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Il Trust in parole semplici
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E-book232 pagine3 ore

Il Trust in parole semplici

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Info su questo ebook

Il trust ha avuto origine nel diritto anglosassone ed è entrato a far parte del nostro ordinamento dal momento in cui l’Italia, nel 1989, ha ratificato la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985. È uno strumento giuridico mediante il quale i beni e i diritti che sono intestati al trustee vengono gestiti con la finalità di permettere al disponente il perseguimento di obiettivi di svariatissima natura (di passaggio generazionale, di protezione, di business, di filantropia, di tutela di soggetti deboli, eccetera) che non sarebbero raggiungibili se non appunto istituendo il trust. Dato che il trust coinvolge contemporaneamente una pluralità di complesse tematiche di natura civilistica e fiscale, è indispensabile che chi si avvicina al trust per la prima volta possa avere risposte semplici ed esaustive alle principali domande che l’istituzione di un trust sollecita.

…una volta vagliata una miriade di possibili pianificazioni, il trust, come avevo fiutato molti anni fa, si è rivelato lo strumento senz’altro più adatto alle mie esigenze…
Santo Versace
LinguaItaliano
Data di uscita17 mar 2023
ISBN9791254841334
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    Anteprima del libro

    Il Trust in parole semplici - Angelo Busani

    Capitolo 1

    Le questioni principali

    Cos’è il trust?

    Il termine trust non è di facile definizione; né è facile spiegare cosa accade quando si istituisce un trust.

    Questa difficoltà nasce specialmente dal fatto che non si tratta di un istituto giuridico nato nel nostro ordinamento, perché è un fenomeno tipico del mondo anglosassone (originato centinaia e centinaia di anni fa) e importato in Italia solo all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso.

    Inoltre, la difficoltà è accresciuta dal fatto che il termine trust non può e non deve essere tradotto in italiano, in quanto, traducendolo con fiducia, si evocherebbe un istituto giuridico proprio del diritto italiano (la cosiddetta intestazione fiduciaria) completamente diverso dal trust: l’intestazione fiduciaria consiste infatti nel fatto che un soggetto (fiduciante) intesta formalmente un bene proprio a nome di un altro soggetto (il fiduciario) con l’accordo che l’intestatario formale non faccia nulla se non ordinato dal fiduciante; ad esempio, se l’ing. Giacomo Tinti vuol mantenere la riservatezza sul fatto che egli è socio della società Beta s.r.l., egli può chiedere alla fiduciaria Alfa s.p.a. di intestarsi la quota di partecipazione al capitale di Beta per conto dell’ing. Tinti; in tal caso, la quota di Beta risulta formalmente di proprietà di Alfa, ma sostanzialmente appartiene all’ing. Tinti, con la conseguenza che Alfa non compie alcuna attività inerente alla quota di partecipazione in Beta per la quale l’ing. Tinti non abbia impartito le proprie istruzioni.

    Proviamo dunque a offrire una definizione del trust partendo da un esempio concreto.

    Pensiamo al caso del medico Giovanni Rossi, vedovo e senza figli, il quale, essendo appassionato di libri antichi, durante tutta la sua vita ne ha formato una importante collezione, ammirata dagli studiosi di tutto il mondo che, spesso, chiedono di visionare singole opere. Il dott. Rossi, preoccupato che, con il suo decesso, la collezione (di dispendiosa conservazione) venga distrutta dai suoi eredi (sia perché essi la frazionino, sia per il fatto che i singoli volumi vengano via via venduti), chiede una consulenza al suo amico avvocato Roberto Bianchi affinché gli illustri un metodo per conservare la collezione dopo la di lui morte e tenerla a disposizione degli studiosi che vogliano esaminarla (e anche del pubblico non specialista che voglia comunque visionarla).

    Dell’avv. Bianchi è cliente anche il geometra Giuseppe Ambrogi, ormai anziano e genitore di Mario, divenuto gravemente disabile in seguito a un incidente stradale. Il geom. Giuseppe è preoccupato del fatto che l’avanzare della sua età (e, alfine, il suo decesso) lasci Mario privo del sostegno che gli ha prestato dal giorno dell’incidente in avanti. Il geom. Giuseppe vorrebbe trovare il modo di impiegare il proprio patrimonio, o parte di esso, per garantire a suo figlio un’assistenza simile a quella che gli ha prestato per tutta la sua vita.

