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Finding Melodie + The Wedding - boxset
Finding Melodie + The Wedding - boxset
Finding Melodie + The Wedding - boxset
E-book389 pagine5 ore

Finding Melodie + The Wedding - boxset

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Info su questo ebook

Finding Melodie

«Ascolta la melodia del cuore»
Una storia d’amore tenera e divertente, perfetta per chi ha amato film come Notting Hill e Love Actually.


Melodie ha ventisette anni, è uno spirito libero e trascorre buona parte delle sue giornate a suonare ai piedi del London Eye.
Ogni giorno vede passare centinaia di persone, ma nel suo cuore c’è posto solo per lui, Mister Giacca e Cravatta, il ragazzo gentile che si presenta sempre a ora di pranzo.
Melodie non ha mai osato rivolgergli la parola, ma un pomeriggio è lui ad avvicinarsi per chiederle un favore: suonare una canzone mentre fa la proposta alla sua fidanzata.

Isaac ha degli obbiettivi ben definiti: lavorare sodo, ottenere una promozione e sposare la donna che ama. Ma non sempre le cose vanno secondo i piani, e quando i suoi progetti per il futuro vengono spazzati via da un inaspettato rifiuto, l’unica a tendergli la mano sarà la graziosa ragazza dai capelli rosa che fa da colonna sonora alle sue pause pranzo…

The Wedding
È passato un anno da quando Melodie, l'eccentrica cantante di strada dai capelli rosa, e Isaac, il suo Mister Giacca e Cravatta si sono incontrati e innamorati ai piedi del London Eye. Ora i due convivono, e il loro legame è così solido e speciale che sono pronti al passo successivo: il matrimonio. Ma la strada verso l'altare potrebbe rivelarsi costellata di insidie per due persone in apparenza così diverse, soprattutto quando a mettersi di mezzo è una mamma chioccia snob, determinata a salvare il proprio figlio da quella che reputa una "pericolosa arrampicatrice sociale".
LinguaItaliano
Data di uscita5 set 2023
ISBN9791220706773
Finding Melodie + The Wedding - boxset

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    Anteprima del libro

    Finding Melodie + The Wedding - boxset - Laura Rossi

    Finding Melodie & The Wedding

    FINDING MELODIE & THE WEDDING

    LAURA ROSSI

    Traduzione di

    CHIARA MESSINA

    TRISKELL EDIZIONI

    INDICE

    FINDING MELODIE

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Playlist

    Ringraziamenti

    THE WEDDING

    Prologo

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Capitolo 29

    Capitolo 30

    Capitolo 31

    Capitolo 32

    Epilogo

    Ringraziamenti

    Biografia

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il frutto dell’immaginazione dell’autore. Ogni somiglianza a persone reali, vive o morte, imprese commerciali, eventi o località è puramente casuale.

    Finding Melodie & The Wedding (Edizione italiana) - Copyright © 2023 Triskell Edizioni

    Prodotto in Italia

    Prima edizione – settembre 2023

    Edizione Ebook: 979-12-207-0677-3

    FINDING MELODIE

    Edizione italiana

    di LAURA ROSSI

    Traduzione di

    Chiara Messina

    TRISKELL EDIZIONI

    Questo libro è dedicato a Carol Jones. Spero che tu ti stia facendo una bella risata in Paradiso.

    1

    Credete nell’amore a prima vista? Avete presente, quel momento in cui incontrate lo sguardo di una persona e bang, non riuscite più a smettere di pensare a lei? Il battito del cuore accelera, e sentite quel caldo formicolio allo stomaco ogni volta che la vedete?

    Io, ovviamente, ci credo. L’amore è il mio pane quotidiano, la mia specialità. No, non mi occupo di terapia di coppia, né niente di simile. Sono una musicista di strada. Canto di gente che s’innamora e di relazioni romantiche.

