Pretty
Di Kylie Scott
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Info su questo ebook
Alex è divertente, gentile e sembra essere proprio il tipo di ragazza che non si incontra tutti i giorni. In un momento di debolezza Joe risponde alla sua email e tra loro inizia uno scambio di messaggi, che si trasforma ben presto in una vera e propria corrispondenza quotidiana.
Joe non avrebbe mai pensato di innamorarsi, ma a volte il destino ama stupirci con dei colpi di scena.
Kylie Scott
È un’autrice bestseller del «New York Times» e «USA Today», da sempre appassionata di storie d’amore, rock’n’roll e film horror di serie B. Vive nel Queensland, in Australia, legge, scrive e non perde troppo tempo su internet. La Newton Compton ha pubblicato la Lick Series: Tutto in una sola notte, È stato solo un gioco, Nessun pentimento, Doppio gioco e la novella I disastri del cuore. Con Pretty continua la Dive Bar Series, iniziata con Dirty.
Kylie Scott
Kylie is a long-time fan of erotic love stories and B-grade horror films. Based in Queensland, Australia with her two children and one husband, she reads, writes and never dithers around on the internet. Her New York Times bestselling novels include Lick, Play, Lead and Deep, which make up the Stage Dive series.
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Anteprima del libro
Pretty - Kylie Scott
2277
Titolo originale: Twist
Copyright © 2017 by Kylie Scott
Traduzione dall’inglese di Mariafelicia Maione
Prima edizione ebook: maggio 2019
© 2019 Newton Compton editori s.r.l, Roma
ISBN 978-88-227-3309-2
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Librofficina
Kylie Scott
Pretty
Dive Bar Series
Indice
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Ringraziamenti
Ai miei lettori. Grazie.
1
Al diavolo la prudenza.
Ero ferma davanti al Dive Bar, le mani tremanti, il cuore che mi rimbalzava nel petto. Maledetta ansia. Che si sfogasse pure. Non sarei scappata di nuovo a nascondermi a Seattle, non più. Attento, bellissimo uomo sexy di internet: sono arrivata. Sì, il destino, sotto forma di me medesima e di un volo di andata e ritorno, era atterrato a Coeur d’Alene, Idaho settentrionale.
Okay. Era il momento.
Presi un respiro profondo e ravviai i capelli (castani, lunghi fino alle spalle). La mia migliore amica, Val, mi aveva truccata, molte ore prima, e quella donna sapeva il fatto suo. Non un granello aveva osato spostarsi. Lisciai le grinze del vestito (corto e nero). Spalle indietro, tette in fuori, come da istruzioni ricevute. E sì, okay, le dita dei piedi mi si erano trasformate in moncherini di ghiaccio per colpa di quelle stupide scarpe scamosciate con i tacchi vertiginosi, e avevo la pelle d’oca sulle gambe e sulle braccia, ma non aveva importanza. Val e la ragazza del negozio avevano giurato che stavo una favola. Scopabile al cento percento e miliardi di volte più bella del normale, grazie al reggiseno push-up in alto e alle mutande contenitive in basso.
Mi sentivo un po’ una prostituta d’alto bordo, ma non aveva importanza. Sciocchezze. La prima impressione è fondamentale, e se Val e la commessa avevano ragione, avevo raggiunto il mio obiettivo – anche se quell’outfit era molto diverso dal mio standard per un appuntamento: stivali, jeans e camicetta. Va detto che di solito non perdevo la testa per il ragazzo in questione come avevo fatto per Eric Collins. Quegli appuntamenti servivano solo come sollievo momentaneo.