    La signora Silvana, moglie dell’avv. Bianchi, è amica della signora Maria, moglie dell’imprenditore Giovanni Verdi. Le due signore frequentano un circolo letterario e, nel corso di una cena organizzata dal circolo per la presentazione di un nuovo libro, Maria rivela a Silvana che il sig. Giovanni vorrebbe trovare il modo di evitare che la sua azienda vada a rotoli, dopo la sua morte, per effetto di un eventuale litigio tra i suoi due figli, ciascuno dotato di indubbie capacità, ma entrambi caratterialmente assai rigidi. Il sig. Giovanni, infatti, vuole lasciare il proprio patrimonio (e quindi anche la propria azienda) in parti uguali ai suoi due figli, senza fare differenze, ma vorrebbe anche garantire una soluzione nel caso in cui l’azienda si venisse a trovare in una situazione di stallo decisionale determinato dall’eventale insorgere, tra i figli del sig. Giovanni, di una divergenza di vedute in ordine alle decisioni imprenditoriali da assumere.

    Ebbene, l’avv. Bianchi riferisce al dott. Rossi, al geom. Ambrogi e al sig. Verdi che, a parte il trust, non esistono, nel nostro ordinamento, altre strumentazioni, con efficienza identica al trust, per raggiungere lo scopo che ciascuno di essi intende perseguire.

    Cos’è, dunque il trust?

    Il trust è una strumentazione giuridica che consente di raggiungere un risultato (ad esempio: la non dispersione di una collezione, l’assistenza a un disabile, l’efficienza decisionale di un’azienda, eccetera) che una persona sa (o teme) di non poter conseguire (ad esempio, perché è un risultato da ottenere dopo la sua morte).

    È per questo che, nel trust, è fondamentale – come vedremo – la figura del Trustee, vale a dire il soggetto incaricato dal Disponente (così si chiama il soggetto che istituisce il trust) per raggiungere il risultato desiderato dal Disponente stesso mediante il trust.

    Se, dunque, nella parola trust si vuole intuire un’idea di fiducia, si tratta:

    della fiducia riposta dal Disponente nel Trustee circa l’attuazione del programma che il Disponente ha delineato nell’atto istitutivo del trust;

    della fiducia offerta dalla legge al Disponente sul punto che sul Trustee, mediante la sua attività di gestione del patrimonio vincolato nel trust, grava la responsabilità di perseguire la finalità che il Disponente ha indicato istituendo il trust; e, quindi:

    della fiducia offerta dalla legge al Disponente circa il fatto che il patrimonio vincolato in trust non verrà sottratto alla destinazione che il Disponente gli ha impresso istituendo il trust e circa il fatto che verranno senz’altro intraprese dal Trustee le attività occorrenti per perseguire la finalità voluta dal Disponente con l’istituzione del trust.

    Dove e come il trust ha avuto origine?

    L’istituto del trust affonda le sue radici nell’Inghilterra dell’Alto Medioevo, epoca durante la quale si era diffusa la prassi secondo cui un soggetto, titolare di un dato patrimonio (per lo più, di natura immobiliare), lo affidava a un soggetto terzo (specialmente, in occasione di lunghe assenze causate dalla partecipazione a eventi bellici, come le Crociate) affinché costui lo amministrasse e lo gestisse a vantaggio dei Beneficiari indicati dal Disponente (spesso ipotizzando che il Disponente non tornasse più).

    È ragionevole ritenere che detta prassi sia stata motivata, anzitutto, dall’intento di evitare la perdita (o la frammentazione) del patrimonio familiare, in quanto le leggi feudali spesso stabilivano che le terre amministrate dal vassallo, alla sua morte, dovessero essere restituite alla Corona: il vassallo, quindi, cercava di mantenere intatto il suo patrimonio nell’ambito della sua stirpe familiare, appunto trasferendolo fiduciariamente a un soggetto terzo e affidandogli il contestuale mandato di ritrasferirlo, a seguito della morte del vassallo, ai discendenti di costui. Questa soluzione, probabilmente, venne praticata anche per sfuggire alle imposte che (tempo per tempo) gravassero sulle successioni mortis causa, poiché, con l’istituzione del trust, si raggiungeva, appunto, l’effetto di evitare la successione ereditaria del patrimonio del vassallo.

    Per comprendere come il trust si sia poi evoluto dall’Alto Medioevo ai giorni nostri è necessario svolgere una breve riflessione sul tema dell’amministrazione della giustizia nell’ordinamento giuridico anglosassone, in passato e poi anche modernamente.

    In particolare, occorre ricordare che il Re (com’è tipico di ogni potere assoluto) esercitava la sua sovranità anche tenendo sotto stretto controllo l’esercizio del potere giurisdizionale: la giustizia, infatti, coincideva con ciò che il Re (riteneva essere giusto e) decideva. La tutela giurisdizionale, di conseguenza, veniva concessa soltanto a chi il Re reputava di concederla; e quando al Re veniva richiesto di fare giustizia, egli stabiliva se emettere un writ (ossia un ordine scritto), il quale veniva indirizzato (munito del sigillo reale) al convenuto (vale a dire colui che si asseriva aver violato la legge) con l’intimazione – a quest’ultimo rivolta – di comparire affinché fosse giudicato il suo comportamento.