    Se siete di Londra e vi è capitato di fare un giro a South Bank o di passare di fronte al London Eye probabilmente mi avete vista, o meglio, sentita. È lì che lavoro. E il panorama è uno dei migliori della città.

    Chiudete gli occhi e provate a immaginare. Strade affollate, vecchi edifici vittoriani, autobus rossi a due piani. Se vi concentrate, riuscirete quasi a sentire il rintocco del Big Bang in lontananza, i battelli pieni di turisti che solcano il Tamigi, la gente che si mette in fila per un giro sulla ruota panoramica.

    E ora fermi lì.

    Vedete la ragazza mingherlina con i capelli rosa che canta e suona la chitarra proprio sotto la ruota? Ecco, quella sono io, Melodie.

    Mi reputo fortunata di poter godere di questa fantastica vista tutti i giorni. E non mi riferisco solo alle attrazioni turistiche. Parlo delle persone che incrocio per strada. Sono loro la vera forza di Londra. In un certo senso, mi sembra di conoscerle tutte. Ogni tanto un turista o qualche passante occasionale sorride e mi scatta una foto, quasi fossi un’attrazione io stessa.

    Il pensiero mi strappa un sorriso perché, in effetti, sono una londinese al cento per cento, nata e cresciuta dai genitori più moderni e stravaganti sulla faccia della terra.

    E poi ci sono i passanti abituali, quelli che vedo ogni singolo giorno. Mi basta un’occhiata per riconoscerli e loro mi considerano una presenza fissa. Se non piove, sono lì a suonare mentre pranzano o fanno una pausa sigaretta.

    Mi diverto a osservare quello che mi succede intorno e ad affibbiare soprannomi alla gente. Lo so, è un po’ sciocco, ma credo di averne il diritto. In fondo passo con questa gente la maggior parte del mio tempo. C’è il dog-sitter trasandato, il tipo che ogni giorno porta a spasso quattro cani. Labbra Rosse, la donna con l’irrinunciabile rossetto scarlatto che legge il giornale sulla panchina di fronte, e così via.

    Come ho detto, ho un soprannome per tutti. Ne avevo uno anche per lui.

    La nostra storia è cominciata in un giorno come tanti, a settembre inoltrato. Erano le sei del pomeriggio. Gli ultimi raggi di sole scintillavano alle spalle del Parlamento, riflettendosi sul Tamigi, ma la temperatura era ancora mite e non c’erano nuvole di pioggia all’orizzonte.

    È abbastanza bello da avventurarsi fuori casa, mi dissi, notando la gente seduta a godersi quegli ultimi giorni d’estate sul prato di un piccolo parco tra due palazzi di uffici.

    Ero nel bel mezzo di una canzone – Wonderwall degli Oasis – quando, come ogni giorno, lo vidi dirigersi verso la panchina alla mia sinistra e accomodarsi all’angolo estremo.

    Mister Giacca e Cravatta. Sorridendo tra me e me, continuai a cantare, le labbra fucsia che sfioravano il microfono. Era un habitué, anche se non avevo idea di come si chiamasse. Non ci eravamo mai rivolti la parola, ma prima di tornare al lavoro mi lasciava sempre qualche sterlina e sorrideva da dietro i suoi occhiali neri da nerd.

    Mi sembra giusto precisare che avevo una cotta per lui dal primo giorno, dalla prima volta che mi era passato davanti e i nostri sguardi si erano incrociati.

    Detto tra noi, Mister Giacca e Cravatta non era neanche il mio tipo. Di solito frequentavo musicisti punk rock o heavy metal, o artisti di qualche genere. Ma la sua vista era sufficiente a mettermi in agitazione e farmi sentire inadeguata.

    Forse ad attrarmi era stato il suo aspetto: alto e dinoccolato, con spalle ben definite e occhi gentili.

    Portava sempre una camicia bianca pulita e pantaloni scuri dal taglio elegante.