Sì, lo so, orrore: una donna single che fa sesso occasionale con regolarità. Nemmeno un briciolo di legame con la parte maschile dell’equazione. Bruciatemi sul rogo e affogatemi nel fiume. Valerie diceva che la mia era fifa emotiva, ma a me piaceva la mia vita priva di complicazioni e perlopiù passata a casa da sola, in pigiama. E i rapporti di coppia erano una complicazione grossa come una casa. Eppure, eccomi là, nell’Idaho settentrionale, dove speravo in ogni sorta di coinvolgimento e complicazione, contro ogni buonsenso. Il mondo esterno mi terrorizzava, ma Eric Collins era troppo importante per lasciare che rimanesse una fantasia virtuale passeggera. Dovevo vederlo, scoprire perché una settimana prima era scomparso all’improvviso. Presentarmi alla sua festa di compleanno aggiungeva un tocco di serendipità all’evento.
Forse avevo giocato troppo con la Barbie sposa da piccola, chissà.
C’era il cartello
CHIUSO
esposto nella vetrina del ristorante, le luci esterne erano spente. Dentro, però, succedeva qualcosa. Sentivo musica soffusa e un brusio di voci si espandeva nella fredda aria notturna. Un fulmine esplose in lontananza, la brezza aumentò. Persino il tempo mi diceva di smetterla di rimandare il momento decisivo.
Nonostante il cartello, la porta non era sbarrata. Mi intrufolai dentro con il bagaglio a mano che mi rimbalzava dietro. All’inizio, nessuno si accorse di me. C’erano una dozzina e più di persone occupate a bere e mangiare vicino al lungo bancone di legno. Il profumo di una pizza deliziosa mi fece contorcere lo stomaco; ero troppo agitata per mangiare sull’aereo, o prima di imbarcarmi.
Sussultai. Eccolo là.
Porca puttana, la foto profilo non gli rendeva affatto giustizia. Quell’uomo faceva invidia ai supermodelli. Splendeva di luce propria, letteralmente, i lunghi capelli scuri che brillavano sotto le lampade e il sorriso perlaceo ancora di più (non che non lo ammirassi e rispettassi per la sua mente, al contrario. Dopotutto, fino a quel momento il nostro rapporto si era limitato al livello platonico dei messaggi nel cyberspazio. Era pure ora che vedessi un po’ di carne. Ed eccola là).
Tutta la tensione che provavo si dissolse, le spalle si rilassarono per il sollievo. Il sorriso che avevo in faccia, invece, si accentuò sempre di più. Dicevano che nessuno fosse mai davvero sincero su internet; mentire agli sconosciuti e condividere foto di gatti era in pratica la ragione per cui era stato inventato il World Wide Web. E sì, salire sull’aereo era stato un enorme atto di fede. Avrebbe potuto essere un pervertito di duecentotrenta chili che sperava di ottenere foto delle mie tette per farsi una sega. Avrebbe potuto essere sposato con cinque mogli e quarantatré figli: forse sperava che mi unissi alla famiglia e sfornassi qualche altro pupetto.
E invece no, era proprio come si era descritto. Speravo di non deludere le sue aspettative. La tensione che avevo dentro tornò a condensarsi in una sfera durissima. Non avevo mentito sulle cosce abbondanti né sulla taglia di reggiseno modesta. O gli piacevo nella vita reale, oppure no; ormai non potevo farci nulla.
Prima si voltò una persona e mi vide; poi altre la imitarono, fin quando non si azzittì l’intera comitiva, in attesa.
«Salve», disse qualcuno. «Mi dispiace, ma abbiamo chiuso per oggi. È una festa privata».
«Lo so», risposi; girai attorno ai tavoli e mi diressi verso di lui, senza distogliere gli occhi nemmeno per un secondo dal mio obiettivo. Gli occhi mi si riempirono di lacrime, l’eccitazione di quel momento minacciava di distruggermi. Non avrei mai dimenticato quella notte. Era bellissimo, splendido. Avevo sviluppato una cotta per lui solo leggendo le sue e-mail, ma trovarci finalmente insieme nella stessa stanza e sentire l’intesa che c’era tra noi, era la prova definitiva.
Eric Collins avrebbe ceduto. Lo aspettava un corteggiamento all’ultimo sangue per mano della sottoscritta, Alexandra Parks.
Non appena fui abbastanza vicina, non riuscii più a trattenermi e con un gesto improvviso mi gettai tra le sue braccia. E proprio come mi aspettavo, lui mi prese.