    L’amministrazione della giustizia, col passare del tempo, divenne un sistema (il cosiddetto ius comune o common law e, cioè, il diritto comunemente ritenuto vigente, a significare con ciò un’idea di sistema giuridico apprezzato come giusto) caratterizzato dal fatto che, essendo stato emanato in passato un writ in una data situazione (e, cioè, una situazione in cui il Re avesse accolto una richiesta di giustizia), una common law e, cioè, una identica giustizia (ispirata all’equità del caso concreto) avrebbe dovuto essere concessa qualora il medesimo caso si fosse verificato nuovamente in futuro. In altre parole, si originò il sistema del precedente vincolante, in base al quale la tutela giurisdizionale poteva dirsi garantita tutte le volte in cui esistesse già un corrispondente writ (e, cioè, un precedente); in assenza di un writ, invece, si affermò il principio per cui non si sarebbe potuta ricevere alcuna tutela (no writ, no remedy), a meno che il sovrano non diramasse, all’occorrenza, un nuovo writ (ravvisando esigenze di tutela per situazioni nelle quali un writ non fosse mai stato emanato in precedenza).

    Tuttavia, per effetto della progressiva presa di peso politico da parte del Parlamento inglese (allora costituito dalle più alte figure nobiliari), il dominio della Corona sull’amministrazione della giustizia divenne progressivamente inviso al Parlamento, tanto che, nel 1258, il Re si determinò ad accettare le limitazioni contenute nelle cosiddette Provisions of Oxford, le quali, tra l’altro, ebbero come esito la cristallizzazione del sistema dei writ: da quel momento, infatti, non avrebbero più potuto essere dettati nuovi writ se non con l’approvazione del Parlamento (ciò che, di fatto, determinò la cessazione della produzione di nuovi writ).

    Da questa situazione prese, dunque, corpo la cosiddetta giurisdizione di equity, la quale, in estrema sintesi, consisteva nella prassi di invocare la grazia del Re (vale a dire di appellarsi alla Cancelleria del Sovrano e non alle Corti di common law) in tutte quelle fattispecie (quali appunto le situazioni giuridiche conseguenti all’istituzione di un trust e nelle quali si fosse originata una controversia) dove non esisteva un writ e nelle quali si reclamava comunque la tutela giurisdizionale: più precisamente, essendo la Cancelleria reale ritenuta il più autorevole interprete della giustizia del caso concreto, ci si rivolgeva alla medesima affinché essa si pronunciasse equamente e, cioè, in base al buonsenso e alla morale corrente in quel dato momento storico (da qui il fenomeno della giurisprudenza di equity), sulla specifica fattispecie di volta in volta sottoposta al suo giudizio.

    Ebbene, considerato che pure nella giurisdizione di equity venne adottato (per coerenza intrinseca al sistema) il principio, identico a quello dei writ, per il quale la decisione presa in un caso precedente si rendeva, di fatto, vincolante anche nelle analoghe fattispecie che si fossero presentate in futuro, e considerato, altresì, che le questioni in tema di trust appunto affluivano, per mancanza di writ, nel sistema dell’equity, ne scaturì, allora che, con il passare del tempo, la regolamentazione dei trust venne sostanzialmente a derivare dalla produzione giurisprudenziale sempre più corposa formatasi nelle Corti di equity.

    Cosa significa che il trust è un vincolo di destinazione (o un patrimonio destinato)?

    Come sopra già accennato, il trust è un programma che il Disponente elabora con riguardo a un certo patrimonio (un bene, un diritto, un insieme di beni e diritti), affidandone l’attuazione a un Trustee.

    I beni e i diritti che vengono vincolati in trust sono, per legge, gravati da un vincolo di destinazione (e, quindi, nel loro insieme, compongono un cosiddetto patrimonio destinato): significa che la loro gestione (vale a dire, la loro amministrazione, la riscossione delle rendite che ne derivano, la loro vendita, il reimpiego del prezzo che ne deriva, eccetera) non è libera ma deve essere coerente con il programma che il Disponente ha dettato.

    In altre parole, mentre il Trustee (come chiunque di noi) può fare del proprio personale patrimonio ciò che vuole, senza che nessuno possa imporre, suggerire o contestare alcunché (in nome dei principi – contenuti nel Codice civile italiano – per il quale si può legittimamente fare tutto ciò che non è vietato e per il quale il proprietario di un bene può usarlo, non usarlo, distruggerlo, venderlo, concederlo in uso ad altri, gratuitamente o verso un corrispettivo, eccetera), con riguardo, invece, al patrimonio vincolato nel Trust, il Trustee non può fare ciò che vuole, ma deve rispettare le indicazioni del Disponente.