    Nei giorni caldi, teneva le maniche arrotolate, mettendo in mostra le braccia toniche e muscolose. I muscoli erano proprio lì, era impossibile non vederli. Non potevo mica ignorarli. Dovevo prendere atto della loro esistenza, non farlo sarebbe stato scortese da parte mia.

    E poi aveva quei capelli castani e scompigliati che gli ricadevano sugli occhi. Li trovavo adorabili. E gli occhiali… andavo matta per i suoi occhiali. Erano neri e quadrati, della forma perfetta per i suoi occhi color cioccolato. Un autentico nerd.

    Ora capite fino a che punto può essere spaventosa la mia mania di osservare la gente?

    Sapevo per filo e per segno quello che Mister Giacca e Cravatta avrebbe fatto durante la pausa pranzo. Mangiava un panino o un’insalata, lo sguardo rivolto verso il fiume. Mi guardava suonare e ascoltava la mia musica. Poi faceva qualche telefonata e tornava al lavoro dopo avermi lasciato una piccola mancia. Tutto qui. Non mancava mai all’appuntamento.

    Quel giorno, però, mi colse alla sprovvista. A pranzo non si fece vedere, ma all’uscita dal lavoro si presentò con la borsa del portatile e rimase lì a temporeggiare per qualche minuto. Ero disorientata, come se mi avesse tradita o chissà cosa.

    Non puoi destabilizzarmi così, Mister Giacca e Cravatta, mi trovai a pensare con un sorriso.

    Ma la vera sorpresa fu vederlo avvicinarsi alla fine di Wonderwall.

    «Salve,» disse, una mano affondata con nonchalance nella tasca dei pantaloni.

    Alzai gli occhi dal mio spartito e sorrisi. Quella sì che era una novità. Nonostante ci vedessimo da più di tre mesi, non mi aveva mai rivolto la parola prima di allora.

    Sì, esatto, avevo una relazione con un passante. Lo so, può sembrare patetico, ma non avevo più frequentato nessuno da quando avevo rotto con il ragazzo con cui stavo da due anni. Mi aveva tradita, ed ero rimasta scottata. Potete biasimarmi?

    La storia con Mister Giacca e Cravatta esisteva solo nella mia testa, quindi non costituiva una minaccia.

    «Avrei un favore da chiederti,» proseguì, tirando fuori dalla tasca cinquanta sterline. Sorrise grattandosi la testa, l’aria impacciata.

    Dio, è così, così…

    Non riuscii a terminare il pensiero, perché le parole di Mister Giacca e Cravatta mi colpirono in pieno petto come pallottole.

    «Vorrei chiedere alla mia fidanzata di sposarmi e ho bisogno del tuo aiuto. Potresti cantare la nostra canzone, mentre le faccio la proposta? È Yellow dei Coldplay.»

    Mister Giacca e Cravatta ha una fidanzata. Ingoiai quel boccone amaro e annuii, sforzandomi di sorridere.

    Vuole farle la proposta.

    E io dovrei aiutarlo.

    Allontanai quei pensieri. Certo che lo avrei aiutato.

    Ha una fidanzata, una fidanzata vera. Che c’è, sei gelosa del tuo ragazzo immaginario? Piantala con le stronzate, Melodie, e dai una mano a quest’uomo adorabile.

    «Volentieri,» risposi, e gli sfiorai la mano, invitandolo silenziosamente a mettere via il denaro.

    Non volevo essere pagata. Ho sempre avuto un debole per il romanticismo e per i gesti plateali. Il suo coraggio andava premiato, gli avrei offerto il mio aiuto senza nulla in cambio.

    Be’, magari potrei accettare un compenso simbolico. Che ne dici di uno di quei tuoi sorrisi impacciati e sexy, Mister Giacca e Cravatta?

    Ma fui io a sorridere scuotendo la testa, la mano ancora sulla sua.

    Lui sembrò sussultare e mi guardò sbattendo le palpebre, senza dubbio spiazzato dalla mia audacia. Certo, gli estranei non si toccavano, soprattutto in una grande città come Londra.