«Buon compleanno, Eric», esclamai; il mio sorriso tremava per l’agitazione e la gioia.
«Grazie».
Risi. Sembravo solo un pochino isterica. «Non posso credere di essere qui».
Magnifici occhi verde giada mi fissavano, sconvolti.
«Quindi… sorpresa».
«Wow». Una pausa. Poi, guardandomi, si leccò le labbra perfette e domandò: «Ci conosciamo?».
Il mondo si fermò.
«Cosa?».
Una risatina bassa, mascolina, eppure inconfondibile. «Ci siamo già incontrati?»
«Eric», sbottai, in tono di rimprovero.
Non disse nulla. Continuò a guardarmi con aria confusa. Come se avesse di fronte una completa sconosciuta.
«È uno scherzo?». Mi irrigidii tra le sue braccia. «Eric, sono io. Alex».
Niente.
Niente di uno stracazzo di niente.
Ci guardavano tutti con espressione sbalordita. Sopracciglia inarcate e sorrisi esitanti e tutto il resto. Dio. Erano mesi che fantasticavo su quel momento. E non avevo mai immaginato che potesse accadere una cosa del genere. Qualsiasi cosa stesse accadendo.
Mi staccai dall’abbraccio del mio ipotetico amato, assalita dai dubbi; prima solo qualcuno, poi una valanga. Di lì a poco diventò uno tsunami di incredulità che mi stritolava cuore e mente. Annegavo; il panico, lento e inesorabile, mi inghiottiva. Ecco cosa succedeva a uscire dalla propria sicura routine: cose brutte. Cose di merda che ti schiacciavano l’anima. Perché cazzo ero uscita di casa?
«Non capisco». La mia voce saliva di tono e di volume. «Ma sì che mi conosci. Sono mesi che ci parliamo. Che ci scriviamo e-mail».
Ancora niente.
«Ci siamo conosciuti su Hearting.com. Ricordi?».
Continuavano a guardarmi tutti con occhi vacui. Incluso Eric.
Ricambiai, truce. «Quindi mi hai menata per il naso finora, non hai parlato a nessuno di me e adesso neghi tutto? È questo che hai intenzione di fare? Sul serio?»
«O forse non ho parlato a nessuno di te perché non ti conosco», ribatté, misurandomi con un’occhiata. Qualcosa di simile al dubbio gli attraversò il volto. «Aspetta. Sei la pupa con cui l’ho fatto a pecorina nella cabina armadio, in quella festa a Spokane?». Il suo sorriso riuscì chissà come ad apparire comprensivo, mortificato e viscido nello stesso momento. «Merda, sei tu, vero? Scusa, avrei dovuto riconoscerti subito. Forse, se ti avessi visto la nuca…».
Non sapevo cosa rispondere.
«A volte è difficile ricordare le facce dopo una serata del genere, capisci? E avevo preparato un sacco di Flaming Blue Jesus. Sai, rum, superalcolico alla menta e liquore alla pesca, con un sottilissimo strato di tequila in cima». Si leccò le labbra. «Mi piace un sacco quel cocktail».
Lentamente, scossi la testa. «Non mi hai scopata a pecorina in una cabina armadio».
«No? Sei sicura? Posso guardarti la nuca un secondo?»
«Non ci siamo conosciuti a una festa, Eric», risposi, a denti stretti. «Ma via e-mail. Tu e io. Di continuo, per mesi».
«Non ero io».
«Sì. Eri tu».
«Dài, non è proprio credibile». Appoggiò le mani sui fianchi sottili. «Tutti in questa stanza sanno che non è il mio stile. Non riesco a mantenere la concentrazione così a lungo».
«Vero», disse qualcuno. Un sacco di cenni di assenso da parte di altra gente. Forse era riuscito a convincere loro, ma non poteva fregare me.
«Va bene», sbottai. «Quindi, come la mettiamo? Mi sono sognata tutto?»
«Dipende». Sogghignò. «Ho cominciato a scriverti di continuo più o meno quando hai smesso di prendere le medicine?»