    Se il Trustee non esegue il programma affidatogli, può essere rimosso e può essere chiamato a rispondere dei danni provocati al patrimonio vincolato in trust oppure ai Beneficiari del trust.

    Cosa significa che il trust provoca una separazione patrimoniale (o una segregazione o un patrimonio separato)?

    L’istituzione di un trust realizza anzitutto la separazione (o segregazione) del patrimonio vincolato in trust dal restante patrimonio del Disponente, in quanto quest’ultimo trasferisce al Trustee la titolarità dei beni e dei diritti che sottopone al vincolo del trust: ad esempio, se il Disponente vincola in trust una somma di denaro, perde la proprietà del denaro in quanto è il Trustee che ne diviene il proprietario e deve gestirlo nell’interesse del Trust e dei Beneficiari.

    Conseguenza ne è che il Disponente non può più avvalersi di detta somma di denaro, ad esempio per fare investimenti o per impiegarlo al fine di finanziare le proprie spese.

    Altra conseguenza è che se il Disponente subisce un’azione esecutiva da parte di un creditore che pretenda un pagamento da parte del Disponente (il quale si sia reso inadempiente), quel creditore non può pignorare il denaro vincolato in trust poiché, nel momento in cui la procedura esecutiva viene promossa, quel denaro non è più di titolarità del Disponente ma è divenuto, per effetto dell’atto di dotazione del trust, di titolarità del Trustee.

    Resta fermo, tuttavia, che un trust non può essere istituito in frode ai creditori: in quel caso, infatti, al creditore è concessa la cosiddetta azione revocatoria, vale a dire un’azione con la quale il creditore (che dimostri la fraudolente operazione del Disponente ai danni del creditore stesso) domanda al giudice di dichiarare inefficace l’istituzione del trust, con la conseguenza di poter sottoporre a pignoramento il denaro che il Disponente ha vincolato in trust per sottrarlo alla soddisfazione dei suoi creditori.

    Il patrimonio vincolato in trust è separato anche con riguardo alla persona del Trustee. Infatti, i beni vincolati in trust dal Disponente divengono sì di titolarità del Trustee, ma restano separati dal restante suo patrimonio personale. Ne consegue che le vicende riguardanti il patrimonio vincolato in trust non riguardano le vicende del patrimonio personale del trustee e, viceversa, le vicende del patrimonio personale del trustee non influenzano il patrimonio vincolato in trust.

    Ad esempio, se un creditore personale del Trustee promuove un’azione esecutiva verso il Trustee stesso al fine di avere soddisfazione di un debito personale del Trustee che questi non ha adempiuto, il pignoramento non può colpire il patrimonio vincolato in trust, seppur si tratti di un patrimonio di titolarità del Trustee; e ciò in quanto, il patrimonio vincolato in trust è un patrimonio separato rispetto al patrimonio personale del Trustee, poiché gravato dal vincolo di destinazione all’attuazione del programma indicato dal Disponente nell’atto istitutivo del trust.

    Viceversa, se il Trustee, nell’ambito della sua attività di gestione del trust, provoca il sorgere di obbligazioni (ad esempio, il pagamento di una parcella professionale), di esse risponde il solo patrimonio vincolato in trust e non ne risponde invece il patrimonio personale del Trustee.

    Ancora, la separazione che il vincolo del trust provoca tra il patrimonio personale del Trustee e il patrimonio, sempre di titolarità del Trustee, ma vincolato in trust, comporta che:

    se il Trustee è coniugato in regime di comunione legale dei beni, i beni che divengono di sua titolarità come Trustee di un trust, nel corso della vigenza del trust, non entrano a far parte della comunione legale;

    se il Trustee è una persona fisica e muore, il patrimonio vincolato nel trust non entra a far parte della sua successione ereditaria;

    se il Trustee fallisce o è sottoposto a una procedura di liquidazione, il patrimonio del trust non entra nella massa da destinare ai creditori della procedura.

    L’istituzione di un trust comporta la nascita di un nuovo soggetto di diritto?

    Per soggetto di diritto si intende una persona fisica o un’entità (ad esempio, società, associazioni e fondazioni) cui la legge riconnette la capacità di esser titolare di diritti o gravata da doveri. Ad esempio, la società Alfa è proprietaria del suo stabilimento produttivo, la fondazione Beta ha un credito relativo alla prestazione di un assicuratore conseguente a un incendio sviluppatosi nella sua sede, l’associazione Gamma è debitrice delle imposte conseguenti alla sua attività di organizzazione di viaggi.

    Ne deriva che la risposta alla domanda è negativa, in quanto, con

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