    Ritrassi la mano senza però distogliere lo sguardo dal suo.

    «Non devi pagarmi. Lo faccio con piacere.»

    Gli rivolsi un altro sorriso, e stavolta lui lo ricambiò, chinandosi per lasciar cadere il denaro nella custodia della mia chitarra.

    «No, insisto. Prendilo, prima che qualcuno te lo rubi,» disse con una risatina, sistemandosi gli occhiali sul naso. Il mio cuore perse un battito. «Mi piace sentirti cantare, hai una voce forte e intensa…»

    «Per essere così piccola, è questo che stavi per dire, vero?» Raccolsi le banconote e sorrisi nel vederlo accigliarsi imbarazzato.

    «Oh, non intendevo quello.»

    Agitai una mano con noncuranza. Ero bassina e minuta. Sapevo che la gente restava sorpresa dalla mia voce. Era più grande di me, vigorosa e profonda, a tratti un po’ graffiante. Secondo alcuni ricordava quella della cantante dei Florence and the Machine. Il paragone non mi disturbava, lo consideravo un complimento.

    «Non importa, tranquillo,» dissi con una scrollata di spalle prima di tornare a concentrarmi sul vero motivo di quella conversazione. «Quando vuoi che canti?»

    «Appena arriva. Dovrebbe essere qui da un momento all’altro. La prenderò da parte per un minuto e, quando attaccherai il ritornello, le farò la domanda.»

    «Perfetto.» Imbracciai la chitarra e mi sistemai bene la cinghia sulla schiena. «È una donna fortunata.»

    Avevo parlato di getto. Ci voleva fegato per esporsi a quel modo. Nessuno aveva mai fatto un gesto così romantico per me.

    La cosa più dolce che mi veniva in mente era la volta in cui il tipo con cui uscivo da due anni mi aveva portato la colazione a letto. Anche se, a essere pignoli, l’aveva comprata con i soldi che avevo lasciato sul bancone della cucina. E in effetti l’aveva comprata per sé, io l’avevo a stento assaggiata. Okay, nessuno aveva mai fatto niente di romantico per me. Punto e basta.

    Mister Giacca e Cravatta, invece, se la stava cavando bene. Sentivo di doverlo incoraggiare.

    Mi ringraziò e disse che sarebbe tornato di lì a poco.

    Ricomparve dopo cinque minuti con una donna alta ed elegante in tailleur grigio, che da qui in poi chiamerò affettuosamente Miss Tailleur. Non è molto originale come soprannome, ma sembrava lui in versione femminile. Una camicia pulita e inamidata, capelli castani dalla piega perfetta, trucco leggero e tacchi alti: era una donna di classe.

    Mentre mi venivano incontro immersi nella loro conversazione, Mister Giacca e Cravatta mi lanciò uno sguardo d’intesa e io cominciai a suonare.

    La musica mi impediva di sentire quello che si stavano dicendo, ma il linguaggio del corpo mi sembrava piuttosto chiaro: sorridevano, gli sguardi rivolti verso il fiume, le dita appoggiate alla ringhiera e le braccia che si sfioravano.

    Infine Mister Giacca e Cravatta si mise in ginocchio, tirò fuori un astuccio azzurro di Tiffany e lo aprì rivelando uno splendido anello con una pietra bianca.

    Che emozione. Li guardai incantata e continuai a cantare, commossa dalla potenza di quel gesto.

    Mister Giacca e Cravatta si sistemò gli occhiali sul naso, le labbra arricciate in quel suo sorriso un po’ goffo, che sapeva essere adorabile e sexy allo stesso tempo.

    Poi, però, Miss Tailleur scosse la testa.

    Un attimo, cosa? Incredula, smisi di suonare nel bel mezzo del ritornello.

    Oh, merda!

    Lei continuò a scuotere la testa, e i passanti che si erano fermati a osservare la scena ripresero il loro cammino, le espressioni confuse e imbarazzate.