«Eric», protestò una donna. Snella, rossa di capelli e incinta.
«Tu sei Nell». La salutai con un dito. «Mi ha parlato di te, mi ha spedito delle foto di tutti voi e del Dive Bar».
La donna sgranò gli occhi.
«Però non mi ha mai detto che eri in dolce attesa. Congratulazioni».
«Grazie», rispose, esitante.
Mi girai verso l’altro pel di carota nella stanza, un uomo alto e ben proporzionato, coperto di tatuaggi. «E tu sei Vaughan, il fratello di Nell. Sei un musicista. Ti sei fidanzato da poco con Lydia, la bella bionda al tuo fianco. Ciao».
«Ciao». Lydia strinse le labbra per la sorpresa ed emise un verso incerto.
«Se sono pazza, come mai so tutte queste cose?». Mi voltai di nuovo verso Eric, anch’io con le mani sui fianchi. «Come mai so che sei andato a scuola con la maggior parte dei presenti? Che da piccoli abitavate tutti nello stesso quartiere?».
Eric aprì la bocca, ma non ne uscì nulla.
«Oh, mio Dio». Si fece avanti una donna dall’aspetto familiare, incantevole, la pelle scura e una zazzera di riccioli a cavatappi. «Sei una medium? Mamma guarda sempre quelle cazzate in televisione. Non ci avevo mai creduto, però…».
«No, è una stalker», disse Eric. «Per forza. Era destino che prima o poi me ne trovassi una tra i piedi».
«Non sono una stalker». A giudicare da quanto stringevo i pugni in quel momento, però, avrebbero potuto accusarmi molto presto di aggressione.
«Tocca a me», disse la cameriera con la pelle scura. «Chi sono?»
«Rosie, una delle cameriere».
«Azzeccato al primo colpo!». Sorrise. «Puoi prevedere il mio futuro?»
«Mi dispiace. Davvero, non sono una medium».
«Oh». Il sorriso divenne una smorfia di disappunto. «Che sfiga».
«Che succede qui?», domandò una voce forte e profonda dietro di noi.
Girai su me stessa e guardai dritto negli occhi sorpresi un uomo che si poteva descrivere solo come un Bigfoot biondo. Reggeva senza sforzo una cassetta di birra, appoggiata su una delle sue enormi spalle. La criniera bionda era sciolta, la parte inferiore del viso coperta dalla barba. Lo avrà anche tenuto caldo d’inverno, ma andiamo, a chi possono mai servire tanti peli?
«Ciao, fratello, benvenuto in manicomio». Eric gli diede una pacca sulla schiena. «Non è che mi hai mandato una spogliarellista pazza per il mio compleanno, vero?».
Quegli occhi scuri e sconvolti erano fissi su di me. Joe. Ma certo, era suo fratello Joe. Solo che era un sacco più grosso di quanto pensassi. Non che avessi sprecato molto tempo a immaginarmelo.
«Cosa?». Scosse la testa barbuta verso Eric, confuso. «No, certo che no».
«Una spogliarellista?». Ero incredula. «Fai sul serio?».
Eric abbassò gli occhi sulle mie scarpe. «Devi ammetterlo, sono tacchi belli alti, quelli».
Non aveva tutti i torti. Tuttavia, dubitavo fortemente di poter passare per una che indossa le coppette copriseno per abitudine. Figuriamoci poi se sapevo ballare o avrei potuto anche solo provare ad arrampicarmi su un palo.
«Va bene, ora basta», ordinò Nell. «Questa povera ragazza potrebbe essere stata vittima di un furto di identità».
Mi raggelai.
«Senti, uhm… è ovvio che c’è qualcosa che non va. Perché non ne parliamo in ufficio?», disse Joe. «Così avremo un po’ di privacy. Non vogliamo metterla in imbarazzo».
«Penso di avere raggiunto il picco massimo del sovraccarico da imbarazzo, ma grazie lo stesso», risposi, con un sorriso forzato.
