsi, ma non mi ci vuole molto per trovare un posto al nostro solito tavolo. Le mura sono tinteggiate con i colori della nostra scuola, blu e oro, le poltrone sono ricoperte di pelle liscia e i pavimenti di legno scuro massiccio sono lucidi.

    Madison e Christine, sedute su una gigantesca poltrona a dieci posti che consideriamo di proprietà, sono circondate dai nostri amici atleti e alcune delle ragazze che frequentano. C’è Charlie, il quarterback della squadra di football, Darrell, il lanciatore della squadra di baseball, Andy, che è il primo ricevitore della scuola, e due loro compagni. Accanto a loro siedono Britta e Eileen, le ragazze, rispettivamente, di Charlie e Darrell.

    «Jolie!» Britta mi saluta sbracciandosi, la pelle olivastra splende ancora di più con l’abbronzatura estiva.

    Sorrido, facendo un cenno con la mano mentre mi avvicino. «È bello essere tornati, eh ragazzi?»

    Sono riuscita a sgattaiolare via dal campus che nessuno di loro sa che frequento per venire a pranzare qui. Devo essere di ritorno tra un’ora e mezza, e questo calcolando anche il tempo per tornare.

    «Bellissimo. La vita è noiosa senza il college. Quest’anno frequenterò persino le lezioni.» Charlie mette un braccio muscoloso attorno a Britta.

    «Lo dice adesso,» ridacchia Andy, lanciando una patatina verso la testa del suo quarterback.

    Madison emette un suono strozzato. «Bleah, mi hai quasi sporcata di ketchup.»

    «Felice di vedere che manteniamo ancora il nostro tavolo.» Metto giù la borsa, frugando alla ricerca del mio portafogli. «Ho bisogno di un’insalata»

    «Oh, la macchina che prende le banconote è rotta, quindi accetta solo tessere di Salem, solo per informarti,» mi dice Christine.

    Il mio cuore va nel panico, battendomi contro il petto «Ehm, potrei prendere in prestito la tua? Ho lasciato la mia a casa. Ti restituisco i soldi.»

    Mi cede la sua tessera universitaria senza battere ciglio, grazie a Dio. Non so come avrei potuto tirare fuori un’altra scusa così all’improvviso. Di sicuro non gli posso

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