    Oh, merda, merda, merda.

    Mister Giacca e Cravatta si rimise in piedi, il suo sorriso era scomparso. Mi lanciò un’altra rapida occhiata e istintivamente ripresi a suonare, come se la musica potesse rimediare a quel disastro, impedendo agli altri di ascoltare la loro conversazione.

    Come se quello che stava accadendo non fosse ovvio. Miss Tailleur stava rifiutando la proposta. Potevo immaginare le sue parole.

    Non sei tu, sono io.

    Non vogliamo le stesse cose.

    Non sono pronta per un passo del genere.

    Rettifica: Miss Tailleur era senz’altro una donna elegante e piena di fascino, ma aveva un cuore di pietra.

    Le vidi scuotere la testa e toccare il braccio di Mister Giacca e Cravatta con aria contrita, quasi fosse sul punto di piangere.

    Ma fu la faccia di lui a riempirmi di tristezza. Non riusciva a staccare gli occhi dall’astuccio che aveva in mano. Lo aveva richiuso e lo teneva con due dita, come se scottasse.

    Poi, senza tante cerimonie, Miss Tailleur andò via. Non si era nemmeno accorta di me che suonavo la sua canzone. La loro canzone.

    Per una buona decina di minuti, Mister Giacca e Cravatta rimase fermo dov’era a fissare la sponda opposta del fiume, le mani che penzolavano dalla ringhiera. Io continuai a strimpellare la chitarra stando ben attenta a non perderlo di vista.

    Era appena stato mollato dalla sua ragazza sul lungofiume. Nei pressi di un ponte, aggiungerei. Che brutta situazione. Ero preoccupata per lui. Mi dispiaceva così tanto, poverino.

    Al diavolo, pensai a un certo punto. Non potevo stare lì impalata come se nulla fosse successo.

    Riposi la chitarra nella custodia, me la caricai in spalla e lasciai il resto delle mie cose sul marciapiedi. Dovevo dirgli qualcosa. Magari le mie parole lo avrebbero tirato su di morale.

    Qualsiasi cosa pur di rivedere il suo sorriso.

    «Ehi.»

    Mister Giacca e Cravatta si voltò a guardarmi con un sorriso appena accennato sulle labbra, ma i suoi occhi erano ancora tristi.

    «Tutto bene?»

    Come no, sta una favola. Sai che pacchia essere scaricati dalla propria ragazza. Chiudi il becco, Melodie.

    «Sì, grazie,» rispose con educazione, nonostante avesse tutto il diritto di mandarmi a quel paese.

    Non è certo il momento migliore della sua vita. E questa bella e misteriosa sconosciuta – che sarei io – si avvicina e fa domande inopportune.

    Scherzi a parte, Mister Giacca e Cravatta non mi chiese di andarmene; al contrario, fu dolce e gentile.

    «Non è andata esattamente come avevo previsto, ma…» Non proseguì la frase, gli occhi che si abbassavano sulle scarpe tirate a lucido.

    Abbassai lo sguardo anch’io e mi avvicinai, appoggiando le braccia sulla ringhiera, le nostre spalle che quasi si sfioravano.

    No, non era andata come previsto.

    Era tutto sbagliato, un completo disastro, ma guardando il Big Ben in lontananza, mi sforzai di trovare qualcosa d’incoraggiante da dire.

    Pensa, Melodie. Nella vita sei stata trattata anche peggio da chi sosteneva di amarti. Usa la tua esperienza.

    «Sai, mi è successa una cosa simile in passato, e lo so che al momento non potrebbe fregartene di meno, ma poteva andare peggio.»

    Che diavolo stavo dicendo?

    Era una vera sciocchezza, ma Mister Giacca e Cravatta si voltò e sorrise di nuovo.