Strano a dirsi, era diventato cinereo, almeno quel poco che si vedeva. Sembrava che stesse per vomitare da un momento all’altro. O svenire.
«Ehi, stai bene?». Anche Vaughan se ne era accorto.
«Sì, sì. Mai stato meglio». Fu un miracolo che non gli crescesse il naso. Persino io capivo che era una solenne bugia.
«Quindi, non avevi mai incontrato Eric di persona?», domandò Nell. «Solo online».
Annuii. «Sì, ci siamo solo scritti».
Nell mi si avvicinò, la sofferenza stampata in faccia, e abbassò la voce. «Non poteva essere Eric. Sono quasi certa che non saprebbe nemmeno accendere il computer, figuriamoci sostenere uno scambio quotidiano di e-mail. Ci ha messo una vita a imparare a scrivere il suo nome».
Eric si accigliò. «Ehi. Non è questo il punto».
«Zitto». Nell agitò una mano. «Dubito che sia stato lui ad aprire un account su quel sito di appuntamenti».
«Sì che l’ho aperto», esclamò l’interessato, serio. «Cazzo, Nell. Smettila di comportarti come se la mia metà di quello che hai in pancia dovesse essere più stupida della tua. Non è così».
«Non chiamare il mio bambino quello che hai in pancia
». Nell lo colpì sul petto con un dito.
E all’improvviso tutto divenne chiaro. Era tutto perfettamente chiaro e orrendo.
«È figlio tuo?», domandai a quella porcheria d’uomo che avevo davanti. «E io che mi chiedevo come mai fingessi di non conoscermi. Dio, che stronzo. Dopo tutte le cose che mi hai detto, nel frattempo giocavi al dottore con lei».
«Che?». L’espressione da Sei pazza
negli occhi di Eric triplicò di intensità. «No. Io… merda. Joe mi ha aiutato a creare quello stupido account e poi me lo sono scordato. Non mi serviva. Quindi ho detto a Joe…».
Silenzio.
«Joe», ripeté. Poi sbatté le palpebre e si girò verso il fratello.
Anche Nell si voltò verso il ragazzone biondo.
Joe si fece piccolo piccolo. Aveva l’aria di uno che avrebbe voluto essere inghiottito da una botola di emergenza.
«Le hai scritto tu, fratello?», domandò Eric.
«Sì». E il Bigfoot biondo non sembrava affatto contento della cosa. «Sì, io… è un po’ che chiacchieriamo. Ci conosciamo».
«No, invece». Guardai truce quello che decisamente non era il mio tipo. Suo fratello? Sì. Ma lui? Nossignore. «Conosco Eric, non te».
Bigfoot sospirò.
Puntai un dito accusatore contro il bellissimo moro dei miei sogni. «C’era lui sulla foto profilo. È lui quello a cui ho aperto il cuore, non tu. Non so nemmeno chi sei».
«Lasciami spiegare». Lo sguardo di Joe/Bigfoot divenne più intenso e si concentrò solo su di me. I suoi occhi scuri erano così seri; sembrava davvero convinto di riuscire a fornirmi una spiegazione convincente di tutto quel casino. «Ho letto il tuo messaggio e… non so come spiegarlo. Sembravi una persona…».
«A cui potevi mentire?»
«No». Si sfregò il viso con una mano. «Cazzo. Eri spiritosa e vera e…».
«Vera?». Scossi la testa e feci un altro passo indietro.
«Sì. Vera. All’inizio, volevo solo aiutare mio fratello. Cercavo di convincerlo a interessarsi a una brava persona, tanto per cambiare. Qualcuno che avesse un biglietto da visita migliore della taglia di reggiseno». Abbassò gli occhi sul mio petto, che nonostante l’aiuto del push-up era comunque molto modesto, e sembrò andare nel panico. «Non che tu non sia…».
«Lascia stare».
«Ma poi ho cominciato a conoscerti meglio ed eri qualcuno con cui riuscivo a parlare davvero». L’occhiata in tralice che rivolse al resto della comitiva fu timidissima. «Forse mi sentivo solo. Non saprei».