    «Sul serio? Ti sei messa in ginocchio per fare la proposta al tuo fidanzato e lui ti ha rifiutata?» Non c’era sarcasmo nel suo tono, sembrava che stesse genuinamente tentando di prendere la cosa con spirito e di non mettersi a piangere.

    «No,» risposi con un sorriso imbarazzato. «Ma ho detto di sì al mio ex ragazzo quando mi ha fatto la proposta, e un paio di mesi dopo l’ho beccato a scoparsi la mia migliore amica in camera nostra. Avevo già scelto l’abito. E non finisce qui. Sono dovuta andar via dalla casa in cui vivevamo perché non potevo sopportare l’idea di dormire in quel letto. Mai più. Visto? Poteva andare peggio. Io ho perso il fidanzato, la mia migliore amica e la casa in un colpo solo.»

    Per un attimo ci trovammo ad annuire, improvvisamente complici.

    «È terribile,» commentò lui con una smorfia.

    «Sì, è disgustoso,» confermai, la fronte aggrottata. «Ma che sarebbe successo se non li avessi sorpresi insieme? Se lo avessi sposato? In fin dei conti, è stato meglio così. Non era la persona giusta per me. Magari…» Stavo per chiamare la sua fidanzata Miss Tailleur, ma riuscii a trattenermi. «Be’, magari lei non era quella giusta per te. Forse un giorno capirai perché è andata così, e cosa sta cercando di dirti il karma.»

    O cosa sta cercando di dirti questa matta dai capelli rosa, che canta sul lungofiume e fantastica su di te ogni giorno.

    Ovviamente tenni per me quell’ultima parte, nascondendola dietro un sorriso impudente.

    «Può darsi,» concesse Mister Giacca e Cravatta senza troppa convinzione. «Ma davvero non capisco. Andava tutto bene tra noi. Alla grande. Avevamo anche cominciato a cercare casa insieme.»

    E così mi raccontò tutto – be’, quasi tutto – su lui e Katy, era così che si chiamava Miss Tailleur.

    Lavoravano per settori diversi della stessa banca. Si erano conosciuti due anni prima a una festa di Natale dell’azienda. Da quel momento in poi avevano preso a frequentarsi, si erano innamorati e, in men che non si dica, avevano cominciato a discutere di matrimonio e figli. Si sentivano pronti per la convivenza. Lui aveva comprato un anello da sogno che doveva essere costato una fortuna. Ero riuscita a intravederlo prima che le facesse la proposta.

    «No. Ha detto di no.» Mister Giacca e Cravatta scosse la testa come se la cosa non avesse alcun senso.

    E non ne aveva. Non dal mio punto di vista, se non altro. A meno che non ci fosse qualcosa che entrambi ignoravamo. Qualcun altro, magari. Una terza persona. Tenni la bocca chiusa, ovviamente. Eravamo ancora vicino al fiume, non volevo che ci saltasse dentro. Invece tirai fuori dalla tasca i suoi soldi e glieli porsi. «Tieni, voglio che tu li riprenda.»

    Ma lui scosse la testa e si passò una mano tra i capelli.

    Quant’è sexy, pensai, sentendomi subito in colpa.

    Datti una calmata, Melodie.

    «No, sono tuoi. Grazie per l’aiuto. L’ho apprezzato tanto, ed è sempre un piacere sentirti suonare. Te li sei guadagnati.»

    Strinsi le banconote e mi morsi il labbro, incerta sul da farsi.

    Era evidente che Mister Giacca e Cravatta si stava richiudendo nella sua bolla di tristezza, tormentandosi di domande su Katy.

    In quel preciso momento il Big Ben risuonò in lontananza, attirando l’attenzione di entrambi. Le sei del pomeriggio. Uno, due, tre bassi rintocchi. La mia mente andava a mille. Non volevo che lui andasse via, che l’incantesimo si spezzasse.

    «Che ne dici di due chiacchiere davanti a un caffè? Offro io,» proposi speranzosa allo scoccare dell’ultimo rintocco.

    Non ero pronta a salutarlo.

    Tanto per cominciare, non sapevo ancora il suo nome. Secondo, volevo davvero aiutarlo a dimenticare Katy, Miss Crudelia in Tailleur. Okay, forse stavo esagerando con i soprannomi, ma ero troppo dispiaciuta per lui.

    Senza contare che non mi sentivo a mio agio all’idea di lasciarlo lì tutto solo a deprimersi. Non se ne parlava proprio.

    «Hai paura che io possa compiere un gesto avventato?» domandò divertito, quasi mi avesse letto nel pensiero.

    Beccata.

    «Stai pensando di compiere un gesto avventato?» replicai inarcando entrambe le sopracciglia.

    «No.» Scosse la testa e si lasciò sfuggire un sospiro. «Ma dovrei andare. Il mio treno per casa passa tra poco più di quindici minuti.»

    Diede un’occhiata all’orologio e io scrollai le spalle.

    «Quindici minuti sono più che sufficienti. Si possono fare un mucchio di cose in quindici minuti,» risposi con un sorriso, sistemandomi i capelli dietro l’orecchio.

    Sapevo di aver usato un tono un po’ civettuolo, e andava bene così. L’intento era tirarlo su di morale.

    Di’ di sì, di’ di sì, supplicai tra me e me.

    Mi piace pensare di avere un certo ascendente sulle persone. Non sono tante quelle che riescono a dire di no ai miei occhioni verdi e alla mia faccia da furbetta.

    E Mister Giacca e Cravatta non faceva eccezione. Si limitò a sorridere e ad annuire.

    «Piacere, Isaac,» disse tendendomi la mano.

    La presi e la studiai per un istante: era grande, le dita lunghe e affusolate, la stretta ben salda.

    Isaac, Isaac. Mister Giacca e Cravatta aveva un nome, e gli si addiceva alla perfezione. Era senza dubbio un Isaac, come avevo fatto a non capirlo prima? Era un nome classico. Ordinario, sì, ma con un certo, indefinibile non so che.

    La mia piccola mano sparì nella sua, ma non accennai a tirarla indietro. Qualcosa si agitò all’altezza dello stomaco.

    Oh, salve farfalline! A questo poverino hanno appena spezzato il cuore, siate rispettose e filate via.

    «Piacere mio, Isaac. Io sono Melodie.»

    «Melodie.» La vera melodia era la sua voce, non il mio nome, e sentii le gambe diventare molli come marshmallow. «Ti si addice, è molto musicale.»

    «Grazie, e Isaac si addice a te, Mister Giacca e Cravatta.»

    Quando pronunciai ad alta voce il nomignolo che gli avevo affibbiato in segreto, lui ridacchiò.

    Facevamo progressi, considerato che sino a dieci minuti prima era solo e disperato sulla riva del fiume.

    Adesso, invece, stava sorridendo. Certo, aveva le spalle un po’ curve e la fronte aggrottata. Sembrava ancora un cucciolo bastonato, ma lo avrei aiutato a star meglio. Ero determinata a riuscirci.

    2

    Eravamo già seduti in uno dei migliori caffè della zona, entrambi con una tazza calda e fumante in mano, quando chiesi ad Isaac di raccontarmi per filo e per segno quello che Katy gli aveva detto.

    Fu allora che mi resi conto che avrei fatto meglio a portarlo in un pub.

    Quello che sentii non mi piaceva. Non mi piaceva affatto.

    «Ha detto: Non vogliamo più le stesse cose.».

    Oh, merda.

    «Il nostro rapporto è cambiato. O forse sono io a essere cambiata.»

    Mi lasciai sfuggire una smorfia.

    «Non fai altro che lavorare.»

    Un’altra smorfia, stavolta accompagnata da un sussulto.

    «Forse avrei fatto meglio a portarti in un pub,» mormorai agitandomi sulla sedia.