Oh, che tenero, il povero stronzo era in imbarazzo? Mi sanguinava il cuore per lui.
«Però avevi contattato Eric, quindi…».
«Quindi?».
Non disse niente.
«Vuoi farmi credere che le tue intenzioni fossero nobili? Mi prendi in giro?». Non potei fare altro che scuotere il capo. Non sapevo nemmeno se per lo sbalordimento o per l’orrore. «Credevo in te ed eri solo una menzogna. Tutte bugie, sin dall’inizio».
Strinse le labbra. «Non è vero. Sono tuo amico».
«Cazzate. Un amico non si comporterebbe mai così».
La gente intorno a noi iniziò a sussurrare. E davvero, ormai tutta quella situazione incomprensibile poteva andarsene affanculo. Fanculo a Eric, Joe, all’umanità intera, a internet e a tutte le mie speranze e i miei sogni. Sarei corsa a casa e ci sarei rimasta. Arretrai e sbattei con il fondoschiena contro lo schienale di una sedia, che si rovesciò e cadde a terra con un fragore magistrale. «Merda. Scusate. Io…».
Le facce attorno a me si confusero e il frastuono mi riempì la testa. Cristo. Tutti i dettagli personali, privatissimi che gli avevo raccontato. La mia sincerità. Ma ero solo l’ennesima ragazzina stupida che sognava l’amore e una vita più ricca. Non c’era niente per me lì.
Era ora di andarsene.
Mi girai e andai dritto a prendere la valigia. Afferrai la maniglia di plastica e corsi fuori, dove la fredda aria notturna mi colpì come un meritato schiaffo in pieno volto. Sul marciapiede inciampai in quelle stupide scarpe, poi ripresi a camminare, sempre più in fretta, per mettere più distanza possibile tra me e quel disastro.
Il trolley risuonava e rotolava sull’asfalto. Mi sentivo completamente inebetita, come se non esistessi. Le prime gocce di pioggia avrebbero dovuto attraversarmi, invece di infradiciare il cotone del vestito preso a prestito.
«Alex», urlò una voce alle mie spalle. Una voce maschile. Lui.
Non fece che incitarmi a continuare. Nessuna macchina né segni di vita all’orizzonte. Il mondo sembrava essersi svuotato. C’eravamo solo io, quella voce e il temporale.
Dio, che errore era stato andare lì. Un errore madornale.
Che cazzo avevo fatto?
2
Donna eterosessuale, ventinove anni.
Grafica. Lavoro da casa.
Nata e cresciuta a Seattle.
Mi piace leggere romanzi, guardare film d’azione, di fantascienza e dell’orrore e programmi sulla ristrutturazione di immobili.
Nessun animale domestico, a meno che non conti lo scoiattolo sull’albero fuori casa. Si chiama Marty.
La cosa a cui tengo di più è il mio portatile, tutto il mio lavoro è lì. E nella chiavetta
USB
con il backup, affidata a Marty.
La cosa che mi rende più orgogliosa è avere avviato un’attività in proprio che gestisco io stessa.
Tra cinque anni mi vedo ad ampliare la mia attività, investire in una proprietà immobiliare e fare qualche tentativo per ristrutturarla.
Cerco qualcuno con un lavoro, spirito artistico, ordinato e di bell’aspetto, con senso dell’umorismo.
Cerco una serata divertente con un nuovo amico.
La compatibilità sessuale è importante.
Il valore fondamentale in una relazione è la sincerità.
Uomo eterosessuale, ventotto anni.
Ristoratore.
Nato e cresciuto nell’Idaho settentrionale.
Mi piacciono i film e la musica.
Ciò che ho di più caro sono la famiglia e gli amici.
La cosa che mi rende più orgoglioso è avere avviato un ristorante/bar che gestisco io stesso.
Tra cinque anni mi vedo sistemato con la donna dei miei sogni, a mettere su famiglia in una casa che abbiamo costruito in parte con le nostre mani.
Cerco qualcuno di attraente.
Cerco qualcuno disposto