    Isaac non doveva avermi sentito, perché continuò a parlare. «Prima uscivamo spesso, viaggiavamo, ma negli ultimi tempi non riesco a pensare ad altro che alla mia promozione. È un anno che mi impegno per ottenerla, ma niente. Katy dice che sono ossessionato dal lavoro.»

    Forse dovrei mettergli dell’alcol nel caffè.

    «E quando le ho chiesto da dove saltavano fuori tutti questi dubbi, ha risposto che ci stava pensando su da un po’. Era disposta a tentare la convivenza, ma non si sente pronta per il matrimonio. Non è sicura. Le cose sono cambiate troppo. Dice che non mi riconosce più, che non riconosce più un noi. Che l’ho trascurata. Ho smesso di portarla in posti nuovi, di sorprenderla con dei regali. Ero convinto di agire nell’interesse di entrambi, lavorando sodo per diventare un manager.» Isaac era come un rubinetto aperto. Le parole continuavano a riversarsi fuori dalla sua bocca senza sosta. «È stata lei a insistere perché provassi a ottenere una promozione. A me non interessava.»

    «Perché no?» Ero curiosa, dovevo chiedere. Sorseggiai il mio latte alla cannella e aspettai che Mister Giacca… che Isaac rispondesse.

    «Perché sono contento di quello che faccio. Mi piace avere a che fare con le persone. Le aiuto a ottenere i mutui e i soldi di cui hanno bisogno per realizzare i loro sogni e progetti. Avere una promozione significherebbe rinunciare a tutto questo e chiudersi in un ufficio senza vedere nessuno. Dovrei solo assicurarmi che le pratiche vengano seguite nel modo corretto. Tutto qui.»

    Scrollò le spalle, come se la cosa gli fosse indifferente. Ma allora perché impegnarsi tanto? Perché dedicare tutto quel tempo al lavoro?

    La risposta non tardò ad arrivare, quasi lui mi avesse letto nella mente. «Volevo far felice Katy. Avere una posizione migliore e uno stipendio più alto ci avrebbe dato una stabilità maggiore. Pensavo fosse quello che voleva.»

    Quello che voleva Katy.

    Per un po’ restammo seduti in silenzio a sorseggiare i nostri caffè. Poi posai la tazza sul tavolo e domandai: «E tu?»

    «E io cosa?» replicò lui, sistemandosi gli occhiali sul naso e fissandomi con espressione vacua.

    «Tu cosa vuoi?» chiesi come se non ci fosse niente di più ovvio.

    Tu, Isaac.

    Katy lo aveva incoraggiato a ottenere una promozione finché non era stato costretto a rinunciare al loro tempo insieme. Ma lui cosa voleva? Katy? La promozione?

    Nessuna delle due?

    «Vuoi riconquistarla?» domandai, dando voce ai miei pensieri. O almeno, a una parte di essi. Un’eccessiva schiettezza avrebbe potuto destabilizzarlo, rivelandosi controproducente e pericolosa.

    «Ha importanza?» ribatté con una risatina nasale, le labbra piegate in un sorriso sghembo.

    «Certo che sì,» dichiarai in tono deciso, guardandolo dritto negli occhi.

    Melodie, Melodie, quando imparerai la lezione? Quando la pianterai di aiutare dei perfetti sconosciuti e di ostinarti a vedere sempre il lato buono della gente?

    La risposta a quelle domande era mai. Certo, mi riusciva difficile vedere del buono in Katy, ma lo vedevo nello sguardo tenero di Isaac. Lui meritava il mio aiuto, anche se Miss Crudelia in Tailleur non meritava lui.

    «Sì, voglio riconquistarla. Insomma, le ho chiesto di sposarmi. Certo che voglio.» Mi lanciò un’occhiata veloce, ma continuò a giocare con la tazza.

    Aveva toccato a stento il suo caffè. Era pensieroso e distante. Non ci misi molto a capire che stava ancora rimuginando su quello che era accaduto poco prima sul lungofiume.

    «Be’,

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